Immagine di apertura; Oliviero Volterri, padre nell’autore di questo articolo è una bacchetta da rabdomante ciociaro.
I “misteri” delle percezioni al di là dei cinque sensi: Radiestesia, Rabdomanzia e dintorni…
di Roberto Volterri
d’ammirazione omai, poi dietro ai sensi…
(Dante, Paradiso, II, v. 56)
Dove si parla di un piccolo messale, di una chiave, della Radiestesia e di altre strane cose ancora…
Tutto, ma proprio tutto, iniziò una domenica pomeriggio di un incerto mese dell’Anno del Signore 1957.
Molti decenni fa, in una strana domenica pomeriggio di un mese che non ricordo – ma doveva essere un mese invernale, poiché ho viva l’immagine delle finestre chiuse e dei vetri appannati… – mio padre Oliviero diverte e incuriosisce chi scrive, mia madre (mai abituatasi del tutto, però, a ben altre casalinghe esibizioni di “fachirismo indiano”, o meglio “africano”…) e mia sorella Olivia, forse ancora troppo piccola per venire particolarmente colpita da… un piccolo messale che, apparentemente, si muove “da solo”.
Presa una comune chiave, tratta da una delle porte dell’appartamento in cui vivevamo, mio padre la pone all’interno del piccolo libro – mi pare ad una pagina da lui ben scelta.
Forse all’Angelus, ma sono certissimo – soprattutto ora – nel considerare quest’ultimo elemento del tutto ininfluente! – e racchiude il tutto con un piccolo nastro rosso, in modo che dal messale fuoriesca solo l’impugnatura, definiamola così, della chiave stessa.
Poi io e lui, con le punte dei nostri rispettivi indici, teniamo in bilico lo strano aggeggio.
Mio padre, allora, mi chiede di formulare alcune domande alle quali avrei voluto avere risposta (ma non ne ricordo nessuna) e con mio grande stupore vedo che il messale ruota in un senso o nell’altro a seconda che la risposta alla domanda, per me, debba essere affermativa o negativa.
2. Immagine sopra; Ricostruzione del curioso dispositivo con cui il dottor Roberto Volterri iniziò – nel lontano 1957 – la sua avventura nel mondo dei “misteri”. In effetti è una sorta di strano pendolo radiestesico, ovvero un sistema in condizioni di equilibrio instabile e soggetto quindi ad ogni minima influenza esterna da parte dell’operatore. Il quale non dovrebbe mai, coscientemente, agire sul “pendolo”
Qualche tempo dopo, a Gallicano nel Lazio, a qualche decina di chilometri da Roma – dove i miei zii, Nives e Totò Belli, possedevano un bello, grande e antico casale di campagna con un vasto uliveto ai confini del quale c’era un bosco nel cui sottosuolo scorreva un’esigua vena acquifera sfociante, da qualche parte, in un piccolo ruscello – ho modo di vedere per la prima volta in azione un rabdomante: ancora una volta, mio padre.
Tagliata la solita forcella dal solito alberello di nocciuolo, egli la tiene tra le mani nella classica posizione, con i palmi rivolti verso l’alto.
Passeggiando lungo il bosco, ad un tratto – immagino quando passa sulla vena d’acqua sottostante – la bacchetta, improvvisamente e con una certa violenza, si torce verso il basso.
Grande è la mia sorpresa, anche se mio padre mi ha accennato a ciò che, forse, avrei visto. Ovviamente voglio provare anch’io: nulla di fatto.
La bacchetta rimane immobile nelle mie mani anche se passo e ripasso sul preciso punto in cui, un minuto prima, si era quasi contorta nelle mani di mio padre.
La cosa che mi è rimasta particolarmente impressa, e che ancora oggi non trova definitiva spiegazione, è che nel momento in cui mio padre stringe molto leggermente i miei polsi, la bacchetta – tenuta dalle mie mani – si torce di nuovo verso il basso…
3. Immagine sopra; La bacchetta dei rabdomanti deve essere impugnata così
Normale reazione da parte mia alla pressione esercitata sui miei polsi?
Reazione che avrebbe causata un’involontaria contrazione dei muscoli del mio avambraccio e conseguente rotazione della forcella?
L’episodio potrebbe trovare in questa ipotesi una più che valida spiegazione, ma qualche dubbio mi rimane ancora quando ricordo che la bacchetta – nella stessa circostanza – girava nelle mani di mia sorella Olivia, di alcuni anni più giovane. Senza interventi esterni…
4. Immagine sopra; il professor Volterri nelle vesti di un rabdomante? A San Felice Circeo è visitabile, almeno dall’esterno, il cosiddetto « Pozzo del rospo idolatrato », ovvero uno strano ipogeo artificiale realizzato con innumerevoli pietre incastrate tra loro. Il diametro alla base è di circa 12 metri e l’altezza è di circa 7 metri. Poiché non se ne conosce bene l’uso fattone in antico, non appare affatto disdicevole effettuare una discreta sperimentazione con l’aiuto della bacchetta rabdomantica, del pendolo radiestesico o ricorrendo alla cosiddetta e vituperata “archeologia psichica”.
5. Immagine sopra; L’autore dell’articolo molti anni fa – nel classico “laboratorio in cantina” – ma anche molto dopo essersi incuriosito sui molti “misteri” che ci circondano.
6. Immagine sopra; Molti anni più tardi la ricerca, in ambito universitario, si raffinò moltissimo…
Dopo decenni di personali studi, di sperimentazioni da me eseguite, di molti libri e articoli che ho pubblicato sulle più affascinanti tematiche del vastissimo mondo della Percezione Extrasensoriale, oltre che di studi e ricerche molto più… “di stretta osservanza” in ambito universitario – mi è appena un po’ più chiaro che quel curioso dispositivo costituito dal piccolo messale e dalla chiave in esso inserita – o anche dalla tradizionale bacchetta di nocciuolo – non è altro che un semplice sistema meccanico posto in condizioni di equilibrio molto instabile e che basta una pur minima oscillazione o movimento delle dita per far ruotare in un senso o nell’altro l’improvvisato pendolo radiestesico.
Pendolo o bacchetta che, però, si muovono fornendo risultati attendibili solo in presenza di un operatore effettivamente dotato di una pur minima apertura dei cosiddetti “canali occulti della mente”.
Forse gli esseri umani a volte fungono sul serio come una particolare, stranissima, “antenna elettrica”. Chissà…
Ma a dieci anni – poco più o poco meno – nulla sapevo di Rabdomanzia, di Radiestesia, di strane bacchette, di pendoli, di ESP, di yoga, ipnosi e di mille altre diavolerie di cui si era occupato per anni mio padre in gioventù e, soprattutto, durante la sua permanenza in certe regioni dell’Africa (Kenya, Uganda, Tanganika), in alcune delle quali aveva dato prova delle sue doti di rabdomante trovando falde acquifere per gli inglesi.
Nulla sapevo, è vero, ma molto, da quel giorno, da quella lontanissima domenica pomeriggio ho voluto sapere e imparare riguardo agli aspetti meno noti della Conoscenza. Ne è nata quasi una seconda professione che ha generato – forse con notevole disappunto da parte di molti detrattori di tali tematiche.
Ma questo, a me, ben poco importa… – centinaia di articoli e, come dicevo, almeno una cinquantina di libri dedicati dapprima proprio all’ESP (Extra Sensory Perception), poi a ricerche di carattere storico e archeologico ma viste sempre da un’angolazione non convenzionale, a volte quasi in “odor di eresia”. Ma anche quest’ultimo punto, a chi scrive, importa ancora meno.
Questo articolo vorrebbe essere dunque un personale omaggio alla memoria di mio padre Oliviero che, senza volerlo, ha accresciuto almeno di una unità il numero delle persone che non si accontentano di percepire solo in un’ottica molto, troppo razionale la realtà che ci circonda ma che cercano di percorrere, oltre alla strada maestra, anche sentieri laterali – a volte eccessivamente tortuosi – che potrebbero però portare ad osservare il panorama della Conoscenza da un punto di vista forse non “più alto” ma almeno “diverso”.
Ed ora, dopo qualche nostalgico ricordo di un tempo che fu, passiamo senza indugi alla descrizione degli strumenti, antichi e moderni, delle modalità operative, degli appoggi psicologici che servirebbero d’aiuto a radiestesisti e rabdomanti per mettere in luce quelle latenti facoltà che, ritengo, dovrebbero venire studiate più a fondo dal punto di vista della psico-fisiologia e della psicologia tout-court per scoprire, se esiste, il reale apporto dovuto a bacchette, pendoli ecc. nella ricerca dell’Invisibile, a volte anche dal punto di vista archeologico.
7. Immagine sopra; L’ingegnere russo Alexander Pluhnikov che negli Anni Settanta del XX secolo si è dedicato a lungo alla ricerca archeologica mediante tecniche non convenzionali.
8. Immagine sopra; copertina del libro del professor Roberto Volterri che tratta proprio le tematiche di questo articolo.
9. Immagine sopra; Oliviero Volterri, padre dell’autore di questo articolo – a sinistra della foto nella copertina – si dedicò per molti anni ad esperienze nel campo delle più svariate discipline di frontiera, dall’ipnosi allo yoga, alla Rabdomanzia utilizzata, in Africa, per la ricerca di falde acquifere.
La ricerca rabdomantica: dall’antichità ai giorni nostri
“Il vino vecchio e il mosto tolgono il senno al mio popolo. Esso consulta un pezzo di legno e si fa predire l’avvenire da una bacchetta. Perché lo spirito di fornicazione li ha istupiditi”.
(Osea, 4-12.).
Così, evidentemente affranto, si esprime il biblico profeta Osea, nell’VIII secolo a.C., a proposito dell’uso di un dispositivo costituito da una sorta di bacchetta rabdomantica utilizzata per prevedere eventi futuri. Ma non è questo il solo episodio veterotestamentario in cui è possibile trovare riferimenti ad un inconsueto – in verità non molto affine alle tecniche descritte in questo Capitolo – metodo atto ad oggettivare possibili, latenti facoltà psichiche ancora ben poco conosciute.
Terra d’Israele. VI secolo a.C.
Il profeta Ezechiele narra infatti che Nabuccodonosor, re di Babilonia, incerto se attaccare con il suo esercito la città di Gerusalemme o quella di Rabbah consulta i suoi indovini, i quali ricorrono all’antica tecnica della belomanzia, consistente nel lanciare delle frecce verso il cielo e desumere quale decisione prendere in base a come tali aste lignee si conficcano nel terreno.
Così Nabuccodonosor, anche con l’ausilio di altre mantiche quali l’epatomanzia e l’uso dei tephilim, si indirizza verso Gerusalemme e da tale scelta, per lui poi rivelatasi vincente, ha inizio la tragica cattività babilonese che al popolo ebraico costa circa mezzo secolo di angosciosa prigionia.
Terra di Cina. 2205 a.C.
L’imperatore Ta Yü, approfondisce le tecniche per ispezionare il terreno alla ricerca delle acque sotterranee. In un bassorilievo della dinastia Han, egli viene raffigurato con uno strano strumento più simile, in verità, ad una sorta di diapason che a una forcella rabdomantica, dato che le punte della forcella non sono tenute in mano dall’imperatore ma sono rivolte in avanti. L’iscrizione sottostante il bassorilievo recita:
«Yü, della dinastia Hsia, fu maestro nelle scienze della terra e in ciò che riguarda le vene d’acqua e le fonti; egli conosceva bene il principio Yin e, se richiesto, costruiva dighe ».
10. Immagine sopra; Cos’era lo strano strumento simile ad una forcella rabdomantica impugnata al contrario dall’imperatore Ta Yü? Un diverso tipo divirga divinatoria? Una sorta di diapasonante litteram, in grado di vibrare nelle mani dell’imperatore quando passava su una vena d’acqua? Lo stato di conservazione del bassorilievo non consente di essere più precisi.
Terra di Grecia. V secolo a.C.
Erodoto, il padre della Storia, descrive come tra il popolo degli Sciti sia molto diffusa la pratica dell’uso di una bacchetta rabdomantica tratta dall’albero del salice.
Analogo uso di tale pianta lo fa, nel IV secolo d.C., lo storico Ammiano Marcellino relativamente all’impiego di una biforcuta bacchetta tra gli Alani e tra gli Illiri. San Girolamo descrive invece l’uso di una forcella tratta dal mirto, arbusto che produce piccole bacche di colore bluastro.
Nocciolo, salice o mirto… per me pari sono avrebbero cantato nel “Rigoletto” di verdiana memoria, poiché chi scrive è dell’opinione che non sia affatto la natura del materiale costituente la bacchetta rabdomantica ad influire sull’attendibilità dei risultati ma che essi dipendano unicamente dallo « stato d’animo » – definizione, lo capiamo benissimo, ben poco scientifica!– dell’operatore, del « sensitivo ». Se questi lo è veramente! Ma non finisce qui. Anzi, siamo appena all’inizio…
Terra d’Egitto.
Città del Cairo. XII secolo d.C.
Il rabbino Mosè Maimonide così commenta le astuzie di Pitone, il demone tutelare del centro oracolare greco di Delfi, santuario presso cui mostrava le sue doti divinatorie una «sensitiva» – appunto la Pitonessa – verosimilmente entrando in una sorta di stato alterato di coscienza dovuto all’emanazione , dal sottosuolo, di alcuni gas (etilene, radon?): «Ve n’è una che consiste nell’offrire un certo profumo tenendo in una mano una bacchetta di legno e pronunciando certe parole. Chi tiene la bacchetta si ranicchia come se volesse consultare qualcuno sotto terra, il quale risponde a voce così bassa che si possono udire le risposte solo nella propria mente, senza percepire nulla distintamente» .
La bacchetta di legno e le parole magiche pronunciate dal consultante erano forse un metodo per entrare in quella particolare condizione di spirito tale da far attivare i «canali occulti della mente» e fargli percepire le informazioni provenienti dal sottosuolo?
Terra di Francia. Primi decenni del XVI secolo d.C.
Il ben noto manuale di magie varie intitolato “Le Dragon Rouge ou l’Art de commander les esprits” e gran parte delle sue successive edizioni forniscono precise istruzioni su come tagliare la biforcuta bacchetta da un albero di nocciuolo:
La sera prima della grande impresa dovete trovare
una bacchetta o verga di nocciuolo selvatico che non
sia mai stata toccata e che è precisamente simile a
quella illustrata, detta bacchetta biforcuta… Dovete
togliere tutte le foglie e i ramoscelli, se ne ha, con
una lama d’acciaio che è stata usata per tagliare la gola a un animale sacrificale
“Animale sacrificale” e altre raccomandate magie a parte, il libro riporta anche l’illustrazione di come avrebbe dovuto essere la bacchetta.
11. Immagine sopra; Sul celebre trattato di magia popolare intitolato “Le Dragon Rouge ou l’Art de commander les esprits” ,pubblicato nel 1521, veniva così illustrata la bacchetta biforcuta tratta da un albero di nocciuolo. Doveva servire a compiere vari « prodigi », tra cui quello di trovare falde acquifere e tesori nascosti.
É indubbiamente la classica virga divinatoria che nel tempo subirà ben poche variazioni, almeno nella versione lignea. Ne subirà invece moltissime nella versione metallica, soprattutto quando alla ricerca rabdomantica si cercherà di unire le conoscenze derivanti dalla fisica e soprattutto dalle leggi governanti l’elettromagnetismo.
Tre secoli prima del “Dragon Rouge”, ad onor del vero, della bacchetta rabdomantica aveva parlato il monaco Basilio Valentino il quale descrive almeno sei diversi tipi di bacchette divinatorie atte soprattutto alla localizzazione di metalli.
Ma vediamo cosa successe in tempi a noi più vicini…
L’ingegnere minerario e futuro trentunesimo presidente degli Stati Uniti d’America, Herbert C. Hoover, insieme alla moglie Lou Henry, traducono in inglese una misconosciuta opera del medico tedesco Georg Bauer – operante nella cittadina tedesca di Joachimsthal – che i posteri conosceranno come Agricola.
Il testo, che verrà poi pubblicato, nel 1912, sul “The Mining Magazine” si intitola “De re metallica”.
Frutto di anni e anni di ricerche bibliografiche riguardo alla possibilità di individuare sorgenti sotterranee d’acqua e di lunghi periodi di pratica sperimentazione insieme ad un esperto di miniere, tale Lorenz Berman, il libro è in effetti ricchissimo di spunti, di indizi che potevano portare quegli antichi ricercatori all’individuazione di vene metalliche e acquifere sotterranee sia osservando come durante alcune gelate l’erba sovrastante « anomali » strati del terreno non venisse ricoperte dal ghiaccio poiché «riscaldata» dalle vene stesse, sia ricorrendo all’uso di virgae divinatoriae realizzate con semplici forcelle di nocciuolo tenute in mano da chi, verosimilmente, possedeva innate, anche se embrionali, facoltà ESP.
Pochissimi anni dopo l’uscita del suo trattato, Agricola ha modo di arricchirsi divenendo comproprietario di un appezzamento di terreno dove – forse per caso, forse grazie alla sua bacchetta – era affiorata una vena argentifera estremamente consistente.
12. Immagine sopra; Xilografia pubblicata sul “De re metallica” (1521) di Agricola, ove sono descritte con chiarezza alcune fasi della ricerca rabdomantica tramite bacchette biforcute ottenute, forse, tagliando parzialmente a metà un comune ramo di piccola sezione.
Agricola, nel suo trattato, precisa che molti rabdomanti impegnati nella ricerca di vene metalliche sotterranee usano bacchette di nocciuolo per l’argento, di frassino per il rame, di pino rosso per il piombo e lo stagno e
«…vagano qua e là a caso per regioni montane: si dice che nel momento stesso in cui posano il piede su di una vena, la bacchetta si piega e si torce e con i suoi movimenti rivela la vena stessa; quando essi tolgono il piede e si allontanano dal luogo, la bacchetta torna ancora immobile…».
Come ho avuto modo di sottolineare e come avrò occasione di evidenziare ancora molte volte, è mia opinione che non ci sia correlazione alcuna tra il tipo di legno usato, tra la forma della bacchetta e i risultati conseguibili con la ricerca rabdomantica.
Il parere di chi scrive è che tali risultati dipendano unicamente dal soggetto, dall’operatore il quale percepirebbe inconsciamente alcune infinitesimali variazioni di taluni parametri fisici nell’area circostante, ad esempio, la vena acquifera sotterranea e reagirebbe, sempre inconsciamente – come inconsciamente si hanno i «brividi di freddo» passando da un ambiente ad un altro a temperatura apprezzabilmente più bassa – stringendo maggiormente le estremità della bacchetta e causandone così una moderata torsione. Uscendo dall’area in cui le ipotizzate variazioni di alcuni parametri fisici ambientali (campo magnetico terrestre? Temperatura locale?
Emissioni acustiche di debolissima intensità, forse a frequenza infrasonica, dovute allo scorrere dell’acqua?) cessano, cesserebbero anche le inconsce reazioni del soggetto e di conseguenza la torsione della forcella.
Se l’ipotesi è valida, si evince facilmente come poco possa influenzare la buona riuscita dell’esperimento l’impiegare frassino, nocciuolo o pino rosso a seconda dell’obiettivo della ricerca.
Sarebbe come essere convinti di dover usare un telefonino cellulare di colore rosso per parlare con un amico, di colore blu per conversare con la propria fidanzata e di colore giallo per trattare di affari con il direttore di banca. Ne trarrebbero vantaggio, forse, gli aspetti coreografici, ma i risultati finali sarebbero indiscutibilmente gli stessi!
La « Perfida Albione », Athanasius Kircher e… il Demonio
Nel 1531 Elisabetta I sale al trono d’Inghilterra. La giovanissima regina si accorge ben presto che le innovazioni tecnologiche, le scoperte, le idee originali sorte con la nascita del periodo rinascimentale stanno lasciando solo evanescenti tracce nei territori della “Perfida Albione”.
Soprattutto soffre di tutto ciò la produzione metallurgica destinata alla costruzione di armi, cannoni in bronzo – lega di rame e zinco – in modo particolare.
Il segretario della regina, Sir William Cecil, fa allora venire dalla Germania alcuni esperti di arte mineraria, capeggiati da tale Marcus Steinberger.
Gli esperti tedeschi stipulano però un contratto in cui si stabilisce che al termine delle loro ricerche tutta l’attrezzatura utilizzata dovrà tornare in patria, compresi certi strani attrezzi della cosiddetta «arte della batteria», ovvero della metallurgia.
Si trattava forse delle bacchette rabdomantiche?
Forse i notevoli successi dei minatori tedeschi dipendevano, oltre che dalla loro indiscutibile esperienza sul campo, anche dall’uso di metodologie irrazionali ma che producevano sicuri risultati?
Non lo sappiamo con certezza, ma possiamo immaginare che alla conoscenza del mestiere e delle caratteristiche del terreno dovesse aggiungersi anche qualche aiuto esterno, consistente nell’impiego di magiche verghe tagliate «…con una lama d’acciaio che è stata usata per tagliare la gola a un animale sacrificale…».
Comunque siano andate le cose, le dispute sulla Rabdomanzia dilagano e sorgono schiere di esperti, o sedicenti tali, su come trarre dalla virga divinatoria precisi responsi sulla presenza o meno, nel sottosuolo, di vene metallifere, di acqua e di… tesori.
Così tale Ralph Eglin, più noto tra i suoi contemporanei con l’egittizzante nome d’arte di Percis Heliopolis, teorizza sull’esatto modo di impugnare la bacchetta rabdomantica, mentre a lui si unisce ben presto il gesuita padre Bernard Caesius il quale, nel 1636, disserta a lungo sulle possibili cause che condurrebbero al movimento dello strano strumento.
Poteva il dottissimo tuttologo dell’epoca Athanasius Kircher (1602-1680), anch’egli gesuita, astenersi dall’indagare sull’inquietante fenomeno?
Certamente no e così quasi mezzo secolo delle sue ricerche – su quasi tutti i campi dell’umano scibile – vengono dedicate a quella che egli ribattezza prontamente virga metalloscopica, tentando evidentemente di eliminare dal problema ogni sfaccettatura di natura misticheggiante o magica.
Così, dopo aver descritti nel suo trattato Mundus Subterraneus (Amsterdam, 1665) alcuni suoi esperimenti:
“Ho preso una bacchetta da quegli alberi che si crede abbiano
attrazione magnetica per i vari metalli; poi ho fatto un ago
(non come un ago di bussola) con due legni differenti, l’uno
con affinità per il metallo, mentre l’altro era un tipo qualsiasi
di legno secco: Unendoli… ottenni un solo pezzo tenuto insieme
da una sorta di cappuccio a punta. Tenni poi i due bastoni uniti
in perfetto equilibrio sulla punta di un bastone verticale.
Fatto questo, se volete sperimentare il potere di movimento, andate in
un punto sopra una vena con questo strumento e quella metà
dell’asta che ha affinità con quel metallo dovrebbe
necessariamente inclinarsi se piena di forza motrice…»
Kircher, molto scientificamente e serenamente conclude che:
“…Nessuna ragione può essere data perché una bacchetta a due rami,
saldamente tenuta a ogni ramo escludendo ogni considerazione
di carattere magico, possa sperimentare un così grande e impetuoso
movimento da parte dei vapori metallici da esserne inclinata verso il basso.”
13. Immagine sopra; Un altro curioso esperimento ideato dal gesuita Athanasius Kircher nel tentativo di spiegare razionalmente – in base alle cognizioni di fisica dell’epoca – i movimenti di una strana bacchetta composta da legno e sale, posta sopra un recipiente contenente una soluzione salina in ebollizione. (daMundus Subterraneus, Amsterdam 1665).
Tra gli scettici ad oltranza, i razionalisti di stretta osservanza e gli irriducibili sostenitori dei «vapori metallici» si insinua addirittura… il Demonio!
Un altro gesuita, padre Gaspar Schott, il quale aveva imparato da Kircher l’uso della virga metalloscopica, ha infatti a scrivere:
“…Alcuni pretendono che la bacchetta di nocciuolo si
muova per effetto di un’immaginazione alterata: altri
più severamente decidono senz’altro che il fenomeno sia
un giuoco di mano eseguito da un abile truffatore che fa
muovere la bacchetta. Altri ancora non hanno esitato
a dire che il fenomeno sia almeno collegato a un implicito
patto con il demonio; per questo mi hanno ammonito di
non usare questa bacchetta senza avere rinunciato previamente
a un tale patto e senza aver fissato previamente cera benedetta
agli estremi della bacchetta stessa e pronunciato esorcismi
quando si muoveva nelle mie mani.»
Però, dopo aver affrontato più lucidamente e onestamente la ricerca, egli si ravvede e pubblica, nel terzo volume della sua ponderosa opera “La magia della natura e dell’arte, o scienza occulta delle cose naturali e artificiali il Thaumaturgus Physicus” in cui appoggia senza riserve le ricerche effettuabili tramite la bacchetta rabdomantica.
Allo studio delle possibilità offerte dal nuovo e strano strumento di indagine si applicano, nel 1658, anche due fisici dell’Università di Wittenberg, Johann Sperling e Jacob Klein, con conclusioni che tendono ad un moderato scetticismo, mentre a risultati più vicini ad concreto possibilismo giunge tale John Pretorius, dell’Università di Lipsia, seguito da uno studioso dell’Università di Jena, Matthias Willenius che però tentò di ricorrere addirittura ad estremamente improbabili… influenze planetarie.
Un passo decisivo verso un razionale studio dei fenomeni rabdomantici lo si deve al libro di Balthazar Rössler intitolato “Specchio della metallurgia” (1725), in cui l’autore afferma senza rèmora alcuna che «… la rabdomanzia opera provenendo dalla natura dell’uomo, per quanto alcuni vorrebbero attribuirla alle bacchette».
Seguono gli studi del chimico Johann Rudolph Glauber e di Robert Fludd e del celebre fisico Robert Boyle, fondatore del Collegio invisibile ovvero di quella prestigiosa, attuale istituzione che è la Royal Society.
In un prossimo articolo incontreremo alcuni tra i più celebri Rabdomanti del passato…
Per i lettori incuriositi da questi “misteri” e desiderassero approfondire l’argomento descritto in queste pagine:
A.R.I.S. – Associazione Radioestesisti Italiani e Sourciers
Telefono: +39 3663736116 ; +39 3384897046
Sito web: https://www.arisradioestesia.com
Email: infoarisradioestesia@gmail.com
oppure:
Società Italiana Radionica e Radiestesia
Via Pierluigi Nervi 64
00063 Campagnano di Roma (RM)
info@radionica.it
previdi.alessandra@gmail.com
+39 338 8648127
(Roberto Volterri)
Bello!!! Ma come fate a scrivere tanto?
Daniela