Tra i possibili committenti dell’affresco del “Cristo nel labirinto” di Alatri, ci sono, oltre ai Cavalieri Templari ed ai monaci Cistercensi, anche i Francescani che nella prima metà del XIII secolo eressero la chiesa dedicata al “Poverello d’Assisi”, adiacente all’ambiente in cui si trova l’ormai celebre affresco (l’attuale chiostro di San Francesco ma la cui natura e funzione all’epoca della realizzazione dell’affresco ci è al momento ignota) .
I dubbi avanzati nei confronti di questa attribuzione si sono sempre basati sulla mancanza, negli ambienti in cui trova il “Cristo nel labirinto” ed il resto del ciclo iconografico affrescato, di simboli riconducibili al Santo d’Assisi. Soprattutto la “Croce del Tau”.
Ora, una recentissima scoperta (o meglio, riscoperta) potrebbe (il condizionale è d’obbligo) gettare nuova luce sulla “vexata quaestio” della committenza. Ovvero potrebbe indicare come taluni simboli presenti nell’intercapedine del chiostro alatrense fossero utilizzati anche nell’ambiente franbcescano, forse da quelle correnti considerate non troppo “ortodosse” dalla Chiesa di Roma.
Pubblichiamo, per gentile concessione dell’autore, Emanuele Legumi, un suo articolo sulla cassa mortuaria di San Francesco e Santa Chiara, sui misteri che l’avvolgono e sui simboli che la decorano, tra cui il “Fiore della Vita”.
Nell’articolo, ovviamente, non si fa cenno di un possibile collegamento con il “Cristo nel labirinto” di Alatri, collegamento, preme sottolinearlo, che, se esiste, è solo afferente un possibile patrimonio simbolico condiviso. L’articolo, quindi, vuole essere , nelle nostre intenzioni, ovviamente condivise dell’autore, un semplice, ma importante, tassello in più nell’ampio e variegato mosaico della ricerca sul “Cristo nel labirinto”, ma soprattutto un’occasione per scoprire l’affascinante (e sconosciuta) storia della cassa mortuaria del Santo Patrono d’Italia.
(Giancarlo Pavat)
(Immagine in basso; il celebre affresco con San Francesco dipinto da Cimabue).
LA CASSA MORTUARIA DI SAN FRANCESCO E SANTA CHIARA.
Un mistero della storia del Santo svelato da Padre Martino.
di Emanuele Legumi.
Abbiamo parlato della grotta del Brigante Cinicchia come rifugio del giovane Francesco e del suo compagno Elia, e come luogo in cui avvenne la conversione del Santo; di come, l’importanza del luogo abbia spinto Frate Elia ad affacciare la chiesa dedicata al Santo, proprio in direzione di quel posto apparentemente insignificante, e di come il legame con lo scomunicato frate, abbia relegato nell’oblio quel luogo.
Abbiamo discusso di come Giotto possa essere stato ispirato, al momento di celare nel dipinto dell’ascensione di San Francesco un demonio tra le nuvole, dal pensiero religioso-politico di Federico II e dello stesso Elia, ormai defunto e defraudato.
Il destino del frate eretico sembra casualmente rispecchiare in tutto e per tutto quello del “povero diavolo”. L’immagine di colui, che sarebbe potuto passare alla storia come l’angelo prosecutore delle idee di Francesco, a causa dei suoi eccessi, è diventato prima diavolo e infine la storia lo ha visto dissolvere fino a divenire intangibile come il ritratto nella nuvola dipinto da Giotto.
Mi sembrava potesse essere abbastanza, invece nell’arco di pochi mesi, un personaggio di cui prima non avevo mai sentito parlare, fa capolino per la terza volta nella mia testa.
Osservando la presentazione del lavoro ultimato da Padre Marino Bigaroni sulla scoperta della cassa mortuaria di San Francesco e Santa Chiara, non ho potuto non pensare ad Elia.
Ringrazio Padre Marino a nome mio e di Marcello Betti per averci messo a disposizione il suo materiale e le immagini che adesso proporremo. Le considerazioni che aggiungerò alla fine dell’articolo sono fatte allo scopo di avvalorare, ammesso che ce ne sia bisogno, la tesi dell’originalità del manufatto, e sono in ogni caso opinioni puramente personali, sperando di non alterare il minuzioso lavoro fatto da padre Marino.
La scoperta ha del sensazionale per la storia francescana: è stata ritrovata la cassa che ha accolto le spoglie sia di San Francesco che di Santa Chiara nel periodo del loro “soggiorno” temporaneo nella chiesa di San Giorgio (c/o l’omonimo arco ancora oggi esistente).
Così scrive Ludovico da Pietralunga nel 1571:
“la cassa dove stava il sacro corpo, se posava sopra certi ferri fabbricati sopra un arco in mezzo della detta cappella, ancora ditta di S.Giorgio, la sopraddetta cassa … fluiva, scaturiva, ogni venere, sangue, come visibilmente si po’ vedere quotidianamente, congelato et conservato in un cassettino di avorio longo quasi mezzo cubito”
(Descrizione della Basilica di S.Francesco / Lodovico da Pietralunga)
L’importanza della reliquia e il fatto che intorno ad essa avvenissero eventi miracolosi, attirò un pellegrinaggio senza sosta verso la cappella dove era conservata.
La chiesa di San Giorgio ormai veniva a trovarsi “intra caustrum Monasterii”: precisamente nel chiostro.
Le clarisse non potevano avvallare un abuso che così gravemente veniva a compromettere la vita di clausura a cui si erano legate con voto. Chiesero pertanto al papa Urbano IV di demolire la chiesa di San Giorgio per mettere fine a questo abuso. Il papa lo concesse con lettera del 22 giugno 1263.
…è evidente che le clarisse continuarono a prestare, per proprio conto, un devoto riguardo, anzi un culto al feretro, anche perché aveva conservato le spoglie della loro madre.
…poi…finì per ospitare l’archivio del monastero.
Il coperchio ebbe sorte diversa e, passando di mano in mano, gli fu applicata una cornice e mutilato nella sua misura. Fu ceduto poi dall’ultimo proprietario Carattoli, ai frati della Porziuncola…
Dopo la traslazione delle spoglie da santa Chiara (1260), del feretro non si seppe altro…
La cassa:
– non era stata smembrata al momento della canonizzazione, se è vero che vi riposò poi il corpo di Chiara dal 1253 al 1260, quando fu definitivamente sepolta sotto l’altare maggiore della Basilica a lei dedicata:
– non era stata sepolta con le spoglie di san Francesco, né con quelle di santa Chiara, Non ne fu infatti trovata traccia al momento dell’invenzione dei due santi, rispettivamente nel 1818 e nel 1850:
– la sua memoria si perde dove la sapevamo: nel monastero delle clarisse, dove termina la sua storia, senza episodi, né motivazioni…
Già all’ingresso della cappella del Crocifisso, mi cadde l’occhio su di una grande cassa di legno scuro, abbandonata in un angolo di sottoscala. Mi colpi – non so io stesso come – l’enorme serratura, in alto al centro del prospetto, che mi richiamò subito le rozze serrature delle casse mortuarie del santo pi volte riprodotte nelle Tavole istoriate fondo-oro, del secolo XIII…
…è un manufatto di m. 1,71 di lunghezza per cm. 60 di larghezza e altrettanti di profondità. Sul lato di prospetto, in alto, porta un’enorme serratura rotonda, in lamina di ferro, traforata tutt’intorno da una corona di archetti a sesto romanico che circoscrivono una rosa grande a sei foglie intercalate da sei occhielli per i chiodi che la fermano al legno. Vi si apre la toppa della chiave e l’asola per il nasello del fermaglio che scende robusto, sagomato ad arte, a forma di tau assicurato in alto al coperchio…
Questa serratura ha delle sorprendenti analogie con quella della cassa mortuaria della beata Giuliana di Collalto morta nel 1262…nell’isola della Giudecca…
Le due serrature infatti – incredibile! – non simili, ma si possono dire identiche! Identiche nella foggia e in certi particolari; prodotto artigianale entrambe; sembrano anzi forgiate sullo stesso incudine; stella corona di archetti, stesa grande rosa al centro a sei foglie intercalate da sei occhielli per i chiodi; stesso disegno; stesso materiale (lamina di ferro); stessi i fori per il nasello, i fori e la toppa per la chiave.
…quale fu lo sbalordimento da togliermi il respiro! Questa cassa, dopo il lavaggio ha il prospetto, tempestato di centinaia disegni di inequivocabile significato esoterico escatologico:
(nella foto: Fiori della Vita sulla cassa di S. Francesco – Foto Emanuele Legumi).
…la rosa a sei petali da sempre, presso molti popoli e civiltà è stata considerata simbolo della vita, tanto da essere chiamata il Fiore della vita…
…il simbolo della ipsilon…segno escatologico della vita che permane oltre la morte…
…il simbolo dello zig-zag…tracciato per indicare il fluire delle acque, prima creatura dell’ordinamento dell’universo e fonte della vita nel mondo…
…il simbolo ella palma…che i cristiani non ebbero difficoltà da accogliere nelle loro liturgie, a significare la vita oltre la tomba.
…la Basilica di S. Francesco ad Assisi, in ordine alla decorazione della terza campata della Basilica inferiore, ha fermato la mia attenzione…
…nell’ornato pittorico fitomorfo e musivo si notano segni nuovi che non ricorrono nelle due campate precedenti e almeno quattro di essi ripetono simboli già rilevati sul prospetto del feretro.
(Simboli escatologici sul feretro ritrovato di San Francesco e sulla sua tomba / Marino Bigaroni)
Consiglio di leggere integralmente l’articolo di Padre Marino, di cui ho solo preso degli estratti, che in ben trenta pagine raccoglie le inconfutabili prove della sua eccezionale scoperta, che per sua stessa ammissione, ha richiesto una vita intera.
Il trattato è reperibile sulla rivista di cultura francescana “Frate Francesco” – Anno 75 – Nuova Serie – Aprile 2009 – n.1.
A questo punto facciamo qualcosa di inconsueto: dimentichiamoci completamente il lavoro fatto da Bigaroni e immaginiamo di trovarci davanti alla cassa. E’ qualcosa di folle,ma vediamo se percorrendo una strada diversa, riusciamo a raggiungere lo stesso risultato; se ci riuscissimo avvaloreremmo inconfutabilmente la tesi dell’originalità del manufatto.
Partiamo dall’osservazione sommaria di questa cassapanca: date le dimensioni 171x60x60cm c’è una forte probabilità che prima di contenere l’archivio del protomonastero sia potuta essere, secoli addietro, una cassa mortuaria. La statura media della popolazione, grazie al benessere, è salita di molto negli ultimi decenni, ma in passato 1,70mt era già molto.
Cominciamo a farci delle domande e a cercare qua e là delle risposte:
Come mai in un monastero di clausura, in cui vigono ferree regole socio-religiose, è conservata una cassa con una tale quantità di simboli non di stretta pertinenza con la fede cristiana?
I testi sul simbolismo, parlando di immagini analoghe a quelle rappresentate sulla superficie della cassa, utilizzano a vario titolo le parole: “il popolo ebraico, la religione giudeo-cristiana, l’arte romanica,gli ebrei, gli egizi, i pitagorici, la tradizione mesopotamica e mediterranea, le civiltà orientali, i cristiano-copti, la Palestina, l’Egitto, il cristianesimo, la disciplina alchemica”. Da ciò può venirci l’idea che, quelli riprodotti siano simboli non del tutto adatti, o per meglio dire, non del tutto capaci di incontrare il gusto estetico delle conservatrici Clarisse. Visto che la quantità di incisioni riportate nella cassa sono tali da non poter passare inosservate, non penso che una qualche madre superiora abbia commissionato un manufatto del genere.E’ più probabile che sia finita lì perché qualcuno di importante, a cui le monache non potevano dire di no, l’ abbia donata loro o abbia chiesto loro di conservarla.
Probabilmente attribuiamo ai simboli un’importanza che in passato non avevano. Dobbiamo quindi considerare quei disegni sulla cassa solo per il loro lato estetico?
In età antica ad ogni simbolo, come e più di oggi, era attribuito un significato preciso. Il tasso di analfabetismo, soprattutto nel Medioevo, era alto e spesso per esprimere un concetto si utilizzavano simboli noti anche ai meno colti.
Facciamo solo alcuni esempi. Guardate il pesce disegnato in questi graffiti:
(nelle foto: Graffiti paleocristiani – foto di Emanuele Legumi).
Qual è il suo significato? La parola pesce, in greco “ichthyos”, tra i primi cristiani era usata come un anagramma, poiché le sue cinque lettere erano anche l’abbreviazione della frase: Iesous Christos Theou Yios Soter (Gesù Cristo Figlio di Dio, Salvatore). La figura aveva, oltretutto, un significato mistico, perché come i pesci, anche i cristiani erano “nati nelle acque”.
Si trattava, dunque, di uno dei primi simboli creati per rappresentare la realtà della fede e della vita cristiana. Infatti, ogni solida istituzione che si forma o acquista una personalità propria, ha fra le sue prime principali preoccupazioni, quella di realizzare simboli che la caratterizzino e la distinguano dalle altre. (Simboli e blasoni della Chiesa Documenti della storia della nostra fede / Carlos Toniolo)
Immaginate dunque l’energia capace di scaturire da quella semplice incisione. Era un simbolo di appartenenza ad un credo, dalla forza tale da riuscire in poco tempo ad affermarsi in tutto il mondo.
Un altro esempio: il Tau di San Francesco.
Tau é una lettera ( la T ), presente in tutti gli antichi alfabeti e linguaggi, l’unica presente sia nell’antico ebraico sia nell’antico greco, oltre che nell’aramaico, nel latino, ed in generale in tutte le lingue semitiche ed indoeuropee.
…per i primi movimenti cristiani rappresentava la croce, infatti, é anche chiamata la croce patibolata perché la vera croce di supplizio dei fenici e poi dei romani aveva questa forma, e non la forma della croce cattolica odierna, detta croce latina, la quale é stata trasformata con l’aggiunta dell’ansa superiore per l’esigenza dei primi iconografi cristiani, che non sapevano dove riprodurre la scritta INRI – menzionata dai vangeli canonici nel racconto della crocifissione di Gesù il Cristo…
(Origini Storiche ed Esoteriche dell’Antigua Tau / Angelo Lucani)
(nella foto: Croce del Tau di San Francesco – Santuario di Fonte Colombo).
Questo simbolo, adottato dal Santo di Assisi, partendo dal Medioevo è riuscito a portare fino ad oggi il suo messaggio e, tutt’ora, con una semplice “lettera”, si riesce ad evocare per intero il messaggio francescano.
E’ possibile individuare particolari periodi e personaggi storici cui imputare un uso metodico di simboli simili a quelli disegnati sulla cassa?
Nel periodo delle crociate, i paladini della cristianità partirono per la conquista della Terra Santa, pronti a cacciare gli infedeli. Ad una iniziale fase positiva di successi sfolgoranti che portarono alla conquista di Gerusalemme, seguì un periodo meno favorevole; difendere il santo sepolcro non si rivelò cosa facile. Gruppi di monaci armati si riunirono in ordini cavallereschi pronti alla strenua difesa delle loro posizioni nella Terra dell’Oltremare. Con il passar degli anni, i cavalieri di Cristo entrarono in contatto con le tradizioni dei popoli soggiogati e la cultura occidentale non poté non farsi influenzare da quella orientale. E’ proprio in questo periodo che anche nell’arte figurativa e nell’ingegneria, naquero nuovi generi in cui fu data grossa rilevanza al simbolismo esoterico. Ad esempio la chiesa di San Bevignate di Perugia, documentatamente di origine templare, riporta incisi nelle sue pietre simboli simili a quelli che troviamo nella cassapanca.
All’inizio del XIII secolo fu l’impero di Federico II di Svevia quello capace di dimostrarsi più aperto e disponibile a suggellare una tregua con l’islam, grazie ai suoi rapporti di reciproco rispetto con il sultano di allora.
Sotto la sua ala protettiva operò anche Frate Elia, l’ideatore della Basilica di San Francesco che, dopo la scomunica papale, affiancò definitivamente l’imperatore come fidato consigliere ed architetto.
Molte costruzioni che a diverso titolo hanno a che fare con questi due personaggi presentano spesso decorazioni di stampo esoterico ed escatologico.
Un esempio? L’Abbazia di Casamari a Veroli nel frusinate.
Protetta da Federico II, Casamari riuscì a controllare 18 abbazie filiali, costituendo per circa duecento anni un centro di potere politico e religioso di notevole importanza. Il complesso, ben conservato, è un capolavoro di architettura cistercense…
…in uno dei capitelli del chiostro, tra le foglie marmoree, la presenza di tre teste scolpite che rappresentano altrettanti distinti personaggi.
Il primo da sinistra, con la corona, è Federico II di Svevia, colui che fece costruire quello splendido monumento esoterico che è Castel Del Monte, ad Andria (BA).
Federico II non era particolarmente indulgente con la Chiesa, ma per i frati Cistercensi fece una eccezione: forse per il loro stretto rapporto con i Templari? Nella seconda immagine vediamo raffigurato a sinistra il cancelliere dell’imperatore, Pier delle Vigne…
…com’è possibile che un personaggio così scomodo, sospettato e poi accusato di eresia, frequentasse così benevolmente i frati Cistercensi, che lo onorarono addirittura rappresentandolo in una scultura?
Il terzo personaggio, invece, è un enigma. La sua figura barbuta ricorda quella di un altro famoso personaggio, che fu anch’esso ospite nell’abbazia per circa un anno, il predicatore Gioacchino da Fiore (1130-1202). Altri vi vedono semplicemente il ritratto di un frate…
Guardando attentamente sul muretto che circonda il chiostro, è possibile notare in un punto un graffito rappresentante il noto simbolo del Fiore della Vita.(http://www.angolohermes.com)
Esistono in Assisi sepolture in cui sono stati ritrovati simboli esoterico-escatologici che possono fare “il paio” con quelli della cassapanca?
Nel 1818 alla scoperta della tomba di San Francesco, sotto l’altare maggiore della Basilica Inferiore, insieme ai resti del corpo, fu ritrovata una certa quantità di oggetti usati per il cerimoniale della tumulazione.
Sembra che proprio Frate Elia abbia posizionato di proposito intorno al corpo di Francesco ogni singolo oggetto, utilizzando l’alfabeto celeste, la lingua degli Dei:
La Pietra Bianca con la striscia rossa…è la colonna vertebrale del mondo, l’albero del mondo e l’albero della vita nello stesso tempo. La striscia rossa indica il sentiero e la direzione, ma anche l’asse del sistema che ruota intorno la mondo e al corpo vitale di ogni essere umano, il cui asse viene identificato nella colonna spinale, che, nel microcosmo, dentro di noi, è il tunnel spazio-temporale attraverso il quale il grande trasferimento può avvenire…
Il filo di fieno…allo sguardo attonito del primo operaio, che ebbe la ventura di aprire il sarcofago, gli sembrò di scorgere al lume di candela uno “spillo rilucente”, posto sotto il piede destro.
Una volta scoperto trattarsi di un semplice “pezzettino di culmo” parte del gambo di una spiga di grano, caduto – secondo i periti – per caso tra i piedi del Santo, venne – a quanto si racconta – buttato via, negando che invece fosse stato posto “deliberatamente” da Frate Elia in fondo ai piedi accanto all’anello e al pezzo di ferro…
Il pezzo di ferro…nessuno si è preoccupato di conservarlo e di controllare se su una o su entrambe “le facce” di questo metallo vi fosse qualche segno o simbolo particolare, come in questi numerosi oggetti della stessa epoca, ritrovati durante scavi archeologici in alcune tombe di maestri comacini.
(Significato dei tre oggetti posti ai piedi di San Francesco / avv. Giovanni Salvati)
…12 monete, lo stesso numero dei 12 acini d’ambra ritrovati insieme ai 17 chicchi d’ebano, che formavano una coroncina, ma dai resoconti non si sa quale fosse la ripartizione di questi 29 grani e quale significato simbolico avesse voluto darle frate Elia. Per quanto riguarda la coroncina sorprende che non si sia mai ricercata l’effettiva disposizione dei 29 grani e quale fosse lo scopo e l’effettivo utilizzo? Potrebbe essere un piccolo rosario o un Kimbalion islamico, che normalmente ha 33 grani e non 29.
Dai resoconti dell’epoca risulta che il giorno della tumulazione si effettuò una cerimonia privata, dai contorni cupi, all’interno della chiesa con Elia e i suoi fedeli collaboratori.
…sembra abbiano seguito l’esempio dei sacerdoti egiziani, predisponendo un locale, in cui avevano riposto “un sarcofago”, che avrebbe accolto, come avveniva appunto per i faraoni, il corpo del Santo, camuffandone l’accesso. Alla tomba si poteva accedere attraverso un cunicolo segreto, dove la salma sarebbe rimasta nascosta e preservata per oltre 600 anni, come è avvenuto per la Tomba del Faraone Sethi I…
(Il mistero della tomba di San Francesco / Knighttemplar)
Perché di punto in bianco le clarisse decisero di abbattere la chiesa di San Giorgio, luogo che accolse le spoglie della consorella Santa Chiara e del fondatore del loro ordine San Francesco, scomodando persino il Papa dell’epoca?
Il monastero si stava ampliando e probabilmente la posizione di quella chiesa non era delle più adatte, ma non sembra spiegabile il motivo per cui al tempo non si riuscì a trovare una soluzione migliore alla demolizione di un luogo così importante per la storia delle clarisse.
Come mai la fattura della serratura della cassa del protomonastero non ha ugual riscontro nelle decorazioni del contenitore stesso, le quali sono di qualità inferiore e persino parzialmente incomplete?
La realizzazione delle due decorazioni furono fatte sicuramente in due tempi diversi e i disegni sulla superficie del contenitore vennero eseguiti pochissimo tempo prima che la cassa accogliesse la sua salma. Probabilmente il poveretto è morto prima del previsto o la decisione di apporre quei simboli è stata fatta all’ultimo minuto.
Nel corso della storia altre volte si è avuto a che fare con sepolture affrettate. Cito solo l’esempio più famoso. Intorno al 1350 a.C. la morte improvvisa dell’allora faraone Tutankhamon mise in difficoltà il sacerdote reale Ay.
Il regnante assoluto dell’Egitto era morto giovane senza eredi e c’era poco tempo per prendere qualsiasi decisione. Da lì a qualche giorno la notizia sarebbe giunta al capitano dell’esercito Horemheb, impegnato in una campagna militare, che con buona probabilità si sarebbe precipitato al capezzale del defunto per pretendere il trono. Così in poco tempo Ay fece completare la tomba per il faraone, avendo cura di apporre riferimenti che conducessero a lui come successore, e organizzò un frettoloso funerale allo scopo di proclamarsi lui stesso faraone prima dell’arrivo dell’avversario politico.
Nel 1922 Howard Carter, scoprendo la tomba intatta, ci racconta delle suppellettile riposte alla rinfusa, dei dipinti murari della cerimonia di tumulazione con Ay in bella vista ancora sporchi di schizzi di vernice non ripulita e il corpo del faraone non ben conservato a causa della frettolosa mummificazione.
Questo è però un caso limite in cui c’era necessità per Ay di affermare la legittimazione del suo diritto a governare prima che qualcun altro lo rivendicasse.
Perché il coperchio della cassa di San Francesco è conservato in un museo mentre il contenitore delle spoglie è andato perduto?
C’è un motivo puramente estetico per cui tale coperchio è stato rifilato e c’è stata apposta una cornice?
Il dipinto di San Francesco conservato al museo della Porziuncola è, come affermò l’archeologo e commissario pontificio alle antichità del 1820 Carlo Fea, parte del coperchio della cassa mortuaria del Santo e fu dipinto da Giunta Pisano o probabilmente addirittura di Cimabue.
(Foto: dipinto di S Francesco attribuito a Cimabue – foto Emanuele Legumi).
Non si riscontra un particolare motivo per cui la parte superiore del feretro sia stata scomposta da quella inferiore, parte di cui poi ci si sia disfatti. L’unico motivo adducibile è che quella sezione si sia nel tempo deteriorata o che essa sia risultata di “scarso pregio artistico”.
Come ha fatto la cassa a sparire nel nulla se Lodovico di Pietralunga ne parla come di una reliquia miracolosa meta di pellegrinaggi?
Ciò è a dir poco strano. Dal Medioevo in avanti ci fu un culto maniacale per le reliquie, capaci addirittura di scatenare vere e proprie guerre per la loro attribuzione. Il discorso vale a maggior ragione in questo caso in cui intorno all’oggetto in esame si narra avvenissero eventi miracolosi.
Esistono altri oggetti o luoghi francescani di cui si è persa memoria?
Tutte le biografie del Santo parlano di una grotta mistica in cui è avvenuta la conversione di Francesco da giovane ma a conti fatti tale luogo sembra essersi dissolto del nulla. Nessuno sa con precisione dove sia, nè approssimatamene la zona dove cercarlo.
Uno stesso alone di mistero cala sulla storia di Frate Elia, successore al comando dell’Ordine francescano dopo la morte di Francesco e ideatore della Basilica costruita in sua memoria ad Assisi. Di lui non si conosce praticamente niente.
Se non sappiamo tutto sul suo conto è possibile che San Francesco non ebbe, al tempo, l’attenzione e la visibilità che ha oggi. Forse qualcosa nei secoli si è persa solo perché poco rilevante per l’opinione pubblica?
L’attenzione per il Santo di Assisi, sia in vita sia subito dopo la morte, fu altissima, quasi maniacale. Si pensi solo che l’imponente costruzione della Basilica Inferiore a lui dedicata fu progettata e ultimata in soli due anni e alla successiva realizzazione della Superiore lavorarono artisti del calibro di Cimabue e Giotto.
Con il passaggio all’Età Moderna quest’interesse però scemò progressivamente.
Questo periodo di declino corrisponde anche ad una perdita di attrazione nei confronti della città di Assisi. Dal Medioevo in avanti, l’interesse per la patria nativa di Francesco è correlato intimamente a ciò il Santo suscita nell’opinione pubblica; tale attenzione cala notevolmente con la Controriforma e poi in seguito con il Barocco e l’Illuminismo.
Si considera San Francesco e il movimento religioso da lui fondato permeati di troppa medievalità per destare attrazione. Si punta il dito sulla corruzione e la decadenza della Chiesa di questo periodo buio, finendo per rifiutare tutto ciò che la riguarda, rivalutando invece il cristianesimo delle origini. I visitatori si fermano solo fugacemente nella città, il loro interesse è focalizzato alle vestigia romane e, in primo luogo, al tempio della Minerva, trascurando le architetture francescane e la struttura medievale di questo nucleo urbano.
Gli intellettuali del tempo la descrissero come una “città quasi rovinata per le fattioni et civili discordie. Onde più tosto par città colle mura che colla moltitudine di popolo” (Alberti, Leandro (2003) Descrittione di tutta Italia), ponendo in rilievo che la fertilità di questo territorio non viene adeguatamente sfruttata e l’economia è del tutto compromessa dalle continue liti e dai contrasti intestini tra potentati locali.
”A un tristo secolo ne seguitò altro peggiore, e al sonnecchiar del cinquecento riscosso non di rado da qualche resto di virtù successe il letargo profondo del secolo XVII. Popolo non v’era più nelle città nostre, sibbene patrizi fastosi per titoli vani, prepotenti per ricco censo non disgregabile, ma perpetuamente trasmesso intero ai primogeniti: molli, oziosi, ignorantissimi; plebe prostrata dalle miserie in volontaria abiezione e vilmente rassegnata a stupida sofferenza. Corrotte e corruttrici le lettere: e le arti ancorché promosse non meno che nell’età precedente e coltivate con amore da potentissimi ingegni, pur decadute anch’elle per matta e stemperata vaghezza di novità.” (Cristofani, Antonio (1959) Le storie di Assisi)
Ancor peggiori sono i giudizi espressi da viaggiatori settecenteschi. Il più noto di loro Johann Wolfgang Goethe, che la visita nel 1786, scrive: “con un forte vento salii ad Assisi, avendo voglia di fare una passeggiata a piedi attraverso quel mondo che mi appariva così appartato. Le enormi costruzioni della babelica sovrapposizione di chiese in cui riposa san Francesco le lasciai a sinistra con antipatia […]”.
(Turista ad Armenzano alla scoperta della storia / Emanuele Legumi)
Tutto cambiò nuovamente e repentinamente con il XIX secolo, dopo la scoperta della tomba di San Francesco, e Assisi torna nuovamente sotto l’attenzione del mondo intero.
Tante domande con risposte generiche e vaghe. Tutto ciò a che conclusione porta? Ognuno può dare la propria interpretazione, io propongo la mia non potendo esimermi da utilizzare qualche congettura.
San Francesco è gravemente malato. Tra le varie fazioni formate all’interno del suo Ordine, quella capeggiata da Frate Elia sembra assumere una posizione predominante, anche grazie all’appoggio politico dell’imperatore Federico II. Elia informato della malattia del suo amico provvede subito a mandare una scorta a prenderlo per riportarlo ad Assisi. Il corpo in fin di vita di Francesco è trasportato da Nocera Umbra fino alla Porziuncola percorrendo impervie strade di montagna, meno trafficate e che quindi potevano dare meno nell’occhio, per impedire a chiunque di opporsi al trasporto del frate. La salute di Francesco non era buona, perciò si era già provveduto a costruire per lui una cassa mortuaria completa di sua effige sul coperchio e finiture di pregio. La posizione di predominanza di Elia gli permette di far apporre sulla cassa, in quei giorni convulsi, icone riconducibili inconfutabilmente a lui, allo scopo di arrogarsi il diritto alla successione al comando prima che i suoi nemici politici e il Papa in primis si potesse opporre. Avrà cura poi di far scrivere nella prima biografia del Santo il riferimento al suo nome e al suo diritto al comando. Si occupa di scegliere il luogo, di progettare e di far realizzare da squadre di architetti filo-imperiali l’imponente chiesa in onore di San Francesco anche se, neanche a dirlo, non tutti sono d’accordo con l’opera. Il giorno della traslazione della salma nel luogo deputato all’eterno riposo del Santo, in barba a tutto il gota dell’epoca, chiude le porte della cripta sepolcrale ed effettua una cerimonia privata, dando addio alla sua maniera all’amico.
Si capisce che lo strapotere del discusso frate non può durare troppo a lungo e, dopo più tentativi di destituirlo, la scomunica di Federico II è l’occasione ideare per distruggerlo una volta per sempre.
Anche ad Elia spetta la stessa sorte dell’imperatore, è scomunicato, cacciato, defraudato e tutto quello che fa capo a lui viene occultato o distrutto.
Il feretro di San Francesco poteva subire la stessa sorte di tutto il resto se Santa Chiara, che le cronache ricordano come cara amica di Elia, non avesse espresso il desiderio di essere accolta alla sua morte nello stesso giaciglio di Francesco. Intanto ciò che si può fare è separare il coperchio dalla cassa con l’intenzione di fargli prendere una strada diversa.
Ora, il contenitore è doppiamente santo per le clarisse perché ha accolto le spoglie delle loro sorella, e non è proponibile l’idea di sbarazzarsene. Nel frattempo il pellegrinaggio attorno a questa reliquia attira l’attenzione anche di persone capaci di mal interpretare le incisione apposte sull’oggetto. Del resto abbattendo Elia non si sono annientate totalmente le sue idee. Infatti, gli artisti chiamati a terminare la grande Basilica, tra cui Giotto, anche dopo la destituzione del Frate, continuano ad utilizzare riferimenti esoterici e alchemici come se niente fosse cambiato. Il male minore è quello di far cessare questa transumanza umana verso il protomonastero facendo sparire definitivamente la memoria della cassa, abbattendo il luogo dove è conservata.
I secoli fanno poi il loro corso: l’attenzione per il Santo progressivamente scende, insieme al rancore per le prepotenze del Frate che gli successe, ma ormai la memoria dell’esistenza del feretro e degli altri oggetti facenti capo ad Elia, tra cui la famosa grotta citata poco sopra, si perde per sempre.
Un giorno per caso un frate vede in un sottoscala una strana cassapanca che lo incuriosisce…
(Emanuele Legumi)
www.ilsentierodiarmenzano.it
Si ringrazia il ricercatore Emanuele Legumi per aver concesso di ripubblicare integralmente il suo articolo e per le immagini che ci ha messo a disposizione..