Immagine di apertura: Monumento a Gengis Khan a Ulna Bator in Mongolia.
Dedicato alla memoria del caro amico Giovanni Feo
che il 21 novembre avrebbe compiuto 71 anni.
KURGAN: Il Nome Parlante
di Zoltán Ludwig Kruse
Il documentario di alto valore informativo intitolato Schliemanns Erben Spezial 1 Das Gold von Tuva “Eredi di Schliemann Speciale 1 L’oro di Tuva” su Youtube ci offre un approccio ideale e concreto all’argomento Kurgan.
Il filmato presenta la sensazionale scoperta, fatta nel 2001 da una squadra di archeologi tedesco-russa diretta da H. Parzinger (allora presidente del DAI Deutsches Archäologisches Institut e oggi presidente della Stiftung Preußischer Kulturbesitz di Berlino), K. Čugunov e A. Nagler, di uno dei più ricchi tesori mai trovati in un Kurgan principesco, quello di Arzhan 2.
Un’altra trasmissione di alto valore informativo che consiglio visionare è intitolata Auf den Spuren der Nomaden “Sulle traccie dei nomadi” (Youtube; esistono anche versioni in inglese).
Si tratta dell’entusiasmante documentario in quattro puntate di un giovane australiano di nome Tim Cope.
Egli ha intrapreso a cavallo il lunghissimo viaggio durato più di tre anni dalla Mongolia all’Ungheria perché sentiva la forte urgenza di incontrare e conoscere dal vivo i popoli nomadi cavalcatori, eredi degli Scythi e Hunni, che vivono nell’immensità delle steppe euroasiatiche. Visionando i suoi filmati si riesce a entrare in risonanza con l’autentico mondo e con i valori culturali di questi popoli che ancora oggi utilizzano l’abitazione mobile chiamata Ger o Yurta. In tempi antichi i popoli cavalcatori delle steppe euroasiatiche solevano seppellire i loro “Principi” Khan e i loro nobili di alto rango in tumuli funerari monumentali, da loro stessi denominati Kurgan.
1 Immagine sopra: Arzhan 2 vista sul Kurgan e i cerchi di pietra circostanti con aree sacrificali
2. Immagine sopra: Tuva, “La valle dei Re [Khan]”
Nell’archeologia moderna il termine Kurgan è diventato ormai di uso comune. Con esso vengono designate le “tombe a tumulo”, prevalentemente quelle degli Scythi e dei Saka/Saci nelle loro varie patrie collocate sul vasto territorio di steppa compreso tra il bacino dei Carpazi e la regione dei monti Altai nell’Asia centrale. Fu la archeologa di origine lituana Marija Gimbutas a introdurre e a consolidare l’utilizzo del termine Kurgan nella terminologia della ricerca archeologica. All’inizio del suo libro intitolato “KURGAN Le origini della cultura europea”, nel capitolo 1. “Terminologia”, l’autrice scrive quanto segue:
«Il termine Cultura kurgan (lett. tumulo) fu introdotto da chi scrive nel 1956 (Gimbutas 1956) come termine più generale, che sostituisse Srednij Stog II e la Cultura delle tombe a fossa (in russo Jamna), nomi usati dagli studiosi sovietici per la cultura dell’Ucraina orientale e della Russia meridionale […]. Si è scelto di mantenere il termine Kurgan (che significa “tumulo” in slavo e in turco) perché ha connotazioni appropriate alle sue origini orientali.»
Poi nel capitolo conclusivo “La caduta e la trasformazione dell’Europa antica” / 1. “La cultura kurgan della Russia meridionale”, a pag. 147, si legge ancora:
«Lungo la loro storia, questi popoli si sarebbero fatti riconoscere per i loro monumenti funebri: una fossa scavata nella terra nella quale si deponeva il morto, ricoperta da un tumulo tondeggiante di pietra o terriccio, detto kurgan in russo. Dato che questo tipo di monumento pare essere la caratteristica più distintiva di questo popolo, la loro cultura fu chiamata Cultura kurgan da chi scrive, nel 1956. In russo e in altre lingue slave, il termine Cultura delle tombe a fossa (Jamna) continua a essere usato per questa cultura, tuttavia “tomba a fossa” è troppo generico, perché in varie epoche della preistoria sono state usate delle sepolture di questo tipo, che tra l’altro si trovano in tutto il mondo, ma la combinazione tra una tomba a fossa e un kurgan (tumulo) è tipica della fascia delle steppe euroasiatiche.»
Ora, se è vero che in russo il “tumulo tondeggiante di pietra o terriccio” viene chiamato kurgán (ted. Hügelgrab “tomba a tumulo”), ciò non vuol dire che il termine sia di origine russa. Come potremo constatare nel corso di questa mia indagine etimologica, infatti, non lo è.
Nel quadro di un libro così importante per il quale l’archeologa ha scelto il titolo “KURGAN Le origini della cultura europea” sarebbe stato naturale e doveroso offrire ai lettori una approfondita etimologia del termine. L’autrice invece ha preferito mantenere e utilizzare il termine kurgan come prodotto finito tralasciando, per chissà quale ragione, l’indagine sulla sua etimologia. Onestamente, l’etimologia del termine kurgan non costituisce affatto un aspetto marginale bensì di importanza fondamentale, giacché rivela una certa “visione del mondo” (ted. Weltanschauung): quella degli antichi popoli cavalcatori nomadi e seminomadi delle steppe euroasiatiche. Con tutto il dovuto rispetto e profondo apprezzamento per il ricchissimo lavoro archeologico presentato dall’autrice nel suo libro, ritengo necessario un completamento relativo all’etimologia del termine.
Le affermazioni dell’archeologa: «che significa “tumulo” in slavo e in turco» e, in seguito: «detto kurgan in russo» svelano un trattamento preferenziale dello slavo e del russo. Trattamento che è condizionato comprensibilmente dalla supremazia russa del plurisecolare periodo zarista e poi di quello sovietico. Durante questi periodi le etnie turcofone di cavalcatori nomadi e seminomadi della steppa venivano fortemente discriminate e pesantemente “russificate”.
È indubbio che il grande popolo russo, custode dei favolosi tesori degli Scythi, sia stato il creatore di una cultura ricca e importante che tutto il mondo ammira. Tuttavia anche la cultura della grande comunità di popoli nomadi cavalcatori delle steppe euroasiatiche e dell’Altai – tra i quali quelli più noti sono gli Scythi, i Saci, i Sarmati, gli Hunni, gli Avari, gli Hungar/Magyari e i Mongoli – è di grande valore ed è degna di essere riconosciuta e ammirata in egual misura. Oggi, fortunatamente, la situazione si sta normalizzando, anche perché dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica alcuni dei popoli turcofoni come Kazaki, Kirghizi, Turkmeni, Uzbeki, Tagiki e Azeri, imparentati con gli Scythi, sono diventati autonomi e sovrani di un vero e proprio stato nazionale. Sono tanti, al giorno d’oggi, gli scienziati russi che riconoscono il grande valore della cultura dei popoli cavalcatori della steppa, cultura della quale la monumentale “tomba a tumulo” Kurgan è parte integrante e alla quale evidentemente appartiene.
- immagine sopra: Budapest, piazza degli Eroi. Arpad (850 circa – 907), il principe magiaro fondatore dell’omonima dinastia di sovrani che regnarono in Ungheria sino al XIV secolo.
Etimologia
Riguardo all’etimologia del termine kurgan sul Wikipedia italiano leggiamo quanto segue:
«Il termine “cultura kurgan” indica l’insieme di culture preistoriche e protostoriche dell’Eurasia (Europa orientale, Asia centrale e Siberia, fino ai Monti Altai e alla Mongolia occidentale), che usavano seppellire i morti di alto rango in tumuli funerari, edificati a partire dal 4000 a.C. circa e particolarmente nell’Età del Bronzo. [Il termine kurgan] deriva da una parola turco-tartara che indica collinette o tumuli contenenti una sepoltura in una tomba a fossa, una casa sepolcro o una tomba a catacomba. In letteratura russa si designa yamna.»
Sul Wikipedia tedesco – grazie anche alle ricerche svolte dallo scienziato tedesco-russo F. W. Radloff, linguista, turcologo ed etnografo, fondatore della turcologia e dello studio dei popoli turchi – troviamo una informazione ancora più precisa:
«Esistono due fonti principali della parola kurgan. Una spiegazione sarebbe la derivazione dal atur. korgan “rifugio, fortezza” e mtur. kurgan “fortezza, terrapieno di forte, reliquiario principale”. Ambedue vengono considerate come mutamenti fonemici del atur. korigan, con la radice korı “proteggere, difendere” e il suffisso atur. -gan. Un’altra spiegazione sarebbe farla derivare dalla radice atur. qur-, di cui la parola kurgan rappresenta una derivata, originalmente da tur. arc. *kur- “edificare, fondare”. È spesso difficile stabilire una precisa divisione tra “Kurgan” e il tur. arc. korı–kan “recinto, protezione”.»
Questa informazione è grossomodo valida; tuttavia, essendo l’etimologia del termine kurgan ancora più complessa, essa necessita di ulteriori approfondimenti.
Secondo la mia indagine il termine kurgan si rivela essere un autentico “nome parlante” ovvero attronimo, termine derivato dal inglese aptronym “adatto/relativo al nome”. Corrispondentemente alla locuzione latina nomen omen “il destino nel nome” il termine kurgan riflette fedelmente la stessa natura e destinazione del monumento. Kurgan risulta dalla combinazione delle due parole-seme arcaiche Kur e Gan. Esse esprimono con chiarezza i due significati archetipici: “cerchio/ circolo/circolare” e “contenitore/domicilio/dimora”.
KUR
La componente iniziale Kur è una delle numerose forme di variazione della parola-seme arcaica GAR, espressione dell’archetipo “cerchio” riccamente sfaccettato; l’avevo presentata nello studio “Realizzazione Verbale del Concetto di Cerchio” pubblicato sul sito www.acam.it-i-significati-del-cerchio-in-semantica. Tuttavia, ripetere non guasta mai. Esaminiamo, quindi, dal lessico kingir/ šumero i valori semantici relativi a KUR, GUR, e GAR, ḪAR , GAL:
KUR (Labat, Deimel, s. no. 366) “montagna”, “paese”, “inferi”, “brillare, apparire”; KUR (L., D., s. no. 483) “circondare, accerchiare”, GUR14, ḪAR (L. s. no. 401) “anello” ovvero un “cerchio” o una “corona”, GUR (L., D. s. no. 111) “girare, tornare, volgersi,”, GIGIR (L., D. s. no. 486) “carro” (con “cerchi” girevoli), GÙR (L., D. s. no. 320) “essere caricato, pieno”, GAL (L., D. s. no. 343) “grande”, GAR (L., D. s. no. 597) “piazzare, mettere; ammassare, somma, totalità”. .
La trattazione dell’archetipo “cerchio” in questo studio sarà solo sommaria, data la presentazione sopraccitata. Le numerose forme di variazione della parola-seme arcaica GAR come ad esempio: mong. ger “yurta” (abitazione mobile dei nomadi asiatici di forma circolare), tib. gár “residenza stagionale di nomadi”, gor “circonda”, gur “dammi” (cfr. mag. kér “richiede, prega”, lat. precari, rum. cere), ujg. xar “cerchio”, tur. küre “globo, sfera, biglia”, mag. kör “cerchio, circolare”, kar “coro, cerchia, corporazione; braccio”, karol “abbraccia, protegge”, gar (flusso di) “voce”, per estensione “popolo” (ricorre spesso come secondo componente in vari etnonimi di popoli euroasiatici; ad esempio in: Kangar, Hungar, Magyar, Bashkir, Uygur/Yugur, Bulgar ecc.), köré “intorno” (cfr. atur. korı “proteggere, difendere”), kor “epoca, età, era”, kór “malattia, morbo”, gyűrű “anello” (cfr. šum. GÙR), szekér “carro” (cfr. šum. GIGIR), kerék “ruota”, kerek “circolare, rotondo”, körbe “intorno, attorno”, jár “gira, cammina, si muove”, kerít “circonda” ecc. ricorrono prevalentemente nelle lingue euroasiatiche di tipologia agglutinativa, meno in quelle di tipologia flessiva, nelle quali, tuttavia, sono sporadicamente presenti. Così, ad esempio, in: rum. cur, fr. cul “culo”, rum. cer, fr. ciel, it. “cielo”, colle, lat. cor, fr. coeur “cuore”, ted. Kür “elezione” (ai “principi elettori” ted. Kur-fürsten spettava l’elezione e quindi l’incoronazione dell’Imperatore del Sacro Romano Impero), Kur “cura”, Kehre “(curva) tornante, svolta” ecc.. Come è facilmente constatabile, la costellazione di nude parole-seme sopraccitata costituisce la base dalla quale sorgono le numerose forme derivate ricorrenti nelle lingue di tipologia flessiva; ad esempio: lat. circulus, port. e spa. círculo, it. cerchio, ted. Kreis, Kringel, aisl.. kringer, dan. ol. e sve. cirkel, nor. sirkel, ingl. circle, fr. cercle, gr. kyklos/gyros, rum. cerc, russ. serb. e cro. krug, slo. kruh, cec. kružnice o kruh; e, affini a ted. Kreis, la serie di forme di variazione kretsch, krêz, kreitz, creiz, krês, kries, kreits, kreys, kreytz, krets, kreds, creitsch, krît (nel dizionario di Grimm).
Il valore semantico “montagna”, “paese”, “inferi” di šum. KUR mette in evidenza la connessione del circolare colle tombale al mondo sotteraneo. Per i defunti Khan/Chan/Xan e Khagan il KUR-GAN costituisce, difatti, l’ingresso al mondo “infero”, al mondo dell’“aldilà”, dell’“oltretomba”.
GAN
A questo punto rivolgiamo la nostra attenzione all’archetipo del “contenitore”, del “recipiente”, espresso dalla parola-seme arcaica GAN del lessico kingir/šumero, che, solitamente, è variabile e che costituisce la seconda componente del termine kur-gan. Ecco allora le parole-seme affini in merito con i loro relativi valori semantici:
GAN, KAN, akk. kannu, (L., D. s. no. 143) “brocca, giara, bricco”, “pilone” (di appoggio) – cfr. akk. kânu “essere/divenire stabile, permanente”, qanānu “fare il nido, insediarsi”, ebr. gan “giardino, parco”, gan Eden – KÀN (L., D. s. no. 119) “essere scuro/cupo/buio”, “tristezza” e ḪUN (L., D. s. no. 536) “essere calmo”, HUN-GÁ “affittare”, “dare in affitto”, “prendere in affitto”, “locatore/-trice” – composizione in cui GÁ (L., D. s. no. 233) significa “casa” – mul (lú) HUN (-GA) “Ariete” (costellazione), che è, ovviamente, la “prima casa”, quella “principale”, dello zodiaco.
La parola-seme arcaica GAN è facilmente riconoscibile in una serie di voci affini nelle varie lingue europee; da essa derivano tra l’altro: ingl. can, ol. kan, ted. Kanne, sved. kanna, rum. cană, lett. kanna, finn. kannu, gr. chanáta, mag. kanna “bricco”, kancsó “brocca”, kanca “giumenta” (la cavalla che da vita al puledro), lat. canna “canna”, ted. Kanister “bidone”, ted. Kanal, ingl. canal, channel, rum. canal, mag. kanális “canale/fossa”, it. canestro ecc.
È interessante notare come, per estensione, GAN significante “brocca, bricco”, in senso lato quindi “contenitore”, nella variante mag. hon esprima il significato affine di “paese/terra natale, patria, domicilio”, ovvero di “contenitore territoriale, geografico”. Da hon derivano le combinazioni ott-hon (lett. “là-casa”) e itt-hon (lett. “qui-casa”) significanti “a casa propria”. A parte la variazione consonantica g/k > h notiamo qui anche la variazione della vocale interconsonantica: GAN > hon. Come è noto, le qualità fonemiche vocaliche sono quelle che di solito variano più facilmente, spesso prima ancora di quelle consonantiche. La variabilità largamente diffusa della vocale o è constatabile ad esempio in sardo, corso e portoghese ove la sua abituale sonorizzazione è u; ciò comporta la lettura di hon come [hun]. Poi la u, a sua volta, in inglese vale [ʌ], quindi la sonorizzazione di Hun in inglese risulta [hʌn]. Tale variabilità del valore vocalico inter-consonantico, che rende le forme di variazione hun – hon – han potenzialmente equivalenti, è constatabile in una serie di esempi come: sanscr. Haṅgarī, fr. Hongrie, afr. Hongarye, giapp. Hangarī, catal. Hongria, cor. Heonggari, ol. Hongarije, port. Hungria ecc. per “Ungheria”.
L’espressione hon, dial. honn e honny, che è affine a hol “dove” (“in quale luogo”), hová “dove” (“verso quale luogo”) honnan “da dove, onde”, significa propriamente un certo “luogo costante”, specialmente il luogo di permanenza degli “umani” (dal. lat. homo, hominis), che è quasi esclusivamente loro proprio, quindi “patria” (cfr. ted. Heimat-land, ingl. home-land), ovvero quella regione, quel paese o quella terra in cui qualcuno/a è nato/a e abita, o in cui si è domiciliato in modo permanente. In senso ancora più stretto significa quel luogo, quella terra, ove qualcuno/a o qualchecosa ha la sua “casa, domicilio, abitazione, dimora” (cfr. ted. Heim, ingl. home). E, quindi, dove l’uomo/homo vive e muore e viene anche sepolto sotto “collinette” o “tumuli” di terra e pietra che in magyar vengono chiamati coerentemente hant. Da qui anche la stretta associazione del sostantivo hon “patria/dimora” con il verbo hány significante “getta(re), lancia(re), spala(re), ammucchia(re), ammonticchia(re)” (azione con la quale qualcosa viene alzato e lanciato/gettato/ buttato accanto), hányt “ammonticchiato”, hantol (forma verbale di hant) “riempie la fossa spalando”; da hány deriva la forma sostantivata hányás “ammucchiamento”, cioè “collinetta formatasi da terra o pietre ammucchiata/e”, che è sinonimo di hant. Come dimostra la frase di applicazione, difatti: A hant halomra hányt föld “Il tumulo è terra spalata a mucchio”.
Da questo esempio si evince che alle espressioni hant e hányás si associa pure un altro sinonimo che è halom, di cui le forme arcaiche sono halm, holm, holmu, significante “massa di corpo più o meno inarcata sulla superficie piana di terreno”. Il halom può essere sia naturale che artificiale, come ad esempio collinette funerarie, collinette di sabbia, pietra, grano o letame e ovviamente il ben noto “tumulo cumano” Kunhalom. Semanticamente halom è affine a sanscr. kul “ammuchiare”, lat. collis, it. colle, collina, rum. colină, ingl. hill, ol. collina, gr. kolone, slav. cholm, finn. kukkula ecc.
Nel XIX sec. nella regione dell’Ungheria chiamata Kiskunság “Piccola Cumania”, situata a sudest da Budapest, nella zona interfluviale tra i grandi fiumi Duna/Danubio e Tisza/Tibisco, i “tumuli cumani” Kunhalom raggiungevano ancora l’impressionante quantità di quarantamila esemplari conferendo al paesaggio di pianura conosciuta come Alföld, la grande “pianura ungherese” (lett. “bassa-terra”), una impronta caratteristica. Al giorno d’oggi se ne contano appena circa millecinquecento; la maggior parte di essi sono stati spianati e trasformati in superfici agricoli coltivabili.
4-5. Immagini sopra e sotto: Kunhalom, Kiskunsági Nemzeti Park
La parola-seme hon che significa “patria/terra, casa”, ovvero il luogo in cui si può “essere/stare calmi” e “vivere tranquilli”, è supportata inoltre dal seguente ventaglio di parole assonanti di affine significato: hón “ascella” (luogo “oscuro” e “riparato” del corpo umano), huny “chiude(re) gli occhi”, elhunyt “deceduto/a” (che desta “tristezza” = šum. KÀN), lekonyul “(ingiù) pende(re)/si inabissa”, alkony “tramonto”, nyug “riposo” (variata forma speculare di gan/gun), con gli sviluppi nyug-út “via di riposo”, nyugat “ponente, occidente”; e Kán “Khan” (“primo uomo”, “Principe”, in rum. “Han”, in tur. “Khan”), kan “maschio di cinghiale; maschio” di cui kanoz “si accoppia” (cfr. gr. gamos “nozze”); kan simboleggia “coraggio” e tutte le qualità del guerriero conquistatore.
Ascoltando le parole-seme hon e Khán/Chan/Xan/Han la loro assonanza risulta assai evidente; esse rivelano una stretta connessione semantica, poiché sono due varianti dello stesso concetto generico di “primo” (cfr. šum. mul (lú) HUN (-GA) costellazione “Ariete”, la “prima casa” dello zodiaco). Come spiegato prima, hon costituisce il “primo luogo”, quello dell’appartenenza etnico-geografica conosciuta come “patria, domicilio”; mentre Khan/Chan/Xan/Han è il “primo uomo” ovvero il “Principe” (da lat. Princeps) della “patria” cioè del Khanato (lat. principatus). Ecco qui un esempio di applicazione riassuntivo: A kurgán/korhány az elhunyt Kán örök kör-hona/hantja “Il kurgan è del defunto Khan eterna circolare dimora/tomba a tumulo.”
Nelle lingue euroasiatiche e anatoliche non sono poche le voci affini a mag. hon “patria, domicilio”; eccone alcune: finn. huone “stanza, soggiorno”, pers. khān/-e , zend. hum “casa”, usb. hona “casa, abitazione”, jak. xon “alloggio, alloggiamento”, rum. han “ostello, alloggio”, tur. han “ostello, locanda”, hane “casa”, hangar “magazzino, rimessa”, konut “domicilio, residenza”, konmak “abitare, sedersi”, konak “ostello”, konaklamak “alloggio”, ted. Heim, Heimstätte, Heimatland, sve. hem, ingl. home, homeland “casa, domicilio”, “patria” ecc.
Notiamo che la parola-seme hon “patria, domicilio”, nella forma lievemente variata han, ricorre con il significato affine di “locanda, ostello” sia in turco che in rumeno; tuttavia c’è una differenza considerevole. Mentre in magyar/hungherese hon è fonte d’origine di numerose voci derivate come ad esempio: honi “indigeno, nativo, autoctono”, pl. honiak “nativi, autoctoni”, honol “padroneggia, signoreggia, abita”, honolás “padroneggiamento”, honos “domiciliato”, honosság “cittadinanza, diritto di residenza”, honosít “fa naturalizzare”, honosítás “naturalizzazione”, hontalan “senza patria, apolide”, honvéd “soldato” (lett. “patria-difende”/“difensore della patria”), honvédség “l’esercito dei difensori della patria”, honvédelem “difesa della patria” ecc., in rumeno e in turco la voce han non presenta simili forme di sviluppo. Questa mancanza di derivati ovvero di creatività lessicale, rivela che la voce han in queste lingue costituisce presumibilmente un prestito. D’altro canto la ricchezza lessicale presente in magyar/ungherese permette formulazioni in unitarietà verbale come ad esempio: a honiak hona “la patria degli autoctoni”; a honi Húnok hona “la patria degli Hunni autoctoni” o anche A honi Húnok honaikat honolták “Gli autoctoni Hunni dominavano/ abitavano le loro patrie”.
In questa ampia sfera relativa a hon/hun rientrano anche le seguenti voci che rivelano una chiara affinità fono-semantica: mag. kun “cumano” – tur. kün “popolo”, mong. kümün “uomo/umano”, sam. kum “uomo/umano”, sir. komi “sirieno”, gr. choma “terra, suolo terrestre” e ovviamente anche il complesso di vocaboli latini: homo “uomo”, humana “umano”, humanitas “umanità”, humanum/-us “emozione/essere umana/o”, humus “terra, suolo terrestre” (cfr. tur. kum, mag. homok “sabbia”), humare “inumare, inumazione”, humilis “umile”, humilitās “umiltà” (cfr. mag. hamu “cenere”, hamvas “cenerino”, hamvasztás “incenerazione”), con numerosi derivati nelle varie lingue europee. Si tratta di espressioni arcaiche assonanti del complesso concettuale fondamentale di: “patria/terra/casa” – “uomo” – “popolo”.
Tutto sommato, le informazioni ottenute da questa indagine etimologica conducono chiaramente alla conveniente lettura in chiave magyar/hungherese del termine archeologico Kur-gan: Kör-hon (kur > kör, gan > hon) “circolare dimora” funeraria (cfr. l’espressione fono-semanticamente corrispondente ted. Kehr-Heim; in ordine di sequenza inversa Heim-Kehr “ritorno a casa”, di cui heim-kehren “rincasare”, Heim-kehrer/in “rimpatriato/a”) e Kör-hant “circolare tomba a tumulo”. Come risulta, in queste combinazioni la parola-seme iniziale kör funge da attributo riferito ai sostantivi hon “domicilio” e hant “tumulo”, attribuendogli la qualificazione “circolare”. Questa lettura è assai facilmente comprensibile giacché ampiamente sostenuta dai binomi Kör-hon e Kör-hant affini. Il binomio Kurgan/Korhány riflette, quindi, fedelmente i due aspetti fondamentali che contraddistinguono le monumentali “tombe a tumulo”: da un lato, tramite la parola-seme arcaica Kur, riflette la sua vistosa forma di costruzione rotonda, circolare; dall’altro lato, tramite la parola-seme arcaica Gan, riflette tanto il suo processo di formazione tramite “ammucchiamento” (hány/ hányt/hant) quanto la sua destinazione a “sepolcro – contenitore – dimora” (hon/han) di “Principi” e “Principesse” ovvero di “primi” uomini Khan/Chan/Xan/Khagan, di “prime” donne consorti e di nobili della “patria” (hon) cioè del Khanato/Kánság.
Il fatto che un risultato simile sia impossibile ottenere adottando la chiave di lettura russa, slava o di qualsiasi altra lingua europea di tipologia flessiva è condizionato dalla mancanza del complesso di parole-seme affini che identificano e rendono l’espressione Kurgan un “nome parlante”. In fin dei conti l’etimologia del termine Kurgan confuta la sua assegnazione da parte di Marija Gimbutas agli ipotetici popoli indoeuropei (v. L’Ipotesi Indoeuropea e la Cultura Kurgan, pag. 166). Nel suo libro l’autrice parla spesso di
«Gruppi tribali kurgan», «Pastori kurgan», «Popolo/i kurgan», «Invasori kurgan», «Invasioni di popoli kurgan” ecc.. spiegando che: «Il termine kurgan è un nome convenzionale per tutti i popoli delle steppe euroasiatiche che invasero varie regioni dell’Europa in diversi intervalli lungo l’età del Rame».
Tuttavia, ora che conosciamo il vero senso del termine kurgan, uno prettamente architettonico, ci rendiamo conto che esso in fondo è poco adatto a questo utilizzo traslato. Con la formulazione «Invasioni di popoli kurgan» viene espresso praticamente il significato: “Invasioni di popoli Circolare Collina-dimora funeraria di Khan/Chan/Xan/Khagan” che è inesatto, anzi, un controsenso. I monumenti funerari kurgan sono delle costruzioni fisse, immobili. I kurgan non si spostano – sono i loro costruttori, i popoli cavalcatori delle steppe euroasiatiche nomadi e seminomadi, che si spostano con le loro abitazioni mobili, le Ger/Yurta.
Il Kurgan nel suo contesto etnografico
Per le comunità nomadi euroasiatiche turcofone la tomba a tumulo Kurgan era più di una collina funeraria. Il Kurgan fungeva in pratica da tempio (cfr. kalm. Churul “Tempio”); ivi venivano celebrati vari rituali culturali e cerimonie religiose importanti. Evidentemente il tempio Kurgan risulta inserito in un contesto culturale naturale contraddistinto da un insieme di elementi etnografici, mitologici e religiosi. Gli elementi etnografici (dal gr. ethnos “popolo” e grapho “scrivo”, lett. “descrizione del popolo”) come: riti, rituali, abbigliamento, cerimonie, norme, valori, credenze, comportamenti, artefatti, sono i principali fenomeni di interesse dell’etnografo, attraverso i quali la cultura si rende intelligibile. La Yurta/Ger, la cultura del feltro, il Tengrismo, il mito d’origine della lupa dei popoli turchi Asena/Ashina, il Kurultaj/Qorıltai, la cultura dell’arco, quella del cavallo e quindi la cultura dell’arciere a cavallo e altri ancora rappresentano elementi etnografici fondamentali della grande comunanza di popoli nomadi cavalcatori della steppa euroasiatica: Scythi/Saci, Sarmati, Alani, Hsiungnu/Hunni, Avari, Magyari, Cumani, Mongoli ecc.
Quando si parla di Kurgan cioè di “Circolare dimora di riposo eterno del Khan” è doveroso, quindi, prendere in considerazione questo ampio contesto etnografico di cui il monumento è parte integrante. Appare, quindi, sensato che il termine Kurgan venga considerato nel quadro della sua naturale appartenenza culturale e nella sua correlazione con gli altri elementi etnografici, mitologici e religiosi dei popoli cavalcatori turcofoni delle steppe euroasiatiche.
Kurgan – Ger
I termini Kurgan e Ger rivelano una evidente affinità fonosemantica. Il Kurgan difficilmente si spiega senza la Ger/Yurta; anzi, Kurgan implica in fondo Ger. Poiché, se il Kurgan costituisce la circolare dimora di riposo eterno di defunti Khan/Chan/Han/Xan/Khagan, cioè di “Primi uomini” e “Prime donne della Patria” ovvero del Khanato, allora la circolare dimora di riposo notturno e diurno dei viventi è, in compenso, la Ger/Yurta, l’abitazione mobile dei popoli turcofoni nomadi e seminomadi delle steppe come Kazaki, Usbeki, Turkmeni, Tagichi, Tuvini, Buriati, Mongoli ecc.. Questa affinità di tipologia, diciamo “residenziale”, nell’immensità del paesaggio di steppa euroasiatico, si manifesta nella similarità formale circolare – bombata di Kurgan e Ger/ Yurta. Tuttavia, mentre i Kurgan sono dimore fisse, immobili, monumenti commemorativi di grandi dimensioni costruite, dall’interno verso l’esterno, di legno, di pietre e di terra, la Ger/Yurta è una praticissima dimora mobile coperta di feltro montabile più o meno in un ora o due, secondo il numero di persone partecipanti al montaggio, utilizzata tuttora dai popoli turcofoni pastori-cavalieri nomadi e seminomadi.
La Ger/Yurta è da tempi remoti un elemento di importanza fondamentale nella vita quotidiana dei popoli cavalieri delle steppe parlanti lingue di tipologia agglutinante e praticanti l’allevamento di bestiame itinerante. La Ger, costituita da un supporto di legno e una copertura di tappeti di feltro di lana di pecora, è la base abitativa e il luogo di rifugio, riparo, sicurezza e intimità in cui, tuttora, si svolge gran parte della vita di queste popolazioni discendenti dei Scythi/Sakhi e dei Hsiungnu/ Hunni.
In essa si accende il sacro fuoco nella stufetta, ci si riscalda, si riposa, si dorme, si cucina, si mangia, si beve, si festeggia, ci si lava, ci si accoppia, si partorisce, insomma in essa si vive e … si muore. Consultando il sito Youtube ci si accorge che attualmente la Ger/Yurta – semplicissima, leggera, economica, organica ed ecologica dimora abitativa circolare – gode di un crescente interessamento anche nei vari paesi occidentali, compresa l’Italia.
La Ger/Yurta, oltre a essere considerata centro del cosmo, è un microcosmo. Il soffitto, costituito da bastoni radiali che uniscono l’esterna struttura reticolata circolare con il cerchio/anello o corona centrale, è a forma di cupola e simboleggia il cielo. L’ingresso è orientato sempre a meridione. Al centro della Ger/Yurta si trova il sacro focolare, dietro il quale, a nord, si trova il posto chiamato Hoimar munito di un tavolo sul quale viene posto il totem insieme alle offerte agli spiriti. Il posto accanto, essendo quello più importante nella Ger/Yurta, viene occupato dagli anziani della tribù, dagli sciamani e da altri ospiti venerabili. In origine il lato destro occidentale è riservato agli uomini e alle loro armi e utensili. L’altro lato, cioè quello sinistro orientale e complementare, è riservato alle donne e ai loro bambini, ai loro attrezzi da cucina e ai letti per i bambini. Il focolare situato al centro è il punto sacro della Ger. È il luogo di Golomto, figlia di Tengri (“Dio del cielo blu”) verso la quale viene manifestato rispetto. La Ger/Yurta è il centro nel cosmo e Gal Golomto “il focolare di Golomto”, è il centro del microcosmo. La colonna di fumo che sale dal focolare rappresenta l’albero del mondo, mentre l’apertura di uscita per il fumo al di sopra è costituita dalla corona-apertura tündük (in kirg.). La corona tündük contiene la croce di Tengri e simboleggia l’ingresso nel regno celeste.
La piccola macchia di luce solare che penetra attraverso l’apertura tündük, sull’emisfera settentrionale, si muove in senso orario e permette di leggere l’ora. L’espressione mag. tündök corrispondente a kirg. tündük appare interessante in quanto una delle forme di sviluppo della base tün-/tűnik significante “splende(re), brilla(re)” che, non a caso, coincide fono-semanticamente con Tin, sacro nome della principale divinità celeste etrusca. Nella sua veste di divinità folgoratrice Tin/Tinia/Tunia è l’equivalente dello Zeus greco e del Giove latino. Alcune altre forme notevoli di sviluppo della base tűn- sono: tűnő, tündöklő “splendente, brillante”, tündér “fata (essere di luce), prestigiatore”, tünékeny “fuggevole”, tünemény “fenomeno”, tündöklés “splendore”, tündöklik “splende”. Come la macchia di “splendente” luce solare che penetra attraverso l’apertura tündük/tündök, anche gli abitanti della Ger/Yurta si muovono, in armonica risonanza simpatetica, sempre in senso orario per non disturbare l’ordine, l’equilibrio della natura. Nella Ger/Yurta si manifesta la propria particolare concezione dei nomadi di “casa/dimora/ domicilio” (tur. Yurt). Il “domicilio” mag. hon, otthon (cfr. ted. Heim, ingl. home) si trova sempre là dove viene montata la circolare Ger/Yurta.
La cultura del feltro
«È difficile immaginarsi dei pastori nomadi nella steppa euroasiatica senza Yurte. Ciò lascia supporre che lo sviluppo del feltro e di Yurte con copertura di feltro sia in connessione causale con l’origine di queste comunità pastorali.» (dal Wikipedia tedesco: “Jurte”)
Il feltro costituisce dunque la premessa indispensabile per la realizzazione della Ger/Yurt/Yurta, l’abitazione mobile dei popoli nomadi pastori-cavalcatori della grande steppa euroasiatica. Un augurio mongolo riferito al feltro recita:
«Dalla lana di agnelli, con le dieci dita cautamente prodotto, con migliaia di gocce d’acqua cosparso, con forti cavalli sul prato rullato (manganato), dolce tesoro della nostra amata patria che tu non logori fino allo sforacchiare, che tu sia come la vera fortezza, come la neve, come la seta. Così sia!»
Nella vita dei popoli nomadi turcofoni delle steppe asiatiche il feltro ha avuto da sempre un ruolo fondamentale, un significato di importanza esistenziale. Difatti, il feltro prodotto dai peli dei loro animali come pecore, capre e cammelli, costituiva e costituisce tuttora un elemento essenziale della loro cultura. Per tutti gli altri popoli vicini e lontani come cinesi e greci, che la conoscenza del processo di produzione del feltro l’hanno appreso dai popoli nomadi scytho-hunno-turco-mongoli, questo prodotto non aveva la stessa valenza, ma rappresentava semplicemente un materiale adatto alla confezione di oggetti di uso comune. Con il feltro i popoli nomadi delle steppe euroasiatiche creavano Ger/Yurte, tappeti, e gran parte del loro abbigliamento come ad esempio stivali e cappelli. A proposito di cappelli è interessante notare una forte somiglianza tra i cappelli conici di feltro vestiti da Hunni, Avari, Magyari, Uyguri, Mongoli, Bashkiri, Kazachi, Kirghizi ecc. e quelli tipici conici a punta degli Aruspici e delle Sacerdotesse Flezru mexl/etruschi/e. Al feltro i popoli delle steppe scytho-hunno-turco-mongoli attribuivano un potere magico: di feltro erano confezionati gli oggetti di culto dei loro sciamani e le divinità protettrici degli abitanti della Ger/Yurta. Di consueto i mongoli i loro capi tribù li alzavano su un tappeto di feltro bianco; e anche la sposa, durante il rituale di sposalizio, stava seduta su un simile tappeto. Ancora al giorno d’oggi i tappeti di preghiera riccamente ornati dispongono di un significato straordinario. Dalla forza guaritrice del feltro i nomadi traggono tuttora vantaggio: l’appoggio della schiena con una fascia di feltro, ad esempio, aiuta evitare i dolori reumatici; ferite vengono guarite con la lana grassa. Dentro la Ger/Yurta, poi, il suolo e una parte delle pareti vengono ricoperti con tappeti di feltro. Il luogo dove giacciono i loro tappeti di feltro i nomadi lo considerano il loro “domicilio”, la loro “casa”, appunto hon, otthon (ted. Heim, ingl. home), ovvero il loro “sito, seggio”, il loro luogo di “stanziamento” szék. Corrispondentemente all’ allestimento interno delle Ger/Yurte anche le camere sepolcrali dei Kurgan venivano rivestite di feltro. (Fonte: Wikipedia ungherese A nemez jelentősége Belső-Ázsia népeinek életében “Il significato del feltro nella vita dei popoli dell’Asia centrale”.)
Ger – DINGIR / Tenger / Tengri
Gli elementi etnografici Kurgan e Ger sono inimmaginabili senza la divinità Tenger/Tengri. Kurgan e Ger implicano Dingir/Tenger/Tengri il “Dio del cielo” onnipresente e di importanza fondamentale nel mondo dei popoli cavalcatori delle steppe euroasiatiche.
Nelle varie lingue mongole e turche il sacro nome appare nelle diverse forme di variazione: Tengri, Tengeri, Tänri, Tengre, Tenger, Tengere, Tangra, Tangar, Tangara, Tenghri, Tanrı. I loro significati sono presocché identici: atur. Tengri “cielo” e “Dio”, tur. Tanrı “Dio”, mong. Tenger “cielo”, Tenger Etseg / Tenger Burhan nomi del “Dio del cielo”, khökh Tenger Dio del “cielo blu” (lett. “blu cielo”), che coincide con mag. kék Tenger “mare blu” (lett. “blu mare”); da avverbio mag. tenger significa “immenso”, “infinito”. Tenger/Tengri e Tengrismo risalgono al concetto di “Dio/Divinità” DINGIR del lessico kingir/šumero (Labat, Deimel, s. no. 13). Questo concetto arcaico è con-fuso, nel vero senso della parola, con quello di “cielo” AN. Lo conferma l’utilizzo dello stesso segno arcaico per ambedue i concetti che è quello di una “stella” a otto ✳ rispettivamente a sedici punte. Ovviamente a DINGIR kingir/šumero è connesso pure il nome della, già rammentata, “splendente” divinità celeste etrusca Tin/Tinia/Tunia. Nel turco moderno vale: Gök-Tanrı “Cielo-Dio / Dio Cielo”, Gök-tanrı dini “Religione del Dio Cielo” con cui coincide mag. Kék tenger ténye “Realtà del mare / dell’immensità blu”.
In questo contesto di “Dio Cielo blu” è da menzionare, assolutamente, il “cervo miracoloso”.
I famosi cervi d’oro rinvenuti nei kurgan di “Principi” Khan scythi/sachi, come quelli di Aržan 2 in Tuva, di Issyk presso Almaty/Kazakstan e come quelli di Zöldhalompuszta e Tápiószentmárton di Ungheria, simboleggiano la volta celeste blu, regno di “Dio” Tenger/Tengri. La ricca ramificazione dei loro palchi non è naturalistica, bensì riflette in modo suggestivo la stretta parentela dei popoli nomadi turcofoni dell’immensa steppa euroasiatica, sviluppatori della cultura del cavallo. Il “Cervo miracoloso” mag. Csodaszarvas ricorrente nei miti e nelle tradizioni etniche magyar/hungheresi è un animale guida mandato da “Dio” – in gr. psychopompos “accompagnatore di anime” – che accompagna le anime dei defunti nell’aldilà. Insieme all’uccello totemico Turul, il Csodaszarvas è uno degli esseri mitologici nazionali più importanti. Difatti il Csodaszarvas ricorre nella tradizione popolare magyar/hungherese ed è considerato simbolo nazionale.
Il Tengrismo è la antica religione delle popolazioni turkmene dell’Asia centrale. Storicamente fu la religione di massa degli Hunni/Xiongnu, Hungari, dei Turcmeni, Mongoli, Proto-Bulgari ecc.. Il Tengrismo è caratterizzato da sciamanesimo, animismo, totemismo, monoteismo, che per la presenza di molti altri spiriti o “angeli” oltre a Tengri, alcuni valutano come politeismo e adorazione degli antenati. Tengri è l’unico Dio supremo.
Egli è l’inconoscibile che conosce qualsiasi cosa, motivo per cui Turkmeni e Mongoli dicono “Solo Tengri sa” / gagtskhuu Tenger medne. I Mongoli moderni pregano ancora con Munkh Khukh Tengri “Cielo blu eterno” e si riferiscono poeticamente alla Mongolia come “Terra dal Cielo blu eterno”. Nel turco moderno si parla di Tengrismo anche come Göktanrı dini, “religione del Dio Cielo”; Gök è “cielo” e Tanrı “Dio”.
Tramite le numerose spedizioni di conquista degli Hunni, Avari, dei Proto-Bulgari, dei Cumani e più tardi anche della famosa orda d’oro di Gengis Khan il Tengrismo fu portato fino in Europa. Le quattro rune turciche di Dio Tengri/Tenger, simbolo che rappresenta la struttura dell’universo, si trovano di solito sull’apertura tündük/tündök della Ger/Yurta e sul tamburo dello sciamano.
DINGIR / Tenger / Tengri – Asena / Ashina
La suprema divinità dei popoli turchi Tenger/Tengri è affiancata da Ashina, un appellativo di origine scytha/saka, che designa la lupa ava-madre di Bumin. La lupa, simbolo di onore, era considerata come la madre dei popoli cavalcatori nomadi turchi. La dinastia degli Ashina denominò la realtà statuale creata da essa come Kök/Gök-türk. Il termine Göktürk, in cui gök significa “blu” (cfr. mag. kék) indica l’impero turco. Il “blu” è associato per sua natura a “celeste”, “celestiale” e così anche a “sacro”. Asena/Ashina Tuwu era il primo Khan dei Göktürk. Ashina fu il clan guida dei turchi dal 6. secolo in poi. Ashina deriva da atur. ečü, equivalente a mag. ős “avo, ava”, ősi “primigenio, primordiale, arcaico” (cfr. tur. asal “di base”, asıl “origine, base, discendenza, provenienza”). La femmina di lupo Ashina/Asena, appellativo che, come testimoniato da mag. Ős-anya, [øʃ ɒɲɒ], significa “Ava-madre”, è la protagonista principale del mito d’origine dei Köktürk. Il lupo è l’animale totem più importante nella religione tengrica, perché è creduto di essere l’unica creatura vivente oltre l’uomo a venerare Tenger/Tengri, rivolgendosi ad esso pregando attraverso gli ululati. Ovviamente la ben nota leggenda dell’allattamento di Romolo e Remo da parte della lupa-madre è connessa a questa tradizione.
8. Immagine sopra: Tengri & Ashina
Asena / Ashina – Kurultaj / Qorıltay
Un altro termine importante derivato dalla parola-seme arcaica kur, e quindi affine a Kurgan, è Kurultaj/Kuriltai, in tataro Qorıltay; esso designa il concilio dell’aristocrazia turca/turcica, mongola ed altaica. Il Kurgan, monumentale tumulo funerario di Khan/Chan/Xan e Khagan, non si spiega senza il Kurultaj. Presso i Kurultaj, ai quali partecipavano usualmente i Khan, i capiclan, i generali, i comandanti e tutti coloro che erano di nobili e influenti origini, furono eletti i Khan e venivano prese le somme decisioni politico militari riguardanti la vita sociale nei Khanati. Questo rituale concilio chiamato Kurultaj (cfr. kalm. Churul “tempio”), sinonimo di “congresso, conferenza, assemblea”, viene celebrato dalle popolazioni turco-altaiche come Uyguri, Mongoli, Kirghizi, Uzbechi, Kazachi, Turchi, Turkmeni, Azerbaigiani e dai Magyari ancora nei nostri giorni. Tutti questi popoli discendenti dei Scythi e dei Hunni si riconoscono membri della grande comunanza dei popoli delle steppe. Come è ben noto, Khan è il titolo nobiliare asiatico-altaico in utilizzo tuttora in Asia centro-meridionale. Uno dei Khan più famosi della storia è stato Gengis Khan.
- Immagine sopra: ritratto immaginario di Gengis Khan – Museo di Taipei – Cina Nazionalista.
Suo vero titolo fu Khagan, che è una forma allargata di Khan significante “Khan dei Khan” equivalente al titolo occidentale di “imperatore” (cioè “re dei re”). Orbene, che i Kurgan monumentali siano i luoghi di sepoltura dei Khan e di nobili cavalieri di origine principesca cioè di “prim’ordine”, si spiega da sé.
Non è un caso che la rinascita della antica arte marziale dell’arciere a cavallo praticata da tutti i popoli della steppa, dell’altipiano iranico e del bassopiano turanico sia stata realizzata da un personaggio di etnia magyar/hungherese. Si tratta di Kassai Lajos [Kɒʃʃɒi Lɒjoʃ], costruttore di archi pregiati, fondatore-insegnante e creatore della moderna disciplina sportiva dell’arciere a cavallo (mag. lovasíjászat, ingl. horsebackarchery), pluricampione mondiale di questa disciplina. Finora sono quattordici i paesi aderenti alla federazione mondiale dell’arciere a cavallo creata da Kassai Lajos. La cultura dell’arciere a cavallo nasce nei popoli nomadi e seminomadi delle steppe euroasiatiche. I loro rappresentanti più conosciuti sono gli Scythi, gli Hunni, i Sarmati, gli Alani, i Medi, i Parthi, gli Avari, gli Jazigi, i Bulgari del Volga, i Magyari, i Cumani, i Turchi, i Mongoli.
Non è passato molto più di un millennio da quando, durante le cosiddette incursioni hungare del X secolo, nelle chiese cattoliche dell’Europa occidentale la gente pregava ancora invocando:
De sagittis Hungarorum libera nos, Domine.
“Dalle frecce degli Ungari liberaci, Domine”.
- Immagine sopra: Cripta degli affreschi sotto la Basilica di Popone ad Aquileia in Friuli – Venezia Giulia. Il “Velarium” con la scena del cavaliere orientale, forse un Ungaro, che sta per scoccare una freccia contro un cavaliere Cristiano (XI-XII sec) – foto G. Pavat agosto 2018
Nel frattempo però qualcosa è cambiato. Oggi non è più paura che le frecce scagliate con altissima precisione dall’arciere a cavallo hungaro suscitano, ma ammirazione. Sono, infatti, molte le persone che arrivano da tutti i continenti della Terra, desiderose di imparare dal maestro Kassai Lajos l’arte marziale dell’arciere a cavallo. L’ineguagliabile destrezza e rapidità di esecuzione del maestro che, in galoppo, riesce a scagliare 12 frecce in 17.5 secondi a bersagli in movimento non è, poi, una prestazione che si può imparare copiando qualcuno, ma è una capacità manifestatasi come eredità proveniente dagli antenati Scythi-Hunni-Avari-Magyari.
Si può dire che al giorno d’oggi Kassai Lajos sia il “primo uomo” di quest’arte marziale e in questo senso un Khagan e, quindi, la sua Völgy “Valle” di residenza a Kaposmérő sia il suo Khanato, mag. Kánság.
In conclusione ecco ancora alcune citazioni informative provenienti dal documentario Schliemanns Erben 05 Der Fluch der Skythen “Gli eredi di Schliemann 05 La maledizione degli Scythi” su Youtube relativi all’identità dei popoli nomadi cavalcatori venuti in Europa centrale dalle steppe euroasiatiche:
«Sono informativi anche i reperti bronzei dei colleghi: uno specchio con motivo di cavallo. Il cavallo fu la spina dorsale della società nomadica e importante per l’arte marziale. […] Una specialità degli Scythi furono punte di freccia trialate. In pieno galoppo i cavalieri erano in grado di scagliare le loro frecce all’indietro.» (v. su Youtube: Kassai Lajos → A perfect shot; & “The first Horseman of the World proto-Turkic Botai people”)
Hermann Parzinger:
«Se si pensa agli Scythi, ugualmente agli Hunni, Avari, fino ai Turchi, Mongoli, sono sempre popolazioni che dalle lontane estensioni delle steppe euroasiatiche sono avanzate dal distante Oriente fino nell’Europa centrale e là hanno causato parecchie cose. Se vogliamo capire veramente la cultura dell’Europa centrale, allora è essenziale ricercare questa componente in maniera approfondita e rivolgerci alle origini di queste popolazioni.»
«I popoli dell’Oriente hanno quindi fortemente collaborato alla formazione della cultura dell’Europa. Ogni magnifico Kurgan testimonia la loro conoscenza e la loro cultura. Una cultura che spesso significava guerra e alla quale tante culture sedentarie non hanno avuto niente da opporre.»
«Si tratta della scoperta di culture scomparse e dei loro lasciti. Gero von Merhart fu uno dei primi a ricercare le origini della cultura europea in Oriente. I suoi successori possono oggi dimostrare che i popoli cavalcatori della steppa erano tutt’altro che dei selvaggi. Questi nomadi erano per molti versi superiori a noi sedentari. Solo perché erano diversi venivano chiamati selvaggi. Certo, loro non hanno lasciato dei palazzi, in compenso, però, hanno lasciato intatto l’ambiente. Oggi si direbbe che avessero un concetto di vita alternativo. Noi potremmo, quindi, imparare dai misteriosi cavalcatori. La cultura che è arrivata dalla steppa ha di più a che fare con la nostra cultura che le piramidi d’Egitto. Lo svelamento dei segreti celati nelle estensioni dell’Oriente è di grande importanza per la nostra civiltà. Ragione sufficiente per guardarci attentamente.»
La antica tradizione dei popoli Scythi (inteso in senso lato) nomadi e seminomadi cavalieri della steppa euroasiatica di erigere Kurgan cioè “circolari dimore” di riposo eterno monumentali per i loro defunti nobili e “Principi” Khan & Khagan trova la sua corrispondenza in Anatolia (v. il Kurgan di re Mida di Frigia vicino all’antica capitale Gordion), in Grecia (v. il Kurgan di re Filippo II di Macedonia, padre di Alessandro Magno) come anche in Italia nella cultura degli Etruschi; ad esempio nelle necropoli di Veio, Cerveteri, Vetulonia, Vulci, Populonia. Ovviamente la antica tradizione Kurgan si manifesta successivamente anche nella architettura romana. Il Mausoleo di Augusto come peraltro anche il famosissimo Mausoleo di Adriano a Roma, conosciuto sotto il nome di “Castel Sant’ Angelo”, nella loro essenza sono difatti monumenti funerari Kurgan.
(Zoltán Ludwig Kruse)
11. Immagine sopra: la necropoli etrusca di Cerveteri
12. Immagine sopra: La Cuccumella di Vulci
13. Immagine sopra: Populonia
14. Immagine sopra: Cerveteri, Ingresso alla via degli Inferi
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