Il bell’articolo dedicato agli Obelischi Egizi a Roma e nel Mondo pubblicato dall’amico ricercatore Giulio Coluzzi sul proprio sito “L’Angolo di Hermes”, che consigliamo vivamente di leggere, ci ha incuriosito a tal punto da spingerci a voler scoprire la storia di altri monumenti simili presenti in città o località italiane. Per questo motivo è con grande piacere che pubblichiamo un articolo inedito di Giancarlo Pavat dedicato a due Obelischi della sua città di origine: Trieste.
I SEGRETI DEGLI OBELISCHI DI TRIESTE
di Giancarlo Pavat
Sono in pochi a saperlo ma Trieste, nel suo Civico Museo di Storia e d’Arte (assieme all’Orto Lapidario è situato in piazza della Cattedrale), ospita una delle più importanti collezioni egizie d’Italia (dopo quelle di Torino, Bologna e Firenze) e la più importante in assoluto del Friuli – Venezia Giulia. La “Collezione civica di Egittologia”, ricca di oltre un migliaio di reperti donati quasi tutti nel XIX secolo ed agli inizi del XX secolo, da privati cittadini che ne erano entrati in possesso grazie all’intenso traffico mercantile del porto triestino, che all’epoca era il più importante del Mediterraneo ed uno dei più trafficati del Mondo.
La collezione prese vita e si arricchì sull’onda della vera e propria “moda” per l’Egitto e la sua civiltà che impazzava in Europa in quei decenni.
Tale “moda”, però, a Trieste non è attestata solo dalla collezione museale (su cui sto preparando un articolo in proposito) e dalla Sfinge autentica di epoca tolemaica del Castello di Miramare, ma pure da due monumenti (uno travolto dagli eventi storici e politici, l’altro ancora esistente) palesemente ispirati all’architettura e dell’arte dei Figli del Nilo; ovvero due Obelischi.
Non è questa la sede per sviscerare la vastissima tematica relativa ai significati simbolici dell’Obelisco. Basterà ricordare che la parola “obelisco” deriva dal termine greco òbelòs che vuol dire “chiodo”. Un chiodo piantato nella terra e volto verso il cielo.
Altre culture hanno realizzato monoliti che chiamiamo (forse impropriamente) obelischi, ad esempio quella Axumita in Etiopia, ma è quello egizio che ci interessa. Geometricamente parlando è un perfetto monolite a forma di tronco di cono allungato sormontato da una piccola piramide, chiamata pyramidion.
Per gli antichi Egizi, che lo chiamavano Tekken, l’obelisco era un raggio di Aton, il dio Sole, pietrificato. Furono i Romani, che ne rimasero letteralmente ammaliati, a diffonderlo nel Mondo. Basti pensare a quanti ne portarono a Roma (sono giunti sino a noi 9 esemplari: quello di piazza San Pietro, quello davanti alla basilica di San Giovanni in Laterano, quello di piazza del Popolo, quello di piazza Navona, quello davanti a Montecitorio, quello inserito nel monumento dedicato ai Caduti di Dogali in via delle Terme di Diocleziano, quello sulla groppa dell’elefante del monumento davanti a Santa Maria della Minerva, quello davanti al Pantheon ed infine quello della Villa Celimontana) e quanti ne fabbricarono a loro volta ad imitazione di quelli originali egizi (ne sono ancora visibili nell’Urbs Aeterna ben 5; quello in piazza del Quirinale, quello di piazza Esquilino presso la basilica di Santa Maria Maggiore, quello posto di fronte alla chiesa di Santa Trinità dei Monti e quello dei giardini del Pincio).
I Romani, in pratica, lanciarono, se così si può dire, la moda dell’Obelisco, che venne ripresa in Europa con la riscoperta della Civiltà del Nilo nel XVIII secolo, “Egittomania” che esplose definitivamente dopo la Spedizione napoleonica (1798-1801) e le scoperte effettuate dagli scienziati che ne erano al seguito.
Se Trieste, al contrario di altre città italiane (non solo Roma, ma pure Firenze nel Giardino di Boboli; Catania sul celebre monumento della “Fontana dell’elefante” in piazza Duomo ed Urbino, in piazza Rinascimento, di fronte al lato orientale del Palazzo Ducale e davanti alla chiesa di San Domenico) ed europee (Londra e Parigi, celeberrimo quello di Ramesse II in Place de la Concorde) non può vantare obelischi originali, ne volle comunque possedere qualcuno, finalizzato ad immortalare episodi e vicende della sua storia secolare.
Come anticipato uno dei due monumenti caratterizzati dalla presenza di un obelisco non esiste più. Si trattava del monumento che ricordava la cosiddetta “Dedizione di Trieste alla Casa d’Austria”, episodio avvenuto nel 1382.
Nel 1882 cadeva il quinto centenario dell’avvenimento, e per celebrarlo degnamente venne organizzata a Trieste una grande esposizione di carattere economico, industriale ma pure culturale, alla quale furono presenti anche l’Imperatore Francesco Giuseppe I° (1830-1916) e la consorte, l‘Imperatrice Elisabetta (1837-1898), la celebre “Sissi”, immortalata al cinema dalla bellissima e indimenticata attrice Romy Schneider.
Ma alcuni facoltosi cittadini, fedeli alla corona asburgica, ritennero che fosse necessario realizzare qualcosa che potesse ricordare lo storico avvenimento anche quando l’esposizione si fosse conclusa. Decisero, quindi, di iniziare a raccogliere donazioni per innalzare un monumento.
Il monumento, ad opera dello scultore dalmata Giovanni Rendic, venne solennemente inaugurato il 25 marzo del 1889 in quella che oggi di chiama piazza della Libertà di fronte alla stazione ferroviaria di Trieste.
Era costituito da due basamenti di pietra a pianta quadrata sovrapposti a formare gradoni. Sul primo, oltre alla lapide con l’iscrizione dedicatoria, si trovavano dei finti ruderi classici che imitavano i reperti autentici conservati nei Civici Musei. Appoggiata a questi si elevava la statua bronzea femminile rappresentante allegoricamente la Città di Trieste. La donna alzava un braccio in segno di giubilo e si avvolgeva negli stendardi con gli stemmi imperiali degli Asburgo.
Sul secondo gradone, oltre allo stemma degli Asburgo e quelli delle Tredici Casate Triestine, si slanciava verso l’alto per circa 14 metri l’Obelisco monolitico di pietra bianca fregiato d’una imponente Aquila asburgica bicipite. L’intero monumento era circondato da una artistica cancellata in ferro e ai quattro lati erano stati posti fanali in stile rinascimentale.
Ovviamente un simile monumento, carico di espliciti riferimenti politici, non poteva far piacere a quanti a Trieste (erano chiamati “Irredentisti”) anelavano al ricongiungimento con l’Italia, visto come compimento dell’epopea risorgimentale. Nei circoli patriottici cittadini la posa in opera del monumento con l’Obelisco, venne considerata (non a torto) come una sfida al sentimento nazionale dei triestini
Per i lettori che non conoscono la storia di Trieste, è necessario, a questo punto, fare un piccolo excursus storico. La “Dedizione all’Austria” del 1382 non avvenne per una scelta etnica, Trieste era una città di cultura latina e italica, non diversa da altre città italiane medievali come Verona, Treviso, Milano, Bologna, Firenze, Salerno. Non era e non si sentiva una città tedesca, come Graz, Salisburgo, Magonza, Brema, Lubecca, Strasburgo. Semplicemente Trieste non sapeva più a che santo votarsi per difendere la propria autonomia e libertà nei confronti della “Regina dell’Adriatico” (e del Mediterraneo orientale), ovvero Venezia. Contro la quale aveva combattuto per tutto il Medio Evo diverse guerre e dalla quale era stata occupata nel 1369. Quindi, i maggiorenti del comune di Trieste pensarono che era meglio avere un “Signore” potente ma al contempo lontano, come gli Asburgo (e che comunque garantivano l’autonomia pur di avere finalmente uno sbocco al mare) che finire sotto Venezia come le altre città e cittadine venete, istriane e dalmate.
Quindi non c’era alcuna valenza etnica o nazionale, anche perché nel Medio Evo i nazionalismi era ben aldilà dal venire, e comunque in Italia non esisteva uno stato nazionale (come non esisteva nemmeno in Germania e in Austria, d’altronde).
Ma alla fine del XIX secolo il discorso era completamente diverso. Nonostante i 500 anni trascorsi, Trieste era rimasta una città “italiana”, nonostante la presenza di numerose minoranze etniche e religiose, come quella germanofona, quella slava, quella ebraica, quella greca, quella armena; solo per citare quelle più numerose, come attestano i rispettivi luoghi di culto e di eterno riposo.
Nel secolo dei nazionalismi (e ancor più in quello successivo) Trieste era una anomalia della storia, un coacervo di contraddizioni ma che trovavano comunque il modo di convivere nel clima tollerante tipico delle città portuali d’ogni tempo e peculiare della dinastia degli Asburgo.
La maggioranza dei Triestini sebbene riconoscesse agli Asburgo il fatto di aver garantito autonomia (Trieste fu sempre “Città Immediata dell’Impero” ovvero non fu mai infeudata ad alcuno ma dipendente direttamente dall’Imperatore ovvero dal Governo asburgico) e prosperità, si sentiva italiana.
Pertanto il monumento con l’Obelisco della “Dedizione all’Austria” venne preso di mira da chi coltivava sentimenti di Italianità. Il 3 dicembre 1887, mentre era ancora in lavorazione il modello in creta, il patriota triestino Leone Veronese si introdusse nello studio dello scultore Rendic sito in via Giotto n. 5, e cercò, senza fortuna, di danneggiarlo.
Un attentato irredentista con un petardo venne invece portato a compimento proprio alla vigilia dell’inaugurazione del 25 marzo 1889 e danneggiò il Monumento. Ma il peggio arrivò con la fine della Grande Guerra e la riunificazione di Trieste con l’Italia, il 4 novembre 1918.
Si sa, quando cambia un regime politico, i primi a farne le spese sono i monumenti, i simboli del Passato. E Trieste non ne fu esente. Ne sanno qualcosa le statue dell’Imperatrice Elisabetta, “Sissi” e quella dello sfortunato e romantico Massimiliano d’Asburgo, fucilato in Messico dai rivoltosi nel 1867, che solo da poco tempo sono risorti a nuova vita in alcune piazze cittadine, dopo aver giaciuto per decenni e in alcuni casi per quasi un secolo, in bui e polverosi magazzini.
Ma al monumento con l’Obelisco della “Dedizione” andò decisamente peggio. Non fu semplicemente rimosso. Venne letteralmente smembrato e le sue parti sparpagliate qua e là per la città. Le pietre del basamento vennero utilizzate per costruire la cappelletta della Madonna in piazzale Umberto I° ad Opicina; il blocco lapideo rotondo con gli stemmi delle Tredici Casate Triestine fu almeno recuperato ed oggi è visibile nel Castello di San Giusto. La statua femminile rappresentante Trieste venne fusa nel 1935 per ricavare metallo per la Guerra d’Abissinia (sopravvisse solo la testa che è conservata al “Museo della Guerra per la Pace de Henriquez”), i quattro fanali posti agli angoli ora decorano Ponte Rosso. Dell’Obelisco invece non si sa più nulla. Voci non confermate lo darebbero abbandonato in qualche deposito comunale. Ma si teme che sia invece finito in qualche collezione privata.
L’altro obelisco triestino, fortunatamente esiste ancora. Si trova a Villa Opicina, frazione di Trieste, sul ciglio dell’altipiano carsico, quasi presso il capolinea del celebre storico “tram di Opicina” (“Tram de Opcina” in dialetto triestino). A 45° 40′ 49.62″ di Latitudine Nord, e 13° 46′ 50.89″ di Longitudine Est.
Dall’Obelisco si può godere una impareggiabile vista su tutta la città ed il Golfo. E da questo punto si dipana alto sul mare, per circa 4 chilometri, l’affascinante percorso della “Strada Napoleonica” (il cui vero nome è in realtà “Strada Vicentina”, dal cognome dell’ingegnere Vicentini, che ne progettò il tracciato) che porta sino alla frazione di Prosecco.
La stele di pietra calcarea bianca proveniente dalle Cave di Monrupino (TS), sorge a circa 350 metri slm, e il motivo della realizzazione è spiegato dalle epigrafi in latino scolpite alla base del monolite.
“FRANCISCUS I PF
AUGUSTUS VIAM
MUTUIS COMMODIS
ITALIE GERMANIA AB
TERGESTE AD VERTICEM
OCRAE SUBACTO IUGO
APERTUIT MUNIVIT
MDCCCXXX”
Traducibile in:
“Francesco I pio felice augusto, aprì e costituì sottomesso il giogo, la strada di Trieste alla vetta dell’ocre a muto vantaggio dell’Italia e della Germania nel 1830”.
La seconda epigrafe recita:
“CURANTE VC
ALPHONSO PORCIA PRINC
PRAEFECTO PROVINCIAE
COLLEGIUM MARCATORUM
TERGESTINAE CIVITATIS
NOVAE MUNIFICENTIAE
AUGUSTI MONUMENTO
POSUIT”
“A cura dell’illustrissimo principe Alfonso Porcia, Governatore della Provincia, il collegio dei mercanti della città di Trieste pose questo monumento alla nuova munificenza di Augusto”.
Quindi l’Obelisco è un monumento in onore dell’Imperatore d’Austria Francesco I° (ovvero Francesco Giuseppe Carlo Giovanni d’Asburgo-Lorena, nato a Firenze il 12 febbraio 1768. Figlio di Leopoldo II, fu l’ultimo Sacro Romano Imperatore come Francesco II dal 1792 al 1806, quando il titolo fu abolito da Napoleone; e Imperatore d’Austria, con il nome di Francesco I°, dal 1804, anno di istituzione del nuovo titolo, fino alla morte, avvenuta a Vienna il 2 marzo del 1835), in segno di gratitudine per l’apertura della “Strada Nuova per Opicina”, che rendeva più agevoli i collegamenti tra la città adriatica, l’Italia e l’Austria.
La necessità di una nuova strada per una città come Trieste, in forte e dinamica ascesa economica, era diffusamente sentita. Infatti agli inizi del XIX secolo, l’unica via era la cosiddetta “Strada Commerciale” (ancora oggi esistente) risalente al 1779 e voluta dal Governatore di Trieste, conte Karl von Zinzendorf.
Il monumento dedicato al Governatore di Trieste, conte Karl von Zinzendorf a Opicina.
A ricordo dell’apertura di questa strada nel centro di Opicina, all’incrocio tra la via Nazionale, via per Prosecco e via dei Salici, sorge un monumento a forma di edicola che reca una lapide con la seguente iscrizione in latino;
“VIA ANTEA NOVA NUNC AUSPICATO NOMINE ZINZENDORFIA AUCTORE CAROLO COMITE A ZINZENDORF ORDINIS TEUTONICI COMMENDATARIO AULAE CAESAEREA CONSILIARIO INTIMO TERGESTIS PRAEFECTO MUNITA AC LATIUS SUBSTRUCTA ASCENSU AD ITER GERMANIEA PATEFACTO DESCENSU AD FORUM IULI INTAURATO QUA ADITUS UTRINQUE EXPEDITOR COMMERCILISQUE COMMODIOR TERGESTINI M.P. A. MDCCLXXX IOSEPHO II MARIA THERESIA AUGG IMPERANTIBUS”
ovvero;
“La strada prima chiamata Nova, ora con nome augurale Zinzendorfia dal suo promotore conte Karl Zinzendorf Commendatore dell’Ordine Teutonico, consigliere intimo della Corte Cesarea, Governatore di Trieste, fu costruita, resa più ampia e consolidata, essendo stata aperta l’ascesa verso la Germania e riattata la discesa verso il Friuli, attraverso questa strada è più agevole il passaggio da entrambe le parti e più comodo per i commerci. I Triestini posero questa lapide nell’anno 1780 regnando gli augusti Giuseppe II e Maria Teresa”.
Tornando al nostro Obelisco, questo venne commissionato nel 1834 dal Collegio Mercantile di Trieste, e progettato da Biagio Valle, studente di architettura figlio di Valentino Valle.
Ma alla morte dell’Imperatore Francesco I°, l’Obelisco non era ancora terminato. Si decise quindi di inaugurarlo il giorno 22 ottobre 1838, per la visita a Trieste del nuovo Imperatore Ferdinando I° (Ferdinando Carlo Leopoldo Giuseppe Francesco Marcellino d’Asburgo-Lorena, nato a Vienna il 19 aprile 1793 e morto a Praga il 29 giugno 1875. Fu Imperatore d’Austria e re d’Ungheria, come Ferdinando V, dal 2 marzo 1835 all’abdicazione il 2 dicembre 1848 a seguito dell’insurrezione viennese) e dell’Imperatrice Maria Anna Maria Anna Carolina Pia di Savoia (figlia del Re di Sardegna Vittorio Emanuele I° di Savoia, nata a Roma il 19 settembre 1803 e morta a Praga il 4 maggio 1884).
Ma la visita in città dell’augusta coppia venne annullata e diversi contrattempi tecnici e logistici (ci furono pure discussioni su dove posizionarlo), fecero sì che venisse innalzato appena il 30 marzo 1839, tra l’altro senza una cerimonia ufficiale.
Nonostante tutto, e dopo le bufere di ben due conflitti mondiali, oggi è ancora lì. Invitto. Perfettamente visibile dalla stessa Trieste, a perenne memoria non di un fatto d’arme, d’una vittoria militare, ma di un opera civile, un opera di Pace e di Progresso, fatta per unire e non per distruggere e dividere.
Le foto nn.rr. 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7, 11,12, 13, 14, 15 e 18 sono di Giancarlo Pavat.
Trieste non é città multietnica in quanto le minoranze non raggiungono un numero tale da essere considerate componenti importanti. Si potrebbe discutere se sia( o sia stata) città multiculturale; questo forse almeno per quanto riguarda una classe istruita e grazie all’intermediazione di minoranze importanti che veicolavano nella città le primizie della cultura europea o meglio centroeuropea.
Trieste dunque è città italiana di lingua e costumi e ogni tentativo di ribaltare la sua peculiarità è strumentale e falso.
Nè la comunità di lingua tedesca ( circa 6000 persone) nè la greca nè le altre hanno mai messo in dubbio l’italianità di Trieste, sia pure una italianità con una marcia culturale europea (allora!) in più. I Tedeschi hanno cercato di formare una lista nazionale affine a quella libera-nazionale italiana ma nelle elezioni ( non ricordo esattamente l’anno , ma era il decennio del 1880) la lista ricevette 900 voti, cioè neppure 1/5 dei tedeschi hanno votato per la loro lista nazionale.
La questione quindi riguarda solamente gli sloveni che vengono a torto considerati autoctoni. Ci sono alcuni insediamenti sloveni del quale quello di Longera credo sia il più antico, ma la grande immigrazione slovena avvenne dopo la proclamazione del Porto Franco. Pensare che Trieste potesse avere una minoranza slovena tale da formare una componente così importante da fare considerare la città multietnica è errato. Sia perchè per un sloveno immigrato ne veniva una quantità enorme di italiani, sia perchè la demografia slovena non consentiva – ieri come oggi – una massiccia immigrazione.
Quanlcuno dirà che ci sono una quantità di sloveni italianizzati. Ebbene? Ognuno si sceglie la nazionalità cui essere affine. Attenzione che a fare questo tipo di ragionamenti si rischia di cadere in qualche cosa di molto molto pericoloso!
Impero d’Austria. : Francesco II che sciolse di sua iniziativa il Sacro Romano Impero
con un proclama letto dalla Chiesa dei Nove Cori d’Angeii a Vienna nel 1806, proprio perché non cadesse anch’esso nelle mani di Napoleone. Divenne così, Francesco I, Imperatore d’Austria.
La via Commerciale : come detto da un lettore, la strada era una vera pena. Pare ( malelingue?) che l’Imperatore avesse commentato circa così :” Se avessero lasciato una coppia di manzi a salire, questi avrebbero trovato da soli il percorso più conveniente !”.
Monumento alla c.d. Dedizione : Opera del dalmata Rendic o se l’opportunità conveniva, Rendich. Non ne sono sicuro, ma mi risulta che esso si trovasse in quella che oggi è Piazza Vittorio Veneto.
La c.d. Dedizione del 1382 venne stipulata nel castello di Graz, venerdì 30 settembre 1382, “all’ora dei vesperi o quasi” , tra Leopoldo III e i rappresentanti triestini con i dovuti poteri che erano Nicolò Picha,Antonio de Domenico e Adelmo de Petazzi.La Dedizione potè essere stipulata in quanto il Comune di Trieste era ora entità libera da ogni legame ( con il Patriarcato) in seguito alla Pace di Torino del 1381.
Ma in realtà sui tratta della 2^ Dedizione. La prima, in occasione dell’assedio veneziano del 1368-69 e della successiva Pace di Lubiana del 1370; Trieste aveva chiesto aiuto dando Dedizione al Duca d’Austria che scese per confermarla. Ma 75.000 monete d’oro veneziane, gli fecero cambiare idea facendolo ritornare sui suoi passi. La ‘vulgata’ che dice che Trieste abbia solo approfittato dell’Austria è falsa. Immediatamente dopo la dedizione del 1382, venne chiesto a Trieste un contingente armato da aggregarsi alle truppe ducali per reprimere una rivolta nei domini svizzeri degli Absburgo. Si giunse alla battaglia di Sempach (1386)
, dove Leopoldo III venne ucciso. Quindi Trieste ha molto avuto ma ha anche pagato sull’unghia i suoi debiti.
Molti italiani, la maggioranza, erano fedeli sudditi austriaci . Nonostante che l’Austria avesse perduto i suoi domini italiani ( anche per colpa di una politica miope e inetta, di cui Francesco Giuseppe ne porta qualche responsabilità) molti italiani avevano cariche importanti anche nelle Forze Armate . Il Feldmaresciallo Marenzi aveva preparato i piani di resistenza contro i franco-piemontesi nel 1859 ,poi non usati grazie alla ‘testa fine’ di Gyulay. Attorno al 1910 la marina era guidata da Montecuccoli ( preparò e trovò i fondi per la costruzione delle quattro corazzate classe Viribus Unitis- aiutato da Francesco Ferdinando) mentre Ispettore generale dell’esercito era de Albori (triestino) decorato due volte con la croce con brillanti, che a causa del suo valore venale, non era a carico dello Stato bensì alle finanze private dell’Imperatore. E poi Böhm Ermolli nato a Ancona , di origine sudeto , liberatore di Leopoli e occupatore dell’Ucraina; il generale Carlo(Karl) Scotti comandante di uno dei gruppi di sfondamento a Caporetto, il generale Francesconi sul Grappa , l’ammiraglio Arturo Chiari comandante della piazzaforte di Pola ecc. ecc.
Insomma, come disse Domenico Rossettio de Scander, sulla cui italianità credo nessuno possa obiettare : ” Sono di Nazione italiana e di Patria austriaco!”.
Complimenti per la strada “commerciale”però non era troppo ripida?Come facevano i carri di allora arrampicarsi su tale dislivello,oppure scenderne?Era un vero e proprio martirio,almeno a sentir le testimonianze di allora.
Bell’articolo. Molto interessante. Non sapevo che a Trieste ci fossero questi obelischi.
Giacomo