Con questo articolo iniziamo una rubrica che ci accompagnerà per tutta la primavera e l’estate (e probabilmente anche oltre), intitolata “Puglia misteriosa” dedicata (lo intuisce) agli enigmi, curiosità e misteri della Puglia. La seguirà per noi Giancarlo Pavat che si recherà di persona presso monumenti o siti misteriosi (alcuni famosissimi, altri meno, altri ancora, del tutto sconosciuti al grande pubblico) realizzando report inediti. In molti casi Pavat ritornerà presso determinate località dopo esserci già stato molti anni fa. Sarà quindi una occasione unica per verificare lo stato del luoghi. La conservazione dei monumenti e manufatti, se ci sono state migliorie, se languono nel degrado (speriamo di no) e sono adeguatamente valorizzati e resi fruibili a tutti. Ed, ovviamente per fare il Punto sui misteri che li avvolgono. Si andrà da siti e monumenti preistorici, a quelli del Medio Evo e della Fede sino a inquietanti misteri ben più recenti. Ovviamente non sarà possibile occuparsi di tutti i siti e monumenti misteriosi di questa vasta e splendida regione, ma cercheremo di trattarne il più possibile.
Siete pronti? Cominciamo allora con gli enigmi del Dolmen de La Chianca a Bisceglie, in provincia di Bari.
“Il Dolmen de La Chianca – Bisceglie (BA) – foto G Pavat 2017”
GLI ENIGMI DEI MEGALITI:
IL DOLMEN DE LA CHIANCA A BISCEGLIE
di Giancarlo Pavat
Il termine “megalitico” deriva dalle parole greche “mègas” ovvero “grande” , e “lithos” che vuol dire “pietra”. Quindi letteralmente “grande pietra”. Sebbene lo studio dei misteri che circondano antiche costruzioni o monumenti eretti con grandi massi, negli ultimi anni abbia raggiunto un pubblico più vasto, come acutamente ricorda Massimo Centini nel suo libro “Il Megalitismo. Luoghi sacri e di potere“, Xenia 2004; i vocaboli “megalito e megalitico” non sono recenti. “Furono coniati nella prima metà del XVIII in Inghilterra, e adottati ufficialmente nel 1867 in occasione del Congresso Internazionale di antropologia ed archeologia di Parigi“.
Sono indicati come monumenti megalitici diverse tipologie di strutture che l’Uomo, sin dalla Notte dei Tempi, ha disseminato in lungo ed in largo per il pianeta. Vi possiamo annoverare i “Nuraghi” sardi, le grandiose muraglie e città andine o similari costruzioni, caratterizzate dall’utilizzo dell’architrave e della falsa volta, presenti a Baalbek in Libano, in Giappone, in Polinesia, nel subcontinente indiano e, ovviamente nel nostro Mediterraneo.
Rientrano, giustamente, tra i monumenti megalitici anche le straordinarie “Mura in opera poligonale” dette anche “Ciclopiche”, costituite da blocchi di pietra enormi e posti in opera senza utilizzo di malte, di molte città dell’Italia Centrale, in particolare del Basso Lazio. Alatri, Veroli, Ferentino, Arce, Arpino in provincia di Frosinone, ma pure Sezze, Norba, Circei in provincia di Latina o Segni in quella di Roma. Ma non vanno scordate le Mura di Monte Pallano in Abruzzo.
“Le mura ciclopiche della città di Norba (LT) – foto G Pavat 2010”.
I manufatti megalitici più celebri (sebbene più semplici) sono certamente i “Menhir” e i “Dolmen”.
La parola “Menhir” deriva dal Bretone (lingua celtica come il gaelico) “men”, ovvero “pietra”; e “hir”, “lunga”. Quindi significa letteralmente “Pietra lunga”. In italiano “Pietrafitta”. Infatti si tratta di monoliti di varie dimensioni (ma comunque quasi sempre notevoli) infissi nel terreno sia isolatamente che in serie di allineamenti (come a Carnac in Francia) o veri e propri “campi”. Grandioso è il campo di menhir e tumuli (alcuni ancora inviolati) di Greby, vicino alla città di Grebbestad, sulla costa svedese del Mare del Nord (poco a sud del confine con la Norvegia) che ho avuto modo di visitare e studiare personalmente nell’ottobre del 2011.
Giancarlo Pavat ed uno dei menhir più grandi del sito di Greby nella regione del Bohuslan in Svezia – foto Sonia Palombo 2011.
“Sonia Palombo ed alcune “porte” megalitiche del sito di Greby nella regione del Bohuslan in Svezia – foto G Pavat 2011”.
È ovvio vedere nei “menhir” i precursori dell’obelisco. Come è altrettanto ovvio interpretarli come raffigurazioni allegoriche falliche, pertanto legate a riti della fertilità e di rinascita. Per altri ricercatori rappresenterebbero addirittura i mitici Giganti, citati anche nell’Antico Testamento.
Secondo Massimo Centini “[…] gli archeologi sono propensi a individuare in queste strutture le più antiche opere d’arte aniconiche , in alcuni casi segnate d atracce di antropizzazione , come fori e incisioni rupestri”.
Il “Dolmen”, invece, sempre dal Bretone, significa “Tavola di pietra”. Ovvero “dalla parola “Dol”, “tavola” e, come si è già visto “men”, “pietra”. Ed infatti sembrano vere e proprie enormi tavole di pietre per banchetti di giganti. Non è un caso che molti monumenti megalitici sono stati associati a miti e leggende dei giganti.
È costituito da due o più grandi pietroni infissi verticalmente (ecco perché secondo molti il “Dolmen” è l’evoluzione del più semplice “menhir”) che sorreggono un ulteriore lastra lapidea (anch’essa di notevoli dimensioni) posta orizzontalmente. Si forma così una struttura simile ad una capanna In realtà questa struttura architettonica (che ha conquistato l’immaginario collettivo, ponendo i dolmen in contesti che non gli appartengono di certo, basti pensare alla letteratura “fantasy”) non è altro che ciò che rimane visibile di qualcosa di ben più complesso. Infatti i dolmen più arcaici sono costituiti da una “camera” circolare” (o rettangolare) preceduta da un “corridoio” (chiamato frequentemente, soprattutto i area mediterranea, “dromos”) di accesso. Il tutto ricoperto da un tumulo di terra o di pietre.
“Dolmen di Skegriedosen nella regione della Scania in Svezia – foto G Pavat 2011”.
Questi manufatti, nonostante determinate “certezze” proposte dall’”Archeologia ufficiale”, sono per certi versi ancora misteriosi. In Europa la diffusione maggiore di menhir e dolmen si ha nelle regioni costiere e sulle isole atlantiche. Dal Portogallo alla Spagna, dalla Francia alla Danimarca, alla Scandinavia e, ovviamente le Isole Britanniche. Questa area ha fatto sì che per secoli, si ritenessero questi manufatti megalitici come frutto della cultura dei Celti. In realtà, la stragrande maggioranza dei menhir, dolmen e tombe a tumulo ed altre strutture ad essi connesse, si trovano in territori con cui questo popolo non ha mai avuto nulla a che fare e inoltre sono molto più antiche. Quelle scandinave sono datate all’Età del Bronzo. Ma quelle britanniche o francesi (per non parlare di alcuni siti del Mediterraneo) risalgono addirittura al Neolitico.
Sebbene siano quasi sempre ritenuti sepolture o, almeno cenotafi, in pratica monumenti funebri in onore di qualche personaggio mitico (di cui, ovviamente, non esistono i resti), in realtà questi manufatti sono stai ben altro. E in molti casi le loro reali e primitive funzioni rimangono un grande punto interrogativo.
Parimenti ancora sconosciuta e misteriosa è l’origine di questa “cultura megalitica”. È germinata un po’ ovunque durante il passaggio dalla fase della caccia e raccolta a quella del sviluppo dell’agricoltura (come ritiene la stragrande maggioranza degli archeologi) oppure deriva da un unica evoluta Civiltà scomparsa, i cui sopravvissuti ed epigono sarebbero stati i primi innalzatori di simili monumenti al Cielo?
Ed infine, se per oltre 3.000 anni, migliaia di uomini in mezza Europa hanno lavorato per realizzare e innalzare questi giganti di pietra, come mai improvvisamente, si chiede l’archeologo Robert Wernick, attorno alla seconda metà del II Millennio a.C. (secolo più secolo meno) tutto ciò è finito?
Il dibattito è aperto e decisamente infuocato. Come tutti quelli, dopotutto, che riguardano le posizioni (non ho difficoltà a definirle veri e propri “dogmi”) dell’”Archeologia ufficiale” e le ipotesi dei cosiddetti “ricercatori di confine”.
Inoltre, non va dimenticato il fascino intrinseco del monumenti megalitici. Non solo per i contesti naturali in cui si trovano, per la loro imponenza, per l’aura di mistero che li avvolge, ma pure perché, spesso, vi è la lucida consapevolezza, che se davvero è esistita una Civiltà evolutissima e precedente alla nostra, cancellata dalla faccia della Terra, diciamo, 10.00 anni, di essa sopravvivrebbero soltanto le strutture realizzate in pietra.
Fatte queste rapide precisazioni, a guisa di prologo, dobbiamo ricordarci che noi in Italia non ci facciamo mancare nulla e che nel nostro Paese troviamo davvero di tutto in fatto di antichi monumenti e misteri. Sebbene i dolmen o menhir più celebri a livello mondiale siano certamente quelli con l’Union Jack o che cantano la “Marsigliese”; abbiamo anche noi dei veri e propri pezzi da novanta da schierare.
“Menhir” e “Dolmen” sono rintracciabili un po’ in tutta la nostra penisola; dall’arco alpino alle grandi isole. Molti di questi, purtroppo, non sono riconosciuti tali dal mondo accademico (si pensi all’annosa polemica sui “dolmen ciociari” di Collepardo e Alatri, studiati dal grande e indimenticato don Giuseppe Capone oppure sul sito megalitico calabrese di Nardodipace).
“Presunto Dolmen di Monte Peccia – foto tratta dal libro di don Giuseppe Capone “Collepardo” – 1994”
“Presunto Dolmen di Cesale a Collepardo (FR) – foto G Pavat 2011”.
I più famosi, però, sono quelli presenti in Puglia. Ce ne sono talmente tanti che rimane impresa improba elencarli tutti. Sono stati censiti circa 23 dolmen e almeno 79 menhir (ma il numero reale è certamente più alto).
Tra i dolmen pugliesi vanno ricordati nella provincia di Bari, quelli presenti nel comune di Bisceglie, come quello di Frisari (che prende il nome dal proprietario del terreno ed è situato sulla sponda sinistra della “lama dell’Aglio”, presso il confine con gli attuali territori di Molfetta e Ruvo di Puglia, non molto distante dalla “torre Navarrino di Molfetta), di Albarosa (visibile sulla direttrice Bisceglie-Corato); quelli del comune di Giovinazzo, ad esempio il “Dolmen di San Silvestro” (sulla provinciale per Terlizzi) e, infine, quelli del comune di Corato, come il celebre “Dolmen dei Paladini”.
“Dolmen de La Chianca a Bisceglie (BA) – foto G. Pavat 2017”
Mentre in provincia di Lecce si hanno quelli di Spongano (visibile nel fondo denominato “Piedi Grandi”, in contrada “Le More”), oppure quello di Meledugno. O ancora il “Dolmen di Scusi” a Minervino. Non meno noto è quello di Cisternino, non distante da Fasano (BR). Per non parlare dei tantissimi “menhir” o “pietrefitte” come quelli di Sammichele di Bari (che reca incise su un lato una croce e sull’altro un ostensorio, evidente tentativo della Chiesa di “convertire”, “cristianizzare”, un culto o una devozione locale nei confronti d quelle pietre) o di Canne o di Otranto
Ma quello che certamente può vantare la palma del più conosciuto e meglio conservato (non solo della Puglia ma di tutta Italia) è indubbiamente il “Dolmen de La Chianca” a Bisceglie (BA).
“Giancarlo Pavat davanti al Dolmen de La Chianca – foto G. Pavat 2017”
“Dolmen de La Chianca a Bisceglie (BA) – foto G. Pavat 2017”
È questo il monumento megalitico che cercheremo di conoscere meglio in questo articolo. Anche se non è l’unico in un area tutto sommato decisamente ristretta. Infatti a qualche centinaia di metri dal Dolmen de La Chianca si trova quello dei “Frisari” e quello di “Albarosa”. Mentre a poco più di 3,5 chilometri di distanza, ma nel territorio comunale di Corato, si può vedere il già citato Dolmen dei Paladini.
Ma torniamo a quello de La Chianca. Un manufatto al quale sono legato anche da motivi affettivi. Tornarci alla fine dell’aprile del 2017 è stato emozionante, in quanto l’avevo visto la prima volta ben 27 anni fa.
Era un caldo e abbacinate pomeriggio di un giorno del luglio 1990. Ero in vacanza a Metaponto, sulla costa ionica della Basilicata, assieme a mio fratello Luca e ad altri amici ed amiche. E un giorno si decise di fare un giro alla scoperta (o riscoperta) dei monumenti più significativi ed enigmatici della vicina Puglia. E ovviamente non potevano mancare i dolmen e di menhir preistorici di cui avevo letto e sentito parlare. Ma quel pomeriggio non fu affatto facile trovarlo. Immersi nel paesaggio senza fine di ulivi e muretti a secco. Nonostante una cartina dei siti archeologici del mensile “Archeo” (all’epoca non c’erano ovviamente, né cellulari con navigatori GPS, né altre diavolerie tecnologiche odierne), per ore girammo invano su polverose strade bianche con la mia Fiat “Uno CS”, finché il fortuito incontro con una macchina di ragazzi romani, anche loro alla ricerca dei megaliti, ci permise di ottenere l’indicazione esatta per arrivare al Dolmen de La Chianca.
Oggi invece è decisamente più facile poterlo visitare. Per chi arriva in Puglia percorrendo l’autostrada A14 (Bologna-Taranto), conviene uscire al casello di Trani (se si arriva da Nord) o di Molfetta (se si giunge da Sud). Ci si immette nella SS 16 che si percorre sino a Bisceglie. L’uscita dalla SS 16 è quella per “Bisceglie-centro”. Qui si prende la strada in direzione di Corato; si percorrono circa 3 chilometri, finché si vede sulla sinistra un cartello che indica , appunto, il sito del ,dolmen. Si percorre la strada asfaltata per circa 1 chilometro , sino ad un ampia piazzola per parcheggiare l’autovettura. Un grande cartello illustra l’importanza del monumento. Si imbocca un comodo sentiero tra gli ulivi e dopo circa 500 metri, ci si torva, finalmente, davanti al manufatto megalitico.
Posso dire con tranquillità che, almeno in questo caso, il tempo trascorso (27 anni) da quando l’avevo visto la prima volta, è servito a rendere il monumento megalitico più fruibile e, credo, maggiormente tutelato.
Il Dolmen venne scoperto nel 1909 da gli archeologi M. Gervasio, A. Mosso e F. Samarelli. Ovviamente, ciò che è sopravvissuto e che possiamo ammirare è solo una parte dell’arcaico monumento. È formato da un ambiente (“cella”) grossomodo quadrangolare avente una altezza massima (al centro) di poco meno di due metri. Questa “cella” è costituita da tre enormi lastroni posti in opera verticalmente (due formano le pareti laterali, uno quella di fondo) direttamente sulla roccia viva. Su questi tre megaliti poggia un quarto gigantesco lastrone che forma la copertura. Questo monolite misura 3,85 metri x 2,40. Il lastrone di sinistra presenta due aperture. Servivano per far colare all’interno il sangue delle vittime sacrificali o per far uscire l’anima dei defunti ivi inumati?
“Giancarlo Pavat davanti al Dolmen de La Chianca – foto G. Pavat 2017”
“Dolmen de La Chianca a Bisceglie (BA) – foto G. Pavat 2017”
Ma l’ambiente che gli archeologi chiamano “cella” è solo una parte del complesso megalitico de La Chianca. Vi si accede, infatti tramite un “corridoio” (o “dromos”), oggi allo scoperto, lungo 7,60 metri delimitato da lastre verticali più piccole. Tra “cella” e “dromos” il complesso e lungo poco meno di 10 metri; 9,70 per la precisione.
Il cartello esplicativo posto all’ingresso del sito “Patrimonio dell’Unesco”, spiega che il “Dolmen” è stato datato all’Età del Bronzo, tra i 1.800 e 1.400 anni prima di Cristo. Nella “cella” furono individuati scheletri di adulti e bambini posti alla rinfusa (la tomba era stata già violata chissà quanto tempo prima) assieme a resti di ossa di animali bruciate (forse ciò che rimaneva di una agape funebre), frammenti vascolari, piccoli coltelli di ossidiana e di selce. Anche nel “dromos” vennero trovati resti di inumazioni ma pure qualcosa di (forse) ben più inquietante. Gli archeologi, infatti, identificarono i resti di un focolare con altre ossa animali combuste assieme però a frammenti di crani umani!! Si è congetturato che il fuoco sia stato acceso per cerimoniali legati ai riti funebri, ma ovviamente impossibile definirne la natura. La presenza di tracce di ossido su alcuni resti umani ha fatto supporre che ci fossero oggetti metallici, forse ornamenti. Forse un vero e proprio corredo funerario costituito inoltre da un dischetto di osso forato, una falera bronzea e alcuni vaghi d’ambra. Se si pensa che l’ambra, una resina fossile prodotta da foreste di conifere preistoriche di circa quaranta milioni di anni fa. L’ambra è presente in diverse parti del pianeta ma quella più pregiata e famosa proviene dalle sabbiose coste del Mar Baltico. Ciò dimostra che gli antichi abitanti della Puglia dell’Età del Bronzo avevano contatti e commerciavano con culture dell’Europa settentrionale, che, tra l’altro, proprio in quel periodo godeva di un optimum climatico, ovvero un clima molto più favorevole di quello attuale.
“Dolmen de La Chianca a Bisceglie (BA) – foto G. Pavat 2017”
Alla luce di tutto ciò non sembrerebbero esserci dubbi sulla funzione funeraria del “Dolmen de La Chianca”. Ma non è detto che uno scopo debba per forza escluderne altri. Intanto sappiamo poco o nulla sulla cultura che l’avrebbe realizzato. Coloro che seppellirono i propri defunti ne furono anche i costruttori (e da qui deriva la datazione all’Età del Bronzo del manufatto, basata sui reperti ritrovati nella “cella” e nel “dromos”. Altrimenti sarebbe impossibile datare la pietra) , oppure , come spesso si è verificato nella storia umana, semplicemente riutilizzarono qualcosa di già presente in situ e quindi più antico?
Per prima cosa di deve sapere che il complesso costituito da “cella” e “dromos” è orientato lungo l’asse Est-Ovest. E questo fa presupporre che in determinati periodo dell’anno il sole nascente illuminasse alcuni punti particolari dell’interno del monumento. Proprio come succede nel grandioso monumento megalitico di Newgrange in Irlanda, ove durante il Solstizio d’Inverno la luce filtra attraverso il corridoio di accesso, illuminando la parte posteriore interna, altrimenti al buio durante tutto il resto dell’anno.
Sul libro “Guida ai luoghi misteriosi d’Italia” del grande Umberto Cordier (Piemme 2002), leggiamo alcune delle risultanza degli studi di carattere archeoastronomico condotti dal ricercatore Giuliano Romano; “Le misure d’orientamento hanno fornito i seguenti dati:l’azimut della parete posteriore è A = 19°,4 con uno scarto quadratico medio (errore di misura) di 1°, mentre quello dell’asse del viale d’entrata A = 112°,0 con uno scarto dello stesso ordine (1°,4). […] l’azimut del viale d’entrata alla latitudine del luogo e per la presunta epoca della sua costruzione (circa il .1500 a.C.) , corrisponde al punto di levata della Luna quando essa ha una declinazione D = –E +i [dove E = 23°27’ (obliquità dell’eclittica ), i =5°9’ (inclinazione dell’orbita lunare)]”.
Ma l’Archeoastronomia è stata ancora tirata in ballo anche relativamente al posizionamento del “Dolmen de La Chianca” e degli altri monumenti simili sul territorio pugliese. In pratica sendo diversi studiosi , questio manufatti disegnavano sul terrneo alcune costellazioni. Proprio come si è ipotizzato (tra i primi a farlo fu il dottor Giorgio Copiz di Frosinone) per le città con le “Mura Ciclopiche” del Basso Lazio. Purtroppo il fatto che molti dei dolmen (e di altri monumenti megalitici) sia stata distrutta, non consente di verificare tale teoria.
Ma non è finita. La stragrande maggioranza dei dolmen si trova lungo le cosiddette “lame”, ovvero dei solchi erosivi in cui confluivano le acque. Ad esempio proprio il “Dolmen de La Chianca” e quello di “San Silvestro” a Corato sono situati in posizioni prospicienti la medesima “lama”, quella di “Santa Croce”. Si trattava forse di una forma di marcatura del territorio o entrano in gioco altre conoscenze che hanno a che fare con le energie telluriche? Le ricerche continuano e non è detto che a breve si abbiano clamorose novità.
Quando il 27 aprile di quest’anno, assieme agli amici e colleghi Alfonso, Domenico e Gabriele, ho avuto modo di visitare il “Dolmen de La Chianca”, l’ho fatto nel tardo pomeriggio e durante il tramonto. L’atmosfera era davvero particolare e suggestiva e a questa si è sommata, almeno per il sottoscritto, l’emozione di rivederlo dopo tanto tempo. In ogni caso, con qualsiasi stato d’animo ci si approcci, la magia del sito del “Dolmen de La Chianca” rimane immutata. E voglio sperare che continui ad esserlo ancora per molto molto tempo.
(Giancarlo Pavat)
“Da sinistra: Alfonso, Gabriele, Domenico e Giancarlo al tramonto davanti al Dolmen de La Chianca a Bisceglie (BA) – foto G. Pavat 2017”
“Dolmen de La Chianca, in primo piano il “Dromos” – foto Alfonso La Croce”
“Alfonso La Croce, Giancarlo Pavat, Gabriele Aristodemo e Domenico Marrazzo davanti al Dolmen – foto A. La Croce”
“Dolmen la Chianca – foto Alfonso La Croce”
Nota: Se non altrimenti specificato, le foto sono tutte di Giancarlo Pavat.