Visto il grande interesse suscitato dall’articolo scritto da Giancarlo Pavat (e da noi pubblicato) in merito al presunto “Dolmen” di Monte S. Casto a Sora (FR), e ai numerosi quesiti arrivati da alcuni lettori, abbia chiesto al noto ricercatore di tornare sull’argomento. Proponiamo, quindi, in esclusiva , un testo inedito di Giancarlo Pavat (che rigraziamo per la sua cortesia e disponibilità) , scritto alcuni anni fa e successivamente aggiornato, relativo ad un altro presunto “Dolmen”, questa volta situato nella Valle del fiume Amaseno (Foto in alto), al confine tra le province di Latina e Frosinone.
(Alcune immagini del presunto Dolmen della Valle dell’Amaseno – Foto Pavat 2014).
LO STRANO CASO DEL “DOLMEN” DELLA VALLE DEL FIUME AMASENO (LT). di Giancarlo Pavat.
Percorrendo la Strada Provinciale “Guglietta-Vallefratta”, che di fatto corre lungo la riva sinistra del fiume Amaseno, in direzione dell’omonimo paese ciociaro, si può notare, all’altezza del “Ponte delle Mole” di Villa S. Stefano (FR), sui campi che si aprono a destra della strada, un curioso insieme di grossi massi calcarei.
Il terreno di trova nel territorio comunale di Prossedi, in provincia di Latina. Infatti in quel punto è proprio il fiume Amaseno che ne segna il confine con la provincia di Frosinone (Foto 1).
(Foto 1: Il Fiume Amaseno al confine tra le province di Latina e Frosinone – Foto Pavat 2014).
Tutta la Valle del fiume Amaseno è un territorio fortemente carsico, con numerose formazioni rocciose che emergono dal terreno e dalla macchia mediterranea.
Pertanto lo strano fenomeno calcareo epigeo (vedere immagini all’inizio di questo articolo), per quanto suggestivo ed interessante, molto probabilmente è del tutto naturale.
Eppure, una intrigante storia, emersa un pezzo alla volta, potrebbe identificare tali rocce con qualcos’altro. Qualcosa di molto particolare che, se confermato, potrebbe aprire nuovi orizzonti nello studio della preistoria e protostoria del territorio della Valle dell’Amaseno e dei Monti Lepini e Ausoni.
Procedendo con ordine, registriamo che la formazione rocciosa è composta da tre pietroni (o almeno appaiono tali) posti a ferro di cavallo, con l’apertura rivolta al fiume. È necessario sottolineare che questi dati sono stati rilevati senza scavare il terreno vicino alle rocce che tra l’altro è di proprietà privato e recintato. Quindi non è accessibile. Ma le rocce sono perfettamente visibili dalla strada. Basta fermare l’autovettura e scendere sul margine della carreggiata.
Notai per la prima volta tale formazione nel 1991, ma fu solo alcuni anni dopo, che per puro caso, mi venne riferita la strana storia di cui accennavo poc’anzi. Mi venne raccontato che molti anni prima sarebbe esistito un quarto masso, posto orizzontalmente sopra gli altri tre.
La persona che mi riferì il particolare era un anziano abitante di Prossedi (LT), oggi purtroppo deceduto.
Raccontò questo particolare senza dare troppa importanza. Al più come qualcosa di curioso e basta. Ma il sottoscritto riconobbe nella descrizione dell’anziano contadino una figura ben precisa.
Chiesi conferma e magari altri particolari ad altre persone dei paesi vicini, compresa mia suocera. Ma non emerse alcuna ulteriore informazione. Anzi, a quanto apre nessuno sembrava ricordare l’esistenza del quarto masso piatto posto sopra gli altri tre.
Pertanto, se il contadino diceva il vero (e non aveva alcun motivo per mentire), il particolare risaliva a prima degli anni venti o trenta del XX secolo.
(Foto 03: Il Dolmen di Havesten nel Dalsland. Svezia – Fot5o Pavat 2011).
Alcuni anni dopo, un’altra persona, in una situazione completamente diversa, mi riferì la medesima storia. Ma anche lui aveva avuto l’informazione molti anni prima dagli anziani della zona.
Cercai di saperne di più ma a seguito di mie domande più precise, il soggetto (successivamente indicatomi come un presunto tombarolo del frusinate), schernendosi, disse di non ricordare bene la storia. A questo punto la strada per altre indagini era preclusa. Ma è bene scoprire le carte e chiarire di che cosa si sta parlando.
L’anziano contadino non fece altro che descrivermi, per quanto incredibile possa sembrare, un monumento megalitico diffuso in varie aree d’Europa ed anche di altri continenti: un “Dolmen”.
Gli esempi più noti si trovano sulle Isole Britanniche, nella Francia occidentale e in Scandinavia (ad esempio il Dolmen di Havesten nella regione del Dalsland in Svezia) (Foto 3).
(Foto 04: Giancarlo Pavat e il Dolmen della Chianca a Bisceglie-BA- Foto Luca Pavat 1990).
Anche in Italia ne esistono notevoli esempi, soprattutto in Puglia. Io stesso nel luglio del 1990 ebbi modo di visitare e fotografare il “Dolmen di Bisceglie” (BA) (Foto 4)e qualche anno dopo, quello di Meledugno (LE) (Foto 5).
(Foto 05: Il Dolmen di Meledugno a Lecce – Foto Tedesco 1991).
Questi monumenti preistorici sono costituiti da due o più monoliti verticali che sorreggono uno o più lastroni litici orizzontali. Generalmente il manufatto era ricoperto da un tumulo di terra, oppure da un cairn di pietre più piccole.
Infatti i resti attuali di dolmen sembrano veramente delle “tavole di pietra” , ancora oggi traggono in inganno e vengono erroneamente definiti come altari pagani, in genere celtici. Anche se non hanno mai nulla avuto a che fare con questo popolo. Essendo molto più antichi e diffusi in regioni (e addirittura continenti) in cui popolazioni celtiche non sono mai arrivate. I Dolmen sono invece tombe, o meglio “camere sepolcrali” con gallerie (dromos) un tempo completamente ricoperti. Gli unici manufatti simili rinvenuti nel Lazio sono quelli della necropoli di Pian Sultano, vicino a Tolfa (RM), realizzate probabilmente nel II millennio a.C. e riutilizzate dalla Civiltà Etrusca nel VII secolo a.C..
(Foto 06: La copertina del libro di don G. Capone del 1993).
Aperto è il dibattito sui manufatti individuati da diversi ricercatori sui monti Ernici in Ciociaria. Ne ha parlato don Giuseppe Capone nei suoi libri “Monumenti megalitici in terra Ernica” (edizioni Pasquarelli 1993) (Foto 6) e “Collepardo” (1994). In cui, tra l’altro, cita i presunti “dolmen” di Colle Saracino a Fumone (Foto 7), della località Cesale (Foto 8) e del monte Peccia (Foto 9) a Collepardo.
(Foto 07: Il presunto “Dolmen” di Fumone-FR. -Foto di Nello Rinaldi tratta dal libro di don G Capone del 1993).
“A Collepardo ci sono due Dolmen ben affiancati e differiscono solo perché il megalite orizzontale di quello di sinistra è a terra: uno dei sostegni verticali (quello a destra) ha ceduto, e al grande pietra è scivolata, adattandosi a poca distanza sul terreno leggermente scosceso” scrive don Giuseppe Capone in “Monumenti megalitici in terra Ernica” “Un’altra particolarità hanno questi monumenti: le pietre orizzontali sono di roccia calcarea, comune nella zona, mentre quelle verticali sono di conglomerato calcareo cementato da limonite, come l’intera piattaforma che sostiene tutto l’apparato al quale sono collegati i Dolmen”.
(Foto 08: Nello Rinaldi davanti al presunto “Dolmen” di Cesale-Collepardo -FR – Foto Pavat 2010).
E ancora:
“A Fumone ce ne sono due a poca distanza l’uno dall’altro: uno è rivolto a Sud ed ha la pietra orizzontale ben distaccata dal suolo, e mostra chiaramente di appoggiarsi sui due sostegni posti in verticale; l’altro, invece, più grande e più lavorato, h ala grande lastra orizzontale seminterrata e fortemente inclinata in avanti: devono aver ceduto i sostegni, e la “tavola” è scivolata ruotando di circa 40 gradi. In origine doveva essere orientata ad Est” concludeva il religioso ricercatore originario proprio di Collepardo.
Poi, nel libro “Collepardo” (1994), ha pubblicato due foto scattate da Nello Rinaldi di Alatri al “Dolmen” di monte Peccia (sopra Collepardo) segnalato da Elio Rondinara.
Ma nonostante alcuni di questi presunti “dolmen” siano addirittura orientati astronomicamente o comunque con la levata del Sole, l’”Archeologia ufficiale” ha escluso con decisione che tutti questi ammassi di enormi macigni possano essere opera dell’Uomo. Molto probabilmente non sono altro che fenomeni del tutto naturali.
(Foto 09: Il presunto “Dolmen” di Monte Peccia. – Foto tratta dal libro di don G. Capone “Collepardo” del 1994).
Qualcuno ha fatto notare che la celebre “Porta Saracena” (Foto 10) a Segni (RM), o le strutture ciclopiche dell’Acropoli d’Alatri (FR) o le porte lungo le mura di Veroli (FR), possano avvicinarsi a strutture dolmeniche. Ma non è proprio così. Aldilà della presenza di enormi blocchi di pietra, i dolmen videro al luce attorno al V millennio a.C., molto prima delle mura megalitiche del Basso Lazio, datate generalmente dagli archeologi non prima del IV secolo a.C..
(Foto 10: La cosiddetta “Porta Saracena” a Segni – RM – Foto Pavat 2000).
Pertanto, se venisse confermata, la scoperta del “Dolmen della valle dell’Amaseno” sarebbe eccezionale.
Sinceramente mi sono fatto una opinione in merito. Mi sono più volte recato, anche recentemente sul luogo, e credo proprio che tre massi siano un fenomeno carsico epigeo del tutto naturale.
E’ questa la parola fine alla vicenda del “Dolmen” dell’Amaseno? Forse no.
Rimane, infatti, ancora un mistero. Come è stato possibile che il contadino di Prossedi, che non sapeva nemmeno l’esistenza di una parola come “dolmen”, abbia potuto descriverlo così bene? È anche vero, però, che non usò mai la parola (che d’altronde dovrebbe sorgere spontaneamente) “Tavola”. Termine che ho sentito usare dalle popolazioni locali della Puglia per indicare i veri “Dolmen”.
Quindi è solo un caso che la sua descrizione possa assomigliare a quella di un “dolmen”?
Probabilmente sì. Visto che, pur continuando nel corso degli anni a chiedere informazioni agli anziani della zona, non sono riuscito a sapere nient’altro. Nessuno mi ha mai più descritto qualcosa che potesse nemmeno lontanamente assomigliare ad un “Dolmen”.
(Foto 11: Il Ponte Romano detto “di Sant’Aneglio” ad Amaseno – Foto Pavat 2013).
Tutto ciò l’avevo scritto nel 2002 e rivisto leggermente nel 2005. Non essendo emerso alcun nuovo elemento non avevo mai pubblicato questi, che tutto sommato, non sono altro che poche note ed appunti.
Ora che si sta facendo un gran parlare del presunto “Dolmen” di monte S. Casto a Sora, ho ritenuto interessante riportare alla luce questa vicenda di oltre 10 anni fa. Anche perchè
recentemente nella vallata, si è tornati a parlare di monumenti e siti archeologici trascurati, (come il Ponte romano detto “di Sant’Aneglio” del IV secolo a:C., nel comune di Amaseno) (Foto 11) abbandonati o mai identificati; spesso attirando, purtroppo, le attenzioni di personaggi senza scrupoli dediti a scavi clandestini.
Nonostante, lo ripeto, io sia convinto che la formazione rocciosa in argomento sia naturale, per togliere ogni dubbio sarebbe auspicabile, anche in questo caso, un sopralluogo e monitoraggio da parte di personale competente e qualificato Chissà che non salti fuori qualche indizio di una eventuale presenza di attività umana per la posa in opera dei megaliti?!.
(Foto 12: La formazione rocciosa della valle dell’Amaseno. Secondo alcuni sarebbe ciò che rimane di un “Dolmen”- Foto Pavat 2014).
(Foto 13: Giancarlo Pavat nella valle dell’Amaseno a caccia di misteri).