La Contea del Mistero: il monte Caccume, l’Annunciazione, Leonardo e il Pollaiolo……

1 Annunciazione

Sta suscitando molto scalpore nel mondo dell’Arte e tra gli appassionati della figura e dell’opera di Leonardo da Vinci, l’affermazione dello studioso fiorentino Massimo Giontella, secondo la quale la celebre “Annunciazione” (foto in alto; da Wikipedia) esposta nella Galleria degli Uffizi a Firenze, non sarebbe del “Genio del Rinascimento” per antonomasia, ovvero Leonardo, come si è sempre pensato, bensì del non meno eccelso Antonio del Pollaiolo (1433-1498).

Nel saggio “Antonio del Pollaiolo. Il maestro dei maestri”, con l’introduzione dello storico dell’Università di Firenze, Riccardo Fubini (edito da Polistampa), Giontella spiega che “la nuova attribuzione, che si poggia su argomentazioni storiche, iconografiche e figurative, porterebbe anche a spostare la datazione dal 1472-1475 al 1481, qualificando il dipinto come un’opera della piena maturità del Pollaiolo, a cui però anche Leonardo avrebbe partecipato” (Ansa 6 giugno 2016).

Quell'Annunciazione non è di Leonardo -Il Giornale 7-6-2016

(Articolo de “IL GIORNALE” di martedì 7 giugno 2016).

Inoltre, “indagando sui rapporti tra il Pollaiolo e Federico da Montefeltro, duca di Urbino, Giontella arriva a identificare nello sfondo dell’Annunciazione la città di Otranto, espugnata nel 1480 dai Turchi. Il coinvolgimento di Federico con il dipinto, avvalorato da una missiva da lui inviata al Senato Veneto, escluderebbe come autore principale Leonardo, che mai intrattenne rapporti con il Duca. La cura quasi ossessiva del particolare, rilevabile nel dipinto, risulterebbe poi inconciliabile con il modus stilistico di Leonardo da Vinci. La deviazione oculare del volto di Maria, conclude Giontella, costituisce invece una delle tipiche firme di riconoscimento del Pollaiolo” (Il Giornale 7 giugno 2016).

A Giontella ha risposto lo storico d’arte tedesco (ma trapiantato negli Stati Uniti) Eike Schmidt che dal 2015 è Direttore degli Uffizi;

Si tratta di ipotesi già note ma prive di qualsiasi fondamento“.

“Abbiamo letto la notizia con poco interesse poiché conosciamo da anni questa teoria di diversa attribuzione del capolavoro esposto in Galleria. Si tratta di una proposta che non ha mai trovato seguito nel mondo scientifico”. Da parte sua Daniela Parenti, curatrice del Dipartimento dell’arte del Medioevo e del primo Rinascimento della Galleria degli Uffizi, aggiunge: “La proposta di riferire l’Annunciazione proveniente dal monastero fiorentino di Monteoliveto a Antonio del Pollaiolo è solo l’ultimo tentativo di riscrivere la storia dell’arte rinascimentale da parte dell’autore Massimo Giontella, che in precedenti interventi aveva proposto di riferire allo stesso Pollaiolo anche alcune notissime opere di Piero della Francesca, fra cui il dittico con il Ritratto dei Duchi di Urbino sempre agli Uffizi. Pur nel pieno rispetto della libertà di pensiero e di espressione, e non certo per il timore di vedere sminuito il valore del patrimonio del museo, riteniamo doveroso esprimere il disaccordo della Direzione della Galleria rispetto a queste asserzioni”. (www.firenzetoday.it 8 giugno 2016).

Ovviamente, lungi da noi volerci inserire nella diatriba che, come tutto ciò che riguarda Leonardo da Vinci, suscita certamente polemiche ma, al contempo, affascina anche ( e soprattutto) i “non addetti ai lavori”. Ma nel rimanere in attesa di vedere come si evolverà (se si evolverà) la vicenda, desideriamo riportare all’attenzione dei nostri lettori e degli appassionati di tematiche leonardesche il fatto che proprio la tavola dell’”Annunciazione“ degli Uffizi, fu al centro circa 12 anni fa, di una ipotesi formulata dal compianto ex sindaco di Ceccano Edoardo Aldo Papetti (scomparso nel 2015).

Secondo Papetti nell’”Annunciazione” sarebbe ritratto sullo sfondo il profilo di una montagna ben nota in Ciociaria e soprattutto nell’antica Contea di Ceccano: il Monte Caccume, citato pure da Dante Alighieri nella Divina Commedia.

Part Annunciazione

Sebbene l’ipotesi formulata dall’ex sindaco ceccanese non abbia mai trovato conferme da parte degli Storici dell’Arte, rimane comunque intrigante ed affascinante.

Di seguito pubblichiamo alcuni articoli che si occuparono dell’ipotesi di Papetti (tratti anche da quotidiani locali) e un ampio stralcio del capitolo “La Vergine delle Rocce” tratto da “Nel Segno di Valcento”, libro di successo del 2010 di Giancarlo Pavat (che ringraziamo per la gentile concessione, così come ci ha concesso, estrapolandoli dal suo archivio privato, alcuni ritagli di giornali che trattarono delle ricerche di Papetti).

La caratteristica punta del monte ceccanese sarebbe quella raffigurata sullo sfondo del quadro, realizzata proprio sotto l’ala dell’angelo che si presenta alla Vergine. Indubbiamente l’ipotesi è suggestiva e se dovesse trovare conferma potrebbe avere risvolti notevoli: motivo d’orgoglio per Ceccano e l’intera Ciociaria, che potrebbero trarne benefici anche in termini turistici. Autore di quella che potrebbe essere una sensazionale «scoperta» è stato Edoardo Aldo Papetti, già sindaco di Ceccano, appassionato di storia e autore di diversi volumi come quelli di recente pubblicazione sulla storia del Castello dei Conti e del fiume Sacco. Notato il minuzioso particolare nel dipinto del grandioso e poliedrico artista rinascimentale, sono inziate le ricerche sull’eventuale presenza di Leonardo in terra ciociara, per accertare se fosse almeno plausibile parlare di una eventuale raffigurazione del «cono» di Cacume. A tal proposito, ieri mattina è stata organizzata una conferenza stampa nella sala consiliare del Comune alla presenza dell’avvocato Stefano Gizzi, presidente dell’Accademia di Belle Arti di Frosinone e consigliere comunale di Ceccano, dell’architetto Vincenzo Angeletti e dello stesso Papetti. Secondo i promotori della conferenza, sarà indispensabile promuovere un esame approfondito del dipinto; dal punto di vista artistico è certo che Leonardo descriveva con lucida puntualità e con dovizia di particolari gli elementi del paesaggio (tanto che nella critrica si parla di naturalismo leonardesco già a proposito dell’Annunciazione), inoltre, dalle notizie storiche raccolte, pare che non si possa escludere la presenza di Leonardo da Vinci in terra ciociara. Gizzi ha spiegato che il geniale artista sul finire del ‘400 era stato a servizio dei Borgia sotto il cui dominio (il ducato di Sermoneta) era passata anche la contea di Ceccano: «Non è escluso che Leonardo nell’occasione abbia fatto studi sulla bonifica delle paludi pontine, inoltre, è certo che Da Vinci era un appassionato studioso di orografia, tanto da avere riprodotto diverse catene montuose nelle sue opere, fra cui la Gioconda, la Vergine delle rocce, S.Anna e l’Annunciazione appunto. È possibile quindi che Leonardo abbia visto di persona la cima di Cacume o che abbia ricevuto disegni, schizzi dai suoi corrispondenti. Del resto, il cono di origine vulcana di Cacume è addirittura citato da Dante Alighieri in un passo della Divina Comedia». Ma da quale angolo d’osservazione Leonardo Da Vinci avrebbe «ripreso» il caratteristico profilo del monte? L’ipotesi più accreditata propende per Anagni o Ferentino, oppure per la prospettiva pontina. In definitiva l’interessante «scoperta» sarà sottoposta allo studio dei professori dell’Accademia di Belle Arti, intanto, per i curiosi basterà un libro di storia dell’arte, internet o un giro a Firenze, alla Galleria degli Uffizi e, ovviamente, uno sguardo al Monte Cacume” .  (Il Tempo. 4 gennaio 2004).

Quotidiano La Provincia di Frosinone - 4 gennaio 2004

(Sopra: articolo del quotidiano “LA PROVINCIA” di Frosinone del 4 gennaio 2004)

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Articolo del quotidiano “LA PROVINCIA” di Frosinone del 18 gennaio 2004.

Nel capitolo “La Vergine delle Rocce”, Pavat affronta ed analizza la possibilità che Leonardo da Vinci abbia ritratto nel suo celebre capolavoro ( di cui esistono almeno tre versioni) noto, appunto, come “La Vergine delle Rocce”, alcuni particolari paesaggistici del Basso Lazio ed in particolare del territorio della Contea di Ceccano.

Nell’enumerare gli indizi in tal senso, Pavat, cita anche l’ipotesi di Papetti relativa al Monte Caccume presente nell’”Annunciazione” degli Uffizi.

Buona lettura.

LA REDAZIONE.

4 Nel segno di Valcento 2010

(Sopra: la copertina del libro di Giancarlo Pavat; “Nel Segno di Valcento” – Edizioni Belvedere 2010)

(…) Tra le pieghe di una vita, come quella di Leonardo, “assai povera di dati certi e basata in gran parte su speculazioni. […] Della sua infanzia e giovinezza non restano che notizie assai scarse […] leggenda e verità si mescolano indissolubilmente” , sono però riuscito a trovare alcuni flebili (lo ammetto) indizi che sembrerebbero indicare uno o più viaggi a sud della Toscana non rintracciabili nei manuali.

Vediamoli questi indizi.

Tavola Strozzi

Si tratta di una tempera su tela (82×245) raffigurante una delle più antiche (probabilmente la prima in assoluto) vedute di Napoli e del suo porto. Si notano, tra l’altro, Castel Capuano, Castelnuovo, San Domenico Maggiore, la Certosa di San Martino e Santa Chiara. Oggi conservata nel Museo della Certosa di San Martino, venne scoperta nel 1904 a Palazzo Strozzi (da cui il nome del quadro) a Firenze.

Ne parlò pure Benedetto Croce (1866-1952) che vi vide la rappresentazione del corteo trionfale navale con cui venne accolto nel 1479 Lorenzo il Magnifico, recatosi a Napoli per stipulare il trattato di pace con il sovrano Ferrante d’Aragona. Capolavoro diplomatico concretizzatosi anche per merito di Filippo Strozzi (1428-1491).

In realtà, studi successivi (ad esempio di Vittorio Spinazzola e Wilhelm Rolfs) hanno dimostrato (ed è l’interpretazione ormai accettata da tutti gli storici dell’arte) che si tratta del ritorno in porto della flotta aragonese reduce dalla vittoria navale presso l’Isola d’Ischia contro il pretendente al trono di Napoli Giovanni d’Angiò, avvenuta il 7 luglio del 1465.

E’ ormai certo che si tratta comunque di un dono proprio di Filippo Strozzi al Re Ferrante. Sia la data di esecuzione che l’autore sono ignoti. Sui manuali la si fa risalire al 1472 oppure al 1473 (a maggior ragione, quindi, non può rappresentare l’arrivo del “Magnifico”). ma certe particolarità stilistiche e soprattutto la forma caratteristica del “Molo Grande” di Napoli, che sembra rappresentare una ”L” fusa assieme ad una “V”, identificate come una sigla di Leonardo , hanno spinto alcuni studiosi ad attribuirgliela.

Tra l’altro, macigni con la medesima sagoma “L” e “V”, sono visibili pure nella stessa “Vergine delle rocce”, in alto a destra, proprio sopra la spelonca che potrebbe riprodurre quella di Santa Maria di Burano.

E’ davvero la “firma” di Leonardo? Se accertata costituirebbe la prova di un viaggio a Napoli, sconosciuto ai biografi. Perché è acclarato che l’autore (forse più di uno) hanno ritratto dal vero la città ed il porto.

All’epoca, per recarsi nella Capitale del “Regno del Sud”, via terra, bisognava per forza percorrere l’antica via Latina e quindi la Valle del Sacco. Passando vicinissimo ai Monti Ausoni ed ai Lepini.

Un interessante ed innovativo studio di Roberto Taito (pubblicato sul sito www.tavolastrozzi.it), pur non arrivando a confermare la paternità leonardesca (ma non è questo il suo intento), ha dimostrato che la celebre veduta è stata ripresa dalla Lanterna che svetta sul gomito del “Molo Grande”.

Costruita nel 1481, la Lanterna non compare nella Tavola in quanto, come spiega lo stesso Taito, l’artista “stava realizzando una ricostruzione storica di un fatto avvenuto alcuni anni prima quando la lanterna non era ancora stata costruita”. Inoltre, l’autore dello studio ha sottolineato come (cito testualmente) “il disegno preparatorio era tecnicamente perfetto, curato come una fotografia, cosa che potrebbe lasciar ipotizzare che il disegno sia stato realizzato utilizzando un qualche strumento tecnico forse simile al prospettografo di Leonardo da Vinci”.

Anche la nuova datazione della Tavola, quindi non prima del 1481 (e non dopo il 1482, visto che sappiamo con certezza che si trovava a Milano) è comunque compatibile con un ipotetico viaggio di cui si diceva all’inizio. 

“Buco temporale” degli anni 1476-78

Sappiamo che nel 1476 Leonardo venne coinvolto in un processo per sodomia. Non emerse nulla di concreto contro di lui, ma il padre, Ser Piero, ritenne salutare far cambiare aria al figlio. In questo periodo, secondo gli storici dell’arte, Leonardo sarebbe vissuto a Vinci nella casa paterna.

Ma in realtà non esiste alcuna prova di tutto ciò. C’è un “buco temporale” di alcuni mesi, tra il “pasticciaccio brutto” a sfondo (omo)sessuale ed il ritorno dell’artista a Firenze. Testimoniato dal disegno “a sanguigna” in cui ritrasse Bernardo Bandini Baroncelli, uno dei membri della “Congiura dei Pazzi”, impiccato dopo essere stato estradato da Costantinopoli in quanto colpevole di aver partecipato al sanguinoso attentato del 1478 ai Medici, in cui trovò la morte Giuliano, fratello di Lorenzo “il Magnifico”. Inoltre, è certo che in quell’anno dipinse due Madonne (oggi scomparse) e ottenne la commissione per una Pala d’altare (mai terminata) per la Cappella di San Bernardo da Chiaravalle nel Palazzo della Signoria.

Dove è stato realmente in questi quasi due anni? Avrebbe avuto tutto il tempo necessario per viaggiare, magari verso Roma o ancora più a sud. Da sottolineare, però, che le due datazioni della Tavola Strozzi, quella convenzionale e quella nuova a seguito della scoperta del Taito, non corrispondono a questo lasso di tempo. 

Il Monte Caccume ritratto nell’Annunciazione?

Nel gennaio del 2004, il professor Edoardo Papetti, storico e già sindaco di Ceccano (FR) indisse una conferenza stampa per illustrare una sua scoperta relativa a Leonardo e al Monte Caccume.

Punta dei Lepini di 1.095 metri, presso Patrica (FR) sulla quale San Domenico da Sora (o da Cocullo), nel X secolo d.C., eresse un romitorio. Ancora oggi vi si notano resti di torri e di una cinta muraria, probabilmente l’antico “Castrum Cacuminis, diruto sin dal XV secolo.

Nel 1903, sulla cima venne issata una croce “alta 14 metri e pesante 400 quintali, a ricordo del Giubileo proclamato dal Pontefice Leone XIII” . Dante cita il Caccume nel Canto IV del Purgatorio, vv. 25-27;

 Vassi in San Leo e discendesi in Noli

montasi in su Bismantova e in Cacume

con esso i piè, ma qui convien ch’om voli” ;

Secondo Papetti, tra le montagne che si vedono sullo sfondo del quadro dell’ “Annunciazione”, conservato agli Uffizi, Leonardo avrebbe ritratto anche il Caccume. Ma non con la caratteristica silhouette piramidale visibile dalla valle dell’Amaseno o dai Monti Ausoni, bensì con quella simile ad un “gobbone”. Ovvero come lo si vede dalla valle del Sacco, in particolar modo da Anagni e Ferentino; oppure da Sermoneta o Maenza. “Si tratta solo di una supposizione” spiegò Papetti in quell’occasione “da cui si potrebbe partire per intraprendere un cammino volto ad analizzare i luoghi raffigurati e correlarli al tempo in cui è vissuto Leonardo ed instaurare quindi una relazione con il Caccume“. Durante la conferenza è stato ricordato che il Genio Toscano fu al servizio dei Borgia, che per un breve periodo furono Duchi di Sermoneta, nonché, per due anni, tennero il Castello di Ceccano.

Durante il discusso e scandaloso pontificato di Papa Borgia, Leonardo fu sicuramente a Roma. Grazie ad una nota autografa, sappiamo che il 10 marzo del 1500, visitò le rovine della “Villa Adriana” a Tivoli.

Lo scoglio sul quale si infrange questa ipotesi è che l'”Annunciazione”, una delle prime opere del giovane Leonardo, è comunemente datata al 1475. Quindi deve per forza aver visto il Caccume prima del periodo in cui fu al seguito del celebre e famigerato “Valentino”, ovvero Cesare Borgia (1475-1507).

Se si dimostrerà che la montagna ritratta è proprio il Caccume, allora l’ “Annunciazione” degli Uffizi diverrà la prova di un viaggio di Leonardo nel Basso Lazio in data anteriore alla realizzazione della prima versione della “Vergine delle Rocce”.

Viaggio in Egitto

Nei manoscritti successivi agli anni ’80 del XV secolo, raccolti nei vari “Codici” leonardeschi, sono state individuate dal prof. Alessandro Vezzosi, direttore del Museo Virtuale “Leonardo da Vinci” di Firenze, più di trenta citazioni dell’Egitto. Animali come i cammelli, coccodrilli, cenni all’incendio della Biblioteca di Alessandria, e soprattutto al Nilo. Se ne è parlato anche in un convegno internazionale tenutosi presso l’Opera House del Cairo, nella primavera del 2003. E da più parti, in quell’occasione venne avanzata l’ipotesi di un viaggio di Leonardo nella Terra dei Faraoni, prima del suo trasferimento a Milano. Teoricamente non impossibile, visto il fascino che l’Oriente esercitava su di lui. Ovviamente per raggiungere l’Egitto, in particolare Alessandria, avrebbe potuto imbarcarsi a Napoli. Ma qualsiasi altro porto del Mezzogiorno d’Italia sarebbe andato bene, pure Venezia. Facendo in questo caso cadere l’ipotesi dell’attraversamento del Basso Lazio.

Il Diodario di Soria

A questo punto però una falsa notizia si inserisce abusivamente nella vicenda di Leonardo, per farlo uscire da Firenze non da Porta San Gallo , verso gli Appennini, ma da Porta San Pier Gattonino, per andare a Napoli, ad imbarcarsi su un vascello diretto a Cipro. Dopo aver visitato l’isola, di cui resterebbe nel Codice Atlantico una minuziosa descrizione, Leonardo sarebbe arrivato in Armenia per collaborare col sultano Kait bey. Avrebbe preso nota, nei suoi taccuini, dei costumi e della topografia di quei luoghi, disegnando gli abitanti, le rocce e i monti altissimi, quindi avrebbe ripercorso e tracciato il corso dell’Eufrate e del Tigri, soprattutto avrebbe ascoltato le prediche del Nuovo Profeta che annunciava inondazioni, distruzioni e morte in segno dell’ira di Dio”. “E Que’ pochi che siamo restati siamo rimasti con tanto sbigottimento e tanta paura, che appena, come balordi, abbiamo l’ardire di parlare l’uno con l’altro. Avendo abbandonata ogni nostra cura ci stiamo insieme riuniti in certe ruine di chiese, insieme misti maschi e femminine, piccoli e grandi, a modo di torme di capre…” Così scrive Leonardo in un fantasioso ed avventuroso romanzo epistolare, in cui immagina (immagina?) di inviare alcune lettere al “Diodario di Soria”, ovvero al Ministro del “Sacro Soldano in Babilonia”. Si tratta soltanto di una finzione letteraria, come è convinto lo stesso Nardini, oppure sotto c’è qualcosa di vero? Gli studiosi, analizzando le rappresentazioni delle favolose terre d’Oriente fatte da Leonardo hanno effettivamente accertato che molte sono descrizioni di maniera, desunte dai testi classici o di “reportage” di viaggi contemporanei all’artista. Nonostante ciò, anche sulle righe del “Diodario” si basano ipotesi come quella del viaggio in Egitto di cui si è appena parlato. Pertanto la questione rimane ancora aperta.

Dopo aver vagliato questa succinta disamina, salta all’occhio che gli elementi presentati, sembrano (e non a torto), piuttosto deboli. Lo avevo già anticipato. Ma in qualche caso, ad esempio la Tavola Strozzi, bisogna avere l’onestà intellettuale di ammettere che non tutto sembra così balzano.

Ovviamente, una cosa è supporre un passaggio di Leonardo nel Basso Lazio prima del 1483, un’altra è dimostrare che nella “Vergine delle Rocce” sia raffigurato proprio quel particolare fenomeno carsico presso Santa Maria di Burano.

Al momento risulta ostico poter ipotizzare se, e quando, si potrà avere una risposta certa a questo quesito.

Ma, ammesso e non concesso, che sia affermativa, rimane da capire perché l’artista si sia arrampicato sin lassù.

Era stato informato dell’esistenza di quelle rovine e la sua innata curiosità fece il resto. Oppure stava cercando proprio quel sito, per motivi che non ci è dato da intendere?

Ci sarebbe da scrivere davvero un romanzo, come mi disse un amico dopo aver letto le bozze di questo capitolo.

Quel gigante del Rinascimento, l’Uomo Universale per antonomasia, che si reca ad ispezionare ciò che rimane di un monastero fortificato, forse appartenuto ai Templari. E che riporta un particolare del paesaggio, un antro, quasi per farlo riconoscere, per la lasciare testimonianza, per trasmettere un messaggio a chi verrà dopo di lui e sarà in grado di comprenderlo; in tutte e tre le versioni ad oggi conosciute di un enigmatico capolavoro assoluto.

Molti anni dopo, Leonardo visitò davvero quelle montagne del Basso Lazio.

Nel 1513 Giuliano duca di Nemours, figlio di Lorenzo il Magnifico, lo volle a Roma, alla corte di Papa Leone X (1513-1521), suo fratello. Leonardo, pertanto, ritornò nella Capitale della Cristianità e vi rimase sino al 1516. Quando, dopo la prematura morte del suo mecenate, accetterà l’invito del Re Francesco I° di Valois (1494-1547) a recarsi in Francia.

Tra i vari incarichi, quasi tutti mai portati a termine, con un “Breve” del dicembre del 1514, ricevette dal Papa quello di progettare una bonifica delle Paludi Pontine; “pigram paludem pontinam”.

Leonardo non era nuovo a simili imprese. Aveva già studiato un prosciugamento della Val di Chiana ed aveva reso salubri gli acquitrini di Vigevano.

Ma non riuscì nemmeno ad iniziare quel grandioso sogno, che, se fosse stato realizzato avrebbe certamente cambiato la storia del Basso Lazio.

E’ sopravvissuta, però, una prova tangibile, che dimostra inequivocabilmente come Leonardo abbia conosciuto l’Agro Pontino, i vari fiumi, tra cui l’Amaseno e l’Ufente (che all’epoca confluivano in quello che l’artista toscano stesso chiama Livoli, mentre anticamente era detto Ligula ed oggi Torrente Olevola), i paesi, il Circeo, i Monti Lepini ed Ausoni.

Si tratta di una mappa, da lui stesso dipinta, presente nella “Royal Collection” di Windsor, raccolta privata della Regina Elisabetta II; in cui si vedono perfettamente gli elementi topografici sopracitati.

Nel 2003, presso il Palazzo Comunale di Arezzo è stata allestita una mostra, nata da un idea di Carlo Starnazzi (1949-2007), dal titolo “Leonardo, genio e cartografo”, nella quale tra varie mappe leonardesche è stata esposta proprio quella dell’Agro Pontino, gentilmente prestata dalla Sovrana d’Inghilterra.

Andrea Cantìle, curatore dell’evento intervistato da Goffredo Silvestri, così ha testualmente commentato il prezioso reperto.

La carta delle Paludi Pontine è l’unico documento certo che attesta di un viaggio di Leonardo a sud di Roma. Ha una peculiarità unica. Riporta la vegetazione, non solo la macchia mediterranea da Terracina al Monte Circeo, ma anche i coltivi dell’entroterra, dei centri dell’interno, Sezze, Sermoneta, con il tracciamento della Via Appia e del Rio Martino. Con molta cura del dettaglio come per esempio il tempio di Giove Anxur sull’alto della costa, la delimitazione dei campi. Sono dei giganteschi fuori scala per far risaltare elementi importanti”.

Ce lo immaginiamo, avanti negli anni, ma sempre attento, curioso, pronto a registrare ogni particolare interessante e a cercare di comprendere ogni novità; passeggiare, magari a dorso di mulo, sui rilievi, che forse aveva già visitato in gioventù, lungo strade e sentieri e prendere appunti, disegnare bozzetti, che poi avrebbe riversato nella compilazione della mappa, o delle mappe. Forse ne sono esistite altre poi andate perdute per sempre. (…)

(da: capitolo 11 “La Vergine delle Rocce” da “Nel Segno di Valcento” di Giancarlo Pavat. Edizioni Belvedere, Latina 2010)

3 Annunciazione

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Un commento:

  1. Rosetta Borchia

    Il quadro è di Leonardo che, tra l’altro, conosceva perfettamente il paesaggio del fondale.

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