IL MISTERO DEL QUADRO DI ARCIDOSSO: SIMBOLI NASCOSTI
di Claudia Cinquemani
Ad appena un paio di chilometri dal borgo amiatino di Arcidosso in provincia di Grosseto, si trova il Santuario della Madonna delle Grazie detto anche “dell’Incoronata” a motivo di un’immagine della Madonna ritenuta miracolosa.
Per una serie di coincidenze, cinque anni fa sono venuta a conoscenza che all’interno del Santuario era custodito un quadro raffigurante Celestino V, il Papa “eremita” che eletto nel 1294, fu incoronato all’Aquila il 29 agosto nella basilica di Santa Maria di Collemaggio. Il quadro era in restauro e fui costretta ad attendere alcune settimane prima di poterlo vedere. Attualmente è tornato ad essere esposto nella chiesa anche se la sua collocazione originaria era in altro altare dedicato a Giovanni Battista, distrutto in passato,durante i lavori di ampliamento della chiesa. Uno stemma alla base dell’altare perduto, riferito ad una famiglia del borgo ha indirizzato alcuni ricercatori verso un sacerdote pittore, attribuendogli la paternità del dipinto ma finché non emergeranno altre informazioni sul personaggio, il quadro rimane per me di autore ignoto. Esso raffigura Celestino V che abbandona gli attributi papali davanti a San Giovanni Battista ed alla Madonna con il Bambino. Oltre a queste figure di santi, sono presenti un agnello, degli angioletti e San Luca che osserva la Madre di Gesù e la ritrae su una tela retta da un angioletto.
La ricerca mi ha condotta all’Aquila nella casa medioevale di Jacopo Notar Nanni fortemente danneggiata dal sisma del 2009 e dove singolarmente, abbracciata dalle continue coincidenze che hanno segnato la mia vita, avevo sostato anni prima per pranzare nel ristorante che si trovava al suo interno. Ho saputo che l’edificio situato nel centro storico del capoluogo abruzzese, custodiva un’incisione, copia di una pala seicentesca descritta come “San Giovanni, Pier Celestino e San Luca”, dipinta da Marcantonio Franceschini, eseguita intorno al 1688 e custodita all’interno della chiesa di San Pietro dei Celestini a Bologna. A questo punto, più per intuito che per razionalità sentivo di seguire la storia di quest’opera che forse mi avrebbe fornito ulteriori dettagli sul quadro di Arcidosso. Grazie all’aiuto della storica dell’Arte, Rossella Foggi di Prato ho potuto osservare la riproduzione dell’opera presente su un libro d’arte, scoprendo che il quadro di Arcidosso era una copia posteriore e di mano diversa. Gli allievi del Maestro Franceschini avevano prodotto negli anni a seguire molti quadri con lo stesso tema ed ai più promettenti erano state fornite le credenziali per accedere alle migliori accademie come quella di San Luca a Roma. In seguito sono venuta a conoscenza del fatto che nel 1700 era in uso da parte delle Confraternite operanti sul Monte Amiata, commissionare copie di opere di autori apprezzati.
Dato che la pala “amiatina”, a causa delle particolari differenze con l’originale, era per me un enigma affascinante, ho iniziato a lavorare proprio su queste. Osservando il quadro di Bologna, gli angioletti presenti sorreggono in cielo gli attributi del Battista e di San Luca mentre nel quadro di Arcidosso il vessillo del Battista è abbandonato a terra e sono assenti il Vangelo attributo di San Luca e il flagello della passione di Gesù. Le chiavi del papato abbandonate sul pavimento, come simbolo di rinuncia, sul quadro di Arcidosso sono poste sopra un vassoio che elude in maniera alquanto strana, tutti i canoni della prospettiva. Le chiavi adagiate su di esso sarebbero invertite rispetto al simbolo della Santa Sede risultando quindi corrispondenti all’emblema del Vaticano istituito solo dopo il 1929. Infatti nello stemma della Santa Sede, la chiave dorata che punta verso destra allude al potere sul Regno dei Cieli e quella d’argento a sinistra alluderebbe invece all’autorità spirituale del papato in terra. Fu soltanto con i Patti Lateranensi dell’11 febbraio 1929 che venne adottato l’emblema con le chiavi raffigurate come quelle che si trovano nel quadro di Arcidosso e il pittore questo fatto non lo avrebbe potuto sapere. Difficile pensare ad un errore da parte dell’artista che parrebbe essere stato scrupoloso nell’uso dei simboli. Forse potrebbe essere un messaggio ancora da svelare, un indizio per l’osservatore.
Il trono sul quale è assisa la Madonna con bambino rappresenta la scena del Sacrificio di Isacco ed è identico in entrambi i quadri; tuttavia in quello di Arcidosso presenta una strana inclinazione simile all’Ara di pietra della prima versione dei Pastori d’Arcadia di Poussin. San Luca nel quadro di Bologna dipinge direttamente la tela mentre nel quadro di Arcidosso presenta un’area triangolare con un punto di luce centrale formato dal dito dell’apostolo iconografista inserito nel foro della tavolozza. Dal fondo di questa, si irraggia un ventaglio di pennelli che somiglia ad un fascio di luce.
L’angioletto che regge la tela al pittore nell’opera di Bologna è nudo mentre nella versione “amiatina” ha una fascia azzurra trasversale dello stesso colore dell’abito della Madonna. Totalmente assente nell’opera di Bologna, l’agnello sacrificale, simbolo del Messia è invece ben presente nella tela di Arcidosso, fiero, con orecchie a punta, nell’atto di osservare la base della colonna dove è posta in grande evidenza la data 1736 con il 6 disegnato coricato verso destra. Curiosamente l’altezza del Monte Amiata all’epoca della realizzazione del dipinto era stabilita con un’altezza di 1736 metri; attualmente è stabilita in 1738 metri.
Sempre nel quadro di Arcidosso si nota Celestino V che nell’atto di sorreggere la tiara papale indica con il dito indice della mano destra il Giovanni Battista.
Dopo la ripulitura, prima dell’ultimo restauro è emersa una curiosa macchia a forma di piede che poggia sul vassoio contenente le chiavi papali ora nascosta da un lembo di veste rossa. Secondo la restauratrice che ha avuto in cura l’opera si tratterebbe soltanto di una macchia di colore. Ella però è stata gentile nell’informarmi di due strani particolari: gli angioletti svolazzanti sarebbero forse stati aggiunti successivamente e la tela sarebbe stata tagliata verticalmente al centro e poi nuovamente unita prima dell’esecuzione pittorica. Personalmente ritengo che il “piede scomparso” che toccava la chiave argento, sia stato un tentativo di dipingere un ulteriore messaggio da parte dell’autore, al quale è seguito un ripensamento per motivi di prospettiva. Celestino V pesta con il piede la chiave argentea,simbolo dell’autorità del papato in terra contrapposta a quella aurea che rappresenta il potere sul regno dei cieli.Forse per questo il pittore ha invertito le chiavi e posizionata quella argentea vicina al piede scomparso del Papa aquilano. Lascio giudicare ai lettori sulla base della foto gentilmente concessa prima del restauro e dopo il suo intervento.
E’ stato solo dopo la prima edizione del mio libro “Guida alla Maremma insolita e Misteriosa” che mi sono accorta di un particolare messaggio inserito nel quadro stesso. Avevo notato che i due Santi Giovanni e Luca raffiguravano lo stesso volto in posizioni diverse come se fossero il proseguo della stessa persona o guardiani di due porte. Inoltre S. Luca toccava con il proprio alluce quello dell’angioletto che sorreggeva la tela, sfiorandosi entrambi con il ginocchio sinistro e questo fatto mi aveva fatto supporre che l’ autore del dipinto avesse voluto indicare un fatto preciso.
Poi c’era la data 1736 con quel 6 coricato come un dito puntato verso Papa Celestino V. Curiosamente anche i pennelli di San Luca erano 6 (cinque più quello che il Santo tiene in mano) e allora è stato lì che si è accesa la scintilla che mi ha fatto guardare nuovamente l’angioletto. Ho contato le sue dita dei piedi scoprendo che invece di cinque erano sei: ero in presenza di un’ esadattilia nel quadro di Arcidosso che oltretutto adesso svelava tre volte il numero 6.
Come ben spiega Franco Manfredi scopritore di questo tipo di anomalie nei dipinti. Singolarmente uno di essi ha grande somiglianza con la nostra pala di Arcidosso nella rappresentazione della Madonna in trono con bambino. Nel quadro di anonimo pittore forse seicentesco, collocato nella chiesa principale di Massimeno nel Trentino è la Madonna ad essere rappresentata con sei dita al piede sinistro. In origine la pala era collocata nella chiesetta, isolata in mezzo al bosco, di San Giovanni Battista.
Franco Manfredi in uno dei suoi articoli riporta che l’esadattilia è un’anomalia non sconosciuta alla scienza, anche se rara; da sempre questa particolarità ha comunque determinato la formazione di credenze e di superstizioni. Generalmente in passato chi possedeva un numero di dita superiore a quello canonico, era considerato in rapporto con le creature dell’ombra e spesso era indicato come strega o eretico”.
Da traduzione di Elio Corti, nel libro di Samuele si legge:“Ci fu poi ancora una battaglia a Gat. E c’era un uomo, e le dita delle sue mani e le dita dei suoi piedi erano sei più sei, in tutto 24, e anche lui era della discendenza di Rafa. E insultò Israele, e Gionata, figlio di Simea, fratello di Davide, lo colpì mortalmente. Questi quattro discendenti di giganti erano nati in Gat, dalla stirpe di Rafa, e caddero per mano di Davide e dei suoi subordinati”. L’area dove sorge il Santuario dell’Incoronata ha restituito nel recente passato alcune prove della presenza di individui di alta statura in alcuni resti archeologici rinvenuti per caso per i quali riporto integralmente la relazione nel mio ultimo libro “Tradizioni Magiche in Maremma”, ma questa è un’altra storia.
Per approfondimenti, della stessa autrice:
Crediti:
creazionisothisclaudiacinquemani.blogspot.it