Immagine di apertura: Cristo istituisce l’Eucaristia. “Comunione degli Apostoli”, opera del pittore fiammingo Joos van Wassenhove detto Giusto di Gand (1430 ca. – 1480 ca.).
IL SACRO GRAAL: LA “CERCA” CONTINUA…
Il vaso, il cuore, il sangue e la Madre.
di Alessandra Filiaci
Come ogni mistero che si rispetti, non sono stati sufficienti né i fiumi d’inchiostro versati né i film di successo a far cessare l’interesse per il Sacro Graal, che ciclicamente torna ad essere protagonista di libri, interviste ed articoli.
“Il Codice da Vinci” di Dan Brown, che sollevò una quantità di polemiche e divise gli animi rischiando l’anatema e dal quale fu tratto un film periodicamente trasmesso da qualche canale televisivo, fu soltanto un ulteriore passaggio a livello sulla via percorsa da coloro che indefessamente continuano a cercare delle risposte sensate e convincenti alle loro domande, la prima delle quali da centinaia di anni è sempre la medesima: che cosa è il Graal?
- Immagine sopra: Il “Sacro Graal” nel film “Indiana Jones e l’ultima crociata” (1989) diretto da Steven Spielberg.
E’ qualcosa di puramente spirituale, un simbolo, una metafora? Rappresenta, come sostengono alcuni studiosi, la Grazia dello Spirito Santo? Oppure si tratta di qualcosa di tangibile? E se è qualcosa che si può toccare con mano, dove e come si deve cercare? E’ forse custodito da qualche ‘eletto’ venutone in possesso perché prescelto per qualche sua rara virtù? Oppure è riposto in una vecchia cassa nella polverosa soffitta di un uomo ‘comune’ che non ne conosce l’inestimabile valore? A complicare la faccenda contribuisce, è evidente, anche l’incertezza sull’origine della parola, e così è accaduto che il Graal sia stato identificato per esempio con una pietra preziosa che ha il potere di impedire la morte di quelli che si trovano in sua presenza e che conserva in una meravigliosa giovinezza, una pietra, come scrisse M. M. Davy (“Il simbolismo medievale”, Edizioni Mediterranee, Roma 1988), che non possiede questa preziosa virtù di per se stessa, giacché è Dio che “la rinnova sotto la forma di una colomba che, ogni Venerdì Santo, discende dal cielo e posa un’ostia sulla pietra”.
- Immagine sopra: “Il Sacro Graal” di Dante Gabriel Rossetti, pittore e poeta tra i fondatori del movimento artistico dei Preraffaelliti (1828-1882). (fonte: wikipedia)
Mariano Tomatis (“Alla ricerca del Graal”, in: Massimo Polidoro, “Gli enigmi della storia”, Piemme Pocket, Segrate – Milano – 2005) ha rilevato che gli studi sul Graal si suddividono approssimativamente in tre categorie: a) nella prima categoria rientra la considerazione del Graal come un oggetto dalle precise caratteristiche fisiche, legato nella maggioranza dei casi alla figura di Cristo: motivo comune degli studi di questa categoria è il tentativo di identificare il luogo dove si troverebbe l’oggetto (“Linea Archeologica”); b) nella seconda categoria rientra la considerazione del Graal come di un simbolo dal valore universale, che si presenta in varie forme all’interno di differenti sistemi mitico-religiosi (“Linea Simbolica”); c) nella terza categoria, infine, rientrano gli studi sulle origini letterarie ed il progressivo evolversi del mito nei secoli, con l’analisi delle differenti simbologie che si sono via via delineate intorno ad esso (“Linea Filologica”).
Sull’origine della parola “graal” sono state avanzate diverse ipotesi. Secondo alcuni autori essa potrebbe derivare dalla fusione dei termini indicanti due recipienti utilizzati nell’antica Roma: crater (il nome del vaso utilizzato per mescolare vino ed acqua) e vas garale (il recipiente usato per conservare la salsa di pesce chiamata garum), o da gradale, dal latino medievale gradalis: “coppa”. Particolarmente significativo secondo alcuni è il termine “grolla” con cui è designata la particolare coppa da vino tradizionale della Valle d’Aosta, dalla quale bevono i commensali a turno; al riguardo è stata avanzata l’ipotesi che sia questo recipiente sia tale consuetudine siano stati importati dalla Borgogna, per cui il vocabolo costituirebbe un prestito linguistico.
Un’altra teoria collega “graal” a graduale, derivato da gradus: “passo”, termine designante il salmo che segue la prima lettura biblica della messa (nel secolo X si chiamò graduale perché cantato sui gradini dell’ambone); graduale è anche il libro che contiene i canti latini della messa.
Altri invece fanno derivare “graal” dal francese agréer: “gradire”, spiegando che il Sacro Graal provoca giovamento e piacere, oppure da greil o greille: “griglia” o “grata”, ad indicare il graticcio sotto al quale sarebbe stato custodito a Costantinopoli il telo della Sindone ripiegato.
Come oggetto tangibile, indubbiamente la forma che ha riscosso maggiori consensi è quella del sacro vaso. Se si dovessero sommare i sacri vasi-Graal di cui alcuni sostengono di essere in possesso a quelli che secondo altri sarebbero ancora sepolti in località diverse in diversi continenti e a quelli esposti in diversi edifici religiosi e musei, i Graal autentici ammonterebbero a diverse decine!
- Immagine sopra. Il “Sacro Catino” di Genova, conservato nel Museo del Tesoro della Cattedrale di San Lorenzo, secondo la tradizione intagliato nello smeraldo. (fonte: visitgenoa.it)
- immagine sopra: Il “Santo Caliz” conservato nella Cattedrale di Valencia, uno dei numerosi presunti autentici “Graal”. (fonte: reliquiosamente.com)
Tra i più famosi vasi-Graal, di fatture e materiali differenti, ricordiamo il “Santo Caliz” custodito nella Cattedrale di Valencia: il Sacro Graal vero e proprio sarebbe da identificarsi con la parte superiore del calice attuale, costituita da una coppa di agata cornalina datata fra il II e il I sec. a.C. proveniente da Antiochia o da Alessandria d’Egitto; il “Sacro Catino” di Genova, conservato nel Museo del Tesoro della Cattedrale di San Lorenzo, consistente in un piatto esagonale di vetro verde soffiato, e non intagliato in uno smeraldo come invece vuole la tradizione, secondo le cronache portato a Genova nel 1101 da Guglielmo Embriaco di ritorno dalla prima Crociata; la gallese “Nanteos Cup”, datata al 1400 circa, alla quale vennero attribuiti poteri taumaturgici e che si riteneva fosse stata intagliata nel legno della Vera Croce.
- Immagine sopra: Anche il Galles ha il suo “Graal”. Nella foto la “Nanteos Cup”, in legno d’olmo, datato al 1400 circa. (fonte: wikipedia)
- Immagine sopra. La Cappella di Rosslyn, nel Midlothian in Scozia, vicino ad Edimburgo, dove secondo alcuni autori potrebbe essere stato nascosto il Sacro Graal. (fonte: wikipedia)
8. Immagine sopra: il celeberrimo Castel del Monte di Federico II di Svevia – foto Giancarlo Pavat 2017
Tra i diversi siti e costruzioni di varie epoche che sono stati indicati come nascondigli del sacro vaso ricordiamo, solo per citarne alcuni, in Italia:
Castel del Monte in Puglia e il Maschio Angioino a Napoli;
fuori dall’Italia: la Cappella di Rosslyn in Scozia; il Chalice Well nel Somerset in Inghilterra; la Chiesa di Santa Maria Maddalena a Rennes le Château e il Castello di Montségur in Francia; il Convento dell’Ordine di Cristo a Tomar in Portogallo. Con buona pace di chi è del parere che il vaso-Graal non è mai esistito o sia andato perduto per sempre…
9. Immagine sopra: Chalice Well, nel Somerset in in Inghilterra. In questo pozzo sarebbe stato occultato il Sacro Graal. (fonte:commons.wikipedia.org)
10.Immagine sopra: Le rovine del Castello di Montségur in Francia, uno dei siti dove secondo alcuni autori bisognerebbe scavare per trovare il Sacro Graal. Costruito nel 1204 come rifugio per i Catari, la fortezza sorge su una collina rocciosa a 1200 metri di altezza. (fonte: easyviaggio.com)
Tante ricerche inutili e tanto tempo sprecato, sostengono gli scettici, dal momento che il Graal è soltanto un simbolo o un mero parto della fantasia, com’è fantasioso il collegamento fra il Sacro Graal e la linea di sangue che risalirebbe a Gesù, il quale avrebbe generato dei figli con Maria Maddalena (Sang Réal).
11. Immagine sopra: “La Maddalena”, di Bernardino Luini (1480-1485 ca. – 1532). (fonte: settemuse.it)
Contrariamente a quegli scettici, sono convinta che chi ricerca senza preconcetti e rimane aperto ad accogliere e a vagliare le più disparate ipotesi non sprechi il suo tempo.
E’ mia opinione che la lettura dei vari racconti sul Graal possa rivelarsi molto fruttuosa per chi predilige la linea Simbolica. Chi intuisce che il Graal possa essere (soltanto!) un simbolo, terrà a mente ovviamente che una delle caratteristiche di ogni simbolo, punto d’incontro fra il visibile e l’invisibile, è la simultaneità dei significati (polisemia) che esso rivela.
Ed è proprio il simbolo vaso-Graal che può fornire al ricercatore interessanti spunti di riflessione. Per avviare chi legge nel cammino che propongo, ritengo opportuno fare riferimento innanzi tutto ad alcune considerazioni di René Guénon, il quale, nel suo studio “Il Sacro Cuore e la leggenda del Santo Graal” (“Simboli della Scienza Sacra”, Adelphi Edizioni, Milano, 3 ed. 1984), pose in evidenza il nesso fra cuore e vaso, rilevando, fra l’altro, che la coppa svolge al pari del cuore un ruolo assai importante in molte tradizioni antiche, per esempio presso i Celti, da cui “è venuto ciò che costituì il fondo stesso o almeno la trama della leggenda del Santo Graal”. In origine, rilevò lo studioso, il Graal non ha altro significato se non quello che ha il vaso sacro ovunque lo si incontri, si pensi alla coppa sacrificale contenente il soma vedico, la bevanda d’immortalità che conferisce o restituisce a coloro che l’accolgono con le disposizioni richieste il senso dell’eternità.
Secondo una leggenda il vaso-Graal fu intagliato dagli angeli in uno smeraldo staccatosi dalla fronte di Lucifero al momento della sua caduta e poi affidato ad Adamo che lo tenne con sé fino a quando fu cacciato dal Paradiso terrestre, il “Centro del Mondo” assimilabile simbolicamente al “Cuore divino”. Il seguito della leggenda vuole che il Graal fu recuperato da Seth – una figura del Redentore – quando poté rientrare nel Paradiso terrestre, senza chiarire però né da chi né in quale “centro spirituale” sulla Terra esso fu conservato fino all’epoca di Cristo, e neanche in quale modo ne fu assicurata la trasmissione. Peraltro, notò ancora Guénon, l’origine celtica della leggenda probabilmente deve lasciare intendere che vi ebbero parte i druidi, da annoverarsi fra i “conservatori regolari della tradizione primordiale”.
Dopo la morte di Gesù il Graal fu portato in Gran Bretagna da Nicodemo e da Giuseppe d’Arimatea, il quale secondo una tradizione aveva raccolto il sangue del Crocifisso nella coppa che Gesù aveva usato insieme ai discepoli durante l’Ultima Cena per istituire l’Eucaristia, e da qui inizia il racconto dei Cavalieri della Tavola Rotonda.
12. Immagine sopra: “Pietà”, opera di Pietro Vannucci detto il Perugino (1448/1450 – 1523). L’uomo con la barba e lo sguardo rivolto in basso rappresenterebbe Giuseppe d’Arimatea, mentre il giovane con lo sguardo rivolto in alto Nicodemo. (fonte: wikipedia)
13. Immagine sopra: Apparizione del Sacro Graal ai Cavalieri della Tavola Rotonda (miniatura francese del sec. XV). (fonte: wikipedia)
Opera stimolante ed erudita che reputo sia meritevole di essere citata è “Il Graal” di Jean Markale (Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1999), il quale guida il lettore alla ricerca di quella che definisce essere “la Pietra Filosofale di cui tutti parlano e che nessuno ha mai visto”.
“Cos’è dunque questo misterioso ‘recipiente’, di cui Chrétien de Troyes non ci ha mai detto cosa contenesse?”, si domanda Markale. “E qual è quindi il senso di questa strana cerca che si deve compiere prima di scoprire l’entrata del castello dove è custodito dal Re Pescatore, sovrano decaduto e ferito, in attesa forse da secoli di un giovane dal cuore puro che venga a restituire la vita e la prosperità al suo reame?”.
Come notava M. M. Davy, Perceval non formulò la domanda che avrebbe risanato il Re e la sua terra perché non era sufficientemente iniziato per afferrare il significato del Graal.
14. Immagine sopra: Perceval arriva al Castello del Graal per essere accolto dal Re Pescatore che ne è il custode. Da un manoscritto medievale di “Perceval ou la Conte du Graal” di Chrétien de Troyes (XII sec.). (fonte: wikipedia)
Secondo Markale ognuno può trovare il Graal e scoprire il senso della cerca. A tal fine, però, bisogna conoscere tutti gli elementi della documentazione.
“Il Graal e la sua cerca sono descritti in numerosi racconti del XII e del XIII secolo, sia celtici che francesi, inglesi o tedeschi. Tutte queste versioni concordano nella sostanza ma differiscono profondamente nei particolari e nell’interpretazione del mito fondamentale. Quindi è importante conoscere tutte queste versioni, compararle, e trarre dall’indagine le debite conclusioni”. Come altri autori, Markale non può fare a meno di notare che più si studia il Graal, meno si sa che cosa sia, ma aggiunge che il minimo che si possa dire è che non è sicuro che il Graal-Oggetto fosse stato al centro della Quête iniziale. E questa non è un’ipotesi, ma un’affermazione tratta dallo studio del testo di Chrétien de Troyes. Altro dato da rilevare: i primi testi riguardanti il Graal sono sia in anglo-normanno, sia in occitanico, sia in francese del nord, e sono scritti da autori alle dipendenze dei Plantageneti.
E’ innegabile, sottolinea lo studioso, che tutte le versioni della Quête sono racconti iniziatici. “Il Graal è a disposizione di ognuno. Ma non basta tenerlo fra le mani per averne le modalità d’uso. (…) Soltanto coloro che hanno compiuto la cerca alle condizioni stabilite possono conoscere queste modalità d’uso. E proprio qui sta la difficoltà: da una parte le tappe della cerca iniziatica ci vengono presentate sotto forma simbolica, e dall’altra le modalità d’uso del Graal sono un segreto custodito gelosamente”.
A questo punto vorrei proporre al lettore una nuova ipotesi di ricerca che mette al centro il vaso-Graal e il Re che ne è il custode, partendo da un dato importante: nell’ambito delle Sacre Scritture il vaso indica per eccellenza la Vergine – chiamata vas spirituale, vas honorabile, vas insigne devotionis -, ed ha un altro rilevante significato: la Madre.
- Immagine sopra: Maria “Vas honorabile”. Stampa disegnata nel sec. XVIII da J.S. Klauber sui misteri delle Litanie Lauretane. (fonte: confraternitarosariocorbetta.jimdofree.com)
Per prima cosa ricordiamo la leggenda secondo la quale il vaso-Graal, che contenne il sangue di Gesù, fu inciso nello smeraldo. Il verde, colore dello smeraldo, è pure il colore che si collega alla vegetazione, alla natura e alla sua ciclicità, alla vita che si rinnova. Amore, coraggio, Spirito Santo sono, invece, simboleggiati dal rosso, colore del sangue. Il sangue (del Crocifisso), che è vita, fu raccolto nel vaso, e il vaso può rappresentare il cuore, ma anche, come si è osservato, la Madre. Che cosa può essere questo sangue della Madre? Secondo una lettura cristiana: il Figlio di Maria, il Cristo, il Redentore, il quale è “Via, Verità e Vita”.
Seguendo un altro ragionamento, possiamo riconoscere nel sangue il ‘fluido’ della Terra, ossia l’acqua, anzi le acque che l’attraversano e che da essa sgorgano: fiumi, laghi, sorgenti. Le acque sono strettamente collegate al principio femminile, umido. L’acqua è collegata alla vita. Ora, la sterilità della terra è dovuta alla mancanza d’acqua: la terra senz’acqua è sterile. E l’acqua che feconda la terra, che alimenta fiumi, laghi, sorgenti, cade dal cielo. La terra è – deve essere – fecondata dal cielo. Senza fecondazione celeste la terra non può generare, non può nutrire. Senza acqua non c’è vita. Senza sangue la vita si spegne. Il Re custode del Graal è ferito, la sua menomazione lo ha reso sterile (la ferita all’inguine o “alla coscia” può interpretarsi come una ferita ai genitali) ripercuotendosi sulla sua terra, che è diventata un luogo desolato. Occorre, allora, sangue fresco, sangue nuovo, un nuovo Re. I rami secchi del passato devono lasciare posto al nuovo virgulto, un germoglio venuto da altrove (sceso, come la pioggia, dal cielo…).
Fuor di metafora: le vecchie credenze, i vecchi culti devono lasciare spazio al nuovo culto, il culto nato in Oriente. Ecco che tradizioni diverse si intrecciano, si sovrappongono, raccontano di un avvicendamento, di un cambiamento necessario, impellente, inevitabile. Sul ricordo delle radici, del passato, sul ricordo della ricchezza del tempo che fu, si innesta, s’intesse e s’intreccia un Mistero. Un Mistero che forse – anche – per alcuni autori è servito a velare e a svelare allo stesso tempo il ricordo nostalgico di quelle antiche radici. Un Mistero del quale forse – anche – nessuno può dire nulla perché tale deve restare. Se il vaso del Graal, come scriveva M. M. Davy, contiene la conoscenza, solo chi ne è degno può contemplarlo. E, ritengo sia importante aggiungere, solo chi si orienta nello spazio sacro.
Nello spazio ove il Sacro si manifesta, scriveva Mircea Eliade (“Il sacro e il profano”, Bollati Boringhieri, Torino 1967), “là si rivela il reale, ha origine il Mondo”.
“L’irruzione del sacro non proietta solo un punto fisso in mezzo all’amorfa fluidità dello spazio profano, un ‘Centro’ nel ‘Caos’; essa dà luogo inoltre a una rottura di livello, apre la via di comunicazione tra i livelli cosmici (Terra e Cielo) e facilita il passaggio, ontologicamente, da un modo di essere all’altro. Questa rottura nell’eterogeneità dello spazio profano crea il ‘Centro’ attraverso il quale si può comunicare con il ‘trascendente’; il quale, rendendo possibile l’orientatio, fonda conseguentemente il ‘Mondo’. La manifestazione del sacro nello spazio ha quindi una validità cosmologica: ogni ierofania spaziale, ogni consacrazione di uno spazio, equivale a una ‘cosmogonia’. Una prima conclusione potrebbe essere la seguente: il Mondo si lascia afferrare in quanto mondo, in quanto Cosmo, nella misura in cui si rivela come mondo sacro”.
Sono in molti a ritenere che non sia possibile stabilire esattamente che cosa sia il Graal, ma a mio avviso si può essere certi di almeno due cose, che non sono evidenti a chi ne cerchi le tracce soltanto nel mondo fisico. La prima: il cammino alla ricerca del Graal è un cammino iniziatico. La seconda: il luogo ove si trova il Graal è lo spazio ove il Sacro si manifesta, ove è possibile comunicare con il trascendente, ove è possibile il rinnovamento interiore dell’essere umano che ha trovato il Centro e si è compenetrato nel Mistero.
“I Tarocchi della Nuova Era. Percorso spirituale, divinazione, applicazioni ludiche” di Alessandra Filiaci è dedicato a tutti i Ricercatori che sono aperti alle infinite possibilità che offre il presente, a chi pone l’espansione della consapevolezza e dell’evoluzione spirituale al centro della propria esistenza. Un libro ricco di informazioni e all’insegna della creatività, con suggerimenti per inusuali ed inediti utilizzi dei Tarocchi. Un’opera completa, da cui ogni lettore potrà trarre nuova ispirazione e nuovi spunti di riflessione per il proprio cammino interiore.
- Se non altrimenti specificato, le immagini sono state fornite da Alessandra Filiaci
Alessandra Filiaci è nata a Roma nel 1964. In giovanissima età ha scoperto le opere di W. W. Atkinson e di R. Guénon, testi di mistica e di filosofia orientale; naturalmente portata per lo studio delle religioni e la scrittura, molto precocemente affascinata dalla mitologia greca, dallo studio dei simboli, dall’astrologia, dai Tarocchi, dall’I Ching, ha iniziato in età preadolescenziale a scrivere poesie, storielle umoristiche e brevi racconti di vario genere. L’innata sete di sapere e la cultura umanistica hanno fornito le basi del suo personale Percorso Interiore traente linfa dallo studio di tematiche storico-religiose ed esoteriche e dagli insegnamenti di diversi Maestri Spirituali cui nel tempo si sono andate affiancando meravigliose esperienze sulle Vie dello Yoga.
Reiki Master dal 2008 (attestato conseguito presso l’EFOA International, sede di Roma) e membro della Società Teosofica, collaboratrice di periodici a diffusione nazionale ed internazionale (fra cui “Magicamente”, “Il Giornale dei Misteri”, “Il Giornale dello Yoga”, “Corus Cafe’”, “Ancient Origins”) è ideatrice della “Tarosofia”, sistema di studio e di utilizzo creativo dei Tarocchi, che promuove attraverso le iniziative da lei realizzate per l’Associazione Culturale “Anahata” con sede in Roma, fondata nel 2008, di cui è Presidente. E’ autrice dei libri: “I Tarocchi. Il Sentiero degli uomini e degli dei” (Bastogi Editrice Italiana, Foggia 1999), “I Tarocchi della Nuova Era. Percorso spirituale, divinazione, applicazioni ludiche” (Terre Sommerse, Roma 2017) e della raccolta di poesie “Oltre il tempo e lo spazio” (Terre Sommerse, Roma 2018). Poeta selezionato al 3° Premio Letterario Internazionale “Maria Cumani Quasimodo” 2019 indetto da Aletti Editore, Presidente di Giuria Alessandro Quasimodo, la sua poesia “Marea”, tratta dalla raccolta, è stata inserita nel volume contenente gli elaborati più rappresentativi del Premio.
Sui Tarocchi ha pubblicato anche articoli e poesie e il suo saggio “I Tarocchi della Nuova Era. Percorso spirituale, divinazione, applicazioni ludiche” è stato inserito più volte fra i Suggested Books di “Ancient Origins”.