Siccome un Pavat impegnato nelle ricerche nel campo degli enigmi e misteri della storia e dell’arte, evidentemente non bastava; ecco che oltre al nostro Giancarlo, ora ne scende in campo un altro.
Con l’articolo che state per leggere, inizia la collaborazione con il nostro sito il cosiddetto “Mistery Team – Next Generation“; in questo caso il giovanissimo Francesco Pavat.
I SEGRETI DEI PANDURI DI TRIESTE.
di Giancarlo Pavat,
e Francesco Pavat
e con Gaetano Colella
Se state passeggiando per le vie di Trieste e ad un certo momento vi sentite osservati dall’alto, non fateci troppo caso. Alzate lo sguardo e scoprirete tutta una serie di sculture, bassorilievi, affreschi, ed altri elementi architettonici che decorano i palazzi del centro cittadino. E noterete, soprattutto sulle chiavi di volta di ingressi di sontuosi edifici storici triestini una serie di teste e volti severi, e spessi minacciosi, caratterizzati da curiosi copricapi e generosi baffoni.
Queste sculture raffigurano i PANDURI, ovvero soldati dell’esercito Asburgico reclutati in Ungheria e diventati famosi per il coraggio, sprezzo del pericolo, uniti ad una buona dose di crudeltà, impegnati nelle secolari guerre contro i Turchi.
(Immagine sopra. il Panduro di via dei capitelli a Trieste)
L’origine della parola è certamente magiara. Durante il Medio Evo erano chiamati in questo modo i servi dei nobili boiari locali. In magiaro “pandúr” (si pronuncia “pònduur”) vuol dire “gendarme”. Secondo alcuni storici il nome deriverebbe comunque dal villaggio pannonico di “Pandúr”, dove sarebbero stati assoldati perla prima volta questi servi armati.
I PANDURI dell’esercito asburgico divennero leggendari anche per l’abbigliamento e l’armamento decisamente sui generis. Portavano un copricapo di panno alla ussara, un lungo mantello di colore rosso, capelli legati in lunghe trecce e una dotazione di pistole, archibugi, sciabole, coltelli.
(Immagine sopra: Panduro di Casa Czeicke in via San Lazzaro a Trieste)
I PANDURI una volta congedati dall’esercito venivano assunti da nobili e da ricchi borghesi come guardie del corpo, portieri, custodi.
A Trieste tra il XVII ed il XVIII secolo, ne giunsero parecchi, attirati dal benessere cittadino e dalla ricca classe borghese e mercantili e quindi dalle ottime possibilità di un impiego ben remunerato. Divennero un vero e proprio status symbol, anche perché si sparse la voce che portassero anche fortuna.
(Immagine sopra: Panduro al civico 13 di via Cavana a Trieste)
(Immagini sopra e sotto: Testa di Ercole sulla Portizza a Trieste)
Quindi, da custodi in carne ed ossa (ed armi) a simulacri di pietra con evidenti funzioni apotropaiche (le medesime dei vari mascheroni ghignanti o truci che custodiscono ingressi e portali in tutta la nostra Penisola), il passo fu breve.
Il termine “apotropaico” deriva dal greco antico αποτρεπειν (si legge “apotrepein”) che significa “allontanare”, quindi “tenere lontano” ovviamente influenze ed energie negative che potevano concretizzarsi anche sotto l’aspetto di entità vere e proprie (“spiriti incubi”). E solo potenti e ben determinati “Guardiani della Soglia“ potevano tenere alla larga.
(Immagine sopra: “Green Man” della Fontana del Parco del castello di Miramare a Trieste)
(Immagine sopra: La Sfinge egizia di epoca tolemaica del castello di Miramare a Trieste – foto G. Colella)
L’iconografia di simili “Guardiani” è decisamente varia e spesso pesca nella cultura classica (come le maschere del teatro greco antico) o prende in prestito (in prestito?) quella di altri simulacri dotati di ben altre valenze (un esempio per tutti: quello del cosiddetto “Green man” o “Uomo arboreo”). Ben presente a Trieste, intento ad osservare i passanti dall’alto di balconate, chiavi di volta, timpani di finestre, marcapiani. E per spiegare questa presenza non basta sicuramente tirare in ballo lo stile architettonico detto “ecclettico” che caratterizza moltissimi palazzi di famiglie facoltose della città.
(Immagine sopra: un “Green Man” in piazza della Borsa a Trieste)
Tornando ai PANDURI di pietra di Trieste, pare che un vero e proprio censimento non sia mai stato fatto. Comunque, visto l’elevato numero di simili artefatti, probabilmente sarebbe una impresa decisamente improba.
Ne presentiamo soltanto alcuni esempi con una brevissima “storia” del palazzo in cui si trovano.
(Foto sopra: Panduro di Palazzo Francol in via Crosada)
Palazzo FRANCOL sorge in via Crosada, al civico 13. Ancora oggi, sebbene versa in un evidente e vergognoso stato di degrado, è caratterizzato dalla presenza del volto di un Panduro sulla chiave di volta dell’ingresso principale.
Un tempo apparteneva alla celebre e facoltosa Famiglia FRANCOL. Si trattava dei nobili FRANCOLSPERG giunti a Trieste nel XIV secolo. La Famiglia si distinse per le spiccate attitudini e doti militari ma non disdegnò mai di organizzare feste ed altri eventi mondani con luminarie di cui parlava tutta la città. Nel XIX secolo, ormai estintasi la Famiglia FRANCOL, al pianterreno del Palazzo trovò sede la famosa trattoria “Al ‘pappagallo”, anch’essa molto nota a Trieste per le feste e baldorie.
(Immagini sopra e sotto: Il Panduro di Palazzetto Leo in Cavana)
Palazzo (o palazzetto) Leo in Cavana, oggi sede del Museo di Arte Orientale, deve il proprio nome ad una delle storiche Tredici Casate triestine, quella dei Leo, appunto, a cui è appartenuto per secoli.
Tra il 1772 ed il 1773 vi soggiornò a lungo un personaggio famosissimo, ovvero Giacomo Casanova (1725-1798), giunto a Trieste dopo una lunga permanenza in Polonia. Nelle sue “Memorie”, Casanova ricorda una splendida festa in maschera svoltasi proprio a Palazzo Leo in cui fu oggetto di scherzi e lazzi da parte di due arlecchini,; uno maschio ed uno femmina. In realtà l’arlecchino maschio era la bellissima Elena, (figlia del padrone di casa) e quello femmina il fratello della stessa Elena.
Inutile sottolineare come tra CASANOVA, all’epoca quarantasettenne, e la giovane ed avvenente nobile fanciulla nacque una grande passione che continuò a lungo.
Per diversi anni CASANOVA, pur lontano da Trieste, continuò ad inviarle lettere affettuose.
(Immagini sopra e sotto: l’ingresso del Palazzo del Vescovado in Cavana a Trieste)
Nell’attuale sede del Vescovado, l’antico Palazzo Vicco, costruito nel 1795 dal commerciante triestino Antonio VICCO, risiedette per alcuni anni sino alla morte, sopraggiunta il 26 dicembre 1820, uno dei personaggi più sinistri della storia europea del periodo rivoluzionario e napoleonico. Si tratta del ministro e capo della polizia francese J. Fouchè (1759-1820), duca di Taranto, responsabile di spietate repressioni, numerose condanne a morte e misteriosi delitti politici di stato.
Persino il suo funerale avvenne in una atmosfera luciferina in una giornata sferzata dalla Bora che sembrava voler ripulire il mondo da una simile presenza che tanto dolore e sofferenza aveva sparso a piene mani in nome del Potere politico. Una raffica più forte delle altre arrivò rovesciare la bara e la salma rotolò lungo la discesa di via del castello (all’epoca il cimitero cittadino si trovava sul colle di San Giusto). Rimasero impressionati persino i becchini. Alla fine Fouchè venne sepolto nel cimitero dove ora sorge l’Orto lapidario, ma con grande sollievo dei triestini (circolavano strane voci attorno alla sue ultima dimora terrena) nel 1866, i resti vennero definitivamente traslati in Francia.
(Questo articolo è nato anche dall’incontro triestino, durante le scorse ferie estive dei due Pavat con Gaetano Colella del “Mistery Team”.
Le foto, se non altrimenti specificato, sono di Francesco Pavat).
Giancarlo Pavat e Gaetano Colella in piazza Unità d’Italia a Trieste
I ragazzi del “Mistery Team Next Generation” alla scoperta dei misteri e dei segreti del Castello di Miramare a Trieste. Prossimamente su questo sito……