I pionieri delle “eretiche” ricerche sulle percezioni al di là dei cinque sensi; di Roberto Volterri.

Immagine di apertura; la vecchia “Bacchetta Rabdomantica”, ha subito una curiosa “evoluzione tecnologica”: due leggere bacchette metalliche, di solito di Alluminio, dovrebbero orientarsi diversamente – convergendo o divergendo – a seconda di ciò che l’operatore – a parere di chi scrive, la vera “antenna” del sistema – percepisce passando sopra una sorgente di acqua. E non solo…
  

I pionieri delle “eretiche” ricerche sulle  percezioni al di là dei cinque sensi

 

di Roberto Volterri

 

 

l’essalazion de l’acqua e de la terra

                      (Dante, Purgatorio, XXVIII, v. 98)

 

 

Il più celebre rabdomante: Jacques Aymar

 

Lione. 5 luglio 1692.

Un misterioso duplice omicidio di un vinaio e di sua moglie, commesso, forse a scopo di rapina, a colpi di mannaia, mette a soqquadro la città.

Impauriti dalla brutalità del gesto, i cittadini fanno pressione sulla polizia affinché nelle indagini faccia intervenire un ricco agricoltore della regione del Delfinato, ben noto per la sua abilità di rintracciare cose o persone mediante una curiosa bacchetta biforcuta.

Così Jacques Aymar Vernay parte dal natio villaggio di Saint Marcellin e si reca nella cantina in cui è avvenuto il cruento episodio.

Qui, munito soltanto di una forcella di nocciuolo, egli passeggia in maniera più che agitata sul pavimento del locale, muto testimone dell’omicidio.

Suda, si agita, mormora parole sconnesse soprattutto quando passa ripetutamente sui punti in cui erano stati rinvenuti i due cadaveri.

Poi, inaspettatamente, egli esce dall’angusto locale e, seguito dai poliziotti, si avvia di fretta verso il vicino fiume Rodano. Egli si ferma solo quando giunge davanti all’abitazione di un giardiniere…

Poi, ben deciso, Aymar entra e pone sotto ai suoi piedi una bottiglia di vino, ormai vuota, trovata su un tavolo intorno a cui ci sono tre sedie.

Una volta avvicinata la sua virga divinatoria alla bottiglia e alle sedie, i gendarmi vedono, con sommo loro stupore, che essa si piega violentemente verso il basso, a conferma che i quattro oggetti avevano qualcosa a che vedere con il barbaro duplice omicidio.

Interrogati i figli del giardiniere, i gendarmi vedono confermate le affermazioni di Aymar riguardo ad una breve, forzata sosta di tre individui in quella casa, lasciata momentaneamente incustodita dai figli del proprietario.

Sosta durante la quale i tre si erano rifocillati brevemente bevendo il vino contenuto nella bottiglia…

Aymar prosegue poi, sempre seguito dai gendarmi, verso la cittadina di Beaucaire dove il rabdomante si dirige senza indugi verso la locale prigione e chiede di fare allineare lungo una parete tutti i detenuti: la bacchetta viene posta davanti a ciascun individuo, ma solo quando Aymar passa davanti ad un ladro zoppo, arrestato poco prima per furto, la virga divinatoria si inclina violentemente verso terra.

Messo alle strette, dopo aver inutilmente tentato di negare ogni suo coinvolgimento nell’omicidio, il detenuto infine ammette di aver fornito collaborazione ai due veri assassini, poi dallo stesso Aymar rintracciati nel porto di Tolone, purtroppo quando già si erano imbarcati per Genova.

 

2. Immagine sopra; Jacques Aymar, forse il più celebre tra i rabdomanti del passato.
        3. Immagine sopra; Il libro La Phisique Occulte, di Pierre de  Lorrain, abate di Vallemont, numismatico e fisico dilettante. Il libro contribuì moltissimo al diffondersi della pratica rabdomantica nella società parigina e portò alle stelle la celebrità di Aymar.

Dopo una lunga serie di successi come quello relativo ai fatti di Lione, la celebrità di Aymar è alle stelle ma viene messo duramente alla prova il 3 settembre 1692 dal medico Pierre Garnier il quale – in relazione ai contributi forniti dal rabdomante nel rintracciare colpevoli di efferati delitti – elabora una sua teoria in base alla quale ipotetici corpuscoli contenuti nel sudore esalato dagli assassini nel momento stesso dei delitti sarebbe diverso da quello secreto in circostanze più normali.

Tali corpuscoli, secondo Garnier, percepiti da Aymar olfattivamente o attraverso l’epidermide, avrebbero interagito con il suo sistema nervoso, ponendolo in uno stato di agitazione che avrebbe contribuito ad accrescere le contrazioni muscolari degli avambracci causando così il movimento verso il basso della bacchetta rabdomantica.

Forse inconsapevole di essersi avvicinato – a parere di chi scrive, “corpuscoli sudoriferi” a parte! – ad una possibile soluzione del problema, il dottor Garnier pubblica una lunga, dotta relazione di oltre cento pagine dal chilometrico titolo, “Trattato filosofico in forma di lettera al Signor de Sève, Signore di Flechères, nel quale viene provato che le straordinarie facoltà con cui Jacques Aymar, con una bacchetta divinatoria, inseguì assassini e ladri, scoprì acqua e argento sepolti, ristabilì confini, ecc., dipendevano solo da comunissime cause naturali”.

L’ipotesi degli inesistenti “corpuscoli sudoriferi” è immediatamente sostenuta a spada tratta anche da un altro affermato medico, il dottor Pierre Chauvin, il quale non è da meno nell’elaborare un altro testo con un titolo che vorrebbe fare concorrenza al primo, “Lettera alla Signora Marchesa di Senozan sui mezzi per scoprire i complici di un assassinio commesso a Lione il 5 luglio 1692″.

L’argomento evidente appassiona anche la gente comune poiché sul Mercure Galant, diffusissimo settimanale francese, fin dal 1693 iniziano a comparire molte osservazioni di lettori sostenitori o detrattori della Rabdomanzia e delle elaborate teorie avanzate per spiegare i movimenti della bacchetta.

Sempre nel 1693 Pierre de Lorrain, abate di Vallemont dà alle stampe il suo trattato “La Phisique Occulte ou Tratté de la Baguette Divinatoire” in cui ipotizza ancora una volta che la cosiddetta facoltà rabdomantica è insita nelle caratteristiche psico-fisiche dei soggetti e che la bacchetta non è altro che un dispositivo meccanico atto ad amplificare, evidenziandole, inconsce contrazioni delle mani del rabdomante.

Siamo alla fine del XVII secolo e la Rabdomanzia sembra dilagare in Francia ed iniziano rapidamente ad apparire manuali ad uso popolare come quello di tale Jacob Rod, intitolato “L’arte di trovare tesori, sorgenti, confini, metalli, miniere e altre cose nascoste con l’uso della bacchetta a forcella”, libro a cui fa immediatamente eco – c’era da aspettarselo! – quello di padre Pierre Lebrun, contrario a tali pratiche… demoniache, intitolato “Storia critica delle pratiche superstiziose che hanno sedotto persone comuni e imbarazzati sapienti”. 

Si giunge addirittura a mettere all’”Index Librorum Proibitorum” il già citato “La Phisique Occulte” dell’abate de Vallemont.

È il 26 ottobre del 1701 e ciò sembra decretare la fine di tali “superstiziose” attività.

Ma non è assolutamente così e il secolo successivo ne è piena testimonianza

4. Immagine sopra; L’Indice dei Libri Proibiti in cui “precipitarono” anche testi sulla Rabdomanzia e dintorni…

Un anno prima della messa all’Indice di alcuni testi sulla Rabdomanzia, tale Gottfried Zeidler pubblica un curioso libro dal titolo “Pantomysterium”, ossia notizie dell’anno concernenti la bacchetta rabdomantica come strumento universale di conoscenza nascosta all’uomo, mentre poco dopo appare un libro di Theophil Albinus con un titolo che avrebbe fatto invidia alla regista Lina Wertmüller,Il mito della bacchetta rabdomantica spiegato, ossia completo esame di ciò che gli è capitato storicamente, se è fisicamente fondato sulla natura e secondo quali regole dovrebbe essere usato: per amore della verità e come avvertimento contro la leggerezza”, che vede la luce nella città di Dresda.

Poi, nel 1713 accade un episodio che se fosse stato interpretato nella giusta luce avrebbe contribuito notevolmente ad una razionale – razionale nei limiti del possibile, s’intende! – comprensione dei veri meccanismi d’azione che intervengono durante la ricerca rabdomantica (o anche radiestesica).

Tale Hans Wolff, infatti, mette alle corde i suoi detrattori localizzando varie vene metallifere senza l’aiuto di qualsiasi bacchetta ma solo stendendo il braccio destro davanti a sé, braccio che appare scosso da violenti sussulti solo quando Wolff passa sopra un giacimento minerario contenente metalli.

Poiché esercita il mestiere di minatore gli viene obiettato che tali sussulti dovrebbero essere all’ordine del giorno ed impedirgli di lavorare dato che le vene metallifere, in miniera, lo circondano quasi integralmente.

Wolff risponde che gli è necessario « orientare » i suoi pensieri  per individuare la vena metallifera e se egli non si predispone mentalmente in tal modo, la presenza di metalli in miniera non gli provoca alcuna reazione.

È la classica «prova provata» che, come andiamo sostenendo qua e là in questo libro, la bacchetta serve soltanto ad amplificare impercettibili, involontarie contrazioni dei muscoli degli avambracci e delle mani del rabdomante quando questi, « orientati » i propri pensieri verso l’oggetto della ricerca – sia esso l’acqua, sia esso costituito da metalli o da qualsiasi altro obiettivo – entra in un particolare, lievissimo stato alterato di coscienza, quasi una leggera trance (ricordiamoci di come agiva Aymar nella cantina ove era avvenuto il duplice omicidio!) in cui, se egli ne possiede, prendono vita quelle latenti facoltà psichiche che utilizzerebbero i cosiddetti “canali occulti della mente” – la Percezione Extrasensoriale, l’ESP insomma – che tanti problemi creano ad alcuni nostrani “Comitati” e anche, purtroppo, a chi li studia seriamente da tempo…

Sarebbe estremamente interessante seguire passo passo, veramente fino ai nostri giorni gli studi, i dibattiti, le ricerche più o meno scientifiche sulla Rabdomanzia, ma tutto ciò esulerebbe dagli obiettivi che mi sono prefissato nello scrivere questo articolo.

Nelle prossime pagine procederemo pertanto un po’ più velocemente, saltando decenni di esperimenti e indagini con l’uso della virga divinatoria, mentre in un prossimo futuro vedremo l’utilizzo dei cosiddetti “testimoni” per meglio orientare – avrebbe detto l’Hans Wolff che abbiamo appena lasciato – i pensieri dello sperimentatore sul vero oggetto delle ricerche di reperti e tracce di natura archeologica.

 

Il “Secolo dei Lumi”, l’ottocentesca elettricità, il magnetismo…

 

Accennerei pertanto, e molto fugacemente, agli esperimenti di Lady Milbanke, suocera del famoso poeta Lord Byron, la quale si avvicina alla Rabdomanzia dopo aver ascoltato una sorta di leggenda ben diffusa nella Francia meridionale, in cui si narrava di un bambino che veniva regolarmente colto da forti dolori e convulsioni di pianto ogni volta che passava sopra un sotterraneo corso d’acqua.

Ci affacciamo appena ad osservare gli esperimenti del medico Pierre Thouvenel il quale, nel 1780, studia a lungo un giovane di nome Barthelemy Bléton in grado di trovare falde acquifere anche a notevole profondità grazie agli sgradevoli effetti che esse producono sul suo corpo e usando (ma servivano realmente?) curiose bacchette rabdomantiche che esamineremo più in dettaglio tra poche pagine.

 Si sa, con l’elettricità si cerca – o meglio si è cercato – di spiegare tutto o quasi.

Così anche il nostro Thouvenel, insieme ad un altro giovanissimo ma più che affermato collega, il dottor Nicolas Jadelot, cosparge il povero Bléton con una sua strana e non meglio identificata «composizione magnetica da poco elettrificata ».

Eh sì, perché sono questi i tempi in cui imperversa il medico viennese Franz Anton Mesmer (1734-1815) il quale, nella Parigi del bel mondo, cura gentili e facoltose dame con una sua curiosa vasca di legno, di grandi dimensioni, contenente acqua “magnetizzata”.

Gli studi sull’elettricità e il magnetismo fervono ma non se ne conoscono in dettaglio cause e possibili effetti.

Di conseguenza invocarne la presenza per spiegare tuta una serie di episodi curiosi, quasi ai limiti del “diabolico”, fa comodo e può dissipare molti dubbi sulla consistenza fenomenica di ciò che si sente narrare a proposito di strani individui muniti di ancor più strane, quasi “diaboliche”, forcelle biforcute che si aggirano per le campagne alla ricerca di acqua, metalli e… tesori nascosti.

Il dottor Thouvenel pensa bene, allora, di pubblicare, nel 1781, un ponderoso volume di oltre trecento pagine dal significativo titolo;

“Memoria fisica e medica che dimostra l’evidente legame tra i fenomeni della bacchetta rabdomantica, il magnetismo e l’elettricità”

Il rapido diffondersi di questo studio sulla Rabdomanzia conduce presto ad una lunga, estenuante serie di prove alle quali viene sottoposto il povero Barthelemy Bléton.

Da tali esperimenti, sui quali dà giudizi aspramente negativi il celebre astronomo Joseph Jerôme de Lalande (1732 – 1807), Thoevenel esce deluso e amareggiato per l’ostilità e la scarsa obiettività mostrata dalle varie commissioni scientifiche istituite per cercare di spiegare tutta la fenomenologia rabdomantica.

In particolare – per un’infinita serie di motivi che è sempre utilemi il ricordarlo! – l’ultima e definitiva parola sulle illusioni e i raggiri di cui sarebbe stato vittima il medico francese la fornisce proprio il famosissimo astronomo Lalande il quale, però, nel 1782, un po’ troppo affrettatamente e categoricamente, sul Journal de Paris del 23 maggio 1782  ha appena  affermato che:

“È talmente da tempo, Signori, che parlate di battelli volanti e di bastoni girevoli, che si potrebbe persino pensare o che voi credete a queste follie, o che gli esperti che collaborano al vostro giornale non sanno che dire per confutare idee così assurde. Permettetemi dunque, Signori, che colmi questa lacuna ed occupi qualche riga del vostro giornale per assicurare i lettori che se gli esperti tacciono è soltanto per sprezzo.

È stato dimostrato come assolutamente impossibile che un uomo riesca a sollevarsi o a sostenersi in aria: Monsieur Coulomb, dell’Académie des Sciences, già più di un anno fa, durante una seduta ha letto una memoria nella quale dimostra, calcolando le forze dell’uomo, stabilite dall’esperienza, che occorrerebbero ali larghe da dodici a quindicimila piedi, mosse a una velocità di tre piedi al secondo: solo un ignorante compirebbe un simile tentativo.”

Ma il grande astronomo Lalande – ben noto per avere redatto un diffusissimo catalogo delle posizioni delle stelle più luminose e al quale una stella è stata addirittura dedicata, appunto la Lalande 21185 – ha perfettamente ragione!

Gli “esperti tacciono soltanto per sprezzo” – soprattutto quando hanno esaurito le frecce al loro arco – e anche l’altrettanto grande fisico Monsieur Coulomb (1736 – 1806) – ha ancor più ragione!

Solo un ignorante” – e qui, colpito dall’ingiusto epiteto, il povero Leonardo da Vinci si sarà senza ombra di dubbio rivoltato nell’avello… – tenterebbe di volare con incredibilmente grandi ali posticce.”

Peccato che sia al grande Lalande sia all’altrettanto grande Monsieur Coulomb sia venuta meno – momentaneamente s’intende! – quel po’ di fantasia, di lungimiranza, di fiducia nelle umane capacità necessarie a fargli contemplare la “Luna”, come suol dirsi, anziché limitarsi ad ammirare il “dito” del saggio che, invece, suggeriva di guardare… più in alto.

È, infatti, un vero peccato – per lui e per tanti suoi altrettanto affrettati imitatori, ovviamente! – che solo un anno più tardi, il 5 giugno 1783, nella cittadina francese di Annonay, i fratelli Montgolfier, infischiandosene delle illuminanti e dotte parole dei due scienziati, dimostrano invece che è possibile per l’uomo alzarsi da terra e sostenersi nell’aria con l’ausilio di quel coreografico dispositivo, mosso da aria calda, che da loro stessi prende il nome di mongolfiera e dà anche inizio all’era del volo umano. Mai dire mai, quindi…

          

5. Immagine sopra; Cittadina di Annonay. 5 giugno 1783. Etienne e Joseph de Montgolfier forniscono la prima, pubblica dimostrazione di come sia, al momento, vero ma costituisca atteggiamento eccessivamente pessimistico l’affermare che…
«È stato  dimostrato come assolutamente impossibile che un uomo riesca a sollevarsi o a sostenersi in aria», poiché essi fanno innalzare una grande e pesante sfera, foderata di tela e di carta, solo con l’aiuto di un po’ di… aria calda. È l’inizio dell’era del volo umano. Forse in vari campi della Scienza «ufficiale» bisognerebbe essere un po’ più cauti…

6. Immagine sopra; Il grande astronomo Lalande, aprioristicamente scettico sui fenomeni legati alla bacchetta rabdomantica.

 

A cavallo tra XVIII e XIX secolo, un notevole impulso alle ricerche rabdomantiche e radiestesiche lo fornisce l’abate Carlo Amoretti (1741 – 1816), conservatore della Biblioteca Ambrosiana di Milano, figlio d’arte potremmo dire poiché il padre aveva esercitato con notevoli successi la ricerca rabdomantica. Amoretti pubblica i risultati dei suoi studi in un ponderoso volume dal titoloDella Rabdomanzia ossia Elettrometrica animale”.

Amoretti sperimenta a lungo con tale Pennet, rabdomante della regione del Delfinato, e nota come nel momento in cui la bacchetta sembra prendere vita autonoma e si muove sopra le falde acquifere individuate dal sensitivo, questi accusa vari disturbi fisici, quali polso accelerato, eccessiva sudorazione, rialzo della temperatura corporea, dilatazione delle pupille e – cosa questa forse ancora più importante – contrazione di alcuni muscoli. In primis, crediamo, quelli dell’avambraccio.

Per gli studi effettuati a cavallo tra XIX e XX secolo, vorrei ricordare, sul tema elettricità/Rabdomanzia, il lavoro di Domenico Luigi Ferrari (1859 – 1925), intitolato “Contributo allo studio delle correnti elettro-organiche e di minima quantità e tensione”, il quale studia i fenomeni radiestesici e rabdomantici anche insieme al fratello Giuseppe, a sua volta autore di un pregevole volumetto,La verga girante” (Viterbo, 1942), opera in cui gran parte delle esperienze sono viste dal punto di vista fisico e ove si cerca di dare spiegazione agli anomali movimenti della bacchetta ipotizzando una sorta di interazione di natura elettrica con l’oggetto della ricerca.

A tali studi seguono quelli del dottor Agostino Pesce, di Genova, il quale ne scrive nel libroLa Bacchetta che fu divinatoria”, frutto anche di sue personali esprimenti, e quelli del professor Ernesto Mariani, il quale pubblica i risultati di alcuni suoi studi in un suo libro dal titoloGeologia generale e applicata all’Ingegneria” (Milano 1923).

Da allora ai nostri giorni innumerevoli studi ed esperienze sono state effettuate soprattutto con l’aiuto del pendolo – non riassumibili in queste pagine – e, almeno per quanto riguarda l’Italia, ulteriori informazioni sullo stato dell’arte e sulle possibilità di sperimentare è possibile averle contattando le Associazioni ai recapiti riportati nel precedente articolo.

Potrei andare avanti così per molte di pagine, elencando nomi di sperimentatori più o meno geniali o fortunati nel condurre le loro indagini, potrei descrivere i risultati più strabilianti che essi hanno conseguito, risultati spesso ai limiti dell’incredibile, ma tutto ciò potrebbe apparire solo una sterile rassegna di aneddoti del tutto ininfluenti ai fini del filo conduttore che cerca di animare questo articoli: indurre i lettori ad avviarsi verso una ricerca sulle possibilità che tecniche d’indagine molto, fin troppo, alternative potrebbero fornire agli usuali metodi di prospezione archeologica. Certamente non sostituendoli ma integrandoli ove essi dovessero seguire “sentieri” troppo razionali, in cui l’intuito del ricercatore unito ad una non sempre disdicevole “costruttiva fantasia” siano presenti solo in quantità… omeopatiche. La qual cosa spesso accade.

Mi limiterei così a ricordare, in chiusura di questo secondo articolo, solo un rabdomante che ha maggiormente suscitato viva curiosità in chi scrive: Alexander Pluzhnikov

 

Archeologia dell’Invisibile nella terra degli Zar.

 

Mosca. Palazzo Ostankinsky. Metà degli Anni Settanta del XX secolo.

Un ingegnere esperto di geologia delle acque, Alexander Alexandrovich, coinvolge nelle sue indagini volte alla ricerca della rete di drenaggio sotterraneo del Palazzo Ostankisnsky un suo giovane collega, laureato in ingegneria meccanica, Alexander Pluzhnikov da qualche tempo dedicatosi al restauro di monumenti di importanza storica.

Nel precedente articolo ne ho riportato una foto “nel pieno esercizio delle sue funzioni”.

Le loro ricerche, però, non procedono secondo la consueta ortodossia scientifica, secondo le tecniche in uso in campo idrogeologico.

No, esse sembrano avvalersi di strane bacchette che sarebbero state meglio in mano ad un rabdomante di campagna che a due stimati professionisti, avvezzi ad usare regolo calcolatore, equazioni e calcoli complicati per giungere alla soluzione dei problemi loro posti.

Eppure quelle curiose bacchette forniscono ai due indicazioni poi verificatesi più che precise, una volta eseguiti gli scavi necessari!

Pluzhnikov, successivamente, sempre più convinto che tali metodi alternativi avrebbero fornito un validissimo appoggio alla ricerca ortodossa, continua nella ricerca archeologica dell’Invisibile alla ricostruzione del campo di battaglia del villaggio di Borodino ove nel 1812 era avvenuto un sanguinosissimo scontro tra le truppe russe e l’esercito napoleonico. I documenti ufficiali forniscono solo indicazioni molto frammentarie sull’ubicazione delle fortificazioni e delle fosse comuni.

Non poco hanno, inoltre, contribuito a ingarbugliare la faccenda anche le successive, ripetute arature dei campi e la costruzione di strade di collegamento tra il villaggio e quelli circostanti.

7. Immagine sopra; L’ingegnere Alexander Alexandrovich, esperto di geologia delle acque, introdusse un suo giovane collega, Alexander Pluzhnikov, alla ricerca mediante due bacchette “rabdomantiche” metalliche.

Ma Pluzhnikov, con l’aiuto delle due sue bacchette metalliche riesce a fornire indicazioni molto utili, addirittura fino all’individuazione di molte bocche di lupo – ovvero buche scavate nel terreno per farvi cadere, azzoppandoli, i cavalli nemici – che da tempo si erano riempite di terra e detriti.

Scopre anche gli scheletri – tutti orientati nella direzione nord-sud – di una ventina di ufficiali francesi lì allineati in attesa di venire sepolti con i dovuti onori. Evidentemente non ce ne fu il tempo.

8. Immagine sopra; un rabdomante ciociaro in azione con la sua vecchia “Bacchetta Rabdomantica”. Nell’occasione a cui si riferisce la fotografia scattata da Giancarlo Pavat nella valle del fiume Amaseno, il rabdomante individuò una vena d’acqua aa circa 30 metri di profondità.
 

L’ingegnere russo si cimenta anche nel ricostruire, tramite la Rabdomanzia, le strutture ormai sepolte del monastero di Iosifo-Volokolamsky risalente alla metà del XV secolo e situato poco a nord di Mosca. Pluzhnikov si mostra così abile da individuare un lungo passaggio sotterraneo, fiancheggiato da una doppia fila di colonne tra le quali è rinvenuta la tomba di Lalayuta Skuratov, capo della polizia segreta russa ai tempi di Ivan il Terribile. Il rabdomante si impegna anche, con successo, in suggestive ricerche delle gallerie sotterranee della cittadina di Serpukov, gallerie scavate dai monaci locali per sfuggire alle invasioni delle orde mongole.

Molte altre sono state le scoperte di nel campo dell’archeologia dell’Invisibile, ma il narrarle esula troppo dagli scopi di queste pagine.

 

9. Immagine sopra; Il Monastero di Iosifo-Volokolamsky, risalente alla metà del XV secolo, situato poco a nord di Mosca.

Arrivati al termine del nostro e vostro viaggio nello strano e controverso mondo delle percezioni al di là dei cinque sensi” concluderei ricordando che i principi basilari in base ai quali Pluzhnikov tenta di spiegare le modalità di azione della tecnica rabdomantica applicata alla ricerca archeologica sono stati espressi nel suo quasi introvabile lavoro dal titolo “L’applicazione del metodo biofisico alla ricerca e al restauro di monumenti storici e architettonici”.

(Roberto Volterri)

 

– Se non altrimenti specificato, le immagini sono state fornite dall’autore.

 

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