Chi meglio di un sito che si chiama “Il punto sul mistero” è adatto per (scusate il gioco di parole) fare il punto e ricapitolare la vicenda dell’affresco con il “Cristo nel labirinto” di Alatri.
Soprattutto alla luce degli ultimi aggiornamenti a seguito della spedizione in Svezia dello scorso anno.
Eviteremo però di affrontare le indiscrezioni che stanno trapelando dai lavori di restauro che la Soprintendenza ai Beni Artistici, Storici ed Etnoantropologici del Lazio sta ormai concludendo. Si tratta di una questione di correttezza.
Saranno gli stessi restauratori a parlarne nella conferenza stampa che certamente verrà organizzata per presentare la conclusione del restauro.
Affronteremo, invece, l’argomento da un punto di vista, per così dire, “europeo”. Alla luce del crescente interesse da parte di studiosi, ricercatori, appassionati di labirinti di tutto il “Vecchio Continente” (e non solo).
Com’è ormai arcinoto, l’enigmatico affresco si trova in una sorta di cunicolo (o meglio intercapedine) nel chiostro di San Francesco, annesso all’omonima chiesa del XIII secolo.
Già convento, poi carcere e tribunale penale, il chiostro, che si apre su piazza Regina Margherita, è stato restaurato e viene utilizzato come sala espositiva di mostre ed eventi culturali.
Nel 1996, per puro caso, nel cunicolo vennero scoperti alcuni affreschi parietali. Elementi decorativi di carattere vegetale si alternano ad enigmatici simboli. Come il “Fiore della vita”, spirali, triplici circonferenze e “stelle radiali”. Ma la parte del leone la fa quello che si presenta come un vero e proprio “unicum” nel panorama dell’arte universale.
Si tratta di un enorme affresco con “Cristo in Gloria” o “Cristo Giudice” posto al centro di un enorme labirinto unicursale di dodici cerchi concentrici neri e dodici bianchi.
Il diametro del cerchio più esterno è di circa cm 140, mentre quello del cerchio interno misura 75 centimetri.
Nell’affresco, Cristo, che indossa una tunica scura ed un mantello dorato, con la mano sinistra, al cui dito anulare porta un anello, regge un libro chiuso di cui si distinguono alcuni dettagli, come due fibbie ed una placca, posto quasi in corrispondenza con il cuore.
La mano destra invece tende all’uscita (o ingresso) del labirinto. Alcuni segni incisi sull’intonaco sembrano indicare la presenza di una mano che esce dal labirinto. Solo dai risultati dei restauri sapremo se, come sembra, Cristo stringe questa mano o, più semplicemente (ma non per questo meno rilevante dal punto di vista simbolico) indica l’uscita del dedalo.
Assolutamente da non prendere nemmeno in considerazione l’asserita scoperta (avanzata da qualche ricercatore locale) di un serpente che uscirebbe dal labirinto e verrebbe afferrato da Cristo.
Il volto di Cristo è barbuto, con un’aureola con una croce inscritta. Questo particolare esclude senza alcun dubbio che, come ipotizzato da qualche ricercatore locale, si possa trattare di un personaggio biblico del Vecchio Testamento.
Un altro ricercatore, invece, ha dichiarato a mezzo stampa di aver scoperto che il Cristo nel labirinto ha tre volti. ha avanzato l’ipotesi che Cristo abbia tre volti. Dando così la stura a tutta una serie di teorie ed elucubrazioni che francamente ritengo destituite d’ogni fondamento.
Ho osservato a lungo ed in diverse occasioni l’affresco. Dal vero (e non in fotografia) e da distanza molto ravvicinata (quando c’era le impalcature all’interno del cunicolo). E non ho mai trovato alcuna traccia di questi “tre volti”.
Nel dibattito è intervenuta anche la dottoressa Barbara Frale, archivista Vaticana e studiosa di Templari ed autrice di numerosi libri sull’argomento. In una intervista televisiva rilasciata a Fiuggiwebtv in occasione della consegna del Premio Ricerca nel Mistero, a Roma, lo scorso 4 marzo, ha stroncato l’ipotesi del Cristo “trifacciato”. Per realizzare il labirinto, l’ignoto artefice ha tracciato prima la circonferenza centrale e le altre 23 ad essa concentriche. Poi, prima di colorarle di nero e di bianco, ha “tagliato” le circonferenze, creando angoli, meandri e corridoi. E dando al labirinto un aspetto cruciforme.
A qualcuno ricorda una “Croce patente”, come quella di colore rosso che si vede affrescata sulla controfacciata della chiesa di San Francesco.
La parete affrescata con il “Cristo nel Labirinto” guarda a sud.
Quindi l’entrata del labirinto di Alatri si trova ad ovest (alla sinistra di chi l’osserva) e l’uscita è rivolta ad est. In pratica è orientato come la stragrande maggioranza delle chiese e delle cattedrali cristiane. Si entra provenendo da dove tramonta il sole, dalle tenebre, e ci si avvia nella direzione in cui sorge, verso la Luce.
La grandezza dell’opera ed il fatto che sia posta in alto, lascerebbero intendere che sia stata realizzata per essere vista anche da una certa distanza. Forse decorava una vasta sala di culto.
Iconograficamente non esiste nulla di simile al mondo. Ad Alatri, un simbolo antichissimo, come quello, appunto, del “Labirinto”, è stato unito con l’immagine del “Cristo storico”. Non attestato prima del IV secolo d.C..
I primi Cristiani, subendo ancora l’influsso della religione ebraica, che aborriva le immagini, non rappresentavano mai il Salvatore con le sue sembianze umane. Bensì mediante allegorie e simboli. Come la figura del “Buon Pastore”, che reca sulle spalle una pecorella e simboleggia Gesù Salvatore delle anime. Più tardi Cristo apparirà come un giovane ed imberbe, per indicare il suo essere “Senza Tempo”, la sua dimensione eterna e quindi Divina. Moltissimi i simboli. Come la “Colomba”, “l’Orante”, che tra l’altro con le braccia aperte ricorda il “Tau”, la “Vera Croce” del Golgota, oppure “l’Ancora”, la prima e l’ultima lettera dell’alfabeto geco; “l’Alfa e l’Omega”. Ma anche il disegno di un “pesce” (In greco pesce si dice IXTHYS, “Ichtùs”. E con queste lettere di forma un acrostico della frase “Iesùs Christòs Theòu Uiòs Sotèr”, ovvero “Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore”).
Infine, il “Monogramma di Cristo”, formato dalle lettere greche “Chi” e “Rho”.
La tradizione vuole che l’Imperatore romano Costantino, nel 312 d.C., prima della decisiva Battaglia di Ponte Milvio, vicino a Roma, contro l’usurpatore Massenzio, abbia sognato un angelo che recava una Croce (come mirabilmente affrescato nel XV secolo da Piero della Francesca nella Chiesa di San Francesco ad Arezzo), secondo altri avrebbe visto nel cielo un simbolo fiammeggiante, che altri non era che il “Monogramma di Cristo” con la celebre scritta “In hoc Signo Vinces”. Costantino fece apporre il “Monogramma”, composto appunto dalle due lettere greche, sui labari e sopra gli scudi. Ove rimase per secoli come insegna delle Armate Bizantine.
Non si sa quasi nulla dell’affresco con il Cristo nel labirinto. Non esiste traccia di quest’opera d’arte a livello di tradizione o letteratura locale. Fu rinvenuto casualmente da tre ricercatori alatrensi, Ennio Orgiti, Paride Quadrozzi ed Orestino Fanfarilli, nel 1996. Ma siccome attorno a questo affresco i misteri abbondano. Abbiamo ragione di ritenere che, in realtà, fosse stato individuato già alcuni anni prima, ma che per motivi ignoti venne lasciato nell’oblio.
Oblio che l’avvolse anche dopo il ’96, per circa 10 anni. Tranne che per la breve interruzione dovuta alla pubblicazione di un articolo dedicato al “Cristo nel labirinto” di Gianfranco Manchìa, allora direttore del Museo Archeologico di Alatri, sul numero 1 del periodico “Antichità alatrensi”.
Finché nel 2006 qualcosa finalmente cambiò.
Su invito dell’assessore alla Cultura avvocato Remo Costantini, iniziai a svolgere ricerche e studi. Che piano piano portarono ad alcune clamorose scoperte, le quali hanno scatenato grande interesse nei mass media italiani (in primis la rivista “Fenix” diretta da Adriano Forgione e la trasmissione di Rai2 “Voyager” di Roberto Giacobbo e tra gli appassionati e ricercatori. E proprio questa “esposizione mediatica” è stata determinante (per stessa ammissione della responsabile di zona della Soprintendenza dottoressa Graziella Frezza durante il convegno del 24 aprile 2010) per ottenere un finanziamento di 100.000 euro per i lavori di restauro.
La scoperta più interessante e decisiva che ha portato l’affresco alatrense all’attenzione pure internazionale è stata certamente quella che ho fatto nel gennaio 2009.
Ovvero che il percorso del labirinto di Alatri è identico a quello dell’enorme labirinto che decora il pavimento della navata della cattedrale di Chartres in Francia. Chartres; la “Cattedrale del mistero” per antonomasia.
Ho raccontato nel mio libro “Nel segno di Valcento” quell’emozionante serata, quando, analizzando al computer le fotografia scattate durante l’ennesimo sopralluogo nel cunicolo, riuscì a ricostruire il percorso del labirinto, accorgendomi della somiglianza con il famosissimo labirinto francese. Fu un emozione davvero unica.
Ma dal proseguo degli studi emerse che in Europa esistevano almeno altri cinque labirinti, tutti di epoca medievale, riconducibili al modello circolare ed unicursale che abbiamo denominato “Alatri-Chartres”.
Ritengo che, per la nostra ricerca e le ipotesi di lavoro che si vedranno tra poco, vadano presi in considerazione solo i labirinti medievali, realizzati tra il XII ed gli inizi del XIV secolo, circolari, unicursali e con il percorso identico al modello “Alatri-Chartres” o “Chartres-type” (come dicono gli Inglesi) .
In realtà questi labirinti potrebbero essere molti di più. Molti labirinti “Chartres type” si ritrovano su codici e manoscritti, ma sempre in un contesto che riguarda il mito di Teseo ed il Minotauro. Quindi non hanno nulla a che fare con al nostra ricerca.
Abbiamo scartato pure quelli rinascimentali. Come il labirinto, teatro dell’esiziale scontro tra un Teseo in armatura quattrocentesca ed un Minotauro simile ad un centauro, raffigurato in un quadro del 1500.
Attribuita ad un ignoto pittore convenzionalmente chiamato “Maestro dei cassoni campana”, è oggi conservato al “Petit Palais” di Avignone In Francia. Oppure, l’altro labirinto, sempre “d’Oltralpe”, realizzato nel XVI secolo con piastrelle decorate sul pavimento della cappella di Sant’Agata a Mirepoix nella regione del Midi-Pirenei.
Inoltre, non va scordato che addirittura sulla stessa definizione del modello “Chartres type”, non c’è concordanza tra gli studiosi. Quali labirinti vanno compresi in questa categoria?
Ad esempio Hermann Kern nel suo celebre libro del 1981, “Labirinti. Forme ed interpretazioni. 5000 anni di presenza di una archetipo” (edizione italiana per i tipi di Feltrinelli), ne elenca 9.
Mancano alcuni labirinti che analizzeremo tra poco. Ovvero quelli di Pontremoli, di Grinstad, e, ovviamente, Alatri.
Dell’elenco fanno parte invece i labirinti di Tolosa (oggi scomparso ma al quale si è probabilmente ispirato quello di Mirepoix), di Rathmore in Irlanda e di Bristol in Inghilterra, risalenti rispettivamente al tardo XIV ed al XV secolo..
Inoltre, tralasciando la forma circolare, ma prendendo in considerazione soltanto l’andamento del percorso, Kern fa rientrare nella categoria pure labirinti esagonali ed ottagonali. Come quelli di Amiens, Arras (oggi scomparso), Saint Quentin e Genainville e Sèlestat (quest’ultimo però risale addirittura al XIX secolo), in Francia. O addirittura quello graffito su una parete della cattedrale di Poitiers, che non è certamente circolare ma assomiglia ad una goccia d’acqua.
Più o meno sulla stessa lunghezza d’onda è uno dei massimi esperti al mondo di labirinti, con il quale sono in corrispondenza da tempo, l’inglese Jeff Saward.
Nel suo elenco di labirinti “Chartres type” troviamo addirittura il labirinto di pietre, forse preistorico, del fiume Ponoi, nella penisola di Kola in Russia.
Oppure quello dipinto, tra il 1276 ed il 1283, in Inghilterra da Richard de Haldingham de Lafford, sull’isola di Creta nella “Mappa Mundi” oggi appesa nella chiesa di Hereford. Nell’elenco c’è pure una “sorpresa” italiana. Ovvero un labirinto quadrato (ma con il percorso identico a quello di “Alatri-Chartres”), inciso nel leggio ligneo della Cattedrale di Volterra, scoperto negli anni ’90 dalla professoressa Alessandra Angeloni dell’Università di Firenze e datato agli inizi del XIV secolo (si veda il saggio dell’Angeloni pubblicato su “Rassegna Volterrana” , numero LXXIII – LXXIV 1996-1997).
Tornando ai nostri labirinti medievali, circolari ed unicursali, vediamo dove si trovano quelli con il percorso uguale ad Alatri e a Chartres.
Ben quattro (compreso quello di Alatri sono cinque) si trovano in Italia e tutti in località situate lungo la “Via Francigena”. Dato da tenere ben presente per il proseguo di questa trattazione. Uno era stato realizzato con marmi gialli e verdi e porfido rosso per la circonferenza centrale sul pavimento della navata della chiesa di Santa Maria in Aquiro a Roma. Di questo bellissimo labirinto, purtroppo, ci rimangono solo la descrizione ed i disegni pubblicati dall’archeologo francese Julien Durand sugli “Annales Archèologiques” nel 1857. Infatti andò distrutto nella seconda metà del XIX secolo.
Anche Pavia vantava un labirinto identico. Era situato nella Basilica di San Michele Maggiore, dove venivano incoronati i re Italici, ma è sopravvissuto soltanto un frammento.
Gli altri due esemplari sono stati scolpiti su blocchi di pietra e si trovano murati rispettivamente sulla facciata della Cattedrale di San Martino a Lucca (Foto del labirinto) ed all’interno della chiesa di San Pietro a Pontremoli, in Toscana.
Questi due labirinti, oggi li vediamo in posizione verticale, in quanto il blocco di marmo ( a Lucca) ed arenaria (a Pontremoli) sono murati in tale posizione.
Ma ignoriamo se questa fosse l’ubicazione primigenia. Molti studiosi sono convinti che entrambi i labirinti fossero allocati orizzontalmente.
L’attuale posizione di quello pontremolese è successiva al Secondo Conflitto Mondiale. La chiesa di San Pietro, infatti, venne bombardata e ricostruita alla fine della guerra. Il blocco di pietra con il labirinto venne recuperato e murato dove si trova attualmente.
Ma le novità più clamorose, sembrano arrivare da un ulteriore labirinto simile. Affrescato in un Paese molto lontano da noi; in una piccola chiesa medievale di Grinstad, nella Svezia Sud-occidentale. Ma procediamo con ordine.
Come già evidenziato in precedenza, al momento non si conoscono ancora gli autori dell’affresco con il “Cristo nel labirinto” di Alatri.
Lo studio delle diverse decorazioni (“Fiori a sei petali”, circonferenze, stelle ecc.) presenti nel cunicolo, al momento, indica l’Ordine dei “Pauperes Commilitiones Christi Templique Salomonici”, meglio noti come “Cavalieri Templari”, come i maggiori indiziati per essere i committenti.
Nel mio libro “Valcento. Gli Ordini monastico-cavallereschi nel Lazio meridionale”, Edizioni Belvedere, 2007, e nel suo seguito ideale del 2010, il già citato “Nel segno di Valcento”, ho portato all’attenzione numerosi indizi che fanno ritenere assai probabile che i Templari fossero presenti ad Alatri, tra il XII ed il XIV secolo.
Sono state individuati numerosi simboli, come il “Centro Sacro”, la “Triplice Cinta” o il “Segno del Golgota”, utilizzati anche dal Tempio. Ma gli elementi più probanti sembrano essere le diverse “Croci Patenti” affrescate in molte chiese di Alatri.
Oltre a quella della chiesa di San Francesco, vicina al chiostro con il labirinto, si possono vedere in quella di San Silvestro.
In araldica non esiste e non è mai esistita una “Croce Templare”. Nonostante spesso si legga questo termine su diversi libri e pubblicazioni.
La “Regola” dell’Ordine, sia la versione latina, sia quella in volgare d’Oil, non fa menzione di alcuna croce. Parla soltanto di un abito e mantello bianchi. Come quelli dei Cistercensi.
Il colore bianco venne scelto anche per un preciso significato simbolico.
L’art. XX della Regola “Primitiva” recita “a tutti i soldati professi in inverno e in estate, se è possibile, concediamo vesti bianche cosicché coloro che avranno posposto una vita tenebrosa, riconoscano di doversi riconciliare con il loro Creatore mediante una vita trasparente e bianca.
Che cosa di bianco se non la castità ?
La castità è sicurezza della mente e sanità del corpo. Infatti ogni militare, se non avrà perseverato nella castità, non potrà raggiungere la pace perpetua e vedere Dio; come attesta l’apostolo Paolo; seguiamo la pace con tutti e la castità, senza cui nessuno vedrà il Signore. Ma perché uno sia di questo stile deve essere privo della nota arroganza e del superfluo. Comandiamo a tutti che abbiano tali cose affinché ciascuno da solo sia capace senza clamore di vestirsi e svestirsi, mettersi i calzari e levarseli.
Il procuratore di questo ministero con vigile cura sia attento nell’evitare questo, coloro che necessitano non ricevano un abito troppo lungo o troppo corto ma di giusta misura secondo la taglia di ciascun fratello. Coloro che ricevono abiti nuovi, restituiscano subito i vecchi, da riporre in camera, o dove il fratello cui spetta il compito avesse deciso, perché possano servire agli scudieri o agli aggregati, oppure ai poveri.”
Fu Papa Eugenio III, il 24 aprile 1147, in occasione della partenza della cosiddetta “Seconda Crociata” (1147-1149), a concedere ai Cavalieri Templari di portare in perpetuo la croce sulle vesti. Ma si trattava di una piccola “croce greca”. Ovvero quella con i bracci della stessa misura.
Comunque, i Cavalieri Templari, nel corso dei due secoli della loro storia hanno utilizzato diverse tipologie di croci. La più usata è stata senz’altro la “croce patente”, ma che non si può definire assolutamente “croce Templare”.
Ad Alatri, anche la memoria popolare ci vien in aiuto. Infatti una radicata tradizione vuole che presso la “Porta di San Sebastiano, sorgesse un ospizio per i pellegrini i proprietà dell’Ordine.
E’ bene chiarire subito una cosa. Sebbene i Templari, come gli altri ordini sia regolari che ospitalieri e cavallereschi, utilizzarono molti simboli, ad oggi non esiste alcuna prova che abbiano mai realizzato o commissionato labirinti.
Per smentire questa asserzione, accettata da tutti i maggiori studiosi del Tempio, viene di frequente citato un labirinto d’erba inglese, oggi scomparso. Si trovava in località detta Tarry Town, nel villaggio di Temple Cowley, poco distante da Oxford.
Non era del modello “Alatri-Chartres”, in quanto aveva soltanto cinque circonferenze.
Sto preparando un lungo articolo a tale proposito, che vedrà la luce proprio su “Il punto sul mistero”. In questa sede posso anticipare che l’attribuzione ai Templari del labirinto di Tarry town (che si ritrova in molti libri inglesi) è stata categoricamente smentita da Jeff Saward.
Nonostante ciò, non è detto, come vedremo tra breve, che non ci possa essere lo zampino dell’Ordine nella vicenda dei sette labirinti medievali (tutti coevi, è bene ricordarlo, al periodo di esistenza dei Templari) di cui ci stiamo occupando.
Servivano altri riscontri, che per forza di cose, al momento, non potevano venire da Alatri. Inoltre, a prescindere dai Templari, era stata avanzata l’ipotesi che i labirinti “Alatri-Chartres” potessero indicare le tappe di un percorso di pellegrinaggio spirituale o iniziatico.
E proprio per questi motivi, nell’estate del 2010, assieme a mia moglie Sonia Palombo ed agli amici Paolo Ruggeri, Marco Di Donato, Manuela Guglielmi e Domenico Pelino, sono volato sino in Svezia, proprio per andare a vedere che cosa ci fosse davvero nella chiesetta di Grinstad. Convinto di poter trovare conferme a questa affascinante ipotesi.
Decollati dall’aeroporto di Roma – Ciampino, dopo poco più di due ore di volo, siamo atterrati a Goteborg, affacciata al mare del Nord, seconda città della Svezia. Il più vasto dei Paesi scandinavi, grande due volte l’Italia con solo 9 milioni di abitanti, la Svezia ci ha accolto in una radiosa mattinata di giugno.
Un cielo azzurro intenso, un sole sfavillante ed una leggera brezza proveniente dall’Oceano a rendere piacevole il clima.
ll giorno del nostro arrivo è stato dedicato alla visita di Goteborg ed ai suoi monumenti. Particolarmente interessante abbiamo trovato la Oskar Fredriks kyrka, al chiesa più importante della città e la prima che i marinai vedevano entrando nel porto. Sebbene sia stata edificata alla fine del XIX nello stile neogotico, vi abbiamo riscontrato alcune simbologie che poi incontrato in alcune monumenti ben più antichi risalenti al Medio Evo. Ad esempio “oculi” ciechi a forma di “rosa esalobata”. Ricordate dove se ne vede una identica? E’ certamente una mera coincidenza ma date un occhiata al centro del labirinto di Chartres!
Da Goteborg, la spedizione guidata dal sottoscritto, e grazie alla nostra guida l’amico Marco Sisto (nato a Stoccolma da genitori italiani) imboccata l’autostrada E45, ha raggiunto la remota regione del Dalsland (pronuncia “Dòlslan”). Una regione splendida. Caratterizzata da pascoli, foreste e laghi, tra cui il terzo per estensione d’Europa, il gigantesco lago Vanern, un vero e proprio mare. Poco nota persino agli Svedesi. Figuriamoci agli Italiani. Se prende una delle tante ed ottime guide sulla Svezia edite in Italia da importanti case editrici, relativamente al Dalsland si troveranno poche righe. Di Grinstad nemmeno un cenno.
Anzi non viene mai segnata nemmeno sulla cartine topografiche, stradali o turistiche.
Si pensi che siamo stati i primi Italiani a visitare Grinstad e le altre località facenti parte del comune di Mellerud.
Nell’albergo dove abbiamo pernottato, a Skallerud (pronuncia “Skòllerud”), altra frazione di Mellerud, immersa nei boschi, non avevano letteralmente mai visto un Italiano. Ma siamo riusciti a piantare il Tricolore anche lì. Prima di partire abbiamo omaggiato la famiglia che gestisce l’albero (una antica canonica in legno, completamente restaurata) con una piccola bandiera italiana. Dicendoli di issarla sotto il portico assieme alle alte bandiere delle altre nazioni i cui cittadini sono stati ospitati lì, Tedeschi, Olandesi, Norvegesi e Danesi.
Skallerud, inoltre è nota per vantare una piccola,chiesetta lignea, anch’essa medievale, ricchissima di opere d’arte e sculture soprattutto lignee.
Alcune decisamente enigmatiche. Alla quale dedicheremo quanto prima un esauriente articolo.
Il secondo giorno della nostra permanenza in Svezia, siamo finalmente giunti alla chiesetta di Grinstad, circondata da un camposanto con antiche lapidi monolitiche ed immersa nell’ombra di secolari caducifoglie.
Sul sagrato siamo stati accolti da studiosi ed archeologi svedesi, guidati dalla professoressa Gudrun Rydberg, responsabile delle ricerche storiche della regione del Dalsland, con la quale ero in contatto da oltre un anno. Assieme a lei la professoressa universitaria e storica dell’arte Cecilia Hedbor, il presidente dell’associazione storica Sven-Olov Andreasson, il pastore della chiesa Gunnar Imberg, il giornalista e fotografo Bo Andersson ed i coniugi Per e Ida Ostenberg, con la loro figlioletta Sigrid. Professore e preside di Istituto Superiore lui, docente di storia romana presso l’Università di Goteborg, lei.
Nel panorama delle antiche chiese scandinave, la “Grinstadkyrka” costituisce una sorta di rarità, essendo una delle poche in mattoni. Risale al 1200 ed è dedicata a Sant’Erik. Sovrano svedese del XII secolo, Erik IX, poi santificato, guidò diverse spedizioni “crociate” a nord ed oltre il Golfo di Botnia, per evangelizzare i pagani finlandesi.
Proprio come nel secolo successivo fecero sia Valdemar II di Danimarca, addirittura con l’imprimatur di Papa Onorio III, che i Cavalieri Teutonici sulle sponde meridionali di quello stesso Mar Baltico.
Oltre a poter studiare, fotografare e filmare il labirinto (effettivamente presente nella chiesa), abbiamo avuto modo di individuare all’interno della “Grinstadkyrka” alcuni manufatti che sembrano confermare proprio quel legame a cui si accennava prima. Dalla Scandinavia, attraverso l’Europa, sino all’Italia e ad Alatri.
Il labirinto svedese è stato datato con certezza dagli svedesi al 1200 e, proprio come quello di Alatri, venne scoperto casualmente sotto l’intonaco agli inizi del XX secolo.
Sebbene la Scandinavia sia ricchissima di labirinti, sia di pietra sul terreno che incisi o dipinti nelle chiese, quello di Grinstad è unico nel suo genere.
Dipinto con tratto di colore rosso sull’intonaco steso direttamente sui mattoni della parete, è mancante della parte sinistra a causa dell’apertura di una finestra. Il percorso del labirinto non è esattamente uguale a quello di Alatri e di Chartres. Esistono addirittura vicoli ciechi. Impensabili in un labirinto unicursale. Tutto ciò è stato causato da maldestri restauri successivi al rinvenimento.
Le somiglianze con quello di Alatri sono comunque notevoli. Entrambi sono labirinti circolari con dodici circonferenze. Entrambi sono affrescati (tutti gli altri labirinti attualmente noti, riconducibili al modello Alatri-Chartres sono o scolpiti nella pietra o realizzati a mosaico), e perdipiù su una parete volta a mezzogiorno.
Al contrario di quello alatrense, che racchiude la figura di Cristo, il centro del labirinto di Grinstad attualmente è vuoto. Ma la presenza di un foro indica che vi era infisso qualcosa. Forse un bassorilievo o una targa.
Proprio accanto al labirinto è visibile quello che è stato indicato come un indizio della presenza dei Cavalieri Templari anche nella chiesa di Grinstad.
Una “Croce Patente” di colore rosso inscritta in una circonferenza. Simile alla croce della chiesa di San Francesco ad Alatri e ad altre croci presenti in siti appartenuti all’Ordine del Tempio.
I Templari erano presenti in Scandinavia, ma in regioni più a sud, come il Vastergotland o sulle rive e sulle isole del Mar Baltico. Sinora non sono mai state trovate tracce di un insediamento nel Dalsland.
Per inciso, vogliamo ricordare che negli ultimi anni anche in Svezia è scoppiata una vera e propria “febbre Templare”. Grazie ad uno scrittore svedese, ma dal cognome francese, Jean Guillou. Che ha ottenuto un incredibile successo grazie ai romanzi della trilogia dedicata ad Arn di Gothia, cavaliere Templare, “Tempelriddaren”. Da cui nel 2007 è stato tratto anche un film campione di incassi in inglese con sottotitoli in svedese, per la regia di Peter Flinth. Esiste anche un versione italiana, mandata in onda da Mediaset l’anno scorso, ma essendo stata tagliata ed ridotta sensibilmente, si è perso il ritmo del racconto e soprattutto le vicende che si svolgono nella Svezia medievale, appunto nella regione del Vastergotland. Davvero interessanti per le attente e filologicamente corrette ricostruzioni della vita , dei costumi e delle tradizioni di quelle terre in quell’epoca così lontana da noi.
Tornando a Grinstad, la “Croce patente” non è l’unico indizio “Templare”. Nella chiesa abbiamo avuto modo di vedere pure un altro simbolo, presente anche nel cunicolo dove si trova l’affresco con il “Cristo nel labirinto”, e utilizzato pure dai Templari.
Ovvero un “Fiore a sei petali” o “Fiore della Vita”, che a Grinstad è stato scolpito su un blocco di pietra un tempo murato sulla parete occidentale della chiesa.
Ma le sorprese in arrivo dalla Scandinavia non sono ancora finite. La professoressa Cecilia Hedbor, docente di storia dell’arte dell’Università di Goteborg, venuta a conoscenza dell’esistenza dell’affresco con il “Cristo nel labirinto” di Alatri, l’ha messo in relazione con un disegno presente in un “Libro di esempi” islandese (ma conservato a Copenhagen) del XV secolo.
In un pagina del manoscritto si vede un sovrano inginocchiato che offre un dono rivolto ad un labirinto circolare ed unicursale. Purtroppo la pagina è frammentaria e si vede solo una piccola parte delle circonferenze del labirinto.
L’esemplare islandese era stato pubblicato già da Hermann Kern nel suo volume del 1981 che abbiamo già citato. Ma all’epoca l’affresco alatrense non era ancora stato scoperto e quindi il grande accademico tedesco non vi aveva dato molta importanza.
Cecilia Hedbor invece, ritiene (e l’ha dichiarato in interviste video sia in svedese che in italiano, la docente conosce infatti la nostra lingua in quanto negli anni ’70 ha studiato presso l’Istituto Archeologico Svedese di Roma) che il re del manoscritto islandese stia offrendo un dono a qualcuno posto al centro del labirinto. E questo qualcuno non può essere altri che Cristo.
Se così fosse, sarebbe una incredibile testimonianza di come l’affresco alatrense, o quantomeno la sua iconografia, fosse nota nel Medio Evo persino alle estreme propaggini d’Europa. E di ciò è convinta la professoressa Hedbor.
Ma c’è pure un’altra sconvolgente ipotesi. Gli studiosi svedesi, come Viola Hernfjall nel libro “Medeltida kyrkmalningar”, e la stessa Gudrun Rydberg in “Dalsland Diplomatarium”, hanno paragonato il codice islandese per architetti al taccuino di disegni, schizzi, progetti di architettura del XIII secolo di Villard de Honnecourt, conservato nella Bibliotèque Nationale de France a Parigi. Nel quale l’architetto francese della Piccardia ha riprodotto il labirinto di Chartres.
Quindi, che cosa ci vieta di ipotizzare che pure il labirinto raffigurato nel trattato islandese, non sia stato riprodotto dal vero?
Ciò significherebbe che è esistita (e forse esiste ancora) da qualche parte, in qualche Terra del Grande Nord, forse proprio in Islanda, l’Ultima Thule degli Antichi Greci e Romani, un opera d’arte con un Cristo al centro di un labirinto!
Soltanto il proseguo delle ricerche in tutta Europa potranno, forse, chiarire, il mistero dell’affresco con il “Cristo nel labirinto” di Alatri e degli altri labirinti della medesima tipologia sparsi per il Continente.
(Giancarlo Pavat)
TUTTI PAZZI PER IL LABIRINTO
Che l’affresco con il “Cristo nel labirinto” sia un vero e proprio “enigma europeo” lo si evince pure da quanto state per leggere qui di seguito.
Un labirinto certamente identico a quello alatrense sta prendendo vita in questi mesi a Londra.
Infatti mi è stato comunicato tramite e-mail dalla dottoressa Christine Whaite, che assieme alla collega Christine Stevens, stanno realizzando un copia dell’affresco con il “Cristo nel labirinto” per la parrocchia di “St Giles in the Barbican”, nel cuore della città di Londra.
Infatti, ogni anno, in prossimità della Settimana Santa, realizzano un labirinto ed organizzano un seminario in tema nella chiesa di “Saint Giles.
Quest’anno, venute a conoscenza dell’esistenza dell’affresco di Alatri, grazie al mio articolo in lingua inglese pubblicato sul numero 40 – aprile 2011, della rivista “Caerdroia” (vera “bibbia” mondiale sulla tematica dei labirinti) diretta da Jeff Saward, desideravano visitarlo durante le Feste natalizie ma non è stato possibile a cagione dei restauri in corso. Hanno quindi deciso di replicarlo a Londra basandosi sulle fotografie reperite su internet.
Altrettanto interessati sono alcuni ricercatori Tedeschi, Svizzeri ed Austriaci. Articoli sull’affresco con il “Cristo nel labirinto” in lingua tedesca si possono leggere sui siti http://bloggermymaze.wordpress.com/;
http://www.das-labyrinth.at/labyrinth/links.htm#global;
e su www.mysteriousplaces.it;
Senza dimenticare gli amici professori svedesi. Che ci hanno ricambiato la visita di giugno, venendo a vedere con i propri occhi l’affresco nel cunicolo di San Francesco.
Infine, e-mail attestanti l’interesse ed entusiasmo sono arrivate pure dalla Francia, dall’Australia e dagli Stati Uniti.
Moltissime di queste e-mail hanno sottolineato come una simile opera d’arte, effettivamente unica al Mondo, appartenga a tutta l’Umanità, sia per motivi artistici che per il messaggio di Speranza che veicola.
(GP)
L’articolo è del marzo 2012, quindi sia i contenuti che le ipotesi avanzate, sono ovviamente datati. Basti pensare, solo per fare un esempio, che all’epoca l’autore, Giancarlo Pavat, non aveva ancora organizzato la spedizione di ricerche storiche sul Baltico e in particolare sull”isola di Gotland, sulle tracce dei più antichi labirinti d’Europa.
Pertanto per conoscere l’attuale stato delle ricerche sul Cristo nel Labirinto, si invita a leggere l’ultimo libro che Pavat ha dedicato ai Labirinti. Ovvero “GUIDA CURIOSA AI LABIRINTI D’ITALIA”. ( Newton Compton 2019).
trovo bizzarra l’interpretazione di Cristo come punto di partenza per uscire dal labirinto/percorso, meglio pensare al Cristo come punto d’arrivo di un percorso che parte da un generico ambiente esterno.
Il percorso-pellegrinaggio resta invece una buona metafora della vita terrena durante la quale saranno curate le 4 dimensioni della persona, percorse nei 4 quadranti (corporeità, mente-logo, carità-amore e infine la dimensione spirituale-anima) alla cui conclusione con le ultime due “conosceremo” la verità (Cristo).
Altro punto indimostrato è l’associare il labirinto ai monaci Templari.
In merito alla segnalazione del lettore Duilio sul cd. “labirinto” di Guardialfiera, confermo che (nonostante l’accostamento con il cd “Labirinto di Gerico”, che altri non è che una versione del modello “classico”) simbolicamente parlando si tratta senza alcun dubbio di una spirale. Ma ciò non lo rende meno interessante. Guardando le altre immagini delle “cartolione da Guardialfiera” del sito di Franco Valente si notano altri simboli. Soprattutto nodi. Oltre a figurine antropomorfe, probabilmente realizzate per fini apotropaici, tipiche dell’arte medievale.
Quanto all’altro labirinto, quello di Colli a Volturno, non vi è dubbio che si tratta di un labirinto “classico” nella versione “baltica” (sebbene modificata dalla croce che di fatto impedisce di seguire le volute del perocorso del labirinto). Citando l’inglese Jeff Saward (uno dei massimi esperti mondiali in fatto di labirinti) “il design archetipico del labirinto classical è costituito da un unico percorso che gira avanti e indietro in modo da formare sette circuiti, delimitate da otto pareti, che circonda l’obiettivo centrale. Si trova in entrambe le forme circolari e quadrate. Praticamente quasi tutti i labirinti precedenti al I secolo a.C. sono di questo tipo. Il modello è stato trovato in diversi contesti storici in tutta Europa, in Nord Africa, nel sub-continente indiano e in Indonesia, questo è anche il design che si rintraccia nel sud-ovest americano e, occasionalmente, in Sud America. Durante l’attuale ripresa dei labirinti ha ancora una volta ha trovato la popolarità per la sua semplicità di costruzione e simbolismo archetipico”.
E’ molto probabile che il labirinto di Colli a Volturno sia medievale. Non concordo con l’ipotesi del lettore Davide che ipotizza si tratti di un opera normanna. Non risulta che i Normanni abbiano realizzato labirinti. Loro venivano dalla regione francese sulla Manica a cui hanno dato il nome, ed è vero che discendevano da vikinghi danesi. Ma i labirinti “baltici” presenti in Scandinavia, soprattutto in Svezia, sono molto più antichi dell’Età Vikinga (durante circa dal VIII secolo d.C. all’Anno Mille). Alcuni risalgono all’Età del Bronzo, altri al Neolitico. Come tra l’altro confermato pure Saward nel suo sito http://www.labyrinthos.net.
L’ipotesi più palusibile è proprio qualla avanzata sia da Franco valente, sia da altri. Ovvero il manufatto della chiesa di S. Leonardo a Colli a Volturno sarebbe legato ai percorsi dei grandi pellegrinaggi medievali. In quel caso lungo la Francigena del Sud. Mi riservo di recarmi quanto prima sul posto per cercare (se possibile) di capirci qualcosa di più.
Giancarlo Pavat.
Se Colli a Volturno sta’ sulla Francigena del Sud, quella che passa pure per Alatri, allora l’ipotesi di Pavat del percorso di pellegrinaggi o comuqnue sacrale segnato dai labirinti prende maggiore consistenza.
Buongiorno, ringrazio i lettori che mi hanno segnalato il sito e l’articolo di Franco Valente in cui si parla di un incredibile ed interessantissimo esemplare di labirinto “Baltico” incastonato nella facciata della chiesa di S. Leonardo a Colli a Volturno in Molise.
Desidero ringraziare soprattutto Franco Valente per aver fatto conoscere questo esemplare (nell’articolo parla pure di un altro labirinto presente a Guardialfiera, ma è in realtà si tratta di una spirale. Ma il significato simbolico ed esoterico grosso modo è lo stesso) di cui ignoravo assolutamente l’esistenza. In riferimento alla sterile polemica a cui fa riferimento Valente, ricordo che lo “scopritore” è colui che divulga e condivide una scoperta, una novità. E non colui che la tiene per se. La Cultura è condivisione. E la condivisione della Conoscenza è un progresso per tutti.
Tornando al manufatto molisano , è proprio vero che il Patrimonio culturale, tradizionale, storico e artistico dell’Italia non finisce mai di stupire.
Desidero inoltre dare (ed ho inviato un commento anche al sito di Valente)un piccolo contributo alla maggiore comprensione del simbolo di Colli a Volturno.
Il labirinto di Colli a Volturno è molto interessante e qui di seguito cercherò di spiegare in maniera succinta il perchè (scusatemi se vi sembrerò troppo lungo).
Per prima cosa è un labirinto “unicursale”. Ovvero (al contrario dei labirinti “multicursali”) ha un solo ingresso, un solo percorso ed una sola uscita, sempre al centro.
Dal punto di vista iconografico è classificabile come labirinto “classical” (o “cretese”) oppure “Baltico”. “Classico” o “cretese” in quanto è stato rinvenuto su monete o in mosaici greci e romani. “Baltico” perchè simili esemplari si trovano a centinaia sulle coste del Mar Baltico, in Germania, Russia, Paesi Baltici, Finlandia, Svezia, ma pure in Scozia ed in Norvegia. Tra l’altro gli esemplari più antichi finora accertati (risalgono alla preistoria) sono quelli presenti in Svezia, Finlandia e Russia 8in Russia sono studiati dagli archeologi soprattutto quelli della Carelia, della penisola di Kola, del Mar Bianco e dell’Arcipelago delle Solowetsky, datati a 3000 anni fa).
Mentre i labirinti “classici” possono essere anche quadrati o rettangolari, quelli “Baltici” sono esclusivamente circolari ( o meglio spiraliformi).
Inoltre, graficamente, il labirinto “baltico” viene tracciato partendo proprio da un croce (ricordo che quello della croce è un simbolo molto più antico del Cristianesimo) , che nel caso di Colli a Volturno è comunque molto più evidenziata di quanto lo sia normalmente.
Trovare un esemplare di labirinto “Baltico” in Italia è davvero una cosa straordinaria (potrei sbagliarmi, ma credo che sia il primo caso documentato). Generalmente in labirinti italiani (ovviamente sto parlando dei labirinti antichi) o sono romani (musivi pavimentali o grafitti di forma rettangolare, quadrata, circolare ecc), oppure, quelli medievali sono riconducibili allo “Chartres type” (modello Chartres) come , appunto, quello di Alatri (FR), S. Maria in Aquiro e Santa Maria di Trastevere a Roma (entrambi oggi scomparsi) , Lucca, Pontemoli (MS), e Pavia. Quello di S. Vitale a Ravenna, pur essendo di ispirazione bizantina è stato realizzato nel Rinascimento.
Concordo nell’ipotesi che il labirinto di Colli a Volturno abbia un significato allegorico del pellegrinaggio, dell’ “itinera gerosolimitana”. Sarebbe interessante poterlo datare con precisione (anche se, a naso, credo sia medievale) e scoprire il motivo per il quale l’ignoto artefice abbia scelto quella particolare forma di labirinto.
Al mondo ci sono migliaia e migliaia di appassionati e studiosi di labirinti. Credo che si debba far conoscere l’esemplare di Colli a Volturno.
Quindi grazie ancora a Franco Valente e a coloro che mi hanno segnalato il suo sito e l’articolo in questione.
Cercherò di visitare Colli a Volturno e vedere il labirinto il prima possibile. Appena il tempo si stabilizza.
Giancarlo Pavat
Ancora per pavat:
http://www.francovalente.it/2012/04/22/cartoline-da-guardialfiera-la-cattedrale/
Notizia per Pavat: http://www.francovalente.it/2012/09/16/il-labirinto-di-gerusalemme-a-colli-a-volturno/
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Mi sembra che il labirinto abbia risollevato la faccia di Alatri. Complimenti, Pavat.
Grande merito allo scopritore del labirinto. Bravo Giancarlo.