LA SIGNORA DEI SERPENTI.
IGEA, SAN GIOVANNI E SANTA ANATOLIA; UNA RICERCA ICONOGRAFICA DI GIANCARLO PAVAT
La recente passeggiata (coronata da successo) alla scoperta di curiose ed enigmatiche simbologie nel centro storico di Supino (FR), organizzata dalla Pro Loco (guidata da Massimo Palazzi), da Itinarrando e da IlPuntosulMistero, nell’ambito della tradizionale Festa delle Azalee, ha consentito ai partecipanti di visitare la chiesa settecentesca di San Nicola, posta nella parte alta del paesino ciociaro, fuori dal tracciato della cerchia muraria medievale.
Immagine sopra; Marisa D’Annibale illustra alcune simbologie durante l’evento supinese del 29 aprile 2023. Sulla sinistra, si riconoscono il nostro Giancarlo Pavat, altro grande protagonista dell'”Itinerario”, e il ricercatore supinese Fabio Fiaschetti (foto Beppe Donvito).
La chiesa si presenta in forme tardo barocche e al suo interno custodisce diverse opere d’arte sacra, alcune delle quali offrono, all’occhio del visitatore attento, diversi particolari iconografici decisamente inconsueti per non dire misteriosi.
In questa sede ci si occuperà dell’iconografia che caratterizza una Martire alla quale è dedicata una cappella sul lato dentro (per chi entra in chiesa) della navata; Santa Anatolia.
Ovviamente questo spunto di ricerca non vuole assolutamente mancare di rispetto alla Fede e alla Devozione. Si tratta di un semplice studio iconografico.
Sia nella statua posta sull’altare, che sul vicino stendardo (un tempo venivano entrambi portati in processione a Supino), la Santa è rappresentata come una fanciulla coronata, che con la mano sinistra regge la palma del martirio, mentre nella mano destra stringe un serpente che le si attorciglia al braccio.
Immagini sopra e sotto: la statua di Santa Anatolia presente nella chiesa di San Nicola a Supino (FR) – (foto G. Pavat 2023)
L’immagine del Serpente riporta alla mente quello che tentò i Progenitori nell’Eden e quindi fa subito pensare al Male con l’iniziale maiuscola.
“Il grande drago, il serpente antico, colui che chiamiamo il diavolo e satana e che seduce tutta la terra, fu precipitato sulla terra e con lui furono precipitati anche i suoi angeli” (Apocalisse di Giovanni 12:9).
Ma in realtà, come ribadito più volte nei miei libri, in articoli apparsi su questo sito o in programmi televisivi ai quali ho partecipato, il Serpente non sempre ha un significato negativo. Anzi. Soprattutto se preso simbolicamente in ambiti legati alla trasmissione della Conoscenza esoterica.
Ma senza voler ritornare (per il momento) ad immergersi in questa tematica complessa ed ermetica, nel caso di Santa Anatolia desidero molto più semplicemente tentare di trovare una chiave di lettura al principale attributo iconografico che la contraddistingue e che la fa entrare a pieno titolo in quella categoria di personaggi più o meno reali, più o meno simbolici legati da valenze esoteriche ofitiche.
Coloro che non conoscono questa giovane Santa Martire, generalmente rimangono perplessi per non dire sconcertati, davanti all’iconografia che la caratterizza. E si chiedono il motivo della presenza del rettile. Per capirci qualcosa cerchiamo pertanto di conoscere la storia di Santa Anatolia.
“Una prima menzione di Anatolia è nel De Laude Sanctorum (Cap. XI, in PL. XX, col. 453)” composto verso il 396 da Vittrice di Rouen (330-409).
La Santa vi figura tra i taumaturghi. All’inizio del sec. VI troviamo Anatolia e Vittoria ricordate insieme nel Martirologio Geronimiano al 10 luglio: “VI idus iulii in Savinis Anatholiae Victoriae”; Vittoria è anche ricordata sola al 19 dicembre: “In Savinis civitate Tribulana Victoriae”.
Poco dopo le due Sante compaiono effigiate nei mosaici di S. Apollinare Nuovo in Ravenna, l’una a fianco dell’altra, in mezzo alle martiri più illustri dell’Occidente, avendo a sinistra S. Paolina, a destra S. Cristina, in quel corteggio maestoso che fa omaggio a Cristo delle proprie corone.
Immagine sopra; il mosaico del VI secolo con la “Processione delle sante vergini e martiri” nella Basilica di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna. Sono presenti le sante Anatolia e Vittoria ma si riconoscono non dagli attributi iconografici (che sono assenti) ma dai nomi scritti in alto sopra di loro.
Abbiamo, infine, databile al VI o VII sec., una Passio ss. Anatoliae et Audacis et s. Victoriae, che fu letta da Adelmo (m. 709) e poi da Beda (m. 735), i quali ne derivarono, il primo il carme in lode delle due Sante, il secondo gli elogi, per Anatolia e Audace al 9 luglio, per Vittoria al 23 dicembre, nel suo martirologio. Gli elogi di Beda, riassunti in Adone e in Usuardo, furono accolti quasi per intero dal Baronio nel Martyrologio Romano, che colloca appunto Anatolia ed Audace al 9 luglio e Vittoria al 23 dicembre. La Passio è un vero centone, dove riaffiorano spunti e dettagli delle “passioni” di Nereo e Achilleo, Calogero e Partenio, Rufina e Seconda, Giovanni e Paolo e di molti altri, come ha ben dimostrato il Raschini. Secondo la Passio, Anatolia e Vittoria, giovani romane di nobile famiglia, rifiutarono le nozze con due patrizi perché consacrate a Dio. I due aspiranti, allora, col favore imperiale, le relegarono nei loro possedimenti di Sabina, Vittoria presso Trebula Mutuesca (l’odierna Monteleone Sabino sulla via Salaria NDA), Anatolia presso Tora. Dopo varie vicende, in cui si sbizzarrisce la fantasia dell’agiografo, Vittoria venne uccisa e sepolta in una caverna: Anatolia sopravvisse di poco. Un soldato, Audace, fu incaricato di ucciderla, rinchiudendola in una stanza (o una caverna, secondo un altra versione NDA) con un serpente. Il rettile lasciò incolume la Santa, mentre si avventò su Audace entrato, l’indomani, nella stanza per accertarne la morte. Ma Anatolia salvò Audace dal serpente e Audace si fece cristiano; quindi, ambedue furono uccisi di spada”.
(da “www.santiebeati.it”).
Stando alla “Passio” (che diversi studiosi ritengono decisamente poco affidabile) il martirio delle due Sante e di Audace sarebbe avvenuto al tempo dell’imperatore Decio (249-251).
“Per quanto scarso sia il valore di questo testo (della “Passio” NDA), il culto delle due Sante è antichissimo e, a partire dal sec. VI-VII, ad esse è congiunto Audace, del quale non è possibile, però, garantire se sia un personaggio reale o una creazione dell’agiografo. Centro del culto è sempre stata, la Sabina, dove dovette avvenire il martirio: Trebula Mutuesca (Monteleone Sabino) per Vittoria, Tora per Anatolia e Audace”.
(da “Santi e beati”).
Immagine sopra; Santa Anatolia raffigurata sullo stendardo che veniva portato in processione a Supino (foto G. Pavat 2023)
In pratica, aldila’ della “Passio”, di questa Santa si sa poco o nulla. Tanto che alcuni studiosi si sono detti convinti che potrebbe non essere mai esistita, oppure essere un personaggio reale a cui sono state attribuite valenze di altra provenienza, o, infine, essere stata confusa con qualche altra figura. Circostanza che si è verificata diverse volte, tanto che alcuni santi del Cristianesimo delle origini sono stati depennati dalla Chiesa di Roma e rimossi dal Calendario.
Personalmente ritengo che dietro la figura di questa Santa ci siano effettivamente altri personaggi e che la “Passio” e gli altri racconti agiografici, siano stati concepiti per “spiegare” e “giustificare” proprio quella particolare iconografia e simbologia.
Ma chi sarebbero queste figure e da quale temperie culturale e religiosa sarebbero scaturite?
Cominciamo con il nome che, effettivamente, incuriosisce molti.
Anatolia è il nome della grande penisola dell’Asia (non a caso un tempo chiamata Asia Minore) incuneata tra il Mediterraneo e il Mar Nero, oggi interamente compresa nella Turchia.
Il nome deriva dal greco antico ἀνατολή, e significa letteralmente “il luogo ove sorge il sole’” rispetto all’Ellade. Quindi, in pratica, significava “Oriente”.
Potrebbe darsi che il nome della Vergine Martire derivi dal suo luogo di provenienza. O meglio, dal luogo di provenienza della figura che probabilmente ha ispirato o da cui è stata mutuata la sua iconografia ofidica.
In particolare, mi vengono in mente due figure; una pagana e una cristiana. La prima, non a caso, è una fanciulla; Igea.
Immagine sopra; statua romana raffigurante Igea con la patera e il serpente.
Igea, stando alla mitologia classica, era figlia del dio della medicina Asclepio (per i Greci, mentre i Romani lo chiamavano Esculapio) e di Epione. Era la dea della Salute e dell’Igiene (che in greco si dice , appunto, Ὑγίεια)
Immagine sopra; statua del dio Esculapio rinvenuta a Ostia Antica ed esposta ai Musei Vaticani.
Mentre Asclepio/Esculapio veniva invocato per guarire dalle malattie, ad Igea ci si rivolgeva per prevenirle. E, come nel caso del padre, pure lei aveva come attributo iconografico un serpente. O meglio, un serpente intento ad abbeverarsi da una coppa (o da una patera) e attorcigliato al suo braccio.
Si tratta della celebre “Coppa di Igea”. Non a caso utilizzata come simbolo delle Farmacie.
Immagine sopra; simboli di divinità classiche recanti serpenti, da sx: il “Caduceo” (o Bastone) di Hermes/Mercurio, la Coppa di Igea e la Verga (o Bastone) di Asclepio/Esculapio.
Immagine in basso: Statua di Hermes sul Palazzo della Regione Autonoma Friuli – Venezia Giulia, in piazza dell’Unità d’Italia a Trieste (foto G. Pavat- Archivio IlPuntosulMistero)
Diverse sono le chiavi di lettura proposte in relazione al simbolismo sotteso nella “Coppa di Igea“. Il Serpente sta stillando veleno che verrà trasformato in farmaco (in greco antico si dice φαρμακον, che significa appunto sia veleno che medicina) e che, quindi, permetterà la guarigione del malato. Come dire che anche dal Male si può trarre il Bene.
Immagine sopra; il Serpente alchemico, simbolo della Conoscenza (disegno G. Pavat)
Parimenti, il Serpente, inteso come Simbolo di Conoscenza, non solo medica ma in senso ben più ampio, sta trasmettendo il Sapere Trascendente (ne abbiamo parlato nell’articolo pubblicato il 20 febbraio 2021 dal titolo “Analisi della decorazione scultorea d leggio dell’ambone maggiore del Duomo di Salerno“), anche quello della Vita e della Morte, a coloro che berranno da quella Coppa.
Immagine in basso: decorazione dell’ambone maggiore del Duomo salernitano. Il Serpente sembra mordere l’uomo. Vuole ucciderlo o trasmettergli la Conoscenza? (Foto Archivio IlPuntosulMistero)
Le figure di molti santi cristiani si sono sovrapposte a quelle di dei o semidei pagani. Abile operazione voluta dalla Chiesa per diffondere il Cristianesimo. Altre volte, invece, nelle vesti di alcuni santi si sono dissimulate divinità il cui culto, dopo l’Editto di Tessalonica del 380 d.C., era stato proibito nella maniera più assoluta.
Un espediente per poter continuare a praticare la propria antica religione senza rischiare di fare una gran brutta fine, vista l’intolleranza della Chiesa di Roma.
Quindi, i fedeli di Igea (l’Asia Minore era costellata di santuari ad essa dedicati) potrebbero aver “inventato” una Santa fanciulla con i medesimi attributi identificativi e le stesse valenze dell’antica dea. Dopotutto anche Santa Anatolia è annoverata tra i santi taumaturgi. Come attestato dalla salvezza di Audace morso dal serpente.
Si potrebbe obiettare che Santa Anatolia non regge alcuna coppa o altro recipiente. Ma in realtà, in alcune raffigurazioni compare un sacco (in cui c’era il rettile) o un cesto brulicante di serpi.
Inoltre, cone già accennato, in alcune versioni dei racconti agiografici si parla di una grotta, quella in cui era stata rinchiusa Santa Anatolia.
Ebbene, non è forse vero che certi rituali misterici o comunque legati alla Conoscenza Trascendente, si svolgevano in ambienti ctoni? Il Serpente era ritenuto un essere del sottosuolo e quindi a conoscenza dei segreti più reconditi dell’Uomo e dell’Universo. Quindi i punti di somiglianza tra le due figure femminili sono molti di più e vanno oltre la mera presenza del rettile.
Ma l’Anatolia, intesa come regione geografica, è ancora più pertinente in relazione alla seconda ipotesi sulla derivazione iconografica che si vuole proporre. Ovvero quella secondo cui dietro la figura di Santa Anatolia sarebbe adombrata nientemeno che quella di San Giovanni Evangelista.
Il legame tra San Giovanni Evangelista e l’Anatolia è più consistente di quanto si possa credere. Per prima cosa giova ricordare che è proprio alle “Sette Chiese dell’Asia“, intesa come Asia Minore, quindi l’Anatolia, che si rivolge Giovanni nell‘incipit de “L’Apocalisse“.
“Mi trovavo nell’isola detta Patmos a motivo della parola di Dio e della testimonianza di Gesù” (Ap 1, 9).
Qui, all’interno della grotta sull’isoletta, trasformata in venerato Santuario dai Cristiani ortodossi, ebbe una Visione, una Rivelazione Divina delle “Cose Future” sino alla Palingenesi finale.
“Venni afferrato dallo Spirito nel giorno del Signore e sentii alle mie spalle una voce potente, come di tromba, la quale diceva: Quel che vedi, scrivilo in un libro e mandalo alle sette chiese, a Efeso, a Smirne, a Pergamo, a Tiatira, a Sardi, a Filadelfia,e a Laodicea” (Ap 1, 10-11)” (da G. Pavat “Nel Segno di Valcento“, edizioni Belvedere 2010).
Inoltre, stando alla tradizione e all’agiografia cristiana, il “discepolo che Gesù amava” (in greco antico μαθητὴς ὃν ἠγάπα ὁ Ἰησοῦς) non avrebbe subito il Martirio ma sarebbe morto molto anziano, tra il 98 e il 117 d.C., all’epoca dell’Imperatore Traiano, proprio in Anatolia e precisamente ad Efeso.
Infatti, in questa città anatolica, dopo l’Ascensione al Cielo di Gesù, l’Evangelista si sarebbe stabilito assieme alla Madonna ed alla propria madre Santa Maria Salome, in una casa poi identificata con l’edificio accanto all’antica basilica, presso una collina denominata “Monte dell’Usignolo”. Qui la Vergine sarebbe rimasta sino all’anno 46 d.C., quando a circa 64 anni di età, sarebbe stata assunta in Cielo. Attualmente, la “Casa di Maria”, è una piccola Cappella, presso la quale hanno pregato anche i Pontefici Paolo VI, Giovanni Paolo II e, nel 2007, Benedetto XVI.
Ma cosa c’entra l’Evangelista con il Serpente? Normalmente i suoi attributi iconografici sono il Libro (il Vangelo che è intento a scrivere) e un Aquila.
Immagine sopra: Tondo in stucco di Donatello raffigurante San Giovanni Evangelista (1428-1443) nella Basilica di San Lorenzo a Firenze.
“Effettivamente tentarono di metterlo a morte, in quanto si rifiutava di sacrificare agli dei, ma con scarsi risultati. L’Imperatore Domiziano (81-96) autoproclamatosi, come ci riferisce Svetonio, “dominus ac deus”, impose in tutto l’Impero il “Culto della Sua Persona”. Rifiutare di sottostarvi significava diventare oggetto di persecuzione. Secondo molti studiosi la stessa “Apocalisse di Giovanni” daterebbe proprio a quel determinato periodo storico. Lo confermerebbe il violento attacco ai “Nicolaiti”, contenuto nell’opera (Ap 2, 6). Ovvero coloro che accettarono di partecipare ai culti ed ai sacrifici per l’Imperatore pur rimanendo cristiani nel proprio animo.
Secondo alcune fonti apocrife, soprattutto i cosiddetti “Atti di Giovanni” (redatti da un certo Lucio Carino nel II secolo d.C., infarciti di episodi prodigiosi e straordinari ed impregnati di una buona dose di gnosticismo), a San Giovanni posero davanti una coppa colma di veleno, intimandogli di berlo. L’Evangelista lo benedisse facendone uscire un serpente” (da G. Pavat “Nel Segno di Valcento“, edizioni Belvedere 2010).
Immagine sopra; San Giovanni Evangelista con il Serpente e la coppa, affrescato nella chiesa di San Menna a Lucoli in Abruzzo (Archivio IlPuntosulMistero). Immagine on basso; particolare della scultura lignea con San Giivanni e il Serpente che esce dalla Coppa nella Skallerudkyrka, chiesa quattrocentesca della regione del Dalsland in Svezia (foto G. Pavat 2011)
Ecco da dove nasce l’iconografia con il giovane Giovanni che regge una coppa (o calice) da cui esce un serpente.
Immagine sopra; il San Giovanni con il Serpente dipinto dal Giampietrino, allievo di Leonardo da Vinci e conservato nella Basilica di San Magno a Legnano (MI)
Ma Efeso e l’Anatolia ritornano pure in un altra leggenda medievale relativa all’Evangelista, sorta da una determinata interpretazione di un passo del Quarto Vangelo; “Si eum volo manere donec veniam” (Gv 21, 22 e 23). Traducibile in “Se io voglio che lui rimanga sino a che io non venga”.
In pratica, Gesù stabilì che Giovanni sarebbe rimasto sulla Terra finché Lui non sarebbe ritornato.
Quindi Giovanni non sarebbe mai morto ed attenderebbe ancora oggi la “Seconda Venuta” di Cristo, in uno stato di morte apparente in una cavità all’interno della collinetta vicina alla “Casa dell’Usignolo”.
Concludendo, anche nell’ipotesi iconografica “giovannea”, alcuni cristiani, magari proprio in Asia Minore, si sarebbero potuti trovare davanti ad una precoce raffigurazione dell’episodio narrato da Lucio Carino, e non conoscendolo e vedendo una figura imberbe dai capelli lunghi, vi avrebbero identificato una fanciulla in merito alla quale sarebbero poi sorti i successivi racconti (più o meno fantasiosi) che avrebbe “spiegato” la particolare iconografia con il Serpente.
Ovviamente queste sono mere ipotesi di lavoro ma che hanno trovato concordanza presso altri esperti a cui sono state anticipate. Dopotutto i significati simbolici esoterici della figura del Serpente sono talmente tanti, complessi e spesso contraddittori che non è semplice trovare una lettura univoca. Solo ulteriori ricerche, finalizzate anche a rintracciare la più antica raffigurazione di Santa Anatolia e dell’episodio di San Giovanni e il Serpente, potranno regalarci una conferma a queste possibili matrici iconografiche.
Rimane ancora una volta una certezza. Ovvero che il mondo dei Simboli è una sorta di cornucopia inesauribile, pronta a donarci enigmi su cui scatenare il proprio intelletto al fine di trovarne possibili soluzioni; un vero e proprio “geneneratore” di idee, elucubrazioni, intuizioni, sillogismi, che nessuna I.A. potrà mai imitare ed eguagliare.
(Giancarlo Pavat)
– Se non altrimenti specificato, tutte le immagini sono state tratte da Wikipedia, che si ringrazia per la disponibilità.
Immagine sopra; la ” vera” ” Signora dei Serpenti” della Civiltà Minoica in Grecia (disegno G. Pavat- Archivio IlPuntosulMistero)