Le straordinarie scoperte che da circa sei mesi, ricercatori locali ed esperti di livello nazionale stanno effettuando nella cittadina di Ceccano (FR) contribuendo a gettare nuova ed inaspettata luce su una storia sconosciuta o dimenticata di un ampio territorio del Basso Lazio, hanno riacceso l’interesse per lo stesso da parte di numerosi studiosi, di semplici appassionati e dei fruitori di questo e degli altri web site che se ne stanno occupando.
Come hanno più volte sottolineato ricercatori di vaglia, come Adriano Forgione o Giulio Coluzzi, appare ormai evidente che Ceccano fu per diversi secoli (sicuramente durante il Medio Evo ma pure prima e successivamente) un “centro sapienziale”, le cui valenze sono ancora tutte da riportare a galla. E proprio nel Medio Evo (che non fu quel periodo buio e barbarico che una certa storiografia vuol farci credere) Ceccano fu la capitale di un vasto stato, che i suoi “Comites” resero potente e rispettato da pontefici ed imperatori, che si estendeva dal litorale e dall’Agro Pontino sino alla valle del Sacco ed ai primi contrafforti dei Monti Ernici e dell’Appennino, e dalla catena dei Lepini a quella degli Ausoni. Territorio che comprendeva e comprende cittadine, paesi, borghi, fattorie, castelli, abbazie. Chiese, in molti casi veri e propri gioielli artistici ed architettonici. Ebbene, anche andando incontro alle richieste pervenuteci dai lettori, vogliamo proporre una serie di facili itinerari alla scoperta dell’antica e nobile Contea di Ceccano. Con articoli inediti o con la riproposizione (riveduta e corretta) di testi che già abbiamo pubblicato negli anni scorsi (a proposito; a febbraio il nostro sito compie 4 anni !!!). A farci da guida sarà il ricercatore e scrittore Giancarlo Pavat, uno dei massimi esperti del territorio che un tempo faceva parte della Contea di Ceccano, a cui ha dedicato pure diversi libri. Ma non solo Pavat. Ci faranno compagnia anche altri autori e invitiamo sin d’ora, i nostri lettori a collaborare, proponendo altri percorsi e inconsueti itinerari.
Faremo tutti assieme un viaggio nel tempo e nello Spazio; alla scoperta di un territorio scivolato nell’oblio e troppo spesso vilipeso. Un territorio che, al contrario, saprà sorprenderci ed affascinarci. Siamo pronti.
A SPASSO PER L’ANTICA CONTEA DI CECCANO
UNA PASSEGGIATA A MAENZA (LT) E DINTORNI, TRA ANTICHI CASTELLI, TORRI E MISTERIOSE SIMBOLOGIE
di Giancarlo Pavat
Maenza, sorta con un certo margine di plausibilità nel VIII secolo a.C. Come insediamento Volsco, è oggi un ridente borgo medievale in provincia di Latina. Domina, arroccato a quasi quattrocento metri di quota sul livello del mare, da una propaggine dei Monti Lepini, proprio di fronte ai paesi di Roccasecca dei Volsci, Priverno, Roccagorga ed alla Pianura Pontina.
Antico dominio dei Conti di Ceccano, Maenza è celebre soprattutto per il grande castello che fu l’ultima dimora “laica” del “Doctor Angelicus” ovvero San Tommaso d’Aquino. Nato nel 1224 nel castello avito di Roccasecca (oggi in provincia di Frosinone), figlio di Landolfo, dei nobili “D’Aquino” di stirpe longobarda, e di Teodora nobile normanna; e morto nel 1274. Santificato il 18 luglio 1323, la sua ricorrenza cade il 28 gennaio.
Tommaso, appartenente all’Ordine dei frati predicatori (Ordo fratrum praedicatorum ovvero i Domenicani, fondati all’inizio del XIII secolo da Domenico de Guzman), fu probabilmente il più grande filosofo del Medio Evo. A lui si deve la riscoperta del pensiero di Aristotele, pur elaborandolo in chiave cristiana, ed è autore di oltre un centinaio di opere.
Giunse al Castello di Maenza nell’inverno del 1274, e vi rimase per 40 giorni, ospite della nipote Francesca degli Annibaldi, moglie di Annibaldo dei Conti di Ceccano. Il “Doctor Angelicus” (un altro dei soprannomi del futuro Santo della Chiesa Cattolica).
Vi trovò ricovero dopo essersi sentito male mentre attraversava la valle del fiume Amaseno, impegnato nel viaggio che assieme al fido confratello e amico Reginaldo da Piperno (nome medievale dell’attuale Priverno in provincia di Latina) avrebbe dovuto condurlo sino a Lione per partecipare al grande Concilio voluto da Papa Gregorio X (al secolo Tebaldo Visconti di Piacenza; nato nel 1210; romano pontefice dal 1º settembre 1271 alla sua morte il 10 gennaio del 1276. Poi beatificato nel 1713 da Papa Clemente XI).
Nel maniero maentino si sarebbe verificato il noto “miracolo delle aringhe”. Si racconta che Tommaso, continuando a sentirsi male, chiese, un giorno, delle aringhe fresche da mangiare. Fra’ Reginaldo da Priverno, che lo aveva seguito al castello, rispose dicendo che in quelle terre non esistevano aringhe fresche ma solo secche. Ma proprio in quel momento entrò nella corte comitale un pescivendolo proveniente da Terracina. Interrogato da fra’ Reginaldo su che cosa stesse portando per vendere, l’uomo rispose che aveva soltanto sardine. Ma quando scoprì il carico, tutti rimasero stupiti nel vedere che le gerle erano piene di aringhe fresche, che subito furono portate all’Aquinate. Alla domanda da dove provenissero e chi le avesse portate, fra’ Reginaldo rispose “Dio stesso ve le ha mandate!”.
Esiste una rappresentazione iconografica dell’episodio e si trova nella chiesa di Santa Maria in Piano a Loreto Aprutino (PE) in Abruzzo, ove alcuni affreschi del XV secolo narrano momenti salienti della vita del Santo. La località era un feudo dei nobili “D’Aquino”, tanto che il padre di Tommaso, Landolfo, portava il titolo di Conte di Loreto e di Belcastro (in Calabria, oggi in provincia di Catanzaro. Paese che contende a Roccasecca e ad Aquino l’onore di aver dato i natali al “Doctor Angelicus”, ma di questa vexata quaestio ci occuperemo in altra occasione).)
Presago della propria fine, l’Aquinate decise di lasciare quel laico (seppur gradito e affettuoso) rifugio per raggiungere la vicina abbazia di Fossanova. Qui si spense il 7 marzo, assistito da fra’ Reginaldo da Piperno e dall’Abate Tebaldo. Per inciso ricordo che sul suo decesso, dovuto forse ad un male misterioso, hanno tanto favoleggiato i suoi contemporanei. La tradizione vuole che sia stato assassinato, mediante la somministrazione di veleno, per ordine del Re di Napoli Carlo I° d’Angiò (1226-1285). Diceria ripresa da Giovanni Villani (1280-1348), nella sua “Nova Cronica” (IX, 218), dall'”Anonimo Fiorentino” e, soprattutto, da Dante Alighieri. Il “Sommo Poeta” racconta nella Divina Commedia, che, incontrando nel suo viaggio ultraterreno Ugo Capeto, capostipite dei Re di Francia e degli Angioini, questi gli elenca le nefandezze dei propri discendenti; tra cui:
“Carlo (Carlo d’Angiò) venne in Italia e, per ammenda
vittima fè di Curradino e pi
ripinse al ciel Tommaso per ammenda.
(vv. 67-69, Canto XX, Purgatorio)
Per ulteriori approfondimenti sulla vicenda della morte di San Tommaso d’Aquino e sulle sue raffigurazioni iconografiche rimando al mio libro “Nel Segno di Valcento” (Edizioni Belvedere 2010).
Tornando al Castello di Maenza, questo sorge nel punto più alto dell’abitato. Voluto dal potente Berardo I° dei Conti di Ceccano (1201-1254), venne realizzato con blocchi calcarei. Presenta una pianta quadrata con quattro bastioni (anch’essi quadrangolari) e l’accesso è costituito da un arco a tutto sesto ed una scalinata a gomito che caratterizzano la deliziosa piazzetta.
Nel Duomo di Maenza, dedicato a Santa Maria Assunta, quasi adiacente al castello, volle essere sepolto Giacomo I (1299-1363) dei Conti di Ceccano.
La chiesa venne restaurata per volere di Papa Leone XIII (nativo di Carpineto Romano sui Monti Lepini, non lontano da Maenza ma oggi in provincia di Roma. Nato il 2 marzo 1810, il 28 febbraio del 1878 venne eletto dal “Successore di Pietro” come il 256º Pontefice della Chiesa cattolica: Morì a Roma il 20 luglio 1903), e si presenta oggi in stile neoclassico. La facciata principale è caratterizzata da un ampio pronao, formato da quattro colonne con capitello ionico, e da un frontone dentellato con al centro lo stemma dei Pecci (la nobile famiglia del Pontefice). Una delle caratteristiche del Duomo sono i due possenti campanili gemelli.
L’interno si presenta a tre navate e con una grande abside dove è possibile ammirare la tela dell’Assunzione di Maria. Di particolare interesse anche l’affresco della Madonna delle Cerase. Trattasi di un trittico trecentesco “di scuola privernate”, spiega Luigi Zaccheo, raffigurante una Madonna in trono con Bambino e le Ciliegie, le “cerase” appunto. L’affresco si trovava nella chiesa di San Giacomo e, dopo l’abbandono di quest’ultima, per salvarlo venne staccato e posizionato nel Duomo. Inoltre si conservano alcune tele che raffigurano San Tommaso, Sant’Agostino e San Rocco, e numerose statue che raffiguranti Sant’Eleuterio (Patrono di Maenza), Santa Rita, San Giuseppe, il Sacro Cuore, il Santissimo Corpo di Gesù e la Madonna Addolorata.
Ma lasciati Castello e Duomo, non sono certo finiti i motivi per una non fugace visita a Maenza. Motivi di carattere paesaggistico, storico, artistico e legati a….. simboli misteriosi.
Ad esempio, in giro per il borgo lepino si incontrano diversi esemplari della rappresentazione grafica della tavola per l’antichissimo gioco del “Filetto”. Chiamato anche “gioco del Mulino” oppure “Mulinello” o, ancora, “Smerello”, dal latino “merellus” che vuol dire pedina.
Il disegno è formato da tre quadrati concentrici, con quattro segmenti che collegano i punti mediani dei lati. In alcune versioni esistono ulteriori segmenti che uniscono tra loro gli angoli ed il centro del quadrato. Ricordo ancora una volta che quello ludico è soltanto l’ultimo, in ordine di tempo, utilizzo del disegno. Che, in realtà, è un simbolo antichissimo. Quello, appunto, noto come “Triplice Cinta“.
Durante la passeggiata per il centro storico maentino è possibile incontrare il primo esemplare di Triplice Cinta in piazza Umberto I°; lo slargo dove comincia via della Repubblica. Si trova sopra un basso muretto che delimita una scalinata che scende sotto il piano stradale e conduce all’ingresso di una abitazione privata.
Come altri esemplari visibili a Maenza, questo presenta con un foro al centro e i tratti diagonali.
Da piazza Umberto I° si prosegue lungo la strada acciottolata che in leggera salita conduce alla Porta Urbica, decorata con lo stemma maentino, un’aquila leporaria (ovvero che ghermisce una lepre tra gli artigli) sovrastata da una torre.
Esempi di Aquila leporaria si possono vedere all’ingresso della chiesa di Sant’Agostino a Carpineto Romano (RM) e sul pulpito dei Gullimari nella Collegiata di Santa Maria ad Amaseno (FR).
L’Aquila leporaria non raffigura semplicemente un rapace che cattura la propria preda ma pure l’adepto, l’iniziato, che si abbandona fiducioso e consapevole ad una Conoscenza superiore.
Accanto alla Porta Urbica sorge la caratteristica “Loggia dei Mercanti“.
Di fatto è una sorta di piazza coperta, da cui si gode uno splendido panorama sulla sottostante vallata dell’Amaseno, sulla Pianura Pontina e sul lontano Monte Circeo.
La prima Triplice Cinta della “Loggia dei Mercanti” è visibile sopra una specie di sedile litico che delimita la struttura.
Una seconda Triplice Cinta, piuttosto consunta, si trova su un altro lungo sedile che corre sotto l’ampio finestrone ad arco a tutto sesto da cui ci si affaccia sull’Agro Pontino.
La terza Triplice Cinta è stata incisa su un ulteriore sedile in pietra posto contro un muro della Loggia, presso l’angolo tra il cartello turistico e la lapide che ricorda i Caduti maentini.
Per vedere altre Triplici Cinte si deve ritornare indietro, a piazza Umberto I°. Si segue la stretta curva della strada che da questo punto prende il nome di via Cesare Battisti e sull’ennesimo muretto, che protegge una scala che scende sotto il piano stradale, in corrispondenza al civico 33, ecco il nostro simbolo. Pur essendo molto consumato, lo si nota grazie al foro centrale perfettamente visibile.
Si prosegue per via Cesare Battisti e si passa sotto una volta, dentro la quale, sul lato destro, si apre una splendida porta “a bandiera” di una bottega medievale.
Una piccola Triplice Cinta è profondamente incisa sul davanzale della porta “a bandiera”
Evidentemente ci si passava il tempo giocando quando non vi si esponevano gerle piene di prodotti da vendere. Un po’ come nel caso del bell’esemplare fotografato dall’amico Elio Huller (www.perlawebtv.it) a Trivigliano (FR) in Ciociaria, anch’esso inciso sul davanzale di una porta “a bandiera”.
Appena sbucati da sotto la volta, sulla destra ci troviamo il muro di contenimento dei giardini di Palazzo Pecci, appartenuto alla famiglia di Papa Leone XIII, ora sede del Municipio; sulla sinistra, invece, corre un muretto. Sopra quest’ultimo ci sono due Triplici Cinte. Una è perfettamente visibile, l’altra appena percettibile.
Ma oltre alle Triplici Cinte, a Maenza si offrono alla vista del visitatore e ricercatore attento e curioso, altre enigmatiche simbologie, anch’esse elencate e sviscerate nel mio “Nel Segno di Valcento” (Edizioni Belvedere 2010).
Ad esempio, presso la sconsacrata chiesa di San Giacomo si ammirano un artistico archinvolto, l’abside della Cappella di Santa Rita, che sporge dal lato sinistro, e uno strano rosone che potrebbe ricordare una “Croce patente”. Un’altra sorta di “Croce patente” la si nota al centro di una elegante bifora in corso Italia.
Interessanti sono le chiavi di volta di numerosi portali, arricchite con elaborati bassorilievi ed altre enigmatiche simbologie, come il “Trigramma” “IHS” di Cristo o quello, piuttosto raro, di Maria.
Non mancano pure inquietanti mascheroni, come quello zoo-antropomorfo che scruta i viandanti dalla facciata di un palazzo nella centralissima arteria di Corso Italia.
Aveva fini apotropaici o rappresentava qualcos’altro? Secondo alcuni ricercatori raffigurerebbe addirittura il sinistro mostro della cui adorazione furono accusati ingiustamente i Templari; il “Bafometto”.
“Alle porte del paese si torva la chiesa della Madonna delle Grazie, modesta nella struttura che viene aperta una volta all’anno. Nella piazza di ingresso dell’abitato, ornata d auna fontana monumentale, si affaccia la chiesa convento di Santa Reparata, costruita nel XV secolo ma restaurata nel 1823. Nel territorio di Maenza si trovano diverse chiesette di campagna: la chiesa di Sant’Eleuterio […] la chiesa dell’Annunziata dalle caratteristiche falde del tetto molto spioventi.” Così narrava Luigi Zaccheo (che abbiamo già incontrato in precedenza, a proposito del Duomo) nel suo bel lavoro “La XIII Comunità Montana dei Monti Lepini” (edito nel 1980 per i tipi della Etic Grafica di Cori), a cura della suddetta Comunità Montana e dedicato appunto ai paesi che all’epoca ne facevano parte. Un libro a cui sono particolarmente legato per motivi affettivi, in quanto fu il primo volume dedicato alla storia e all’arte del territorio dell’antica Contea di Ceccano, che mi diede da leggere mia moglie Sonia nell’ormai lontano 1991.
Ai piedi del colle su cui sorge Maenza, si incontra l’antica e piccola pieve romanica dedicata al culto della “Madonna dei Martiri”. Una lapide marmorea posta il 22 settembre 1979, su una parete esterna ricorda che l’edificio sacro venne “restaurato nell’anno 1979 da mastro Silvano Monescalchi per interessamento di padre Fastella e voto unanime di Popolo”.
Se dalla “Madonna dei Martiri” si prosegue risalendo la vallata dell’Amaseno, si incontrano i ruderi della cosiddetta “Torre della Mola di Maenza”, oggi però nel territorio comunale di Prossedi (LT).
La posizione geografica e la tipologia costruttiva della “Torre della Mola di Maenza”, la fanno risalire al XI-XII secolo d.C. e la inseriscono nel formidabile sistema di torri d’avvistamento dei Conti di Ceccano di Ceccano. I potenti Signori dell’omonima Contea distribuirono queste torri nel fondo valle e sui rilievi per garantire la sicurezza del proprio territorio. In questo modo potevano essere immediatamente avvisati (le torri erano a vista una con l’altra) di tutto ciò che succedeva dal mare di Terracina sino alla Valle del Sacco.
Probabilmente, la prima citazione dell’esistenza della robusta struttura quadrangolare allocata in quel punto strategico lungo il fiume dove ora sorgono i ruderi della “Torre della Mola di Maenza”, risale ad una donazione del 1027. Leone e Ildicio, “consoli di Pipernum” assieme ad un certo Amato (figlio di Amato I° Conte di Campagna) cedettero all’abate benedettino Amicius diverse terre e beni già appartenuti alla scomparsa Chiesa di San Salvatore a Privernum, allo scopo di costruirne una omonima sulla montagna sopra l’attuale Roccasecca dei Volsci in località “Miletum” (o “Meletum“).
Di quest’ultima chiesa, tra i Monti Ausoni, nel pianoro denominato appunto “piana di San Salvatore di Mileto” (dove nell’estate del 2014 si è svolta una spedizione di Skywatching, organizzata dal Mistery Team che ha visto tra i partecipanti Alessandro Middei, Gaetano Colella, Sonia Palombo e Giuseppe Rinna, oltre allo scrivente) sopravvivono oggi solo dimenticati ruderi, ultimi testimoni dell’antica bellezza e ricchezza.
Il documento della “Donazione”, scritto in mediolatino, definisce con precisione i confini dei terreni ceduti dai tre personaggi privernati, indicando, appunto, un “casale fortificato” di proprietà di tale Joannes Vernaricius del castello di “Berseus“, posto in direzione della “Serra presso Valle” (sicuramente l’attuale Costa del Cavallo, con la valle del Sughereto che la divide dalla Punta dei Campi nei Monti Ausoni) che conduce nella “valle Ramisi“.
La località “Berseus” o “Perseus” corrisponde all’attuale Prossedi, situata, appunto, a brevissima distanza dalla “Torre della Mola di Maenza”, su una balza dei Monti Lepini sovrastante la valle dell’Amaseno.
È facilmente ipotizzabile, che successivamente, il “casale fortificato” divenne di proprietà dei Conti di Ceccano e trasformato in Torre di segnalazione.
Attualmente, la “Torre della Mola di Maenza” presenta tre lati, uno dei quali (quello che guarda a meridione) si innalza per una decina di metri. Purtroppo il manufatto è oggetto di sistematico saccheggio da parte di trafugatori e vandali. Qualche studioso pontino ha ritenuto di vedere tracce di fondamenta romane sotto il corpo della torre, ma studi e scavi in loco non risultano essere mai stati fatti.
COME SI ARRIVA A MAENZA
Maenza dista 41 km da Latina. Per arrivarci, partendo dal capoluogo pontino, si imbocca la strada statale per Frosinone, attraversiamo la via Appia Nuova ed arriviamo a Sezze Scalo. Si prosegue lungo la SS 156 “Monti Lepini” lasciando sulla destra il centro di Priverno. All’altezza del sito archeologico di Privernum, svoltiamo a sinistra e, seguendo i cartelli stradali, si sale sull’erto colle sul quale sorge Maenza. Sul monte di fronte sorge Roccagorga (LT), sede di un interessante Museo Etnografico ed anch’essa ricca di enigmatiche simbologie.
Per chi percorre l’Autostrada A Roma-Napoli, invece, si esce al casello di Frosinone, si svolta a destra in direzione di Latina. Si prosegue lungo la SS 156 “Monti Lepini” sino al sito di Privernum, svoltando però, ovviamente, a destra. Maenza dista da Frosinone circa 40 chilometri.
Contatti: giancarlo.pavat@gmail.com
Nota:
Tutte le foto (tranne quelle altrimenti specificato) sono di Giancarlo Pavat, che ringraziamo per la disponibilità nel concederle.