A San Felice Circeo le “tracce” della Maga Circe?
di Roberto Volterri
“ Spirano lievi l’aure nella notte
mentre nel ciel splende la luna, e tutto
sotto il tremulo lume il mar scintilla.
Radono quindi le vicine coste
della terra di Circe, ove la ricca
figlia del Sole, al suo perpetuo canto,
fa risuonare intorno i boschi opachi…”
(Virgilio, Eneide, VII, 10-16)
Beh, non esageriamo!
Cercare l’Introvabile è certamente affascinante e costituisce il percorso principale suggerito ai lettori di questo articolo, ma addirittura tentare di rintracciare “… la crudele Circe [che] in ceffi e terghi di bestie tramutò con le sue malìe…” gli esseri umani e anche i compagni del prode Ulisse, pare anche a me un po’ troppo!
Però – poiché ho la possibilità di esplorare molto spesso e a fondo quelle zone – qualcosa di interessante per chi è amante del ‘mistero’ è emerso, qua e là, dalle mie e altrui ricerche dalle ‘nebbie’ della Storia.
E ora vedremo qualche aspetto, diciamo così, ortodosso e anche qualche sfumatura… in odor di eresia.
Sarà però il caso di esaminare alcuni dettagli della zona, sia dal punto di vista storico che archeologico.
Studi anche sul campo effettuati negli ultimi decenni hanno fornito di maggiore spessore probatorio l’ipotesi che l’antica Circei sia stata fondata durante il regno dell’etrusco re di Roma, Tarquinio il Superbo, periodo che sarebbe seguito ad un’occupazione dei Volsci nel corso del V secolo, anche se di ciò non rimangono tracce visibili.
I Romani ripresero il sopravvento nel 393 a.C., periodo questo caratterizzato da alcune locali rivolte contro l’Urbs aeterna, rivolte che, però, non ebbero felice soluzione.
Notevole sviluppo si ebbe nel corso del I secolo a.C e successivamente in età augustea.
Durante il I secolo d.C. si espanse notevolmente l’area attorno a quella che oggi è denominata Torre Paola, area che vide il sorgere anche della grande villa imperiale di Domiziano. La massima espansione della zona si ebbe nei pochi secoli successivi, grazie anche al facile collegamento con Roma attraverso la via Severiana, lungo il litorale. Successivamente, con la caduta dell’Impero Romano d’Occidente iniziò un graduale abbandono del territorio, durato alcuni secoli.
Circei: dal nome della mitica ‘Maga’ oppure…
Circei? Ma è chiara l’etimologia!
Deriva sicuramente dal nome della ‘Maga Circe’.
E invece no. La questione appare molto più complessa e rischia di farci desistere dal cercare tracce del ‘mito’ sul bel promontorio a non molti chilometri a sud di Roma.
Vediamo…
Il Lugli, pur se propenso ad accettare un’origine del nome legata alle affascinanti vicende omeriche, mostrò maggior obiettività nel sostenere che Circei deriverebbe da Circus (Cerchio), ovvero “… dalla configurazione stessa del monte… dalla forma rotonda e in apparenza isolata.”
D’altra parte, un altro studioso, il Bérard sostenne che l’espressione greca “ nèsos Kìrkes” (ovvero, isola di Circe) sarebbe l’esatta traduzione dell’espressione semitica “ Ai.aie”, con il significato di “isola dello sparviero”. Poi vedremo il perché…
Lo studioso contemporaneo Tommaso Lanzuisi, dalle cui opere traiamo interessanti informazioni, avanza anche l’ipotesi che Circei potrebbe derivare da querceus, a causa dell’abbondanza, in antico, di boschi di querce, con la palatizzazione, forse ad opera dei Volsci, del dittongo qu e la conseguente trasformazione in una c.
Ovviamente, insieme al dotto Lanzuisi e al Lugli, facciamo… il tifo per l’ipotesi che più ci affascina: la presenza in quei luoghi di un culto dedicato alla ‘Maga Circe’!
Ma perché il prode Odisseo sarebbe arrivato – come vuole la ‘leggenda’ – sulle coste tirreniche a sud di Roma, a pochissimi chilometri dall’altro interessante sito descritto nel Capitolo Sesto, ovvero il Tempio di Giove Anxur?
Avvaliamoci ancora degli studi del francese Victor Bérard che nel suo voluminoso saggio ”Les Phéniciens et l’Odissée” riporta i risultati delle sue indagini per riscoprire un possibile itinerario del ‘leggendario’ Ulisse nel bacino del Mediterraneo.
Abbiamo già visto come egli faccia derivare il nome del promontorio da un’espressione semitica che significherebbe ‘isola dello sparviero’. Ma perché?
Ciò, secondo lo studioso Victor Bèrard giustificherebbe il nome del luogo che deriverebbe dal greco nèsos Kìrkes”, esatta traduzione dell’espressione semitica “Ai.aie”, con il significato di “isola dello sparviero”.
( da Lanzuisi T., Il Circeo nella leggenda e nella storia, [modificato],1973).
Se osserviamo il profilo del promontorio, soprattutto dal mare o dalla scogliera della Vale Caduta, notiamo infatti come la vetta più alta, insieme alle due vette laterali, assomigli curiosamente ad un uccello da preda, ad uno sparviero in procinto di spiccare il volo. Ma il Lanzuisi, più pragmaticamente, ipotizza che il nome potesse derivare anche dall’abbondanza di falchi e uccelli predatori che ancora ai nostri giorni nidificano sotto al vetta del promontorio.
Una riprova potrebbe derivare anche dal fatto che al Circeo c’è la cosiddetta Torre Moresca, dominante il mare, che in passato veniva chiamata anche Torre Falconara.
Seguiamo ora il Bérard nella sua analisi sul possibile percorso di Ulisse…
Con Omero sulle ‘tracce’ del Tempio della Maga Circe
Con la sua nave, Ulisse sarebbe entrato in quella che oggi si chiama Cala dei Pescatori, sul lago di Paola, vicino alla Fonte della Bagnara.
Secondo Omero…
“… Ecco, ed all’isola Eèa giungemmo, ove Circe abitava,
Circe dai riccioli belli, la diva possente canora,
ch’era sorella d’Eèta, signore di mente feroce.”
(Odissea, Canto X, vv. 135-137
Poi, salito sulla vetta del promontorio, avrebbe osservato tutta la pianura circostante e avrebbe inviato i suoi compagni di viaggio… un po’ troppo lontano.
“… poi, mi parve che meglio sarebbe
ch’io prima andassi al legno veloce e a la riva del mare,
cibassi i miei compagni, li mandassi a chieder novelle.”
(Odissea, Canto X, vv. 153-155)
Il Bérard, verso il quale ci sentiamo di dissentire per far compagnia al Lanzuisi, porrebbe il Palazzo di Circe ai piedi del Monte Leano, ove esisteva un santuario dedicato alla dea Feronia – dea delle fiere, venerata in Sabina e nelle paludi pontine –identificando così quest’ultima divinità con la nostra ‘Maga’, che con le ‘fiere’ e”… ceffi e terghi di bestie…” aveva a che fare.
Anche il già citato Lugli ci complica la vita – e la ricerca! – poiché perentoriamente afferma…
“ Le condizioni indicate da Omero per l’isola di Circe non corrispondono che assai vagamente alla corografia del promontorio: in una insenatura dell’isola era un porto ben munito, nel quale sboccava un fiume e sul monte un folto bosco pieno di cacciagione; nei fianchi si aprivano grandi grotte capaci di contenere le suppellettili degli Achei. L’isola era contornata da un mare sterminato e dalla parte di mezzogiorno si sprofondava bruscamente nel mare; fra l’approdo e il palazzo di Circe si estendevano foreste e pianure selvagge solcate da ampie vie e un vallone profondo circondava il palazzo di Circe situato su di una collina, un po’ lungi dal mare, costruito con bianche pietre.
Ora il Circeo non ha insenature tali da dar ricetto a una flotta e il cosiddetto porto non è che un braccio di canale fra il mare e il lago di Paola, costruito del tutto artificialmente. Né vi sbocca alcun fiume…”
(Lugli G., Forma Italiae I, 2. Ager Pomptinus, Circeii, p. VII , Roma, 1928).
E amaramente conclude che “… tutta la narrazione omerica non ha alcun valore topografico per il nostro Promontorio.”
Ma sarà veramente così? Forse no ed ora vedremo anche il perché…
Ad esempio, lo storico Polibio (203 a.C.-120 a.C.) ci racconta che…
“… Giunto alla sua Tenda (Demetrio), mandò ad Anagni gli schiavi che non servivano al suo intento, con l’ordine di prendere le reti e i cani e di recarsi al Circeo: era solito recarsi in quei luoghi alla caccia del cinghiale e proprio lì aveva incontrato Polibio e cominciato a stringere amicizia con lui.
A Roma il giorno appresso nessuno si curò di cercare Demetrio o i compagni partiti con lui; quelli che erano rimasti in città credevano che egli si fosse recato sul Circeo, quelli che si trovavano in Anagni gli andarono incontro in quella località convinti di trovarcelo. La fuga rimase dunque del tutto ignorata, finché uno degli schiavi essendo stato frustato in Anagni, corse sul Circeo per incontrarvi Demetrio, non avendolo trovato si diresse verso Roma, convinto di trovarlo per via e non avendolo incontrato da nessuna parte, rivelò la cosa agli amici rimasti a Roma e a coloro che egli aveva lasciato a custodia della casa.”
(Polibio, Storie, XXI, 22-23. Traduzione di Carla Schick)
… ove il citato Demetrio era Demetrio I Sotere, futuro re di Siria, presente nell’area laziale in qualità di ‘ostaggio’ fin dal 175 a.C, il quale si dilettava nell’arte venatoria sul promontorio su cui stiamo indagando, forse proprio per allontanarsi dalla città senza destare sospetti e poter fuggire, nel 162 a.C., su una nave che era stata approntata proprio per lui.
Poi il Lanzuisi interviene ancora ipotizzando che la leggenda della ‘Maga Circe’ che aveva trasformato in porci i seguaci di Ulisse avrebbe tratto origine proprio dall’abbondanza di cinghiali nei boschi del Circeo e nelle pianure circostanti.
Abbiamo prima lasciato Ulisse appena approdato nella zona vicina all’attuale Torre Paola – ovviamente… con beneficio d’inventario! – e, dopo due giorni di riposo sulla spiaggia lo ritroviamo alquanto smarrito…
“ Amici, qui non si sa da che parte sia l’alba e il tramonto,
né da che parte il sole fulgente discende sotterra,
né da che parte sorge.”
(Odissea, Canto X, vv. 189-191)
…ma pronto ad avviarsi, secondo il Bérard, verso est, seguendo quella che al Circeo è la strada pedemontana, costeggiante la base settentrionale del Promontorio fino all’opposto versante. In pratica, precisa il Lanzuisi, era un percorso antichissimo utilizzato successivamente anche dai Romani.
Non possiamo certamente seguire Ulisse in tutte le sue esplorazioni, ma lo ‘raggiungiamo’ solo quando egli afferma che…
“… proprio nel mezzo ho veduto
alto levarsi un fumo fra dense boscaglie e fra selve.”
(Odissea, X,vv.195-196).
Ulisse è infatti arrivato alla dimora di Circe e trova…
“… il palagio bello di Circe,
tutto di lucidi marmi, nel mezzo a un’aprica pianura.”
(Odissea, X,vv. 209-210)
In realtà, nella versione originale dell’Odissea, Omero usa il termine ‘perisképto eni kro’, ovvero su un ‘luogo elevato, visibile all’intorno’.
Insomma il palazzo di Circe sarebbe sorto su un’altura e non in una solatìa (aprica) pianura, come vorrebbe il noto traduttore Ettore Romagnoli, offrendo così, inconsapevolmente, qualche arma in più ai detrattori dell’ipotesi ‘Circeo’ come luoghi ove le vicende narrate da Omero si sarebbero svolte.
Seguiamo ancora Omero ‘commentato’ dal Lanzuisi…
Lo scaltro Odisseo, insieme ai compagni, narra che…
“…quando presso ero giunto, movendo pei sacri burroni,
alla magione grande di Circe maestra di filtri,
mentre vi stavo entrando, si fece a me contro il signore
dell’aurea verga, Ermète, che simile in tutto pareva
a giovinetto che imbruna la guancia, negli anni più cari.”
(Odissea, X, vv. 273-277)
Il dio Hermes gli da, infatti, l’erba moli che gli servirà a neutralizzare gli incantesimi di Circe.
Secondo il Bèrard – che però la localizza lontano, alla base del Monte Leano – e anche secondo il Lanzuisi quest’erba sarebbe l’Atriplex halimus, più nota come Alimo, caratterizzata da un pallido fiore giallastro e da una nera radice ben difficile da estrarre dal terreno, poiché il gambo si spezza lasciando il bulbo saldamente radicato nel suolo. Cresceva abbondante (forse ancor oggi) sulle dune di Torre Paola.
Insomma esisterebbero alcune, non troppe in verità, corrispondenze di carattere storico, orografico, letterario, botanico tali da far supporre che anche questa volta ci si possa avventurare alla ricerca di qualcosa di…Introvabile: il Tempio di Circe.
E ora… in marcia!
La ricerca delle tracce del ‘Tempio di Circe’ non sarà certamente difficilissima né troppo faticosa, ma dovremo salire da quota zero, in pratica dal livello del mare, a quota 541 metri. In primavera o in estate, al mattino presto però, l’esplorazione sarà estremamente piacevole e densa di ‘sorprese’.
Seguiremo la strada pedemontana fino a Torre Paola, pochissimi chilometri fuori del paese di S.Felice Circeo, fino al cosiddetto Oliveto.
Cammineremo tra l’Oliveto e un grande bosco di sughere per poi salire per la fascia antincendio fino alle falde del Pisco Bianco, ovvero un’enorme rupe proprio davanti al picco di Circe. Poi prenderemo un antico sentiero che, serpeggiando, sale tra la vetta di Torre Paola e il Picco di Circe.
Incontreremo, ad un certo punto, un piazzale lastricato con una sorta di basoli. Attraverseremo quindi un boschetto di lecci e lauri e, a pochi metri dalla spianata del tempio di Circe troveremo un pozzo interrato e chiuso da un piccolo parapetto. Siamo finalmente sulla cima del Promontorio e possiamo spaziare con lo sguardo verso est, dove vedremo Ischia, la costa campana e Punta Campanella.
Ovviamente muniti di un buon binocolo tutto sarà…più semplice.
Più facilmente vedremo il promontorio di Gaeta, Sperlonga e le isole Ponziane (Ponza, Palmarola, Zannone e Ventotene).
Ma non siamo giunti fin qui – s’intende: se non avrete trovato ostacoli dovuti a recinzioni di strutture militari, impianti televisivi o altro che, come funghi, sorgono quando uno meno se l’aspetta – per ammirare le bellezze paesaggistiche, ma per verificare se e in quale misura si possa prendere in considerazione il poema omerico per rintracciare i luoghi in cui egli vorrebbe che si fossero svolte le gesta del prode Ulisse. Insomma per trovare… l’Introvabile.
Se siamo arrivati in vetta, vedremo ora ciò che resta di quello che potremmo considerare il Tempio di Circe.
Il Tempio si erge, o meglio si ergeva, su un basamento rettangolare di metri 40 per 25 circa, basamento che, in antico, è stato necessario sorreggere con alcuni piloni di rinforzo – ovviamente sul lato ‘a valle’ – contraddistinti da due diversi stili architettonici.
Si nota una parte edificata con mura poligonali, le cui pietre – a differenza di quelle dell’Acropoli – sono legate con calce, e un’altra parte in opus incertum.
Il Lugli datò le mura poligonali alla fine dell’età Repubblicana, più o meno al periodo di Lucio Cornelio Silla (Roma 138 a.C. – Cuma 78 a.C.), mentre l’opus incertum è stato datato all’età degli Antonini, forse a Caracalla, quindi tra il 212 a.C. e il 222 a.C.
La datazione del Lugli sembrerebbe provato anche da un’iscrizione latina (Corpus Inscritiorum Latinorum 6422) in cui si legge che Servio Calpurnio Domizio Destro “… restaurò l’altare di Circe Santissima…”.
( da T. Lanzuisi., op. cit. [modificato]).
Leggibile molto più agevolmente grazie all’aiuto dell’interessante sito web www.Circei.it che caldamente inviterei a consultare…
Oggi il Tempio è abbastanza malridotto e il Lugli pensò addirittura che non fosse un vero e proprio tempio ma una sorta di ‘recinto sacro’, un ‘Témenos’ come quello di Diana Aricina sul lago di Nemi, ad esempio.
Al centro si elevava comunque la statua marmorea di Circe la cui testa fu ritrovata nel 1928 da un pastore del luogo, tale Luigi Tassini.
Dal punto di vista stilistico, la testa di Circe pare ispirata all’arte di Prassitele ed è stata datata alla fine del V secolo a.C.
Così la descrive il Lugli…
“ I capelli sono bipartiti sulla fronte e intrecciati a larghe masse sulle tempie, fino a riunirsi in un nodo dietro la nuca. In un ovale perfetto e delicato spiccano i begli occhi tagliati a mandorla, dallo sguardo profondo e allettatore. Gioielli d’oro pendevano dalle orecchie e dal collo, e la testa era cinta da una corona a sette raggi, dono prezioso di suo padre…”.
(Lugli G., I Santuari celebri del Lazio antico, Roma 1932, p. 125)
Una cosa di non trascurabile importanza soprattutto per chi si occupa anche di ‘archeologia dell’Introvabile’ è che del corpo, come sottolinea il Lanzuisi, non è ancora stato ritrovato nulla.
Anzi egli ipotizza che potrebbe giacere ai piedi del dirupo nord o sud, sepolto sotto masse di detriti e terra accumulatasi nel corso dei secoli.
E qui ci fermiamo nella nostra esplorazione del Tempio di Circe, lasciando così al lettore – nel caso riuscisse a superare ostacoli sorti negli ultimi tempi attorno alla vetta del Promontorio… – il compito e il piacere di qualche altra ‘introvabile’ scoperta.
Perché no?
Ma dato che siamo sul Promontorio del Circeo, prima di scendere a valle, perché non esplorare anche qualcosa di altrettanto interessante e poco distante?
Il misterioso “Ipogeo del rospo idolatrato”
Avviatevi prima verso la grande croce in ferro che domina tutta la vallata e si affaccia sul mare dal lato degli stabilimenti balneari, ma non salite verso la croce stessa e dirigetevi invece verso il lato est del dirupo, insomma verso ciò che ancora si vede, in lontananza, delle mura ciclopiche.
Percorrete il sentiero in discesa e dopo un po’, troverete sulla destra una piccola radura seminascosta dagli alberi. Se disponete del volume Forma Italiae del Lugli, a pag. 18 troverete l’esatta planimetria del luogo, cosa questa che vi renderà più facile identificare il sito in questione.
Facendo attenzione… a non cadervi dentro, noterete un’apertura nel terreno con un diametro approssimativo di 60 centimetri.
È la bocca di un curioso ipogeo, definito del ‘Rospo idolatrato’.
È un unico vano sotterraneo, di forma approssimativamente cilindrica, con volta a cupola, costruita interamente in blocchi irregolari di pietra calcarea estratta in situ, incastrati perfettamente, a secco, uno con l’altro.
In questo libro di Roberto Volterri (SugarCo Edizioni- https://www.amazon.it/Archeologia-dellinvisibile-Enigmatici-messaggi antiche/dp/8871985303) vengono illustrati semplici strumenti, anche elettronici, ed esperimenti per compiere eterodosse ricerche archeologiche.
(Per gentile concessione del sito Internet http://www.circei.it/index.htm).
Disponendo di una leggera scala (in alluminio, ad esempio) è possibile scendere – con tutte le precauzioni necessarie! – nell’ipogeo e osservare dall’interno questo ampio cilindro che alla base ha un diametro di circa 5 metri ed è alto 3 metri o poco più, sormontato da una cupola terminante con il foro a cui prima abbiamo accennato.
Quale può essere stato in antico l’utilizzo di una simile struttura?
Il Fonteanive, nella sua opera ‘Sui monumenti ed altre costruzioni poligonie nella provincia romana’ ( Roma,1887), sostiene che in antico poteva servire come serbatoio per l’acqua, senza chiarire però da dove sarebbe stata prelevata l’acqua stessa, data l’apparente mancanza di qualsiasi tubatura, o alta struttura di uscita…
Forse la prelevavano dall’alto, come in un normale pozzo? Forse no…
Nel 1792 il Petit-Radel in ‘Recherches sur les Monuments Cyclopeens’, Parigi, 1842) la definì ‘Cisterna del rospo idolatrato’.
Qualche studioso locale, da me interpellato, la ritiene una sorta di ipogeo in cui, in antico, venivano effettuati riti in onore di divinità ctonie.
Potrebbe esser anche così, ma, in ogni caso, vale la pena esplorarlo (attenzione!) e magari anche cercare nei dintorni altre ‘presenze antropiche’ che possano fornire utili spunti per una più corretta interpretazione dell’ipogeo.
Lo so che è difficile, ma al lettore di questo libro piacerà senza dubbio avventurarsi alla ricerca… dell’Introvabile.
O quasi…
Leggende, tradizioni locali, “antiche cronache”, vari “si dice che…” spesso hanno indirizzato esploratori, ricercatori o anche semplici appassionati verso misteri che la Storia ancora nasconde. In questo libro l’Autore passa in rassegna alcuni irrisolti enigmi dell’archeologia, caratterizzati dalla quasi irreperibilità del luogo, del sito al quale essi si riferiscono.
Dov’è la Tomba di Alarico sepolto, si dice, nel letto del fiume Busento? Dove sono a Roma e dintorni le tracce di Simon Mago? Dov’è, forse nei pressi di Chiusi, il Sepolcro dell’etrusco Porsenna con tutto il suo tesoro? Dove si trova con esattezza, a Napoli, la Tomba di Virgilio? Come rintracciare il Sepolcro del grande Archimede, contrassegnato da una sfera inserita in un cubo? Tangibile dimostrazione delle intuizioni matematiche del grande studioso.
Il dottor Roberto Volterri ancora una volta conduce il lettore interessato ad esplorare sul campo alcuni tra i più affascinanti misteri della Storia e dell’Archeologia, fornendogli tutte le indicazioni per tentare di trovare qualcosa di… introvabile (o quasi).
Concludono il libro due intriganti Appendici dedicate sia alla miriade di enigmatiche iscrizioni leggibili qua e là in Italia e all’estero sia ad un nuovo, avventuroso modo di “percepire il passato”, frutto degli studi del fisico don Luigi Borello sul Cronovisore.
In libreria o anche presso Amazon: https://www.amazon.it/volterri/s?k=volterri