IL MISTERO DEL LAGO DI KÖLMJÄRV IN SVEZIA.
di Giancarlo Pavat
Lo scenario naturale è di quelli che riempiono gli occhi e giovano all’anima. Foreste sterminate di sempreverdi o caducifoglie, interrotte qua e là da verdissimi pascoli e specchi azzurri di laghi e laghetti, con acque a volte cupe, altre scintillanti.
Siamo in Svezia, un paese grande quasi due volte l’Italia, che ho avuto la fortuna di visitare (per spedizioni di ricerche storiche o viaggi di vacanza) diverse volte (per non parlare dei viaggi nel resto come il resto della regione scandinava, del Baltico, del Mare del Nord e della Finlandia), per la maggior parte ricoperto, appunto, da montagne, foreste, fiumi, stagni, e laghi.
Per quanto riguarda questi ultimi, si va dal gigantesco Lago Vänern (che ho avuto modo di ammirare nel giugno del 2011, durante la spedizione di ricerche storiche da me organizzata e guidata nella regione del Dalsland, che si trova proprio sulle sue rive occidentali), che per estensione è il terzo lago d’Europa, preceduto soltanto dai laghi russi Ladoga e Onega, e dal suo vicino “gemello”, il Vättern (secondo lago svedese e ottavo d’Europa, con i suoi 1.912 km² di superficie, ed una profondità media di 40 metri e massima di 128 metri) a laghetti piccolissimi; spesso nemmeno segnati sulle cartine geografiche.
Ognuno di questi laghi, in cui durante la sfolgorante estate nordica, si specchiano i cieli azzurri della Scandinavia, ha un suo fascino particolare e, spesso, storie e misteri intriganti ed inquietanti.
Ad esempio, come ho scritto nel mio libro “Creature misteriose della Scandinavia e dei mari settentrionali” (2014), stando alle cronache svedesi ed ai libri sull’argomento, molti di questi laghi sarebbe lo scenario di numerosi avvistamenti di misteriosi animali. Un po’ come il famosissimo Loch Ness in Scozia.
Relativamente al Lago Vättern, i miei amici svedesi mi hanno raccontato che l’avvistamento probabilmente più clamoroso (se non altro per l’elevato numero di testimoni) sarebbe quello verificatosi nel 1975. Addirittura corroborato da alcune fotografie. Le immagini più nitide mostrano una notevole increspatura della superficie del Lago Vättern. Ma, francamente, non si riesce a capire se si tratta di moto ondoso naturale oppure se è stata provocata da qualcosa di decisamente grosso che stava nuotando sotto il pelo dell’acqua.
Un altro avvistamento, sempre nel Vättern, si registrò agli inizi degli anni ’80. Anzi, più che un avvistamento fu un …tamponamento! Una barca a vela di diportisti urtò contro uno scoglio sommerso in mezzo al lago. Ma in quel punto nessuna carta nautica ha mai segnalato (e segnala tutt’ora) alcun ostacolo. Tirata in secco, l’imbarcazione non mostrava particolari danni alla chiglia, se non strani graffi. Quindi l’oggetto sommerso, pur essendo solido, non era certamente una roccia o un tronco d’albero. Di che cosa si era trattato? L’enigma non è mai stato risolto.
Per quanto possa sembrare incredibile, è possibile passare dal Mar Baltico al Mare del Nord e viceversa, navigando lungo una serie di canali, fiumi e laghi della Svezia meridionale.
Il complesso sistema fluviale viene chiamato “Canale Göta” e venne inaugurato nel 1832. Di fatto mette in comunicazione il Mar Baltico con il Lago Vänern nei pressi della località di Sjötorp, che segna la fine del canale nel Västergötland.
Inizialmente il canale divenne una via importantissima per il trasporto e commercio del legname e del ferro tra la capitale Stoccolma e Göteborg, la seconda città della Svezia. Ci vollero quasi 100 anni affinché il canale venisse aperto anche al traffico passeggeri; che da quel momento non è più cessato. Ancora oggi, ogni estate, il “Canale” si presenta affollato, come ho avuto modo di constatare di persona, da tantissime piccole imbarcazioni private oltre che dai battelli di linea; gli storici “M/S Diana“ del 1931, il “Wilhelm Tham” del 1912 e lo “Juno” del 1872.
Come sempre in Svezia, il percorso (diventato una vera e propria attrazione turistica) è integrato con sentieri escursionistici, piste ciclabili e tragitti più brevi e di tratte ridotte con barche anche a remi. Lungo tutto il “Canale Göta” (conosciuto anche come il “Nastro azzurro della Svezia) si trovano vari porticcioli e ricoveri per le imbarcazioni di diporto.
La “capitale” del “Canale” è considerata la cittadina di Motala (affacciata sul Lago Vättern) e proprio lì volle essere sepolto il geniale ideatore della via d’acqua, l’ingegnere Baltazar von Platen (1766-1830).
A sua volta il Lago Vänern è collegato con il Mare del Nord mediante il “Canale di Trollhättan”, aperto nel 1800 e caratterizzato anch’esso da numerose chiuse, alcune alte sino a 32 metri.
La presenza di questa via d’acqua ha fatto ipotizzare ad alcuni ricercatori che le misteriose ed elusive creature dei laghi svedesi, vivano in realtà nei mari e che entrino nei laghi Vänern e Vättern soltanto in rare occasioni sfruttando, appunto, il “Canale Göta” e il “Canale di Trollhättan”.
Circostanza possibile solo in via teorica (sempre che quegli animali esistano davvero). Infatti la presenza di numerose chiuse e sbarramenti e l’intenso traffico sia turistico che commerciale sembra fare scartare tale eventualità.
Ho avuto il piacere di solcare le acque di molti laghi svedesi (compresi il Vänern ed il Vättern) oltre che di fiordi del Mare del Nord ed il Mar Baltico, ma a parte numerosi mammiferi marini assolutamente noti, non ho mai visto alcunché di strano.
I misteri delle acque svedesi (e più in generale scandinave) non avrebbero comunque a che fare soltanto con questi enigmatici animali. Molte sembrano celare ben altri oscuri segreti che non sono mai stati (almeno ufficialmente) chiariti.
Concentrando, per il momento, l’attenzione su località che ho avuto agio di visitare di persona (come ben sa chi ha letto i miei libri e segue le mie ricerche, scrivo sempre e soltanto di tematiche che ho studiato e di luoghi che ho visitato personalmente), in questa sede desidero parlare del mistero del Lago Kölmjärv. Si tratta di un piccolo specchio d’acqua a circa 24 km a ovest da Överkalix, cittadina della Svezia settentrionale (non lontana dalle coste del Golfo di Botnia, ramo settentrionale del Baltico), appena sotto il Circolo Polare Artico, capoluogo amministrativo del Norrbottens Län.
Il Lago Kölmjärv (e l’omonimo piccolo centro abitato) dista poco più di 500 chilometri dalla capitale Stoccolma, a 66° 22′ 00″ di Latitudine Nord, e 22° 18′ 00″ di Longitudine Est.
È molto noto in Scandinavia tra i ricercatori e gli amanti del mistero e in particolare dell’Ufologia, perché viene indicato come il sito di un possibile “Ufo crash” che si sarebbe verificato il 19 luglio del 1946.
L’episodio, anche per la presenza di testimoni oculari assolutamente attendibili, fece talmente scalpore ed ebbe enorme risonanza sugli organi di informazione svedesi, che il Governo decise di inviare una missione di ricerca sul lago per comprendere che cosa vi fosse precipitato ed, eventualmente, recuperarlo.
Esiste una famosissima fotografia dell’epoca, in cui si vede il maggiore Karl-Gösta Bartoll, della Svenska Flygvapnet (ovvero Reale Aeronautica Svedese; Swedish Air Force in inglese), su una specie di zattera in mezzo al Kölmjärv, intento a svolgere ricerche con apparecchiature e strumentazioni elettroniche.
Nel 2013, ebbi l’occasione di incontrare a Stoccolma il ricercatore Sven Peterssen, appassionato di leggende e misteri della sua Terra nonché astrofilo. Peterssen non è altri che colui che nel 2010 mi segnalò l’esistenza del Labirinto “Chartres-type”, simile a quello di Alatri (FR), affrescato in una chiesetta del Dalsland (oggetto della già citata Prima Spedizione Italiana di Ricerche Storiche nel Dalsland del giugno 2011). Con Peterssen parlai a lungo di misteri scandinavi, finché la conversazione cadde, pur non essendo il sottoscritto un ufologo, proprio sul fantomatico “Ufo crash” del Lago Kölmjärv.
Peterssen mi spiegò che, di fatto, sull’episodio non si sa molto di più di quello che si può trovare sul web, soprattutto su siti in lingua svedese e inglese.
In pratica dalla fine del II Conflitto Mondiale (in realtà ci sono avvistamenti anche negli anni ’30, ma questa è un altra storia), i cieli del Baltico, della Scandinavia e della Finlandia, cominciarono ad essere solcati da misteriosi oggetti, spesso descritti dai testimoni come lunghi ed affusolati.
In Svezia, quello che oggi verrebbe definito “flap” di avvistamenti (molti dei quali confermati dai radar), si verificò soprattutto tra il mese di febbraio e quello di dicembre del 1946. In alcuni casi, questi misteriosi velivoli, ribattezzati “Ghost rockets“, “Spökraketer” in svedese (i termini Dischi Volanti” e “Ufo” non esistevano ancora), arrivarono a precipitare in mare, al largo di alcune spiagge (ad esempio quella di Hide a Gotland o quella nord-orientale dell’isola di Fåro) o in alcuni laghi. Come il Barken, il Björkön, il Mjøsa e il Kölmjärv, appunto.
Knut Lindbäck e Beda Persson, residenti nel paesino di Kölmjärv, raccontarono che il misterioso oggetto cadde nel lago a circa 50 metri dalla riva. L’oggetto sembrava essere lungo tra il metro e mezzo ed i due metri. Probabilmente aveva delle ali, o qualcosa che vi assomigliava ed emetteva un suono che ricordava una specie di ronzio.
Un altro testimone di Kölmjärv, il fattore Karl Lindbäck, raccontò che mentre era impegnato nella falciatura, udì uno strano e fastidioso ronzio. In un primo momento pensò che potesse trattarsi di un aeroplano, ma quando alzò gli occhi, vide uno strano oggetto colpire la superficie del lago e inabissarsi.
Ancora più dettagliata è la testimonianza rilasciata nel 1992 da Frideborg Tagebo, che nel 1946 aveva 16 anni. Rammenta che quel giorno , il 19 luglio, era un venerdì. Era una tipica bellissima giornata estiva scandinava. Il sole brillava in un cielo azzurro intenso, terso, senza una sola nuvola in cielo. Lui e la madre dovevano lavare i panni e pertanto con le ceste del bucato presero a scendere verso la riva del lago. Improvvisamente udirono un rumore terribile, come di una esplosione.
“La mamma mi chiamò ” raccontò Frideborg Tagebo “e urlando terrorizzata mi disse di correre dentro casa e chiudere tutte le imposte. Vidi l’oggetto simile ad un siluro impattare il lago e generare una colonna d’acqua di almeno 15 metri. raggiunta l’abitazione il nostro cane stava abbaiando disperato.“.
Nel corso della giornata madre e figlio tornarono al lago per capirci qualcosa. Erano infatti convinti che si fosse trattato di un bombardamento. Videro fango e melma gettati sulla riva. Ciuffi d’erba e ninfee strappate galleggiavano sulla superficie. L’acqua era molto torbida e delle bolle salivano dal fondo.
Anche Tagebo ritiene che l’oggetto avesse una forma affusolata e piccole ali. Inoltre ricorda l’arrivo dei militari incaricati di far luce sull’episodio ed il fatto che tutto era avvolto nel massimo riserbo. Quando se ne andarono non rivelarono assolutamente se qualcosa fu mai trovato in fondo al Kölmjärv.
Il maggiore Karl-Gösta Bartoll fu il principale investigatore militare del “Caso Kölmjärv”, durante le tre settimane in cui si svolsero le ricerche (che presero il nome di “Projekt Sökljus”), riuscì a stabilire che il fondo melmoso del lago era stato effettivamente “arato” da qualcosa, ma non si riuscì ad individuare questo “qualcosa”.
Peterssen mi ha inoltre raccontato che nel 1984, il maggiore Karl-Gösta Bartoll, ormai in pensione, è stato intervistato da due noti ricercatori svedesi, Anders Liljegren e Clas Svahn, che si sono a lungo occupati degli avvistamenti di “Ghost rockets“. L’ufficiale rievocò la vicenda, confermando che nessun oggetto venne mai individuato e recuperato dal fondo del lago.
Secondo lui l’oggetto si sarebbe in gran parte disintegrato in volo ed alcuni pezzi sarebbero caduti nel lago. E ciò spiegherebbe la seconda colonna d’acqua vista da un testimone oculare dopo quella principale. Inoltre l’oggetto sarebbe stato fatto di un materiale leggero, probabilmente una specie di lega metallica.
Il Governo creò il “Spökraketkommittén” (“Comitato per i razzi fantasma”), a capo del quale venne posto il colonnello Bengt Jacobsson, direttore del “Flygförvaltningens materielavdelning”.
Fermo restando che “qualcosa” volò davvero sui cieli del Nord Europa (“Bartoll ha sempre dichiarato che ciò che le persone videro erano oggetti reali, fisici e non allucinazioni, fantasmi o altre manifestazioni soprannaturali” ha sottolineato Peterssen), le autorità svedesi (e pure quelle norvegesi e finlandesi) hanno sempre sospettato (il “Spökraketkommittén” lo dichiarò esplicitamente nella riunione del 21 novembre 1946) che si trattassero di razzi tedeschi, le famigerate V2 (la V è l’iniziale di “Vergeltungswaffen”, ovvero “armi di rappresaglia” in tedesco) realizzate dall’ingegnere tedesco Wernher von Braun (1912-1977), recuperate dai Sovietici e testate lanciandole dalle coste baltiche occupate.
Nel libro che ho scritto nel 2013 assieme a Gerardo Severino, “Il Raggio della Morte”, uscito per i tipi della X-Publishing di Roma, laddove si parla delle “Wunderwaffen”, le armi avveniristiche (alcune fin troppo reali, altre fortunatamente forse soltanto parto della fantasia) della Germania Nazista, si citano alcune V1 e V2 precipitate nel Baltico e in Svezia durante la guerra.
Il 3 ottobre del 1942, il razzo “A4” (il termine “Vergeltungswaffen” sarebbe stato coniato di là a poco), lungo circa 14 metri con un diametro di 1,65 metri, si alzò in volo dalla base segretissima di Peenemunde sulla punta settentrionale dell’isola di Usedom nel Mar Baltico. Il razzo, ancora sperimentale, era privo di testata esplosiva, si schiantò, con una velocità di caduta di 100 chilometri all’ora, ad oltre 2000 chilometri dalla base di lancio, sul Baltico, poco a sud delle Scogliere di Hoburg, la punta più meridionale della svedese isola di Gotland.
Sono stato a Gotland durante la spedizione di ricerche e studi sui Labirinti baltici” del 2012, da cui è nato il libro in italiano e inglese “Gotland. Viaggio alle radici del labirinto” (“Gotland. Journey into the Labyrinth from the beginnings”, Consolandi, Pascucci, Pavat, Burp 2013). Il giorno 22 agosto, assieme agli altri componenti della spedizione, raggiunsi le Scogliere di Hoburg.
Il luogo è davvero suggestivo. Colossi di granito (il celebre “Granito di Hoburg”) si innalzano sino a 35 metri sul livello del mare. Osservando attentamente le scogliere è possibile trovare numerosi fossili di conchiglie ed altri organismi viventi preistorici.
Salito lassù in cima, lasciai che lo sguardo spaziasse a quasi 360 gradi sulla grigia immensità del Baltico che, da qualche parte all’orizzonte, si fondeva con il cielo nuvoloso prodigo di una leggera ma fastidiosa pioggerellina che arrivava da est, dal golfo di Riga e dalle invisibili coste della Lettonia.
A sud di quello sperone roccioso non c’è più nulla per miglia e miglia marine, ne’ un isola, ne’ uno scoglio, sino alle coste settentrionali dell’Europa continentale, dell’antica Pomerania, oggi divisa fra la Polonia e la Repubblica Federale Tedesca.
Ricordo di aver scrutato quella vastità corrucciata e turbolenta e parafrasando il celebre passo del poeta latino Lucrezio, non invidiai di certo chi, in quella giornata, avesse avuto la sventura di trovarsi per mare su qualche fragile guscio.
Al contempo pensai proprio a quell’episodio del lontano 3 ottobre del ’42, all’impressione che dovettero avere i pochi testimoni svedesi, quando videro quell’oggetto filare velocissimo e precipitare in mare, alzando una altissima colonna d’acqua.
Ma non fu l’unico episodio. Furono diversi gli Svedesi che videro quegli strani oggetti volanti attraversare i loro cieli. La guerra era decisamente vicina, e questo nonostante la Svezia, al contrario dei suoi vicini scandinavi, finnici e baltici, tutti coinvolti nel conflitto mondiale, fosse riuscita a mantenere la propria neutralità.
Fu anche grazie a questi continui avvistamenti, poi segnalati con discrezione dalle autorità svedesi, che Alleati cominciarono a subodorare qualcosa in merito alle nuove armi che si stavano progettando e testando nel III Reich.
Ad esempio, un anno dopo, il 13 luglio del 1943, un oggetto volante affusolato (che poi si rivelò essere una V2) precipitò nei pressi della città di Kalmar in Svezia. Nel più assoluto segreto, gli Svedesi riuscirono a consegnare agli Inglesi i resti del razzo tedesco.
Appare comprensibile, quindi, che nel ’46, le autorità militari svedesi fossero convinte che dietro gli “Spökraketer” ci fosse lo zampino dell’Unione Sovietica.
Sin dalla capitolazione della Germania Nazista, sia i Sovietici da un lato che gli Americani (e in misura minore gli Inglesi e i Francesi) dall’altro, scatenarono una vera e propria “gara” per accaparrarsi invenzioni, scoperte, tecnologie, progetti e scienziati e tecnici tedeschi. Gli Statunitensi la chiamarono “Operazione Paperclip”, e con una buona dose di pelo sullo stomaco permisero a diversi criminali nazisti di evitare il sacrosanto processo davanti alla Corte di Norimberga, purché fornissero agli USA tutte la loro conoscenze.
Inoltre, stava “scoppiando” quella che è passata alla Storia come “Guerra Fredda” tra l’Unione Sovietica e il “Mondo Libero”. Il 5 marzo 1946 a Fulton, nel Missouri (Usa), il premier britannico Winston Churchill (1874-1965) pronunciò il celebre discorso con la frase diventata famosissima “Da Stettino nel Baltico a Trieste nell’Adriatico una cortina di ferro è scesa attraverso il continente”; che continuava con “Dietro quella linea giacciono tutte le capitali dei vecchi stati dell’Europa Centrale e Orientale. Varsavia, Berlino, Praga, Vienna, Budapest, Belgrado, Bucarest e Sofia; tutte queste famose città e le popolazioni attorno a esse, giacciono in quella che devo chiamare sfera Sovietica, e sono tutte soggette, in un modo o nell’altro, non solo all’influenza Sovietica ma anche a una altissima e in alcuni casi crescente forma di controllo da Mosca”.
Quel discorso, oltre a coniare il termine “Cortina di ferro” per indicare la divisione de facto dell’Europa in due blocchi ideologicamente contrapposti: quello comunista guidato dall’URSS, e quello delle Democrazie occidentali guidato dagli Stati Uniti d’America, proprio per il fatto di essere pubblico, e quindi di aver informato i cittadini dei Paesi occidentali, segna l’inizio, appunto, della “Guerra Fredda”.
All’epoca nessuno si faceva illusioni sull’espansionismo mondiale della Superpotenza comunista. Ma in Europa, i Sovietici avrebbero rispettato gli “Accordi di Yalta” (che sancivano appunto la divisione dell’Europa nelle due zone di influenza: Sovietica e Statunitense. Situazione che sarebbe durata sino al crollo del “Muro di Berlino” alla fine del 1989) ed evitato di invadere l’Occidente? Anche nel “Secondo Dopoguerra” la Svezia decise di rimanere neutrale e non aderì ad alcuna alleanza militare (la NATO, l’”Organizzazione del Trattato dell’Atlantico del Nord”, in inglese North Atlantic Treaty Organization, sarebbe sorta nel 1949). Ma era comunque preoccupata per l’ingombrante presenza del vicino Sovietico. L’URSS, infatti, annettendo le tre repubbliche baltiche della Lituania, Lettonia ed Estonia (ridiventate libere solo nel 1991, dopo il crollo del Comunismo) fronteggiava ora la Svezia dalla riva opposta del Baltico.
Non deve stupire, quindi, che le Forze Armate svedesi, in quell’inquieto 1946, abbiano diramato una disposizione che, come mi ha spiegato Peterssen, di fatto vietava nella maniera più assoluta ai giornali di rivelare la precisa localizzazione degli avvistamenti dei “Ghost rockets” (o “Spökraketer”) e di pubblicare notizie riguardanti la loro traiettoria e velocità. Tali informazioni sarebbero potute, infatti, tornare utili a chi aveva effettuato il lancio di quegli oggetti.
Tutto chiaro, quindi, tutto spiegato e spiegabile secondo la logica storica di quegli anni fortunatamente lontani? Gli “Spökraketer” non erano altro che oggetti assolutamente terrestri?
Forse. Da un lato i Sovietici non confermarono mai nulla, ma questo non significa assolutamente niente, visto il proverbiale riserbo e la tradizionale segretezza del Kremlino. E’ un altro l’aspetto più interessante di cui ero all’oscuro finché non ne venni informato da Sven Peterssen. Il giornalista investigativo, nonché violinista e pure ufologo inglese Timothy Good (nato nel 1942 a Islington nel Regno Unito), nel suo libro “Need know: UFOs, Military, and Intelligence”, uscito nel 2007, ha citato un documento svedese declassificato 10 anni prima, in cui alcuni militari svedesi ipotizzarono che i “Ghost rockets” potessero avere origini extraterrestri.
Oggi, a chi visita il Lago Kölmjärv (e gli altri siti precedentemente citati in cui si sarebbero verificati i “crash”, alcuni dei quali ho avuto modo di vedere personalmente) e passeggia lungo le sue ombrose rive, nulla rimanda a quel luglio del ’46 ed alle indagini dei militari svedesi. Sebbene la popolazione del luogo, in gran parte, sia a conoscenza di quella strana vicenda, da quelle parti (al contrario di altre località in altri Paesi, come ad esempio la celeberrima Roswell) non è mai nata una sorta di industria del turismo legata all’ipotetico “Ufo Crash”.
Indice del fatto che qualcosa di davvero strano, di fuori dall’ordinario, di anomalo, precipitò nel Lago di Kölmjärv e che, quindi, è meglio non parlarne; oppure, che non si è trattato di alcunché di inspiegabile e che gli Svedesi sono troppo seri (ed onesti) da inventarsi fole da propinare ai turisti?
La risposta (probabilmente) sta ancora nelle acque del lago. Ma queste, appena increspate da una leggera brezza, serbano gelosamente il proprio segreto.
(Giancarlo Pavat )
DI SEGUITO LA CARTINA CON I CRASH CITATI
NUMERO | CRASH |
---|---|
1 | La base di Peenemunde sul isola baltica tedesca di Usedom |
2 | Città di Kalmar (Svezia), caduta di una V2 sperimentale il 13 luglio del 1943 |
3 | Baltico a sud delle Scogliere di Hoburg, caduta razzo “A4” lanciato da Peenemunde il 3 ottobre del 1942 |
4 | Baltico a sud della spiaggia di Hide (isola di Gotland), punto di presunto “crash” di Ghost Rocket” nel 1946 |
5 | Baltico al largo della costa nord-orientale dell’isola di Fåro (Svezia), punto di presunto “crash” di Ghost Rocket” nel 1946 |
6 | Lago Kölmjärv a circa 24 km a ovest da Överkalix nel Norrbottens Län (Svezia) |
Foto di Giancarlo Pavat: 1,2,3,4,5,6,9,10,11,15,16,17,18,19,21,22,23,24,25,30.