6 DICEMBRE,
IL GIORNO DI SAN NICOLO’.
I SEGRETI DI SAN NICOLA DI BARI (O DI MYRA)
di Giancarlo Pavat
Ricordo ancora la trepidazione con cui, assieme a mio fratello e ai cuginetti, si attendeva l’arrivo del pomeriggio del 5 dicembre, vigilia della Festa del San Nicola di Bari o, meglio, di San Nicolò, come lo si chiama nella mia città natale, Trieste. Era un’attesa emozionante e foriera di futuri entusiasmi e divertimenti. Ci si chiedeva quali regali avrebbe portato San Nicolò. Eravamo stati buoni per meritarli oppure ci avrebbe portato soltanto del carbone?
Ad un tratto, qualcuno (in genere mio padre o mio nonno) suonava il campanello dell’ingresso dell’appartamento e noi correvamo a nasconderci mentre mia madre e le zie sistemavano nella cameretta mia e di mio fratello, i pacchi incartati dei giocattoli e dei dolciumi. Poi, la porta d’ingresso sbatteva di nuovo, segno che San Nicolò se n’era andato per proseguire il suo giro per portare i regali agli altri bambini di Trieste e noi ci precipitavamo a scartare i pacchi e pacchetti. In realtà, sapevamo benissimo (sin dalla Prima Elementare) che i regali li portavano i nostri genitori, nonni e zii, ma ci piaceva quella sorta di recita. Quasi fosse un vero e proprio rito. Chissà, forse, sebbene fossimo bambini, ci rendevamo conto che si trattava di una consuetudine importante che andava preservata. Ricordo ancora la filastrocca che sciorinavamo in quei giorni.
“San Nicolò di Bari, la festa dei scolari, i scolari no fa festa, ghe taieremo la testa”.
In relazione, quasi una protesta, al fatto che il 6 dicembre, immancabilmente, si andava comunque a scuola, mentre la cruenta conclusione alludeva alla golosa degustazione, a cominciare dal capo con la mitria, del San Nicolò di cioccolato rivestito da coloratissima carta dorata o argentata che ci veniva regalato.
Il San Nicolò di cui si sta parlando è, come accennato all’inizio, San Nicola di Bari o di Myra. Si tratta di uno dei santi ancora oggi tra i più popolari ed amati al Mondo. Di valenza davvero ecumenica. Unisce le due anime principali del Cristianesimo. Vista la venerazione che hanno per lui, sia i Cattolici che gli Ortodossi. San Nicola nacque tra il 260 ed il 280 d.C., a Pàtara, una città della regione anatolica della Licia, chiamata Arsinoe dagli antichi Greci (Ἀρσινόη in greco), affacciata al Mediterraneo. Il sito dell’antica città sorge presso l’attuale cittadina di Gelemiş, nella provincia turca di Antalya.
(Immagine sopra: la chiesa greco-orientale di San Nicolò a Trieste – foto G Pavat)
In greco, il nome “Nicola”, impostogli dai genitori Epifanio e Giovanna (secondo alcune fonti si chiamava “Nonna”), significa “Vincitore del Popolo”. Decisamente appropriato, vista l’instancabile opera di beneficenza e soccorso per i bisognosi ed i poveri, che Nicola svolse una volta rimasto orfano ed ereditate le ricchezze dei genitori. Trasferitosi nella città licia di Myra (oggi Demra, sempre in Turchia), proseguì nella sua generosa attività, tanto che alla morte del Vescovo, gli abitanti lo vollero come nuovo presule. Le sue iniziative filantropiche hanno fatto sbocciare numerose leggende che sono poi alla base della tradizione che lo vuole dispensatore di doni ai bambini.
Si narra che Nicola, un giorno, venne a sapere di un padre che, non potendo procurare una dote alle tre figlie per farle sposare, aveva deciso di avviarle alla prostituzione. Il futuro Santo, per tre notti di seguito gettò dentro la stanza delle fanciulle dei sacchetti pieni di monete d’oro, facendo in modo che potessero sposarsi. Episodio immortalato anche da Dante nella Divina Commedia.
“della larghezza che fece Nicolao alle pulcelle, per condurre ad onor la loro giovinezza”
(vv. 31-33 Canto XX Purgatorio)
La tradizione del Santo che porta regali ai bambini buoni e carbone a quelli discoli, è sopravvissuta non solo a Trieste ma in diverse aree dell’Italia Nordorientale e dell’Alto Adriatico (Trentino – Alto Adige, Bassa friulana, goriziano, Istria).
L’attenzione e le cure nei confronti dei più piccoli emergono anche da un altro racconto agiografico. Nicola resuscitò tre ragazzi fatti a pezzi e gettati in una botte da un locandiere assassino e rapinatore. Ancora in vita, avrebbe compiuto pure altri miracoli. come l’aver quietato un fortunale, posto fine ad una carestia e salvato dal patibolo tre ufficiali condannati ingiustamente.
Attorno al 305, Nicola venne, probabilmente, anche imprigionato durante la persecuzione di Diocleziano e liberato dopo l’Editto di Milano (noto anche come “Editto di Costantino” o “Editto di tolleranza”), sottoscritto nel febbraio del 313 d.C.. dai due Augusti dell’Impero Romano, Licinio per l’Oriente e Costantino per l’Occidente. Anche se non esistono prove storiche in merito, sembra che Nicola sia stato uno dei 318 partecipanti al celebre (o famigerato) Concilio di Nicea del 325 d.C., voluto dall’Imperatore Costantino.
Concilio di cui ci siamo già occupati su questo sito a proposito della chiesa triestina Serbo-ortodossa, e che condannò come eretico il pensiero del monaco libico Ario (256-336 d.C.).
(Immagine in alto: la chiesa serbo-ortodossa di San Spiridione a Trieste – foto G Pavat)
(CHIESA SERBO-ORTODOSSA DI SAN SPIRIDIONE – LEGGI QUI)
Secondo alcuni racconti agiografici, durante il Concilio, Nicola sarebbe addirittura arrivato a prendere a schiaffi Ario. Episodio che appare in contrasto con la fama di naturale bonomia che tutte le fonti gli riconoscono.
Nicola morì a Myra il 6 dicembre del 343 ed il suo culto si diffuse rapidamente, dall’Asia Minore in tutto l’Impero Romano d’Oriente e, poi, in tutta l’Ecumene.
Iconograficamente San Nicola viene rappresentato vestito da Vescovo con mitria e Pastorale e i tre sacchetti di monete o tre palle d’oro che avrebbe donato alle fanciulle citta dall’Alighieri.
Oltre che protettore dei bambini e dei giovani, è patrono dei marinai, dei mercanti, pescatori, farmacisti, bottai, avvocati nonché delle vittime di errori giudiziari. Moltissime grandi città del Pianeta vantano una chiesa che porta il suo nome. Da Roma a Amsterdam, da Praga a San Pietroburgo, da Madrid a Bruxelles e a New York.
E proprio negli Stati Uniti d’America, nel XIX secolo, la venerazione per San Nicola subì una incredibile trasformazione che l’ha reso una icona del mondo moderno. Il suo culto era giunto in Nordamerica a seguito dei coloni olandesi. Per loro San Nicola era, in olandese, Sinte Niklaas. Nome che divenne “Santa Claus”. Nel 1821, lo scrittore C.C. Moore, in “A visit from St. Nicholas”, lo descrisse piuttosto corpulento e gioviale, con addosso pantaloni e giacca di colore rosso, bordati di pelliccia bianca. Aspetto poi consacrato definitivamente dalle illustrazioni di Thomas Nast del 1863. Era nata la figura folkloristica e, purtroppo, consumistica, di “Babbo Natale”. Successivamente venne dotato di slitta con le renne e domiciliato a Rovanemi in Finlandia.
Tra le migliaia di chiese e basiliche dedicate a San Nicola, quella più celebre è certamente la Basilica di Bari, che conserva le sue venerate reliquie. Non per nulla viene chiamato, appunto, San Nicola di Bari.
(Immagine sopra: La Basilica di San Nicola a Bari . Sotto: lo stesso Giancarlo Pavat davanti alla Basilica di San Nicola a Bari – foto G Pavat )
Secondo la tradizione, nel 1087, giunta in Occidente la notizia delle continue profanazioni e distruzioni che subivano le chiese cristiane ad opera dei Turchi Selgiuchidi che avevano strappato l’asia Minore all’Impero Romano d’Oriente, alcuni marinai baresi decisero di salpare per raggiungere le coste dell’antica Licia e “salvare” le sante reliquie che si trovavano nelle varie chiese devastate. Ancora oggi si discute sul numero esatto dei partecipanti alla spedizione e, soprattutto, sulla loro reale identità. È stato adombrato, senza uno straccio di prova, che quel vero e proprio blitz sulle coste dell’Anatolia, avesse tutt’altro scopo e che, addirittura, sulle navi fossero imbarcati Hugo dei Paynes (o Ugo de Paganis) ed Hugo conte di Champagne. Personaggi che poi diventeranno famosissimi nella storia dei Pauperes Commilitones Christi Templique Salomonis, ovvero i celeberrimi Cavalieri Templari. Anche perché diversi storici hanno voluto vedere nell’impresa dei baresi una sorta di anticipazione se non addirittura di viatico, alle successive spedizioni armate in Outremer che erroneamente chiamiamo “Crociate”.
Indubbiamente, alla luce della grande considerazione che i grandi ordini monastico-cavallereschi o ospitalieri (come quello dei Templari o dei Giovanniti o, ancora, degli Antoniani) ebbero nei suoi confronti, concretizzata con la dedicazione di centinaia di chiese o monasteri, San Nicola può essere davvero considerato un “Santo crociato”.
Comunque, se vogliamo attenerci alla tradizione agiografica e alle scarse fonti storiche, i coraggiosi pugliesi che salparono verso le coste dell’Anatolia, erano 62 ed erano guidati da tali Giovanoccaro e Petrarca Rossimano, e da due preti Grimoaldo e Lupo. Sbarcati a Myra e raggiunta la chiesa in cui si trovava il sepolcro di San Nicola (tomba che ancora oggi viene mostrata a fedeli e turisti), ne recuperarono i resti mortali, reimbarcandosi per Bari. Nel capoluogo pugliese giunsero il 9 maggio. Ecco perché a Bari, oltre che il 6 dicembre, il santo è festeggiato dal 7 al 9 maggio, proprio nella ricorrenza della traslazione dei resti da Myra. Secondo la tradizione vennero deposte laddove si fermarono i due buoi che trascinavano il carro con sopra la cassa scaricata dalla nave. Una coppia di bovini è scolpita ai lati del Portale Maggiore della Basilica.
(Immagine sopra: la cripta della Basilica di San Nicola a Bari – foto G Pavat )
Come sviscerato in un mio precedente articolo del 2017, la lunetta di un altro ingresso della Basilica, la cosiddetta “Porta dei leoni”, è decorata con uno straordinario bassorilievo che rappresenta personaggi e situazioni delle vicende di Re Artù e dei Cavalieri della Tavola Rotonda. Ho già sottolineato che l’aspetto curioso ed interessante è il fatto che, sia l’opera d’arte barese che la coeva “Porta della peschiera” del Duomo di Modena, che raffigura gli stessi eroi e tematiche, sono precedenti di alcuni decenni la diffusione nella nostra Penisola dei racconti e dei componimenti letterari della “Materia di Bretagna”, come “Perceval le Gallois ou le Conte du Graal” e le altre opere di Chrètien de de Troyes (1130-1190) o quelle del chierico normanno Goffredo di Monmouth, come “Historia Regum Britanniae”, “Prophetiae Merlini” e “Vita Merlini”, composte tra il 1132 ed il 1135.
(Immagine sopra: la “Porta dei leoni” della Basilica di San Nicola a Bari – foto G Pavat )
Inoltre, per inciso, si ricorda che Re Artù o meglio “Rex Arturus” compare anche nel grandioso mosaico pavimentale della Cattedrale di Otranto, sempre in Puglia, eseguito nel 1165 da Fra’ Pantaleone.
(RE ARTU’ ERA PUGLIESE? – LEGGI QUI)
Tornando all’arrivo dei resti di San Nicola a Bari, questi vennero inizialmente tumulati presso la chiesa di San Benedetto. Poi, nel 1089, vennero traslate, alla presenza di papa Urbano II, nella Cripta su cui venne eretta per merito dell’Abate Elia, la bellissima Basilica che ancora oggi ammiriamo a Bari.
(Immagine sopra: la Cripta della Basilica di San Nicola a Bari – foto G Pavat
Sotto: la chiesa di San Nicolò al Lido a Venezia – fonte Wikipedia)
Ma a quanto pare i Baresi non furono gli unici che tentarono di recuperare e “porre in salvo” le reliquie del Santo di Myra. Infatti batterono sul tempo i Veneziani che non erano nuovi a simili imprese. Vale la pena di ricordare, infatti, che nel 828 d.C. alcuni mercanti provenienti da quella che sarebbe diventata la “Regina del mediterraneo orientale”, riuscirono a trafugare ad Alessandria d’Egitto il corpo dell’Evangelista San Marco. Facendola sotto il naso alle guardie musulmane avendo infilato i resti in una botte sotto vari strati di carne suina. A proposito dell’Evangelista, recentemente è stata avanzata un’ipotesi a prima vista assolutamente assurda. A proporla il ricercatore Andrew Michael Chugg, autore del libro “The Quest the Tomb of Alexander” del 2007, poi ripreso anche dall’archeologo italiano Massimo Valerio Manfredi nel libro “La Tomba perduta. L’enigma” (Mondadori 2009) e dal grande archeologo e scrittore che ci onora della sua amicizia, Roberto Volterri. (LEGGI ANCHE – OMAGGIO ALLA TOMBA DI ALESSANDRO MAGNO)
Secondo questa ipotesi, i resti venerati nella Basilica di San Marco a Venezia non sarebbero quelli dell’Evangelista eponimo ma quelli di Alessandro Magno.
(Immagine sopra: la statua di San Nicola all’interno della Basilica a lui dedicata a Bari – foto G Pavat )
Sebbene battuti dai Baresi, i Veneziani sbarcarono lo stesso sulla spiaggia di Myra, raggiunsero i resti della basilica e setacciarono la cripta rinvenendo altri resti ossei, subito riconosciuti come appartenenti a San Nicola. Il ritorno in Laguna fu un Trionfo. Tra il tripudio generale i resti vennero inumati con tutti gli onori a San Nicolò del Lido. Da dove il Santo veglierà per secoli sulla Flotta della Serenissima, di cui fu subito nominato Protettore.
(Immagine sopra: la tomba di San Nicola a Myra – fonte Wikipedia)
In tempi recenti, la vexata quaestio tra Bari e Venezia su chi ospiti davvero le sacre reliquie si è arricchita di un nuovo, forse definitivo, capitolo. Infatti, dopo la ricognizione del 1956 a Bari e del 1992 a Venezia, sono state svolte approfondite analisi medico-legali che hanno stabilito che i due gruppi di spoglie appartengono alla medesima persona. Anche se, a dire il vero, a Venezia sono inumati soltanto pochi frammenti ossei. Inoltre, ciò che rimane di un omero sinistro del Santo, è conservato, almeno dal XI secolo, a Rimini. Ovviamente nella chiesa di San Nicolò.
(Immagine sopra: l’ingresso della Basilica di San Nicola a Bari – foto G Pavat)
Sono ancora molti i misteri che circondano le vicende relative a San Nicola, alla traslazione delle sue reliquie e persino alla basilica barese a lui dedicata. Ad esempio quello della cosiddetta “doppia consacrazione”. Una prima volta, il 9 maggio del 1089, per mano dello stesso di Urbano II (al momento della deposizione delle reliquie nella cripta e quindi pare ovvio che abbia benedetto soltanto quest’ultima e, al massimo, il cantiere della chiesa. Visto che era ancora in costruzione). La seconda consacrazione si ebbe il 22 giugno 1197, ad opera di Corrado di Hildesheim, vescovo e cancelliere dell’Imperatore Enrico VI Hohenstaufen. È probabile che il Sovrano svevo non fosse presente alla celebrazione mentre è certa quella dell’armata imperiale schierata.
Lo stesso Federico II, (figlio di Enrico VI), pur non essendo certamente un grande frequentatore di chiese, era molto devoto a San Nicola e prima di prendere il largo per la sua “Crociata” sui generis del 1228-1229 (quando, sebbene scomunicato da papa Gregorio IX, recuperò per l’ultima volta alla Cristianità la “Città Santa”. Ma con un trattato di pace con il Sultano al Malik al Kamil e non con violenze e sangue), sembra che abbia sostato prima a Bari, poi a Patara ed infine a Myra.
(Immagine sopra: Federico II di Svevia in una tela di A.G. Ranberg XIX secolo)
Giova ricordare che San Nicola non è il Patrono di Trieste, che invece è il martire San Giusto, al quale è dedicata la splendida Cattedrale sull’omonimo Colle cittadino. Ma nel capoluogo giuliano, la sua figura è sempre stata tenuta in grande considerazione, e non solo perché portava e porta i doni ai bambini. A Trieste la devozione nei confronti di San Nicolò si sviluppò verso la fine del XVIII secolo dopo l’istituzione del Porto Franco ad opera dell’imperatore Carlo VI d’Asburgo (1685-1740).
(Immagine sopra: la Cattedrale di San Giusto a Trieste – foto G Pavat)
Le vantaggiose condizioni economiche e la tolleranza religiosa e etnica (impensabile in quasi tutto il resto d’Europa), attirarono a Trieste genti provenienti dal Mediterraneo orientale. Tra cui moltissimi greci (che sfuggivano all’oppressione ottomana) e con loro giunse pure il culto per il Santo vescovo di Myra.
Alla vivace comunità greca si deve (quasi certamente) anche la nascita, in occasione della festa del Santo, del primo mercatino poi diventato la “Fiera di San Nicolò” che ancora oggi si tiene nella prima settimana di dicembre in viale XX settembre e nelle vie e piazze adiacenti. Inoltre, il luogo di culto dei Greci di Trieste è dedicato proprio a San Nicola.
Si tratta della chiesa greco-ortodossa o greco-orientale (come viene spesso chiamata a Trieste) con due campanili gemelli ed una facciata neoclassica, iniziata nel XVIII secolo e completata dall’architetto Matteo Pertsch nel 1821.
Sorge su Riva Tre Novembre, di fronte alle acque dell’Adriatico, da cui giungevano vascelli e piroscafi salpati dal Levante.
(A PROPOSITO DELLA COMUNITA’ GRECA DI TRIESTE – LEGGI QUI)
(Immagine sopra e sotto: la chiesa greco-ortodossa di San Nicolò dei Greci in Riva 3 Novembre a Trieste – foto G Pavat)
Ancora oggi, ad oltre cinquant’anni suonati, nonostante non abiti più a Trieste, non manco mai, ogni 6 dicembre, di farmi un piccolo regalo. In genere un libro. La tradizione di San Nicolò va sempre rispettata. Dopotutto in tanti affreschi lo vediamo tenere proprio un Libro nella mano sinistra.
(Giancarlo Pavat)
(Sopra e sotto: altre immagini della chiesa greco-ortodossa di San Nicolò a Trieste – foto G Pavat)
(Immagine sopra: da sx: Giancarlo, Francesco e Gioia Pavat, sullo sfondo Riva 3 Novembre e la chiesa di San Nicolò viste dal Molo Audace a Trieste – foto Pavat)