Il Gran Priore Stelio W. Venceslai interviene sulle dimissioni di Papa Benedetto XVI.

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Dal professor Stelio W. Venceslai, storico e Gran Priore dell’O.M.S.T.H. – Gran Priorato d’Italia, riceviamo e pubblichiamo una lunga “lettera aperta” sulle dimissioni di Papa Bendetto XVI.

LE DIMISSIONI DI BENEDETTO XVI.
(nella foto di Domenico Pelino: il Gran Priore Stelio W. Venceslai)

E’ dai tempi di Celestino V che un Papa non rinuncia al soglio pontificio. Anche quelli erano tempi tremendi, la Chiesa era profondamente divisa. Quando i Cardinali si misero d’accordo su di un povero eremita per risolvere le loro dispute politiche che lasciavano il seggio vacante, scelsero qualcuno che potessero manovrare.

Celestino era un eremita, ma non uno sciocco. Pochi mesi dopo la sua imprevedibile elezione, in una residenza dorata come quella in cui lo portò il vincitore politico della disputa cardinalizia, il Re di Napoli, capì che non era affar suo e si dimise. In fuga, ricercato ed arrestato, confinato nel castello–carcere di Fumone, morì poco dopo, probabilmente assassinato, sempre per pietà cristiana. A quell’epoca non si poteva vivere senza un Papa, ma due erano decisamente troppi.

Le dimissioni di Benedetto XVI, dopo otto anni di pontificato, sono un fatto completamente diverso. Papa Ratzinger non è un eremita sprovveduto. E’ un grande teologo, un intellettuale di razza, per molti versi un uomo superiore ai comuni mortali. Chiedersi il perché di queste dimissioni, se per età, per stanchezza, per ricatto o per disgusto, in fondo, è del tutto inutile. Ma certamente queste dimissioni sono una svolta importante nel percorso millenario della Chiesa di Roma. Cerchiamo di capirne le implicazioni.
Innanzi tutto, la Chiesa non è lo Stato della Città del Vaticano, ma ambedue queste istituzioni sono rette da un’unione personale rappresentata dal Papa. Un Presidente della Repubblica può dimettersi, un Re può abdicare, ma un Papa? Come capo di Stato, certamente è nelle sue facoltà. Come rappresentante di Cristo in terra, con l’infallibilità papale sancita da un dogma molto contestato, il discorso è un po’ diverso.

Il potere temporale della Chiesa, dopo la perdita di quello territoriale, con la presa di Roma nel 1870, è immenso, molto più grande di quanto non si creda. Ma è questa la missione della Chiesa? Quando la funzione spirituale si mescola a quella terrena, ne viene fuori un pasticcio inestricabile. La Curia è sempre stata un nido d’interessi e di veleni che poco hanno a che vedere con la missione evangelica. La temporalità ha preso la mano.

Ma la Chiesa è da anni in difficoltà, forse, proprio a causa dell’eccesso di temporalità. La Chiesa ha perso terreno, negli ultimi decenni, soprattutto in Europa, culla del Cristianesimo, ma anche in Africa e nell’America Latina. L’irrompere di tempi nuovi, non migliori ma profondamente diversi, ha messo in crisi un sistema immutabile da millenni e reso rigido dal dogma.

I Seminari sono vuoti, le vocazioni diminuiscono, gli scandali sessuali e gli abusi, denunciati dal mondo laico, sono soffocati e coperti, il celibato dei preti è messo sempre più in discussione, la visione maschilista del sacerdozio è un relitto del passato, la pressoché tradizionale commistione di Cristianesimo con regimi politici ambigui e, spesso, liberticidi, ha fatto il suo tempo, la visione sacramentale del matrimonio è stata fatta a pezzi dal divorzio, dalle separazioni, dal coniugio fra omosessuali. Tutto ciò allontana la Chiesa dal mondo di oggi. In sintesi, la missione spirituale è contestata e, spesso, rifiutata.

La Chiesa ha una storia bimillenaria. Ha superato molte tempeste ed è sopravvissuta nel suo immobilismo granitico. Cambiare, forse, per essa, vuol dire morire.

Benedetto XVI non è uomo del Trecento né è incline a mutazioni rivoluzionarie. Nella solitudine disperante d’un uomo alla testa della Chiesa non poteva non rendersi conto di quanto difficile sia il trapasso da una tradizione bimillenaria alle esigenze d’una società moderna che, tra l’altro, non è chiaro in quale direzione possa procedere. Ad ottantacinque anni, il compito è pressoché insuperabile. Ne ha preso atto, con discrezione, umiltà e coraggio. Onore al merito.

Tuttavia, quando un grande uomo sparisce dalla scena del mondo, ché tale sembra essere la sua intenzione, restano i piccoli uomini, affannati ad inseguire instabili sogni di ricchezza e di potere, illusori ma tenaci. Il Conclave cercherà di assicurare la continuità del Papato. Quale continuità?

La prima considerazione da fare è che se il Papa è il rappresentante di Cristo in terra, ne avremo due. Da questa rappresentanza non ci si può dimettere o crolla tutto l’apparato.

Avremo un Papa silenzioso ed un Papa attivo. Una situazione teologicamente molto difficile, sempre che Benedetto XVI non faccia rapidamente la fine di Celestino V. In fondo, dopo Papa Luciani, c’è da aspettarsi di tutto.

In secondo luogo, se la missione sacramentale del Papa può essere oggetto di dimissioni, anche due coniugi cristiani che non ne possono più di convivere possono dimettersi con un divorzio cristiano. Perché il Papa potrà accostarsi ai sacramenti ed il fedele divorziato no?

In terzo luogo, infine, cosa ci si aspetta da un nuovo Papa? Che faccia finta di nulla e che continui allo stesso modo di sempre, con divieti, regole assurde e non più condivise, i traffici dello IOR e le commistioni politiche, le incursioni sulla politica interna italiana e la difesa strenua dei privilegi ottenuti?

L’auspicio che tutto cambi è forte, ma lo è altrettanto il dubbio. Se cambiasse la Chiesa, adeguandosi, almeno in parte, alle necessità spirituali degli uomini d’oggi, crollerebbe quel sistema immutabile di potere che l’ha fatta sopravvivere fino al 2013?

La questione è tutta qui, fra il potere spirituale della missione evangelica ed il potere temporale che sempre più ha prevaricato il primo.

Benedetto XVI ha indicato la strada di un cambiamento. La svolta epocale è lì, ad un passo. Un’occasione da non perdere ma dai risvolti difficili. E’ inutile predicare il Vangelo quando si razzola male. Il mondo cristiano, e non solo, ha bisogno d’un risveglio spirituale forte, non di riciclaggio di quattrini sporchi.

Eminentissimi Cardinali, diamogli, a questo popolo, un segno che il Cristianesimo non è finito nelle casse dello IOR.

Roma, 17 febbraio 2013.
Stelio W. Venceslai.

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