“Ricordo quella tragica mattina del 11 aprile di 22 anni fa, Livorno era invasa da un odore penetrante di materiali in combustione e una colonna di fumo nero si alzava dal mare ed incombeva sulla città” a parlare è la nostra collaboratrice Sonia Palombo, che all’epoca viveva e lavorava a Livorno e fu testimone oculare delle emozioni che suscitò nei livornesi la tragedia del traghetto “Moby Prince”, la più grave della storia della marineria civile italiana, che bruciò alle 22.30 del 10 aprile a pochissima distanza dai moli, causando 140 vittime, dopo una collisione nella rada della città toscana con la petroliera “Agip abruzzo”.
La tragedia, che sconvolse l’Italia intera, non è mai stata chiarita in tutti i suoi aspetti. Permangono ancora molte ombre. Tanto che la strage della “Moby Prince” è entrata nel novero dei sanguinosi misteri italiani ancora insoluti, come, ad esempio. quello di “Ustica”.
Nel 2010, la sentenza di archiviazione dell’ “Inchiesta-bis”, che lasciò l’amaro in bocca ai famigliari delle vittime, sembrò confermare che la tragedia fosse stata causata “da un errore umano” e da una “concatenazione casuale di eventi”.
Come si ricorderà la nuova inchiesta era partita da una denuncia dell’avvocato Carlo Palermo, legale dei famigliari del Comandante Chessa, che si basò sulla testimonianza del tenente della Guardia di Finanza, Cesare Gentile, che la sera del 10 aprile era uscito in servizio dal porto di Livorno a bordo di una motovedetta delle Fiamme Gialle pochissimi minuti dopo la collisione.
L’ufficiale della Guardia di Finanza, ha ricordato “La Nuova Sardegna” “nella sua deposizione davanti ai giudici del tribunale di Livorno, aveva parlato con grande precisione delle operazioni di carico e scarico di armi, che erano in corso nel porto da una nave mercantile militarizzata. Cioè da una nave affittata dal governo statunitense per trasportare armi e munizioni. Quello era l’ultimo giorno di “Desert Storm”, la prima guerra del Golfo, e dall’Iraq tornava in Europa l’arsenale americano.
Le armi erano ufficialmente destinate alla base Usa di Camp Darby, tra Livorno e Pisa” prosegue “La Nuova Sardegna” “Ma le armi scaricate quella notte dalla nave americana non sono mai finite nella base di Camp Darby. Avrebbero infatti dovuto transitare su delle chiatte nel canale di Navicello, sbarrato dal ponte mobile di Calabrone. Ebbene, tra le 15,45 del 10 aprile e le 9,10 dell’11, c’è la prova che il ponte rimase abbassato. Quindi, quelle armi sono finite da qualche altra parte”.
Un mistero nel mistero. Quindi.
Ma, nonostante la sentenza del 2010, “i figli del comandante Ugo Chessa non si sono arresi” ha spiegato “La Nuova Sardegna” “e hanno affidato a un team di esperti di ingegneria forense di Milano coordinati dal dott. Gabriele Bardazza, la revisione di tutti gli elementi processuali, chiedendogli di rileggerli con l’aiuto di nuove e sofisticate tecnologie”.
Ora, grazie a questo coraggio e costanza, sembrerebbe svelato almeno il mistero della cosiddetta “nave fantasma” che abbandonò la rada del porto di Livorno dopo che era avvenuta la terribile collisione tra la “Moby Prince” e la petroliera “Agip Abruzzo”.
Stando alla notizia battuta dall’ANSA, infatti, i periti dei figli del comandante del Moby Prince, hanno stabilito che la misteriosa “Theresa”, che lasciò tracciae nelle registrazioni audio di quella terribile notte, sarebbe è una delle navi “militarizzate” statunitensi che si trovavano al largo del porto di Livorno.
“Dalle nostre comparazioni” ha spiegato Gabriele Bardazza, l’esperto nominato da Angelo Chessa, figlio del comandante della Moby Prince “si evince che Theresa è il Gallant 2, una delle navi militarizzate che quella notte erano impegnate nel trasporto di armi presso la base Usa di Camp Darby” ha sottolineato l’ANSA “Resta da capire il motivo per cui il comandante abbia ritenuto di non utilizzare via radio il proprio identificativo ma un nome in codice, come resta da spiegare il fatto che i periti del tribunale non si siano mai preoccupati di analizzare a fondo le registrazioni per chiarire chi fosse Theresa, nonostante nel processo di questa nave fantasma si sia parlato a lungo”.
Inoltre, come riportato da “La Nuova Sardegna” “un ulteriore nuovo elemento emerso dalle indagini dei periti “è la posizione del Moby Prince e quella della petroliera Agip Abruzzo la sera del 10 aprile ’91. Rivedendo e filtrando alcuni filmati amatoriali, il perito è riuscito a provare che il Moby speronò la petroliera non uscendo dal porto nella sua rotta verso Olbia, ma tentando di rientrare a Livorno. Il che comporterebbe un interrogativo obbligato: perché Ugo Chessa aveva ordinato l’inversione di rotta? Forse perché era successo qualcosa che poteva aver messo a rischio la sicurezza della nave? Magari una collisione con una terza nave rimasta finora fuori dalla scena?”
La risposta potrebbe celarsi proprio nel comportamento della misteriosa nave che finora non era stata affatto identificata con certezza, la “Theresa” alias “Gallant 2”, del comandante greco Theodossiou.
Che cosa stava davvero facendo quella notte a Livorno la “nave fantasma”? L’ipotesi dell’avvocato Carlo Palermo è nota, ovevro che il traghetto “Moby Prince sia finito in mezzo a un frenetico traffico di armi che, quella sera, animava il porto di Livorno. Un traffico «coperto», cioé segreto, probabilmente organizzato dalle autorità militari statunitensi e autorizzato da quelle italiane”.