Trieste – Il “Canal grande” con il Ponterosso, la chiesa di Sant’Antonio Nuovo e, sulla dx, le cupole della chiesa di San Spiridione – foto G Pavat 2017)
IL SIMBOLISMO DELLA LUNETTA DELL’INGRESSO LATERALE
DELLA
CHIESA SERBO-ORTODOSSA DI SAN SPIRIDIONE
A TRIESTE
di Giancarlo Pavat e Giancarlo Marovelli
(Immagine sopra: La lunetta dell’ingresso laterale della chiesa di San Spiridione a Trieste – foto G Pavat 2018)
Quando nel 1719, l’imperatore Carlo VI d’Asburgo (1685-1740) con “Atto Sovrano” proclamò la città di Trieste Porto Franco, subito la città adriatica divenne un polo di attrazione per imprenditori, armatori, commercianti, provenienti da diverse parti d’Europa e del Mediterraneo. Senza alcuna limitazione di carattere etnico o religioso. Grazie anche alla tradizionale tolleranza degli Asburgo. Soprattutto con i successori di Carlo VI (a cui nel 1728, in occasione della visita in città dell’Imperatore, Triestini riconoscenti, eressero un monumento costituito da una statua in pietra posta su un’altissima colonna che ancora oggi svetta in un angolo della bellissima piazza Unità d’Italia), ovvero Maria Teresa e Giuseppe II, rispettivamente figlia e nipote del fondatore del Porto Franco.
Con altre “patenti” datate 9 gennaio 1745 e 27 aprile 1769, l’Imperatrice Maria Teresa aumentò i privilegi che il padre aveva già concesso a Trieste .
Tra le varie comunità che giunsero a Trieste sin dal XVIII secolo, ci fu quella di origine serba. Nel 1753, grazie a donazioni degli stessi fedeli della cosiddetta “Nazione Illirica” (Serbi e Greci) sorse una chiesa di rito cristiano ortodosso dedicata ad un santo vissuto nel IV secolo d.C.. San Spiridione di Trimitonte, località che oggi si chiama Tremetousia e si trova nella parte settentrionale dell’isola di Cipro che dal 1974 è occupata dall’esercito turco.
(Immagine in basso: la statua dell’Imperatore Carlo VI d’Asburgo a Trieste – foto G Pavat)
Non si hanno molte notizie della vita di Spiridione di Trimitonte, che è venerato come santo sia dai Cattolici che dagli Ortodossi. Si ritiene che abbia partecipato anche al famoso (o famigerato) I° Concilio Ecumenico di Nicea del 325 d.C.. Si è scritto “famoso o famigerato”, in quanto a causa di un romanzo (e del film hollywoodiano che ne è stato tratto) di qualche anno fa, è diventato noto anche ad un pubblico più vasto. Aldilà di quanto contenuto nel romanzo (che si tratta, appunto, di un’opera di fantasia anche se si è cercata di farla passare come saggio storico), l’argomento principale affrontato dal Concilio di Nicea, fu la questione dell’eresia Ariana.
Non tutti i popoli barbari, che si riversarono entro i confini dell’Impero Romano, erano pagani. Alcuni erano cristiani ma seguaci dell’Arianesimo (che non ha nulla a che fare con la “Razza Ariana” in nome della quale si scatenarono gli orrori del Nazionalsocialismo). Ad esempio gli Ostrogoti che ci hanno lasciato a Ravenna, loro capitale con il re Teodorico (4545-526), il “Battistero degli Ariani”, poi trasformato in Tempio cattolico ed oggi riconosciuto come Patrimonio dell’Unesco. Oppure i Longobardi, poi convertitisi al Cattolicesimo grazie all’opera di papa San Gregorio I° Magno (590-604) e della loro regina Teodolinda (morta nel 628).
L’eresia prende il nome da Ario, un monaco greco di Alessandria d’Egitto, il quale negava la Divinità di Cristo, affermando che la seconda persona della Trinità era in realtà un semplice uomo “adottato da Dio come figlio in previsione dei suoi meriti” (da “I Papi. Storia e segreti” di Claudio Rendina – Newton Compton, 1983.).
Il Vescovo di Alessandria, Alessandro, non ci pensò due volte a scomunicare Ario, nella speranza di stroncare l’eresia. Ma vedendo che, al contrario, questa continuava a guadagnare terreno, chiese aiuto a papa Silvestro I°. Però, prima che potesse decidere qualcosa, il Pontefice venne scavalcato dall’imperatore Costantino, che si faceva chiamare “Isapostolo”, ovvero “pari agli Apostoli”. L’Imperatore (è quello della visione, o sogno, della frase IN HOC SIGNO VINCES prima della battaglia di Ponte Milvio a Roma del 28 ottobre del 312 d.C.), riteneva fosse suo preciso dovere (e diritto) intervenire nelle questioni teologiche della Chiesa di Roma. Pertanto Costantino convocò appunto un grande Concilio, il primo Ecumenico della storia, a Nicea in Bitinia, in Asia Minore. All’interno dell’attuale chiesa di San Spiridione, sul lato sinistro, si trova una tela raffigurante proprio l’Assise di Nicea.
Nel maggio del 325 confluirono nella città anatolica oltre trecento vescovi, ma non il Papa che inviò due suoi rappresentanti, i prelati Vito e Vincenzo. (Immagine a lato: la testa della colossale statua dell’Imperatore Costantino il Grande ai Musei Capitolini a Roma )
A presiedere l’Assemblea fu chiamato Osio, Vescovo di Cordova e consigliere dell’Imperatore. In realtà, pur essendo semplicemente “presidente onorario” dell’assise, il vero “deus ex machina” del Concilio fu proprio Costantino. Alla fine si giunse alla condanna di Ario e si “formulò il famoso simbolo niceno; Credo in un solo Dio, Padre Onnipotente, Creatore di tutte le cose visibili ed invisibili” (da “I Papi. Storia e segreti” di Claudio Rendina – Newton Compton, 1983). Il Concilio di Nicea proclamò il dogma della Trinità. Dio Uno e Trino. Le Tre Persone dell’Unico Dio. Dottrina che si era sviluppa sin dai primi tempi del Cristianesimo. Questo si fece al Concilio a cui partecipò (probabilmente) anche il futuro San Spiridione. Fu ribadita la Divinità della Seconda Persona della Trinità, ovvero Gesù Cristo, e non messa ai voti, come tende a far credere una certa “vulgata”, propagandata da best-sellers (come quello a cui si alludeva poc’anzi) che hanno fatto la fortuna degli autori. La differenza è decisamente sostanziale. Il Dogma Trinitario è attualmente condiviso dai Cattolici e dagli Ortodossi, ma anche da gran parte delle Chiese Protestanti.
Ma vogliamo approfittare dell’occasione, per smentire ancora una volta (se mai ve ne fosse bisogno), i best-sellers in argomento, anche su altri punti. Con notevole faccia tosta e capacità di stravolgere la Storia (con una perfetta opera di disinformazione), hanno scritto che il vero fondatore del Cristianesimo era stato Costantino e proprio al Concilio di Nicea. Cerchiamo di mettere qualche puntino sulle “i”. Effettivamente, dopo l’”Editto di Milano”, emesso tra il febbraio ed il giugno del 313 d.C. (sottoscritto sia da Costantino che dal suo “collega” d’Oriente Licinio, imperatore “associato”, nell’ambito della “Tetrarchia”, dal 308 al 324 e morto nel 325), con il quale veniva permesso di praticare la religione cristiana, videro la luce una seria di provvedimenti a favore dei Cristiani e dei loro ministri e luoghi di culto. Tutti voluti proprio da Costantino. Ma in realtà, dopo il Concilio di Nicea, morto Osio e sostituito come consigliere da un vescovo ariano, Eusebio, l’Imperatore cercò di convincere il nuovo vescovo di Alessandria, Atanasio, affinché riammettesse lo scomunicato Ario, in seno alla Chiesa.
(Immagine sopra: Mosaico con San Spiridione sulla lunetta dell’ingresso principale della chiesa Serbo-ortodossa di Trieste – foto G Pavat 2018)
È probabile che Costantino fosse convinto che la riconciliazione fosse necessaria non solo per l’unità della Chiesa Universale, ma soprattutto per favorire la pace interna dell’Impero Romano. Di fronte al rifiuto del Vescovo Atanasio, l’”Isapostolo”, nuovamente senza sentire il parere del papa, convocò, nel 335, un altro Concilio. Questa volta a Tiro, sulle coste dell’antica Fenicia, invitando però soltanto i vescovi ariani. Inutile specificare che l’assemblea depose Atanasio. Papa Silvestro I°, che sarebbe morto il 31 dicembre dello stesso anno, fu quindi costantemente umiliato da Costantino, e con lui l’intera Chiesa di Roma. Al contrario della leggenda medievale che lo vuole giganteggiare sopra l’Imperatore e ricevere addirittura la Corona dell’Impero d’Occidente. La celebre “Donazione di Costantino” o “Constitutum Costantini”, è in realtà un falso storico dell’VIII secolo realizzato proprio da ambienti della Chiesa di Roma. Come dimostrato dal (coraggioso) umanista italiano Lorenzo Valla vissuto nel XV secolo. La “Donazione di Costantino” venne poi utilizzata dal Papato medievale come fondamento del proprio potere temporale. Papa Innocenzo IV, nel 1248, nel pieno della lotta contro il grande Federico II di Svevia, farà decorare le pareti della Chiesa romana dei Santissimi Quattro Coronati, proprio con scene ispirate alla leggenda di Silvestro e Costantino. Per rimarcare come il Potere Imperiale doveva sempre e comunque sottomettersi a quello Papale. Pure propaganda, insomma.
(Immagine sopra: Echi di Bisanzio a Trieste: le cupole della chiesa di San Spiridione – foto G Pavat 2018)
Quindi ne corre da qui a dichiarare che Costantino sarebbe stato il vero creatore del Cristianesimo, arrivando addirittura ad inventarsi di sana pianta i suoi dogmi. Anzi, l’Imperatore rimarrà pervicacemente pagano sino alla fine dei suoi giorni. Si farà battezzare soltanto in punto di morte e per di più da un vescovo ariano. Inoltre, non fu affatto Costantino a dichiarare il Cristianesimo “Religione di Stato”, come leggiamo su quei “best-sellers”. Né a Nicea, né in nessun altro luogo. Bensì un altro imperatore, Teodosio I° il Grande (379-395), con l’Editto di Tessalonica del 380 d.C.. A cui seguirono altri due editti, nel 391 e 392 contro i culti pagani e quello del 394 con cui poneva fine ai Giochi di Olimpia. Molti studiosi vedono proprio in questo atto, la fine ufficiale della religione pagana e della civiltà del Mondo Antico. Arrivando a proporre come data convenzionale per la fine dell’Evo Antico e l’inizio del Medio Evo, non il 476 d.C. (deposizione dell’ultimo imperatore romano d’occidente, il fanciullo Romolo Augustolo) ma, appunto, il 394 d.C..
(Immagine sopra: le cupole di San Spiridione viste da piazza Sant’Antonio Nuovo – foto G Pavat 2017)
Ma chiudiamo la parentesi sul Concilio di Nicea, torniamo ad occuparci del Tempio serbo-ortodosso della SS Trinità (non a caso, visto quello che si è detto poco fa) e di San Spiridione (detto anche “Chiesa degli Schiavoni”) di Trieste.
Ma quello che vediamo oggi, sulla destra della straordinaria prospettiva offertaci dal “Canal Grande” (sì, c’è anche a Trieste, non solo a Venezia), che ha come punto di convergenza un maestoso edificio che sembra il Pantheon, e che altri non è che il tempio cattolico in stile neoclassico di Sant’Antonio Nuovo, non è la chiesa serbo-ortodossa sorta nel XVIII secolo. Infatti, più di cent’anni dopo, si decise di costruire un altro edificio di culto.
“Tra i greci e i serbi corse disaccordo circa i sacerdoti e la lingua da usare nelle Sante Liturgie, in quanto le Sante Liturgie venivano officiate soltanto dal sacerdote greco. I serbi “erano molto addolorati di non avere un sacerdote serbo”, il quale avrebbe officiato nella “lingua a loro conosciuta e cara”. Tale contesa fu risolta dal rescritto imperiale del 1 marzo 1781, con il quale fu disposto che le funzioni religiose nel comune tempio di San Spiridione dovevano essere officiate alternativamente dal sacerdote greco e da quello serbo, rispettivamente in lingua greca e slava antica.” (dal sito ufficiale della Comunità Serbo-ortodossa di Trieste: www.comunitaserba.org ; )
(Immagine sopra: Trieste, Riva 3 Novembre vista al tramonto di un giorno d’inverno con la chiesa Greco-ortodossa di San Nicolò costruita nel XVIII secolo – foto Francesco Pavat 2018)
La decisione soddisfò entrambe le comunità ortodosse. La chiesa rimase ai Serbi che pagarono la differenza ai greci. Ma l’edificio era stato costruito su un terreno instabile e cominciò a dare segni di cedimento strutturale. Non bisogna dimenticare che tutta l’area dei “borghi” teresiano e giuseppino era nata con lo sviluppo urbanistico di Trieste sopra le antiche saline medievali. Si decise, quindi, l’abbattimento della struttura settecentesca e la costruzione di un altro tempio più grande e più bello. Fu bandito un pubblico concorso e l’Accademia delle Belle Arti di Venezia fu incaricata di scegliere il vincitore. Il progetto migliore fu ritenuto “quello contraddistinto dalla sigla «A-Ω», scelta confermata in una sessione del Consiglio della Comunità tenutasi dal 30 settembre al 12 ottobre 1859” (dal sito ufficiale della Comunità Serbo-ortodossa di Trieste: www.comunitaserba.org ; ).
Era quello presentato dall’architetto lombardo Carlo Maciachini (1818-1899). La chiesa fu completata nel 1869, sulla riva destra del Canale (se lo si guarda dallo sbocco al mare), e si presenta in stile neobizantino, a “croce greca”, con una grandiosa cupola centrale più alta delle 4 cupolette angolari (tutte e cinque con il tetto in lamiera zincata di coloro grigio-azzurro) che fungono da campanili. Un soluzione decisamente originale. La facciata, invece, richiama lo stile romanico italiano. “La costruzione di San Spiridione manifesta l’intenzione del suo progettista di tornare indietro nei secoli e al contempo la volontà dei committenti di avere un tempio quanto più maestoso e monumentale possibile, simbolo e immagine della loro forza economica” (dal sito ufficiale della Comunità Serbo-ortodossa di Trieste: www.comunitaserba.org ; )
Che di fatto hanno regalato uno straordinario monumento a tutta la città.
(Immagine sopra: la facciata principale della chiesa Serbo-ortodossa di San Spiridione a Trieste – foto G Pavat 2018)
La chiesa di San Spiridione, alto 40 metri, lungo 38 e largo 31 e può accogliere fino a 1600 fedeli.
Gli esterni sono decorati con un’esplosione di mosaici in cui predomina l’oro. Mentre le 9 grandi statue di santi sono opera dello scultore milanese Emilio Bisi (1850-1920). Anche l’interno custodisce numerose opere d‘arte. Ma per descriverle ed analizzarle tutte, soprattutto dal punto di vista simbolico, sarebbe necessario scrivere un libro intero. Per ora (ma solo per ora) ci limiteremo ad esaminare l’iconografia e la simbologia di una lunetta. Ma non quella sopra l’ingresso principale che, contrariamente a quello che credono la maggior parte delle persone, è quello che si apre in via San Spiridione. Ma quello dell’ingresso laterale, aperto su piazza Sant’Antonio Nuovo.
Nella lunetta troviamo San Michele Arcangelo che con la mano destra impugna una spada con la lama ondulata che rappresenta la “Spada fiammeggiante”, con la sinistra invece, regge una bilancia a due piatti. In pratica l’Arcangelo è raffigurato nella sua funzione più alta, ovvero impegnato nella “Psicostasia” ovvero la “pesatura delle anime”.
Trattasi di un tema iconografico che affonda le radici addirittura nella tradizione religiosa dell’Antico Egitto. Nei dipinti parietali dei monumenti egizi, e nei papiri si vedono spesso alcune divinità, soprattutto Horus o Anubis, intente, appunto, a pesare il cuore del faraone, o, in epoca più tarda, dei defunti in genere.
Dall’Antico Egitto ai testi biblici. Troviamo riferimenti alla “Psicostasia” nel Libro di Giobbe; ove leggiamo:” Mi pesi pure sulla bilancia della giustizia e Dio riconoscerà la mia integrità” (Gb 31,6).
Nell’apocrifo “IV Libro di Esdra”, scritto verso la fine del I secolo d.C. in ambiente giudeo-cristiano, si legge quest’indirizzo rivolto a Dio: ”Ora, dunque pesa sulla stadera le nostre iniquità” (IV Esdr. 3,34).
Infine in Sant’Agostino nel Sermo in Vigilis Pentecostes, 16=Pl.t.38,1225: ”Un ragguaglio di beni e mali, e posta l’una e l’altra parte come su una stadera, quella di esse che ne uscirà fuori, dove si volge il peso, giudicherà l’operaio”.
(Immagine sopra: Una “Psicostasia” quattrocentesca nella Hall Kyrka sull’isola di Gotland nel Mar Baltico – foto G Pavat 2012)
L’Arcangelo dopo aver trasportato l’anima al luogo della sua destinazione, si prende cura di pesarla, per fornire al giudice eterno gli elementi del giudizio oggettivo dei suoi meriti o demeriti, per il premio o il castigo.
Abbiamo già visto che l’Arcangelo Michele impugna con la mano destra la “Spada fiammeggiante”, mentre con la sinistra regge la bilancia. Destra e sinistra rappresentano i due poli o principi in opposizione. La destra è da ricondurre al principio celeste, attivo, maschile, solare e dispensatore di luce, la sinistra è il principio terreno, ricettivo lunare.
La spada è posta in verticale con la punta rivolta verso l’alto. È un simbolo assiale, rappresenta l’unione della Terra con il Cielo, indica anche la Parola del Signore, dice infatti l’Apostolo: ”La parola di Dio è infatti viva ed efficace e più affilata di qualunque spada a due tagli” (Eb 4,12).
(Immagine sopra: un’altra “Psicostasia” nordica. Questa si trova affrescata nella parrocchiale di Stenkyrka , sempre sull’isola di Gotland – Svezia – foto G Pavat 2012)
Il suo vestito manifesta la sua regalità celeste, infatti sopra l’armatura romana in quanto ricoperto di manto azzurro con le stelle dello stesso colore di quello della Vergine Maria coperto di stelle. Qui si evidenzia la fusione del “maschile” e del “femminile” in perfetta armonia. Tale armonia si ripresenta nel colore verde dell’armatura che richiama l’equilibrio del Cuore. La cornice che racchiude l’Arcangelo Michele raffigura al suo interno 2 mezze lunette alla base; il numero due porta alla Sapienza e alla trasmissione della Forza Vitale in seno alla Materia Primordiale. Nel resto della cornice ci sono 5 losanghe racchiuse in un cerchio che rappresentano la trasformazione della forma che è stata purificata, rivalutata e conformata alle Leggi Divine. Per ultimo troviamo 6 simboli a forma di fiore che identificano la bellezza, potenza creatrice originata dalla ritrovata unicità tra Spirito e Forma e 12 cuspidi azzurre che portano il perfetto compimento dell’unione della Materia nello Spirito, con un esplicito richiamo ai 12 Profeti e i 12 Apostoli, cioè la diffusione della Parola Spirituale nel mondo materiale.
(Giancarlo Pavat e Giancarlo Marovelli)
(A chi volesse approfondire la conoscenza della storia della chiesa di San Spiridione e della Comunità serbo-ortodossa di Trieste, si consiglia di visitare il sito ufficiale : www.comunitaserba.org ; )
Bell’articolo. Sono di Trieste e sarò passato migliaia di volte davanti a quella chiesa e avevo mai notato che l’angelo reggeva una bilancia ma non ne conoscevo il motivo. Per non parlare di tutti gli altri simboli seminascosti nella cornice. Ora sarei curioso di sapere il significato degli altri simboli presenti nella chiesa.
A quando un altro articolo?
Sergio