I segreti delle chiese nella foresta svedese
di Giancarlo Pavat
La regione storica del Dalsland, nella Svezia sudoccidentale, sulle rive occidentali del grande lago Vanern, si caratterizza per la presenza di numerose chiesette in legno, pietra e mattoni, risalenti al Medio Evo, sparse nei boschi di caducifoglie.
Gran parte di queste chiese si presentano oggi negli stili architettonici ed iconografici della Riforma Protestante, introdotta in Svezia nel XVI secolo. Ma conservano manufatti, sculture, bassorilievi, dipinti e simbologie, che pur risalendo a secoli anche successivi, sembrano riferirsi ad una ben determinata temperie culturale e spirituale che affonda le sue radici nei secoli XII, XIII e XIV.
In altra sede si sono già illustrati i misteri conservati nella chiesa di Sant’Erik a Grinstad, frazione del Comune di Mellerud.
La chiesa custodisce l’enigmatico labirinto affrescato simile a quello di Alatri ed altri simboli misteriosi di cui si è diffusamente parlato nei miei articoli “L’affresco con il Cristo nel labirinto di Alatri; un enigma europeo” (leggibile su questo sito) e “Dalsland. La terra dimenticata dei Templari” (pubblicato sul numero 42, aprile 2012 della rivista FENIX, diretta da Adriano Forgione).
Ma durante la spedizione in Svezia del giugno/luglio 2011, assieme a Sonia Palombo, Marco Di Donato, Manuela Guglielmi, Paolo Ruggeri e Domenico Pelino, si è avuto modo di visitare anche altre chiesette immerse nelle foreste del Dalsland.
La nostra attenzione è stata catturata in particolar modo da due di questi edifici sacri; le chiese di Skallerud
Tutta la chiesa, compresi il pulpito, l’altare, il coro, è decorata da sculture, bassorilievi, tavole dipinte, risalenti ad un arco temporale che va dal XVI al XIX secolo.
Il Trigramma “IHS”, la Conchiglia di San Giacomo, l’Agnus Dei con il vessillo con la Croce patente rossa, e l’Agnello dell’Apocalisse con il libro dei Sette Sigilli, il Triangolo rappresentante Dio, ed un Angelo con falce e clessidre che simboleggia l’inesorabile scorrere del Tempo dato all’Uomo sulla Terra.
Sul soffitto sopra la navata si trovano i pannelli in legno con le figure dei Quattro Evangelisti, dipinte nel 1670 da Erik Erikkson Grijs. Si trovano in quella posizione dal 1924. In precedenza erano sul muro fra presbiterio e navata, due su ogni lato.
Non altrettanto riconducibili ad una iconografia sacra canonica possono dirsi due ulteriori rappresentazioni dell’Evangelista, anch’esse presenti nella Skallerudskirka.
La prima raffigurazione si trova sui pannelli lignei della tribuna, ed è stata dipinta nel 1682 sempre da Erik Eriksson Grijs.
La seconda, invece, è una piccola statua lignea, dipinta a colori vivaci, che, assieme a quelle degli altri Apostoli, decora il pulpito scolpito da Isaac Schiulstrom nel 1760.
Non si tratta, quindi, di opere d’arte medievali. Eppure i due artefici, uno del XVIII secolo e l’altro del secolo successivo, sono andati a riprendere una simbologia poco canonica, ma, si badi, non necessariamente eretica, che si rifà ad un episodio della vita di San Giovanni, piuttosto noto nel Medio Evo ma ritenuto non ortodosso dalla Chiesa di Roma.
Secondo alcune fonti apocrife, soprattutto i cosiddetti “Atti di Giovanni” (redatti da un certo Lucio Carino nel II secolo d.C., infarciti di episodi prodigiosi e straordinari ed impregnati di una buona dose di gnosticismo), i soldati romani che l’avevano arrestato posero davanti a San Giovanni, una coppa colma di veleno, intimandogli di berlo. L’Evangelista lo benedisse facendone uscire un serpente.
Scena eternata, appunto, dai due artisti svedesi. Si nota perfettamente l’Evangelista benedire con le tre dita della mano destra, un calice retto con la sinistra, dal quale esce la testa di un serpente.
Perché è stato scelto un simile soggetto? Faceva forse parte del patrimonio iconografico delle tradizioni medievali locali, di cui si sono persi i modelli primigeni, ma che sono sopravvissute, in qualche modo attraverso i secoli nonostante il distacco della Scandinavia dalla Chiesa Cattolica?
E se sì. Chi le aveva portate nel Medio Evo in Svezia nella regione del Dalsland?
Raffigurazioni di San Giovanni simili a queste della Skallerudskirka, databili con sicurezza al Medio Evo sono piuttosto rare.
Decisamente da segnalare quella affrescata (probabilmente nel XIV secolo, ma certamente ritoccata nei secoli successivi) sulle vele del presbiterio della chiesa gotica (XII-XIII secolo) della Madonna del Campo (chiamata anche S. Maria del Campo di Dio)a Visinada, in Istria (oggi in Croazia). Una chiesa appartenuta all’Ordine dei Cavalieri Templari.
Quattrocentesco è invece il Trittico con San Paolo, Santo Stefano Protomartire e, appunto, San Giovanni Evangelista, attribuito a Marco Antonio Aquili, conservato alla Parrocchia di San Giovanni a Vacone (RI). Il Trittico venne trafugato negli anni ’80 e recuperato e restituito dai Carabinieri nel 2009.
San Giovanni con Calice e serpente lo ritroviamo con più frequenza nell’arte rinascimentale.
Qualche esempio tra quelli riconducibili a celebri artisti. Nella Basilica di San Magno a Legnano (MI) si può ammirare un olio su tavola (135×544 cm) del XVI secolo, realizzato dall’allievo di Leonardo da Vinci, Gian Pietro Rizzoli (o Rizzi).
Un altro San Giovanni del medesimo artista è conservato nella Biblioteca Ambrosiana.
Il San Giovanni (olio si tavola 114×39 databile tra il 1470 ed il 1475) di Antonello da Messina visibile agli Uffizi con la mano destra regge il Vangelo e con la sinistra un calice da cui fuoriesce un serpente addirittura dotato di due ali da pipistrello. Che lo rendono tanto simile a quei draghi dell’Immaginario gotico.
Anche il fiorentino Piero di Cosimo (Piero di Lorenzo, 1461-1522) ha raffigurato l’Ultimo degli Evangelisti (con capelli lunghi e tanto di trecce) mentre benedice con le tre dita il Calice dal quale si leva una serpe avvolta nelle spire.
Del 1652 è il San Giovanni di Lorenzo Lega conservato nella chiesa di San Vito a Nole Canavese (TO). Il pittore, a scanso di equivoci, a dipinto tutti gli attributi iconografici dell’Evangelista. C’è l’Aquila del Tetramorfo, il Vangelo ed il Calice con il Serpente.
Nell’affresco (XVII secolo) della parrocchia di San Menna a Lucoli (AQ) il Santo non ha l’Aquila al proprio fianco ma con la mano sinistra regge sempre il Libro e con la destra il Calice con il rettile. Lascia interdetti la particolare fisionomia del Santo. Dire che sembra una donna è riduttivo. Ma di questo parleremo più avanti.
L’ULTIMA CENA DI BOLSTADKYRKA
Anche la chiesa di Bolstad risale al Medio Evo. Le parti più antiche, ovvero la torre e la parte occidentale della navata, sono probabilmente del 1175. Costruita tutta in pietra locale, la chiesa si caratterizza per la torre campanaria, alta 27,6 metri, e la guglia dalla forma curiosa, alta 13,3 metri. Dal 1400 la chiesa di Bolstad è intitolata a San Lorenzo Diacono. E’ circondata da un cimitero con sepolture che vanno dal Medio Evo al XX secolo. Su alcune svettano grandi croci celtiche o lapidi con decorazioni medievali come il “Fiore della Vita” (identificato pure su una lapide tombale del XIX secolo a Grinstad).
Su due lapidi in arenaria, datate al 1200, (ora allocate all’interno della chiesa) si vede quello che Arne Olsson ritiene una sorta di “albero della vita”.
La decorazione vegetale è simile a quella che corre lungo il bordo del Fonte Battesimale della chiesa di Gestads (XII-XIII).
L’altra lapide, che la Rydberg ritiene essere decorata sempre da una specie di giglio, è lunga 152 cm, larga 58 cm in alto e 46 cm in basso.
Nel Dalsland, ad Or, è esistita sino al 1830 una terza lapide con fregi a guisa del medesimo fiore.
Oltre a questi tre manufatti appena descritti, circa 300 altre lapidi con decorazioni simili sono state localizzate in oltre cento parrocchie della regione del Vastgotland. Quattro nel Varmland e due nel Bohuslän norvegese.
La maggior parte di queste lapidi risale al 1200 e sono fatte in una pietra proveniente da Kinnekulle.
Tornando alla chiesa di Bolstad, uno dei manufatti più interessanti è il Fonte battesimale, composto da una sorta di piedistallo in arenaria, recentemente restaurato e databile attorno al 1100, e dalla parte superiore a forma di coppa in pietra ollare risalente al 1200. Per gli studiosi svedesi questo reperto è molto importante perché attesta la presenza di una comunità cristiana nella zona sin dalla fine dell’Undicesimo secolo.
Tra i numerosi simboli (ad esempio una Conchiglia di San Giacomo che attesta come la Bolstadkyrka fosse meta di pellegrinaggi che si notano all’interno della chiesa, sulle pareti, sopra gli stalli lignei, merita una certa attenzione l’Altare in pietra realizzato nel 1670, che ospita una Pala con i Quattro Evangelisti ed i rispettivi simboli, dipinta cinque anni dopo da Erik Grjis di Goteborg.
Ed è proprio quest’ultima opera d’arte che attira l’attenzione del visitatore attento e curioso.
Una tavola, quindi, decisamente sui generis, i cui particolari enigmatici e anomali potrebbero essere attribuiti ad influssi esoterici o massonici del XVIII e XIX secolo. Oppure, come per altri manufatti rintracciati nelle chiese del Dalsland, rimandare a simbologie molto più antiche, risalenti al Medio Evo e sopravissute alla Riforma Protestante forse perché entrati a fra parte del patrimonio iconografico, figurativo e spirituale delle tradizioni di quelle terre.
A cominciare dal pavimento della sala dove si svolge l’Ultima Cena”, che è a scacchi bianchi e neri!
Colori che rimandano ai pavimenti dei Templi massonici, che a loro volta si rifanno a quello del biblico Tempio di Salomone, (le cui rovine, assieme alla “Spianata delle Moschee”, furono il Quartier Generale Templare a Gerusalemme sino al 1187) ed alle tante scacchiere che ancora oggi decorano chiese, abbazie, monasteri, di mezza Europa. Ma pure metafora dell’eterna lotta tra il Bene ed il Male, allegoria della contrapposizione della Luce e la Tenebra, Giorno e Notte, Maschio e Femmina, e vessillo dei Cavalieri Templari; il bicolore “Baussant” o “Valcento”.
Giova ricordare che una rara raffigurazione dello scudo con i colori Templari è stata rinvenuta durante i lavori di restauro, affrescata sotto l’intonaco di un parete interna della chiesa dell’Eremo di Sant’Antonio Abate a Colle del Fico a Ferentino (FR).
Sul simbolismo della scacchiera il discorso sarebbe lungo. Sono stati versati i proverbiali fiumi d’inchiostro e non basterebbe tutto lo spazio a disposizione di questo sito web, per trattarlo. Ma qualche cenno è doveroso farlo.
A quanto pare il primo a trattare in Occidente dell’argomento del Gioco degli Scacchi è stato il sovrano iberico Alfonso X “il Saggio”, nel suo “Libro de Juegos”.
E’ noto che gli Scacchi provengono dall’India e sono giunti in Europa nel Medio Evo tramite i Persiani e gli Arabi e, forse, gli Ordini monastico-cavallereschi presenti in “Outremer”. Nell’Egitto dei Faraoni, però, era certamente noto un gioco molto simile, come attestato dagli affreschi rinvenuti dagli Egittologi.
Nell’Europa medievale, il gioco subì qualche piccola modifica. Ad esempio. Il “pezzo del Visir” divenne quello della “Regina. Una prova della provenienza del gioco l’abbiamo dall’espressione “Scacco matto”, che sembra derivare dalle parole persiana “Shah”, “re” ed araba “mat”, “morto”.
La più antica testimonianza di questo gioco ci viene da un erudito arabo al Masudi, vissuto a Bagdad nel IX secolo. Che, tra l’altro, non soltanto ne attribuì l’invenzione ad un re indù, tale Balhit, ma cercò anche di decifrarne i significati allegorici più reconditi. Brevemente ricorderò come in questo gioco, effettivamente, si concentrano diversi simbolismi. Ad esempio quello dei numeri.
Le caselle che formano la scacchiera canonica sono otto per otto, alternativamente di colore bianco e nero.
Il Sessantaquattro, numero complessivo delle caselle è per gli Indù un numero sacro. Legato ai cicli cosmici. Secondo il Buddismo l’Universo avrebbe la forma di un immensa scacchiera divisa in 64 riquadri. Inoltre, la tavola di gioco, con i suoi colori contrapposti, altri non è che un “mandala” di forma quadrata, invece che rotondo. Equivalente al simbolo dello “yn” e dello “yang”, dal significato attinente alla ciclicità senza fine ed al principio degli opposti (ad esempio spirito e materia, luce e tenebra) che si attraggono. Ma i due colori, o non colori, della scacchiera (proprio come il “Valcento”) rimandano all’eterna lotta tra le Forze del Bene e quelle del Male. Per gli Induisti tra “devas” e gli “asuras”, paragonabili agli angeli ed ai demoni delle Grandi Religioni monoteiste.
Dopotutto una partita a scacchi è la rappresentazione allegorica proprio di un battaglia. Ma è anche il gioco in cui si sublima la conoscenza e l’intelligenza, al contrario di altri passatempi, in cui regna sovrano il caso e la fortuna, senza alcun merito nei confronti dei giocatori. E probabilmente è proprio questo l’insegnamento e la lezione ultima che volevano trasmettere gli ignoti inventori di questi ludi.
Non è certamente casuale che quello degli Scacchi fosse l’unico gioco permesso ai Templari ed ai Teutonici.
Nella Biblioteca dell’Escorial a Madrid, è conservato un prezioso codice con una miniatura raffigurante un cavaliere “crociato” intento a giocare una partita a scacchi con un guerriero musulmano. Sempre meglio che scannarsi a vicenda.
Scacchiere bianche e rosse sono state affrescate nella storica “Sala dello schiaffo” (o, appunto “Sala delle Scacchiere”) (XIII secolo) del Palazzo di Papa Bonifacio VIII ad Anagni (FR).
Un pavimento a scacchi è presente nella celebre “Pala di Castelfranco” del Giorgione (Tempera su tavola, datata al 1502 realizzata per il Duomo di Castelfranco Veneto). Oltre alla Madonna in trono con il Bambino, vediamo un San Francesco ed un cavaliere in armatura cinquecentesca, forse San Giorgio.
Ma l’assoluta mancanza di un drago (attributo fondamentale di tutte le raffigurazioni del Santo) ed il fatto che regga un vessillo con una croce di colore bianco in campo rosso, lo identificherebbe con un membro degli Ordini monastico-cavallereschi. Un Giovannita (alla luce dei colori del vessillo, anche se la croce è piana e non amalfitana)n o, piuttosto (visto che Giorgione, per le simbologie, scacchiera compresa, contenute nei suoi dipinti viene considerato un pittore esoterico, un iniziato) un Templare?
Presso la basilica di Sant’Ambrogio a Milano sono visibili almeno quattro scacchiere, ma i colori sono il bianco ed il rosso come ad Anagni e soltanto una il numero canonico di caselle, ovvero 8×8.
Due hanno 7X7 caselle, e l’ultima, la più piccola, 5X5.
La prima si trova sulla facciata, a destra del portale di ingresso ed è quella con 64 caselle. La seconda è posta sul lato destro del nartece, ed infine, le ultime due sono sul muro di sinistra in alto appena entrati. Sono una sopra l’altra. La più alta, di sette caselle di lato, tocca con il suo vertice inferiore l’altra, la più piccola, di cinque caselle di lato, che, inoltre, non presenta una regolare alternanza di caselle bicolori ma solo quattro caselle bianche. Forse il risultato di un maldestro (e deliberato?) restauro.
Secondo molti la scacchiera era un semplice simbolo apotropaico che teneva lontano gli spiriti maligni, secondo altri si tratterebbe di una rappresentazione simbolica della città stessa di Milano.
Ma non solo. Da più parti il simbolo della scacchiera viene ritenuto in qualche modo riconducibile ai Cavalieri Templari, presenti a Milano sin dal 1134. In un primo tempo, probabilmente proprio a Sant’Ambrogio e poi nella zona del Brolo, dove sorgeva un bosco probabilmente sacro già ai Celti. Qui i Templari edificarono due chiese, Santa Maria del Tempio (che oggi ha lasciato posto ai padiglioni dell’ospedale) e Santa Maria della Pace, che ora è sede dell’Ordine del Santo Sepolcro di Gerusalemme.
A Trieste, in un palazzo ottocentesco, al numero civico 3 della piazza dell’Hospitale, la scacchiera bianca e nera è stata usata per decorare la soglia di ingresso del portone con evidenti fini apotropaici.
Concordo con Marco e Gianluigi, ottimo articolo, ben fatto ed avvincente. Desidero però sottlineare una cosa. Giuda è visto da sempre come il Traditore per eccellenza. Anche in questo articolo viene riproposta l’immagine di Colui che tradì Gesù Cristo. Ma io mi sono sempre chiesto una cosa. Possibile che Cristo, per poter portare a compimento il suo disegno di Salvezza di tutti gli Uomini si sia servito, sacrificandolo per l’Eternità, di uno di quei suoi Figli e Fratelli, Giuda Iscariota appunto, per i quali Lui stesso si è sacrificato sulla Croce? Io credo piuttosto che Giuda fosse consapevole e consenziente di ciò che stava facendo e che fosse daccordo con Cristo stesso. Come emerge dal “Vangelo di Giuda”, scoperto in Egitto nel secolo scorso e pubblicato qualche anno fa dal National Geographic. Nel “Vangelo di Giuda” è chiaro come l’Apostolo daccordo con Gesù nell’organizzare il “tradimento” in modo tale che potesse giungere a compimento il progetto di Salvezza voluto da Dio sin dall’inizio dei Tempi. Perchè la Chiesa continua a considerare Giuda un dannato, un Traditore, un rinnegato? Gentile dottor Pavat mi piacerebbe conoscere il suo pensiero in proposito. Filippo Di Biagio.
Ottimo articolo. Fa luce sui significati di alcune simbologie prendendo spunto da nuove scoperte addirittura in Scandinavia. Questa è informazione e divulgazione, soprattutto perchè non eccede nel sensazionalismo. Questa è vera e seria ricerca nel mistero.
Gianluigi
Complimenti! Una descrizione precisa e dettagliata, corredata anche da altri elementi, che rende questo articolo davvero affascinante e completo in ogni sua parte. E’ davvero un piacere leggerlo dall’inizio alla fine!