Epigrafi del mistero
Interpretate con il metodo ‘pirandelliano’: “Così è (se vi pare)”
di Roberto Volterri
Anche”… molti valenti uomini, dottori, teologi et gran pratichi in lingua caldea et ebrea…” non furono in grado di interpretare l’enigmatica iscrizione ancor oggi visibile in una ridente cittadina nei pressi di Lucca.
Così infatti si legge in un antico manoscritto conservato nella sua Biblioteca Governativa, a ricordo di un tentativo di decifrazione caldeggiato anche dal Papa Paolo III e dall’imperatore Carlo V, riunitisi nel 1544, per la festa della Santa Croce, in un suggestivo borgo della Garfagnana ricordato anche dal Pascoli.
Presso il fiume Serchio, a circa quaranta chilometri da Lucca, troviamo infatti Barga, in epoca medievale importante centro commerciale e sede di una fiorente industria della seta. Nella parte più alta della cittadina sorge sia il Palazzo Pretorio sia il Duomo di San Cristoforo, in stile romanico, risalente al IX secolo.
E qui, in piazza Beato Michele, sullo stipite destro della porta d’ingresso al Duomo troviamo la misteriosa epigrafe, quasi identica a quella che troveremo, far poco, a Pisa.
“COEthtst / COEthtst / COEthtstC ”
… ricorda l’amico Umberto Cordier dai lavori del quale attingo alcune notizie – è una sua accettabile traslitterazione in cui la C rappresenta la croce all’inizio dell’iscrizione, la s rappresenta una lambda maiuscola, OE viene interpretato come un segno simile ad una distorta sigma, la h dovrebbe essere una I con un’appendice, mentre la t dovrebbe interpretare una delta maiuscola rovesciata, segno noto come ‘nabla’ – antica arpa mediorientale – usato in campo matematico.
La indecifrata epigrafe del Duomo di Barga (Lucca)
Ma cosa significa?
In realtà la strana scritta è stata ‘letta’ in vari altri modi.
Nel 1909 il filologo Augusto Mancini, basandosi anche su precedenti studi del Targioni-Tozzetti e del canonico Magri, interpretò alcuni segni come le lettere M,H e A, iniziali a suo dire dell’ancor più enigmatica frase latina “Mysterium Hoc Arcanum” – cioè “ E’ questo un arcano mistero” – che certo non aggiunge chiarezza ma suggerisce, forse, un riferimento al mistero della ‘Trinità’.
L’archeologa ed epigrafista Margherita Guarducci, invece, interpretò i tre caratteri citati come , e cioè mi, eta e lambda – possibili iniziali di ‘M(icha)EL’, l’Arcangelo Michele inteso come antagonista del Demonio, del ‘Male’.
Interessanti ‘letture’ che non squarciano certamente il classico ‘velo’ che da secoli nasconde il reale significato della curiosa epigrafe.
Le misteriose epigrafi di Pisa e di Bologna
Ma spostiamoci un pò più a sud, a Pisa.
Qui, sul ‘Campo dei Miracoli’, a pochi passi dalla celeberrima ‘Torre pendente’, a sinistra della porta d’ingresso del Battistero troviamo un’epigrafe praticamente identica, disposta però su un’unica riga.
E non è finita: sempre a Pisa, a sinistra della porta della non lontana chiesa di S.Frediano ritroviamo ancora la misteriosa epigrafe – sempre in un’unica riga – con una piccola differenza nel simbolo che segue la lettera Delta rovesciata, simile ad un’immagine speculare della lettera Lambda minuscola.
La misteriosa epigrafe di Pisa
Cosa significano tutte queste identiche iscrizioni in terra di Toscana ?
Riusciti tentativi di crittografare in modo indecifrabile – per chi non possiede la ‘chiave di lettura’, ovviamente! – un misterioso messaggio avente una valenza di carattere religioso?
L’indicazione di dove potrebbe essere occultato ‘qualcosa’ degno di essere ancor oggi cercato?
Oppure soltanto un’innocente, complesso, acrostico?
Ancora un pò più a nord, nella ‘dotta Bologna’, troviamo un’altra misteriosa epigrafe, l’epitaffio di tale ‘Aelia Laelia Crispi’.
Ma perchè consideriamo misteriosa questa iscrizione celebrativa una volta, forse, posta sulla tomba di un defunto o… di una defunta.
La strana lapide conservata nel Museo Archeologico di Bologna.
Proprio perchè non è affatto chiaro a chi fosse dedicata, dato il modo volutamente molto ambiguo in cui essa fu redatta.
La sua lettura crea infatti non poche perplessità nel curioso visitatore del Museo Civico Medievale non appena egli si soffermi a leggere il testo in scrittura ‘Capitale’ dell’epigrafe riportante il numero di inventario 3361, la cui traduzione così ‘suona’…
“ Elia Lelia Crispi, nè uomo nè donna nè androgino nè fanciulla
nè giovane nè casta nè meretrice nè pudìca, ma tutto ciò; nè in
cielo nè in acqua nè in terra, ma ovunque giace.
Lucio Agatone Priscio, nè marito nè amante nè parente, non
triste nè lieto nè piangente, questo (nè monumento nè piramide
nè sepolcro ma tutto ciò) egli sa e non sa per chi pose “.
La lapide conservata nel Museo è in realtà un rifacimento eseguito nel XVII secolo dal senatore Achille Volta in base ad un monumento epigrafico del secolo precedente fatto incidere da un suo omonimo antenato, nel 1550 nominato priore della Commenda dei ‘Frati Gaudenti’ di Casaralta da Papa Clemente VII.
Antica stampa che ricorda la misteriosa epigrafe, l’epitaffio, di tale ‘Aelia Laelia Crispi’.
L’epigrafe originale si trovava sul muro della chiesa annessa alla villa dove dimoravano i Volta, almeno fino al 1745 quando venne messo all’asta il complesso di edifici di S.Maria di Casaralta e la lapide fu affissa al muro del campanile.
Non ebbe però vita facile, perché nel 1885 la chiesa e il campanile crollarono e altri rischi furono seriamente corsi durante l’ultimo conflitto.
Dapprima collocata a Palazzo Galvani, nel Museo Civico, nel 1973 fu restaurata e successivamente ‘trasferita’ – con tutto il lapidario – nell’attuale Palazzo Ghislardi-Fava, sede del Museo Civico Medievale.
A chi, dunque, fu dedicata la misteriosa iscrizione?
Ad un uomo? Ad una donna? Ad un androgino?
Oppure racchiude in sé un criptico messaggio legato – ora non saprei, con esattezza, come – agli ancor non del tutto conosciuti ‘Cavalieri Templari’ dato che il duecentesco complesso edificato alla periferia nord di Bologna, non lontano da Porta Mascarella, noto come S.Maria di Casaralta era sede del priorato dell’Ordo Militiae Mariae Gloriosae, milizia cavalleresca ‘legata’ al ben più noto ‘Ordo Militiae Templi’?
Oppure può aiutarci il sapere che prima del rifacimento voluto dal senatore Achille Volta, a causa delle pessime condizioni dell’originale, la misteriosa iscrizione così concludeva…
« Hac est sepulchrum intus cadaver non habens
Hoc est cadaver sepulchrum extra non habens
Sed cadaver idem est et sepulchrum sibi «
… ovvero, in una libera traduzione…
“Questo è un sepolcro che non contiene salma, è salma che non è contenuta nel sepolcro, ma la salma stessa è sepolcro a sé stessa”
Versi, questi, appartenenti ad un epigramma attribuito allo scrittore greco del VI secolo Agazia Scolastico, tradotto in latino anche dal Poliziano.
Forse un altro spunto per i lettori de “Il Punto sul Mistero” i quali, incuriositi dall’insolito epitaffio, potrebbero indagare sul fatto che anche a Padova, nel vestibolo di Palazzo S.Bonifacio, è riprodotta la lapide conservata a Bologna: la notizia della misteriosa iscrizione giunse nella città veneta nel lontano 1547, per essere studiata da alcuni dotti patavini, tra i quali Antonio Cataro e Mario Michelangeli.
Ma, in oltre quattro secoli, nessuno è riuscito a capirne l’intimo significato!
A parte qualche mal riuscito tentativo ‘alchemico’ da parte d studiosi come Giovanni Turrito e Nicolò Bernaud.
Rechiamoci ora molto più a nord, a Trieste.
L’enigmatico ‘glacolitico’ di Trieste e la tomba di S. Nicola di Bari.
A Trieste, nell’Orto Lapidario del Museo di Storia e Arte – nella sezione dedicata al periodo medievale e moderno – c’è una misteriosa epigrafe redatta in ‘glacolitico’ antico alfabeto di matrice slava, inventato dai monaci Cirillo e Metodio, caratterizzato da quaranta eleganti ‘ghirigori’ derivanti da lettere minuscole greche, ‘modulate’ su lettere dell’alfabeto copto ed ebraico.
Lo troviamo nei primissimi documenti in lingua slava risalenti al IX secolo.
L’iscrizione era posta sotto un’altra scritta in latino, Rotat Omne Fatum, e dovrebbe risalire al 1448, anno in cui la casa su cui era collocata fu edificata dai fratelli Pietro e Giovanni Battista De Monticulis.
Studiata da molti appassionati epigrafisti, tra i quali Antonio Tribel, nel 1885, e Alessandro Pesaro, in tempi a noi molto più vicini, la scritta in ‘glacolitico’ ha conservato intatto il suo ‘mistero’.
Diapositiva proiettata dal professor Antenore Schiavon sul tema “Rinascimento sconosciuto a Trieste” durante un recente Convegno. La scritta in Glacolitico è sotto il motto latino “Rotat Omne Fatum”.
Scendiamo nel profondo sud, nella città di Bari.
Qui, nella basilica romanica dedicata a San Nicola di Myra, troviamo un prezioso altare – completamente rivestito con una lamina d’argento lavorata a sbalzo – commissionato dal Priore Alessandro Pallavicino a due abili orafi partenopei, l’Avitabile e il Marinelli.
L’opera, del 1684, raffigura alcuni episodi della vita di S.Antonio ma la ‘stranezza’ appare nella cornice in cui sono incise circa 622 lettere dell’alfabeto latino, in alcuni casi separate da piccoli punti.
Dopo quella che sembra essere l’ultima serie di lettere “…EPPFN” appare una sorta di ‘nodo d’amore’ affiancato da una specie di ‘fiore’ e, infine, il nome dell’incisore Marinelli. A volere essere ‘acuti osservatori’ muniti di lente di ingrandimento, anche dalla foto qui pubblicata appare chiaro come quest’ultima scritta è opera di una diversa mano, molto meno ‘sicura’ di quella che incise l’intera enigmatica ‘frase’.
In alto la lamina d’argento conservata anella basilica di San Nicola, a Bari. Mai intrepretata con sicurezza. In basso un’immagine che ne facilita la lettura.
Non molti anni fa, nel 1987, in occasione del IX centenario della traslazione del corpo del Santo dalla sua città natale di Myra a Bari, venne istituito un apposito Comitato Nazionale che, sponsorizzato dalla BNL, indisse un concorso riservato agli studenti, con un premio di cinque milioni riservato a chi fosse stato in grado di fornire un’accettabile soluzione all’enigma della scritta crittografata.
Nonostante si cimentassero moltissimi studenti di Licei e Università italiane… il mistero permane.
Le criptiche iscrizioni di Castel del Monte
Sempre in Puglia, nel meraviglioso edificio voluto da Federico II, a Castel del Monte c’è – o forse c’era fino a non molto tempo fa – una scritta…
“ 1566/D.sI.D.C.a.D/B.lo C.oL.P.P./S.aML.ta.DIE/37bs “
Una delle due misteriose incisioni di Castel del Monte (Bari)
Lo studioso Riccardo Napoletano la vide nel cortile interno, sul muro di una sala situata in una posizione diametralmente opposta al varco d’ingresso e ne tentò la decifrazione nel lontano 1926.
Forse facendosi aiutare anche da una sana ‘fantasia’ che mai non manca in qualsiasi curioso indagatore dei ‘misteri’ che ci circondano, così la lesse’…
“Domus inclytum dedit Carafa ducem bello claro laudabiliter pugnatem pro
servata Melita. Die tertia septembris 1566 „
e così la tradusse…
“La casa Carafa dette un insigne duce che nella famosa guerra gloriosamente
combatteva per Malta liberata. 3 settembre 1566 “
Riferendosi così al cavaliere gerosolimitano Vincenzo Carafa, vincitore dei turchi a Malta.
Ma sarà veramente così?
Lo stesso Napoletano aggiunse che nello stesso cortile, a destra della porta rivolta a Nord, c’era un’ancor più enigmatica iscrizione…
“M. O. PACE SVRDO D.B. mo/ C.o.L.P.DIE 3 7 bs. 1566 “
L’altra strana scritta incisa sulle pietre di Castel del Monte
con qualche ‘pindarico volo’, ‘letta’ così…
“ Imploro pace surdo Deo beatissimo celso largam pluviam.
Die tertia septembris 1566 “
E così tradotta…
“Poiché Iddio beatissimo eccelso non si benigna esaudirmi, in grazia imploro
copiosa pioggia. 3 settembre 1566 “
Dubito che, almeno per quest’ultima iscrizione, la ‘lettura’ e la relativa traduzione siano correlabili ad una lunga…siccità e rispondano al vero: forse un’attenta ricognizione e una verifica sulla reale esistenza dell’epigrafe potrebbero aggiungere qualcosa alla conoscenza – ancora incompleta – dell’enigmatico edificio a base ottagonale – Castel del Monte – che sorge sulla sommità del colle dominante la cittadina di Andria, in provincia di Bari.
Edificio di probabile ispirazione ‘templare’, ricchissimo di particolarità geometriche, matematiche, simboliche, astronomiche. Insomma un vero e proprio monumento ‘filosofico’ affine, per certi versi, ad altri ‘libri alchemici’ in pietra: le cattedrali gotiche.
Napoli, Grottaferrata, Terracina: strani simboli e curiose iscrizioni
Ora risaliamo un po’ la nostra bella Penisola e rechiamoci a Napoli.
Qui, sul bugnato della chiesa del Gesù Nuovo – situata quasi di fronte al celeberrimo Monastero di Santa Chiara – ad un occhio attento non sfuggono di certo alcuni strani ‘segni’ costituiti da lettere e da numeri dissimulati qua e là sui lati delle piccole ‘piramidi’ che, curiosamente, abbelliscono la facciata del tempio in stile barocco.
Le lettere incise sono visibili fino alla parte più alta del bugnato e, apparentemente, non sembrano avere alcun legame tra loro.
Apparentemente, appunto…
Due esempi dei simboli incisi nel bugnato della chiesa del Gesù Nuovo a Napoli.
Sono stati interpretati anche come note musicali…
Quel che appare verosimile è che nessuno si sarebbe scomodato ad incidere anche in punti estremamente scomodi lettere e numeri senza che questi abbiano un preciso significato.
Che fino ad oggi ci sfugge.
Lasciamo Napoli, ricca di infiniti ‘misteri’ e rechiamoci – al termine della nostra ‘ricognizione’ – a pochi chilometri da Roma, nell’Abbazia di Grottaferrata.
Fondata nell’anno del Signore 1004 dal monaco bizantino Nilo – poi canonizzato – è occupata dai monaci brasiliani che custodiscono, tra l’altro, bellissimi volumi antichi e curano una scuola di specializzazione a livello universitario dedicata al restauro di beni librari.
In un angolo poco frequentato dell’Abbazia, sopra quello che probabilmente ebbe la funzione di fonte battesimale, campeggia una curiosa scritta in greco, ‘copiata’ dal Tempio di Santa Sofia, a Istanbul…
“ NIΦON ANOMHATA, MH MONAN OFΦIN “
… ma qui il ‘mistero’ è facilmente svelato poiché si tratta solo di una frase palindroma – cioè leggibile da sinistra a destra e viceversa, con lo stesso significato – che letteralmente ammonisce…
“LAVATI I PECCATI, NON SOLO IL VOLTO “
Però e bella, elegante e densa di significati. Per questo motivo compare nel nostro breve viaggio tra le enigmatiche iscrizioni rintracciabili negli angoli più nascosti del Bel Paese.
Per inciso – a vantaggio di chi volesse osservare de visu la scritta e visitare la splendida Abbazia, nello stesso corridoio ma pochi metri prima – sconosciuta ai più – c’è una copia in porfido rosso della meravigliosa ‘Crux Mensuralis’ – in oro e pietre preziose – voluta dall’Imperatore Giustiniano (527 – 565), conservata anch’essa nel Tempio di Santa Sofia e poi ‘scomparsa’ nella presa di Costantinopoli avvenuta nel 1204.
Riporterebbe le esatte misure del corpo del Cristo, desunte dalla Sindone.
Copia in porfido rosso della scomparsa e preziosa ‘Crux Mensuralis’ voluta dall’Imperatore Giustiniano. Riporterebbe altezza e larghezza delle spalle del Cristo, ricavate dalla Sindone. Retrodatandone di molti secoli la comparsa…
E per rimanere nel Lazio, rechiamoci rapidamente a Terracina, in provincia di Latina.
Nella piazza antistante il Duomo, situato a due passi dai ruderi del Foro, oltre a ciò che rimane dell’antica iscrizione in lettere bronzee…
“A(ulus) Aemilius A(uli) f(ilius) stravit “
… dedicata al patrizio Aulo Emilio – il quale nel I secolo d.C. fece edificare gran parte degli edifici del Foro stesso – sono ben visibili almeno due strane ‘incisioni’ nelle pietre costituenti il lastricato.
Piazza antistante il Duomo di Terracina (Latina) su cui sono visibili alcune pietre con incavi allineati. Qualcuno le ha interpretate come ‘tabulae lusoriae’…
Si tratta di una serie di piccole ‘coppelle’ scavate nella pietra – quindici in una e quattordici nell’altra – ben allineate, che fanno rassomigliare i due lastroni ad una sorta di gigantesche tessere del ‘Domino’.
In realtà l’ipotesi avanzata paragonerebbe queste due curiose ‘incisioni’ proprio a delle ‘tabulae lusoriae’, una sorta di ‘scacchiere’ usate in antico… per passare il tempo.
In conclusione, oltre alle classiche misteriosissime iscrizioni rinvenute in altre aree del pianeta, come quella ad esempio del ‘Disco di Festos’ prestantesi alle più disparate interpretazioni,anche la nostra Penisola nasconde, probabilmente, un’infinità di ‘tesori’ epigrafici che non aspettano altro che di essere ‘scoperti’, correttamente ‘letti’ e giustamente’ decifrati’.
Come la ‘Porta Alchemica’ di Roma.
Ma di essa parleremo un’altra volta…
Disponibile ad Aprile/Maggio 2020 per Enigma Edizioni
Un ampio, documentatissimo, studio sulle cosiddette “Porte Magiche, Filosofiche, Alchemiche” presenti in Italia. Dalla notissima “Porta Magica” di Piazza Vittorio Emanuele II a Roma, a quella di Rivodutri (Rieti), ad altre testimonianze nel Sud del Paese, in Puglia. E non solo…
…..con Schede aggiuntive di Giancarlo Pavat e Dino Coppola.
Info: Cell. 347.8004716 e-mail: enigmaedizioni@gmail.com