Puglia misteriosa – I SEGRETI DELLA DISFIDA DI BARLETTA CHE PERÒ SI È SVOLTA A TRANI! – II PARTE

 

Manifesto del convegno sulla Disfida di Barletta del 2017

 

13 FEBBRAIO 1503

I SEGRETI DELLA DISFIDA DI BARLETTA

CHE PERÒ SI È SVOLTA A TRANI!

II^ parte

di Giancarlo Pavat

 

Trani. I cartelli turistici che indicano il Monumento dell’Epitaffio – foto G Pavat 18  giugno 2017

 

Il Monumento dell’Epitaffio della Disfida sorge nelle campagne di Trani in contrada Sant’Elia. Per tutto il Medio Evo, l’area appartenne ai Benedettini del convento di Santa Maria della Colonna. Nel 1441 venne concessa in permuta a tale Berlinghiero de Miro. Poi (si ignora la data esatta ma comunque prima che si svolgesse la Disfida) pervenne al Capitolo di Trani che la tenne sino alla proclamazione del Regno d’Italia nel 1861 ed alla successiva promulgazione delle leggi per la soppressione degli Enti Ecclesiastici del 1866.

 

Trani. Uno dei due cippi posti all’ingresso della strada che conduce al Monumento dell’Epitaffio – foto G Pavat 18  giugno 2017

 

Per arrivare al Monumento si può percorrere la SS 231 da Andria in direzione di Corato. Si supera una stazione di servizio e si esce a destra prendendo la “complanare”, che va percorsa per circa 2 chilometri. Non c’è pericolo di sbagliare perché il Monumento è ben segnalato da cartelli turistici.

Per arrivarci va percorsa una strada semisterrata che si inoltra tra gli ulivi. L’accesso è indicato da due colonnine di pietra (probabilmente poste negli anni ’30) con incisi motti inneggianti all’episodio; tra cui

QUI NEL 1503 SI PUGNÒ LA DISFIDA DEI TREDICI SUL TERRENO NEUTRALE DI DOMINIO VENETO.

e

BEL FATTO DI VALORE ITALICO CONTRO L’ARROGANZA DEGLI INVASORI IN ETÀ D’IGNAVA.

Suscita una certa emozione vedere il Monumento, ergersi solitario, immerso nel silenzioso uliveto. Visitato solo dal vento che percorre la bella Terra di Puglia.

 

Trani. L’uliveto che si estende attorno al Monumento dell’Epitaffio – foto G Pavat 18  giugno 2017

 

Se ho potuto vederlo in uno stato quantomeno decoroso è grazie all’opera della guida turistica Andrea Moselli e al suo gruppo di volontari che, come ogni anno, a Febbraio, nella ricorrenza della Disfida, sono intervenuti per ripulirlo dagli affronti della natura e dall’incuria e dalla maleducazione umana. A persone come Moselli ed i suoi amici va (e dovrebbe andare sempre ed in ogni parte d’Italia) la gratitudine di tutti noi.

 

Trani. L’Epitaffio dettato da Pietro Angeli nel XVI secolo – foto G Pavat 18 giugno 2017

Come recita l’Epitaffio stesso, scolpito nella pietra, il Monumento venne fatto realizzare nel 1583 da Ferrante Caracciolo duca d’Airola, sul luogo dello scontro, al fine di ricordare le gesta dei 13 Cavalieri Italiani.

Ferrante Caracciolo, nobile rampollo della celebre Famiglia dell’Italia meridionale, era figlio secondogenito di Marcello conte di Biccari e di Emilia della non meno blasonata Famiglia Carafa. Non si conosce l’anno esatto di nascita. Ma si ritiene che sia avvenuta nella prima metà del XVI secolo. Zio di Ferrante era il celebre eretico Galeazzo Caracciolo, riparato nella calvinista Ginevra per sfuggire all’Inquisizione. Nel 1548, Ferrante venne nominato dal padre suo successore, in quanto aveva fatto interdire il primogenito. Il 25 luglio del 1566, il vicerè spagnolo, duca di Alcalà, impartì a Ferrante l’ordine di recarsi in Capitanata con un buon numero di milizie per approntare le difese costiere in vista del temuto e ormai prossimo attacco Turco. Ferrante vi provvide con intelligenza e sagacia, svolgendo anche l’incarico di Comandante della piazza di Barletta, ove rimase sino al 1568. Al momento di rientrare a Napoli, la città riconoscente, gli offrì in dono una medaglia d’oro coniata in suo onore ed una catena dello stesso prezioso metallo. Ma il suo impegno nella difesa dell’Italia meridionale e della Cristianità dalla marea nera Ottomana non si limitò a questo. Lo ritroviamo infatti, il 7 ottobre 1571 alla celeberrima battaglia di Lepanto. L’epocale scontro navale, combattuto nelle acque della località greca, conclusosi con la strepitosa e schiacciante vittoria della Flotta Cristiana della “Lega Santa” su quella Ottomana. Evento che costituì un vero e proprio punto di svolta nella secolare lotta tra Occidente ed Oriente. Come ho scritto ne “Nel Segno di Valcento” (edizioni Belvedere 2010);

Da quel giorno cominciò il lento ma inesorabile processo di decadenza e dissoluzione dell’Impero con la Mezzaluna. I contemporanei ne ebbero viva percezione e tirarono un sospiro di sollievo dopo aver temuto, non senza ragione, che le Armate Turche riuscissero davvero a conquistare tutto il Continente. A cominciare dall’Italia e dalla Capitale della Cristianità. Non era certo un segreto che il Sultano voleva cogliere la “Mela Rossa”, come era definita Roma, e far abbeverare i propri cavalli in piazza San Pietro. Cosa che, secoli dopo, si disse, avesse intenzione di fare, con i propri cosacchi, pure il dittatore sovietico Stalin.

Nella Flotta Cristiana, forte di 6 galeazze, 206 galee, 30 navi da carico, circa 13.000 marinai, 44.000 rematori e 28.000 soldati (di cui 11.000 italiani, 8.000 spagnoli e 3.000 tedeschi), la parte del leone la fece Venezia, con ben 105 imbarcazioni, al comando del quasi ottuagenario ma esperto comandante e lupo di mare, Sebastiano Venier (che l’anno dopo verrà eletto Doge) e di Agostino Barbarigo (che morirà in battaglia). Le otto galee genovesi erano governate da Gianandrea Doria (1539-1606) sulla sua “Perla”, che per il suo comportamento poco chiaro verrà investito da critiche, maldicenze e sospetti mai fugati. Su un’altra nave ligure, la “Grifona” era imbarcato l’ammiraglio Ettore Spinola assieme ad Alessandro Farnese (1545-1592), uno dei più grandi condottieri del XVI secolo. C’erano navi armate dai Savoia al comando di Andrea Provana di Leyni (1511-1592), che sull’albero di maestra issava un vessillo con una riproduzione della Sacra Sindone. Altre imbarcazioni appartenevano al Granducato di Toscana, come la “Fiorenza” del capitano Puccini. I Cavalieri di Malta, benché reduci dallo spaventoso assedio del 1565, inviarono comunque 3 galee, compresa l’ammiraglia “Vittoria” del Priore Piero Giustiniani. Infine gli Spagnoli, con 80 galee, tra cui alcune siciliane e napoletane, agli ordini di Juan de Cardona. Su queste era imbarcato un certo Miguel Cervantes, che in battaglia perderà l’uso del braccio sinistro e che diventerà famosissimo come autore del “Don Chisciotte”. La Flotta Turca era guidata dal famigerato ammiraglio Alì Pascià, che cadrà nello scontro. Da registrare le squadre navali di due celebri corsari, il rinnegato calabrese “Occhialì” ed il “Carascosa”, che verrà ucciso da una archibugiata del ligure Giovanbattista Contusio durante l’abbordaggio della “Grifona”.

Ferrante Carracciolo, imbarcato sulla flotta spagnola sotto il comando nominale di don Giovanni d’Austria, si comportò con onore durante la battaglia. Sull’Enciclopedia Treccani leggiamo che “si segnalò per un tempestivo avviso da lui inviato ad Agostino Barbarigo di un’errata posizione assunta da alcune navi cristiane, che schierate di nuovo in ordine, permisero lo svolgimento preordinato della battaglia”.

Successivamente Ferrante sarà il primo a scrivere la cronaca dell’epico scontro nell’opera intitolata “I commentari delle guerre fatte co’ i Turchi da don Giovanni d’Austria dopo che venne in Italia”, edita a Firenze nel 1581.

 

Trani. Il Monumento dell’Epitaffio – foto G Pavat 18  giugno 2017

Due anni dopo, Ferrante farà realizzare il Monumento dell’Epitaffio, il cui testo venne dettato da Pietro Angeli, grande umanista del XVI secolo. Da quel momento, il Monumento svettò in quel lembo di Puglia a ricordare il valore dei Cavalieri Italiani.

Vi rimase per poco più di due secoli. Rispettato dai vari e sovrani e dinastie che si succedettero nel Mezzogiorno d’Italia, non ultimi i Borboni, non ricevette altrettanti riguardi dai “liberatori” francesi di Napoleone. Infatti, invaso il Regno di Napoli e raggiunte le pianure pugliesi, si affrettarono nel 1805 a distruggere il Monumento delle’Epitaffio.

Per loro non era tollerabile che esistesse qualcosa che ricordava al Mondo che c’erano stati alcuni “straccioni di Italiani” che avevano fatto mangiare la polvere alla “Grandeur” dei nuovi dominatori.

Si dovette attendere la definitiva disfatta di Napoleone e la ricostituzione del Regno delle Due Sicilie per poterlo ricostruire. Anche se qualche resistenza ci fu lo stesso; eccome! Dopotutto il Monumento rievocava una Gloria degli Italiani e parlare troppo di “Italia”, in quei tempi di Restaurazione e nel regno borbonico non era proprio indicato.

Trani. La lapide che ricorda il restauro del Monumento dell’Epitaffio avvenuto nel 1846 – foto G Pavat 18 giugno 2017

 

Alla fine, l’opera fu completata nel 1846, a spese del Capitolo di Trani (come si può leggere su un’altra delle lapidi murate sul Monumento; “PATRIAE GLORIAE MONUMENTUM CAPITULUM TRANENSE REFECIT MDCCCLVI”) e su progetto dei fratelli Bassi (che lo ricostruirono tale e quale basandosi sulle immagini di quello originale).

Per il 4° Centenario della Disfida, nel 1903, venne apposta la lapide con i versi del poeta Giovanni Bovio.

A XIII FEBBRAIO MDIII

IN EQUO CERTAME

CONTRO TREDICI FRANCESI

QUI

TREDICI DI OGNI TERRA ITALIANA

NELL’UNITÀ

NELL’AMORE ANTICO

E TRA DUE INVASORI

PROVARONO

CHE DOVE L’ANIMO

SOVRASTI LA FORTUNA

GLI INDIVIDUI E LE NAZIONI

RISORGONO

E sotto, sulla medesima lapide, si ricorda, appunto, che;

G BOVIO DETTÒ E LA CITTÀ DI TRANI POSE

IL 13. 2. 1903 IV CENTENARIO DELLA DISFIDA

IL ROTARY CLUB DI TRANI RIFECE E RICOLLOCÒ

IL 18. 5. 1975, VENTENNALE DELLA SUA FONDAZIONE

 

Trani. La lapide apposta sul Monumento dell’Epitaffio per il IV Centenario della Disfida – foto G Pavat 18 giugno 2017

Sebbene la vicenda della Disfida sia ormai da tempo acclarata ed accettata nelle sue linee generali, esistono ancora alcuni lati oscuri. Piccoli enigmi che gli storici non sono riusciti a risolvere del tutto. Abbiamo già visto che c’è qualche discordanza in merito ai luoghi di nascita e in alcuni casi addirittura dei nomi esatti dei 13 protagonisti italiani. Ma non è tutto.

 

Trani. Altri particolari del Monumento dell’Epitaffio – foto G Pavat 18 giugno 2017

Uno di questi misteri riguarda un personaggio che si è già citato poc’anzi. Si tratta di uno dei cavalieri francesi, tra l’altro l’unico a perdere la vita nella giornata del 13 febbraio 1503, Grajan d’Aste. Ebbene, sin dall’indomani della Disfida, attorno a lui, o meglio attorno al suo nome e alla sua “nazionalità”, si scatenò un vero e proprio pandemonio.

POSSIBILE CHE UNO DEI CAVALIERI GUIDATI DA DE LA MOTTE FOSSE IN REALTÀ UN ITALIANO?

Il grande storico comasco (nonché vescovo cattolico) Paolo Giovio 1483-1552) lo chiama Graiano d’Asti, identificandolo quindi come un cavaliere astigiano che “poco onoratamente, se non a torto, aveva preso l’armi per la gloria d’una nazione straniera contra l’onor di patria” (“Le vite del Gran Capitano e del Marchese di Pescara”, Laterza 1931). Pur in assenza di prove certe, furono diversi gli storici che seguirono la tesi del Giovio, tanto che la ritroviamo pure in Massimo D’Azeglio. Nell’omonimo romanzo ottocentesco è addirittura lo stesso Ettore Fieramosca a tacciare di tradimento Graiano d’Asti. In realtà, come correttamente riportato da Claudio Rendina nella sua già citata opera “I capitani di ventura”, è ormai quasi del tutto acclarato che lo sfortunato cavaliere caduto sul campo dell’Agro tranense, fosse davvero francese.

 

Ma esiste un altro enigma relativo alla Disfida di Barletta. Che ha fatto addirittura esacerbare oltre misura gli animi di opposte fazioni e, ahimè, a fatto scorrere pure il sangue. In parte vi ha che fare anche il nostro solitario Monumento che s’innalza nell’Agro di Trani.

DOVE SI È SVOLTA ESATTAMENTE LA DISFIDA DEL 13 FEBBRAIO 1503, E COME DOVREBBE ESSERE CHIAMATA?

Al lettore sembrerà un ossimoro. Ma come, sino ad ora si è sempre parlato di “Disfida di Barletta” e adesso saltano fuori dubbi e perplessità in merito?

Sarà il caso di essere più chiari e sgomberare il campo da dubbi e illazioni. Come si è già visto, si sa da sempre (ed è accettato, lo ripeto, da tutti gli studiosi ed eruditi seri a livello nazionale che si basano su indubbie fonti coeve) che il tenzone si svolse nell’Agro di Trani. Appunto dove Ferrante Carracciolo fece erigere il Monumento con l’Epitaffio.

Trani. La parte posteriore del Monumento dell’Epitaffio – foto G Pavat 18 giugno 2017

 

E proprio questo portò doversi storici locali, nonché uomini politici, ad affermare che la Disfida si sarebbe dovuta chiamare di Trani e non di Barletta.

Per rispondere a questa asserzione (che venne intesa come una provocazione ed offesa insostenibile), qualche erudito arrivò ad affermare (senza il benché minimo straccio di prova) che, lo scontro si sarebbe in realtà combattuto sulla spiaggia barlettana. Circostanza che viene proposta (probabilmente casualmente) nel film comico del 1975 “Soldato di ventura” di Pasquale Festa Campanile, con l’indimenticabile attore Bud Spencer (al secolo il campione di nuoto Carlo Pedersoli) nel ruolo di Ettore Fieramosca. Un film a cui sono legato da splendidi ricordi infantili. Andai infatti a vederlo al cinema assieme a mio padre ai miei cugini e zii. E il celebre (all’epoca) tormentone “Oh Ettore…” della colonna sonora originale (composta da Guido e Maurizio de Angelis) della pellicola, mi rimase talmente impresso che da bambino lo canticchiai per diverso tempo.

 

L’attore Bud Spencer è Ettore Fieramosca nel film del 1975, “Soldato di ventura” di Pasquale Festa Campanile – Foto da Wikipedia

Il culmine della diatriba si ebbe negli anni ’30. Va ricordato che non solo durante il Risorgimento ma pure nel Ventennio Fascista, la Disfida assurse a simbolo del Valore Italiano nella lotta contro l’invasore straniero. Dal luogo, la polemica si trasferì (come già accennato) pure sul nome della Disfida. Un noto avvocato di Trani, Assunto Gioia, pubblicò nell’ottobre del 1931, a proprie spese, un libriccino in cui si batteva con enfasi e retorica affinché la Disfida venisse chiamata “di Trani”, Proprio alla luce del fatto che lo scontro si era svolto nella campagne fuori della città di Trani. La “Gazzetta del Mezzogiorno” pubblicò il 28 ottobre (data che in Epoca Fascista aveva un particolare valore essendo l’anniversario della “Marcia su Roma” e, pertanto gli articoli diffusi in quel giorno assumevano una determinata valenza e risonanza nell’opinione pubblica) un articolo del gerarca Sergio Pannunzio in cui, sostanzialmente, si dava ragione alla tesi dell’avvocato Gioia.

Qualche giorno dopo, si schierarono invece in difesa della “Disfida di Barletta” anche Salvatore Santeramo con un articolo sul “Popolo di Roma” e, con un opuscolo, il noto ingegnere Arturo Boccassini.

 

Barletta. Il “Tempietto della Disfida” progettato dall’ing. Arturo Boccassini nel 1930 – foto G Pavat luglio 2017

A gettare ulteriore benzina sul fuoco della vexata quaestio, ci pensò Bari, ove venne fondato un “Comitato” che aveva come scopo quello di designare il capoluogo pugliese come la sede di un monumento nazionale della Disfida. Giova ricordare che a Barletta esisteva già un “Monumento”. Si trattava del cosiddetto “Tempietto”, progettato dall’ingegnere Boccassini ed eretto l’anno prima, e precisamente il 13 Febbraio, al centro della piazza che ricorda la Disfida. Sul “Tempietto” venne collocata la targa bronzea fusa nel 1903 (in occasione del IV Centenario dell’episodio e all’epoca murata sul fianco della basilica del Santo Sepolcro) che riporta i nomi dei 13 Cavalieri Italiani e il testo epigrafico:

AI TREDICI GLORIOSI ATLETI DELL’ONORE NAZIONALE

FORIERI DELL’ITALICO VALORE

NE’ TRIONFI DELL’ITALIA E DIPENDENZA

 

Ecco perché alla notizia della costituzione del “Comitato” barese ci furono accese contestazioni a Barletta. Ma a Bari non fecero una piega. E si decise di tirare dritto. Anche perché la diatriba sul “Monumento nazionale” stava diventando un fatto di scontro politico all’interno del Regime. Infatti erano membri del “Comitato” alti esponenti del Fascismo, come il Ministro dei Lavori Pubblici Araldo di Crollalanza, il Capo della Milizia Volontaria per la Sicurezza Nazionale (MVSN) Attilio Teruzzi e il vicesegretario (e futuro segretario) del Partito Nazionale Fascista (PNF) Achille Starace.

Nel frattempo, tra le varie manifestazioni di piazza svoltesi a Barletta, sotto gli occhi dei preoccupatissimi responsabili dell’Ordine Pubblico, ci fu quella ove venne preso il bozzetto di un’altro monumento alla Disfida (realizzato in gesso dallo scultore Achille Stocchi, ma sino a quel momento mai tramutato in statua marmorea o bronzea) e portato in giro per le vie della città, prima di depositarlo nella piazza principale sopra una specie piedistallo. Il messaggio che si voleva inviare a Bari e dalle personalità del Regime era quello che il luogo deputato per qualsiasi Monumento alla Disfida non poteva essere che Barletta stessa. Ma il peggio doveva ancora venire. Il 7 novembre l’ingegnere Boccassini venne rimosso dalla sua carica in seno al locale PNF. L’atto, era finalizzato a sgombrare la strada da eventuali opposizioni alla realizzazione del “Monumento barese”. Non appena si seppe della “caduta in disgrazia” dell’ingegnere, a Barletta scoppiarono veri e propri moti popolari. Intervennero le Forze dell’Ordine ed il 10 novembre, i carabinieri che erano stati fatti oggetto di un lancio di pietre da parte dei manifestanti, aprirono il fuoco causando alcuni morti (le fonti parlano di un numero che varia tra le 2 e 5 vittime) e numerosi feriti. Il fatto fece scalpore ed arrivò sino a Roma. Dove, temendo che la “rivolta” assumesse una colorazione politica antiregime, venne aperta una inchiesta. Ma in realtà, la vicenda della realizzazione del “Monumento nazionale” si era intrecciata ad un’altra querelle. Quella sull’istituzione di una nuova provincia avente come capoluogo proprio Barletta. I moti del novembre 1931 furono quindi presentati dalle autorità baresi (contrarie alla “secessione” del territorio barlettano) come sintomo di una città in cui erano radicati profondi sentimenti antifascisti. Pertanto venne bocciata la proposta per la sesta provincia pugliese. Che vedrà la luce solo nel maggio del 2004 con la nascita della BAT, la provincia di Barletta, Andria, Trani).

Alla fine la Storia ha dato ragione a Barletta anche dal punto di vista del Monumento della Disfida. Il “Tempietto” dell’ingegner Boccassini si trova al suo posto, al centro della piazza della Disfida, opportunamente restaurato in tempi recenti. Inoltre, è finalmente diventato realtà l’altro “Monumento”, quello pensato da Achille Stocchi nel XIX secolo.

Pur essendo più recente di quello dell’Epitaffio nell’Agro tranense, non è meno suggestivo. Sorge all’ingresso di Barletta, al centro di una rotonda stradale, nel punto in cui si uniscono la via per Trani e quella per Andria, in vista del Castello svevo.

Si tratta di un gruppo bronzeo in cui Ettore Fieramosca, con la celata dell’elmo piumato alzata, ed il cipiglio deciso, con la mano sinistra (nella destra impugna un’ascia da guerra) intima di arrendersi al nemico sconfitto e a terra, ovvero il tracotante francese Guy de La Motte.

 

Barletta. Il gruppo statuario “Fieramosca sconfigge Guy de La Motte” dello scultore Achille Stocchi – foto G Pavat luglio 2017

 

Barletta. La targa marmorea posta ai piedi del gruppo statuario “Fieramosca sconfigge Guy de La Motte”, che ricorda sia l’autore dell’opera, sua l’impegno di don Giuseppe Damato affinché potesse vedere la luce-  – foto G Pavat luglio 2017

Il bozzetto dell’opera (quello che nel 1931 era stato portato in giro per le strade di Barletta) venne modellato nel 1864 (sull’onda degli entusiasmi risorgimentali e del successo del romanzo di Massimo d’Azeglio) dallo scultore romano Achille Stocchi. Tre anni dopo, fu lo stesso scultore a portarlo a Barletta. L’opera venne collocata nella Sala Consigliare di via del Municipio. Stocchi voleva dar vita ad un opera marmorea, ma per diversi motivi e nonostante la dichiarata volontà di diverse amministrazioni comunali, uomini politici, e l’impegno di privati cittadini ed esponenti della cultura barlettana, il suo progetto non si realizzò mai.

Il gruppo statuario, come spiegato da una grande lapide marmorea posta dall’Amministrazione Comunale, è stato finalmente fuso nel bronzo nel 1980 grazie alla “tenacia ed amor patrio di mons. Giuseppe Damato” e il 19 gennaio 2009 collocato dove ho potuto vederlo nel luglio del 2017.

 

Barletta. Il gruppo statuario “Fieramosca sconfigge Guy de La Motte” dello scultore Achille Stocchi – foto G Pavat luglio 2017

Il bozzetto dello Stocchi, invece, è stato recentemente restaurato e riconsegnato alla città di Barletta nel maggio del 2017, nel corso di una significativa cerimonia. Ed è visibile all’interno della Taverna della Disfida.

Ma lasciate alle spalle le diatribe sul “Monumento nazionale della Disfida”, che cosa c’era di concreto nella polemica sul luogo e sul nome della stessa?

Che i 13 Cavalieri Italiani e quelli Francesi si siano scontrati nell’Agro tranense, è fuori di dubbio. E il luogo è indiscutibilmente identificabile con quello dove, ancora oggi si può ammirare il Monumento con l’Epitaffio.

Ma la Disfida è correttamente chiamata “di Barletta” perché la concatenazione di fatti che portarono alla scontro cavalleresco, ovvero il banchetto nella taverna, l’ingiuria di de la Motte, il lancio della sfida, si svolsero proprio in quella città adriatica.

 

Trani. Giancarlo Pavat al castello svevo – foto G Pavat maggio 2017

Trani. La celeberrima cattedrale dedicata a Nicola Pellegrino – foto G Pavat maggio 2017

 

Trani. Il portale d’ingresso della Cattedrale decorato con straordinari bassorilievi simbolici – foto G Pavat maggio 2017

 

Ma allora perché come luogo dello scontro venne scelta una località nel comprensorio di Trani e non qualche campo presso Barletta? La risposta risiede nelle regole cavalleresche e nella Storia del territorio pugliese. L’opzione dell’Agro di Trani fu dovuta al fatto che doveva necessariamente tenersi in territorio neutrale. E tale era la città di Trani. Infatti, pochi sanno (anche se è accennato su una delle due colonnine dell’accesso alla strada che porta al Monumento dell’Epitaffio) che, all’epoca, la città con il suo importantissimo porto adriatico, faceva parte della Serenissima Repubblica di Venezia. Che, intelligentemente, si era ben guardata da farsi coinvolgere nello scontro tra la Francia e la Spagna. Il “Leone di San Marco” sventolava sulle torri e sulle mura di Trani sin dal 1496 e vi sarebbe rimasto sino al 1509.

Trani. Una suggestiva immagine del castello svevo affacciato sul porto – foto G Pavat maggio 2017

 

Ecco spiegato l’enigma del motivo della scelta di quella che oggi chiameremmo “location” per quella che è la Disfida cavalleresca più celebre di tutti i Tempi.

La Disfida in cui Ettore Fieramosca sfidò in Francesi per difendere l’onore degli Italiani. Di tutti gli Italiani. Anche di quelli che si ricordano della propria Patria e della propria bandiera solo in occasione la partite di calcio.

Trani. Il Monumento dell’Epitaffio – foto G Pavat 18 giugno 2017

 

Barletta. Giancarlo Pavat davanti al castello svevo – foto G Pavat 09 luglio 2017

 

 

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3 commenti:

  1. Samuel Di Bari

    Altri che convegni di eruditi parrucconi. Questa si’ che è divulgazione storica!!!! Complimenti e Orgoglio Italiano.
    Samuel da Barletta

  2. Cittadinanza onoraria barlettana a Giancarlo Pavat, più barlettano di molti barlettani.

  3. Achille Pacciani

    A proposito dei 13 cavalieri italiani protagonisti della celebre “Disfida di Barletta”, esiste una qualche discordanza in merito ai luoghi di nascita e in alcuni casi addirittura dei nomi esatti di alcuni di essi. In particolare, la città di Troia si è sempre affannata a dimostrare che a Troia esisteva un certo ‘Ettore o Masi De Pazzis’, soprannominato ‘Maiale’ o ‘Miale’, e che fu scelto quale combattente della disfida in rappresentanza del luogo dell’avvenimento. Nessuno mette in dubbio l’esistenza del De Pazzis, ma perché non si è presentato con il suo vero nome, ed ha agito con il soprannome? Si è più propensi a credere che il De Pazzis fosse stato uno dei tanti aspiranti e che in Troia l’abbiano creduto un effettivo partecipante del certame. D’altronde, è noto che molti dei tredici combattenti ‘convocati’ dai capitani di ventura, Prospero e Fabrizio Colonna, provenissero dai vastissimi territori posseduti dalla nobile famiglia romana, e non da tutta Italia. Ed anche cronisti dell’epoca, il ferrarese Morletto Ponzone, corrispondente del Marchese di Mantova, Francesco II Gonzaga, ed il nobile capuano Vincenzo Del Balzo, testimone oculare e «de auditu» della Disfida, al seguito del capitano spagnolo Diego De Mendoza, concordano nel sostenere l’origine romana e palianese del ‘Miale’ o ‘Moele’.

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