L’ENIGMA DEL “PALAZZO DELL’INQUISIZIONE” A TRIESTE – di Giancarlo Pavat

 

Bassorilievo con la scena del rogo dell’inquisizione – Foto G. Pavat 2019

 

Più volte ho detto, parafrasando Saint-Exupery, che ci sono più misteri dietro l’uscio di casa che in qualche foresta inesplorata perduta in un  lontano continente. Spesso li abbiamo talmente sotto gli occhi che facciamo fatica a notarli. La vicenda del Palazzo triestino (e dell’enigma che lo caratterizza) di cui sto per parlarvi, non fa altro che confermare questa asserzione.

Ci troviamo quindi a Trieste, in pieno centro cittadino. E precisamente al civico 4 della via dedicata a Ruggero Timeus; patriota irredentista e volontario triestino della “Grande Guerra”, caduto da eroe nel 1915 sul Pal Piccolo in Carnia.

Nella strada, non particolarmente larga, che un tempo si chiamava  “delle acque”, si innalza un Palazzo caratterizzato da una singolare e artistica facciata; Casa Zannerini.

La facciata ostenta sei grandi statue. Nessuno sa con precisione chi rappresentino. Una tradizione non si sa quanto plausibile identifica le due figure sicuramente maschili con San Rocco e con la personificazione dell’Inverno. Mentre una delle figure femminili, quella con il mazzolino di fiori in mano, sarebbe la Primavera. Nebbia totale su chi chi possano essere le altre tre. Due delle quali hanno il seno scoperto. 

Il volto barbuto, forse un Green man di Casa Zannerini – Foto G. Pavat 2019

Inoltre, le grandi arcate che decorano la facciata, mostrano un volto femminile  (in alto) e uno maschile  (in basso). Quest’ultimo, a ben guardare, sembra una nostra vecchia conoscenza, ovvero un “GREEN MAN”, “l’Uomo Arboreo”. E questo alla luce della circostanza che barba o “favoriti” sono stati scolpiti a guisa di vegetali che escono dalla bocca. 

Ma l’elemento piu’ enignatico si trova sopra il portone d’ingresso. Si tratta  di un bassorilievo realizzato dallo scultore Antonio Bianchi da Follina in provincia di Treviso.

 

Sebbene conosca da anni l’esistenza di questo manufatto, non ho mai avuto occasione di parlarne prima. E, per onestà intellettuale,  devo precisare che mi hanno preceduto Armando Halupca e Leone Veronese, che vi hanno dedicato un capitoletto del loro libro “Trieste nascosta” (Lint 2008) 

Ma nonostante cio’ e al fatto che Palazzo o  Casa Zannerini si trovi a pochi metri dall’incrocio con il centralissimo e frequentatissimo viale XX Settembre (già via dell’Acquedotto), sono pochissimi i Triestini che si sono resi conto di  COSA sia raffigurato nel bassorilievo! 

Infatti, lascia perplessi (e un po’ turbati) proprio il soggetto eternato dal Bianchi.

Ci si trova davanti all’esecuzione di una sentenza capitale mediante il rogo comminata dal Tribunale dell’Inquisizione. 
Si notano, infatti, due sventurati legati a un palo e il carnefice che sta affastellando le fascine  e accendendo il rogo. A lato i giudici che hanno emesso la sentenza è che, secondo Haluoca e Veronese, sarebbero identificabili con i Gesuiti.

Facciata di Casa Zannerini – Foto G. Pavat 2019

Il mistero avvolge questo.manufatto. Chi e perché commissiono’ il bassorilievo? 

Sin dal giorno dopo l’Editto di Tolleranza del febbraio  313  d.C., noto come “Editto di Milano”, ma soprattutto dopo la proclamazione del Cristianesimo come Religione di Stato dell’Impero Romano (Editto di Tessalonica del  27 febbraio del 380 d.C.), le autorità Ecclesiastiche presero ad andarci giù pesante con coloro che non professavano la loro Fede o che semplicemente  la pensavano diversamente. Basti ricordare il martirio della scienziata Ipazia d’Alessandria nel 415 d.C.. Fatta letteralmente a pezzi dai fanatici cristiani per volere del vescovo Cirillo.

Mano a mano che la Chiesa di Roma procedeva nel sistematico e capillare controllo di tutti gli aspetti della vita di ogni giorno nei territori sotto il proprio controllo, cominciò a ritenere necessario istituzionalizzare le forme di repressione del dissenso, sotto qualunque forma potesse manifestarsi. 

Ben presto anche la stregoneria e varie forme di magia quindi di superstizione furono equiparate all’eresia e pertanto sottoposte  all’Inquisizione. “Tutto veniva ormai considerato come attentato contro la fede” scrive lo statunitense Henry Charles Lea, uno dei maggiori storici dell’Inquisizione  (“Storia dell’Inquisizione” 1974) “La punizione contro gli eretici venne riservata a tutti i settori della stregoneria”.

L’Inquisizione, intesa come procedura giudiziaria, venne affidata ai vescovi. Ma tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo,  venne istituita la figura dell’Inquisitore (Inquisitor in latino) da affiancare a quella del presule territoriale. Dopo il massacro dei Catari con la “Crociata” bandita da papa Innocenzo III nel 1209, i Pontefici ritennero di doversi occupare direttamente della lotta contro le eresie, nominando Inquisitori con poteri addirittura superiori a quelli dei vescovi e senza limiti territoriali. 

Nella seconda metà del XIII secolo l’Inquisizione venne affidata dai papi ai Domenicani e successivamente si Francescani.  Nel secolo successivo, Inquisitori tristemente noti (ed entrambi domenicani) furono il francese Bernardo Gui (celebre l’interpretazione che ne fa l’attore Murray Abraham nel film “Il nome della Rosa” di J.J. Annaud del 1986) e il catalano Nicolas Eymeric (che lo scrittore Valerio Evangelisti ha reso protagonista di una serie di romanzi a sfondo esoterico).

Per quanto riguarda l’infame pratica degli interrogatori sotto tortura, la Chiesa preferì lasciarla in esclusiva ai tribunali laici sino al 1252. In quella data, con la bolla ‘Ad extirpanda”, papa Innocenzo IV,  autorizzo’ l’uso della tortura per ottenere confessioni anche per le procedure dell’Inquisizione Cattolica. Ne saranno vittime innocenti anche i Cavalieri Templari. Dopo gli arresti del tragico venerdi 13 ottobre 1307, ben 36 fratres morirono sotto tortura durante gli interrogatori.

A dire il vero,  il Diritto Canonico proibiva a tutti gli ecclesiastici di partecipare a procedimenti giudiziari in cui veniva utilizzata la tortura o altre forme di violenza.  Ma nel 1256,  papa Alessandro IV stabilì che gli inquisitori potevano assistervi, assolvendosi successivamente a vicenda.

Altro comportamento ipocrita si aveva al momento di eseguire la condanna a morte. Infatti gli inquisitori non si sporcavano mai le mani. Il condannato veniva affidato al “braccio secolare” con la viva raccomandazione di essere clementi. Ennesima ipocrisia. Non risulta, infatti, che, in tutta la storia della Cristianità, un solo condannato a morte sia scampato al rogo!

Facciata Casa Zannerini – Foto G. Pavat 2019

L’Età Moderna vide una svolta nella storia dell’Inquisizione con il Concilio di Trento,  la nascita dell’Inquisizione Romana  (il ” Sant’Uffizio”) nel 1542 per volere di Papa Paolo III e l’affidamento delle procedure inquisitoriali alla Compagnia di Gesù (ovvero i Gesuiti) fondata nel 1534 da Ignazio de Loyola e approvata dalla Chiesa di Roma sei anni dopo. 

I Gesuiti furono spietati esecutori della Controriforma ed essendo innegabilmente preparati culturalmente , utilizzarono le procedure inquisitoriali per imporre la “loro” visione del Mondo,  della Storia e della Scienza. La loro cultura per distruggere quella laica e svincolata da qualsiasi dogma di fede. 

Vittime di questa “nuova” e ancora più temibile Inquisizione furono personaggi d’altissimo livello morale, culturale, scientifico come Tommaso Campanella,  Giordano Bruno e Galileo Galilei (solo per rimanere in Italia).

La repressione del dissenso arrivo’ al parossismo. Chiunque poteva essere sospettato e inquisito, senza distinzione di età,  sesso, professione o ceto sociale.  Il numero degli arrestati, processati, torturati e mandati al rogo è  pazzesco. E sebbene nessuno storico sia riuscito a stabilirlo con certezza, non si limita certamente alle poche decine spacciate dalla Chiesa di Roma per autoassolversi in occasione del Giubileo del 2000. 

Nel  1992  fece scalpore e scatenò polemiche e accuse un articolo pubblicato da “Civiltà Cattolica” (rivista ufficiale dei Gesuiti) in cui si minimizzavano i crimini dell’Inquisizione Cattolica, attribuendo la “Leggenda nera” agli Illuministi settecenteschi. 

Chiesa di S Maria maggiore – Foto G. Pavat 2018

 

Tornando al mistero del bassorilievo di Casa Zannerini questo si inserisce nel piu vasto e complesso enigma storico della presenza dell’Inquisizione a Trieste

Infatti non si sa con certezza se la Santa Inquisizione Cattolica abbia davvero operato a Trieste.

Interrogativo che inquieta le menti dei Triestini da tempi non sospetti. I “Misteri legati all’Inquisizione a Trieste” non sono, infatti , una moda sorta in anni recenti, complice certa pubblicistica o film o documentari, spesso di evidente matrice anticlericale e anticattolica. 
Sin dalla fine del XIX secolo,  nella città adriatica, all’epoca facente parte del Cattolicissimo Impero Asburgico, si cominciò a parlare della presenza nei secoli passati del Tribunale dell’Inquisizione.

A scatenare l’interesse dell’opinione pubblica cittadina furono alcuni articoli usciti sul quotidiano locale “Il Piccolo” , in cui si parlava esplicitamente dei luoghi in cui si riteneva avesse avuto sede il famigerato Tribunale.

In pole position tra gli ambienti sospettati di aver ospitato quel luogo di doliore e tormenti, si posizionarono sin da subito i sotterranei che si dipanano  sotto la chiesa di Santa Maria Maggiore , il più grande edificio sacro barocco triestino nonché sede della Compagnia di Gesù.

Come hanno acutamente rilevato Paolo Guglia, Armando Halupca e Enrico Halupca nel loro interessantissimo libro “Sotterranei della città di Trieste” (Lint 2001) , il primo articolo relativo ai “Misteri dell’Inquisizione a Trieste” e ai sotterranei dei Gesuiti è quello apparso il 16 dicembre 1883, appunto, su “Il Piccolo”. 
Ma furono pubblicazioni successive (spesso a tinte fosche) e vere o presunte esplorazioni sotterranee negli ambienti ipogei di Santa Maria Maggiore, ad ampliare il “corpus” di dicerie e leggende relative all’identificazione della sede del Tribunale  dell’Inquisizione nella città giuliana.

Non è intenzione di questo articolo approfondire le affascinanti tematiche dei Misteri di Santa Maria Maggiore (vero scrigno, ad esempio,  di simbologie esoteriche non sempre di stretta osservanza cattolica) e dei suoi sotterranei, che da giovanissimo tentai anch’io di esplorare (ma questa,  come si suol dire, è’ un’altra storia).

E’ giusto pero’ sottolineare che le capillari, spesso coraggiose, esplorazioni degli speleologi triestini della Societa Adriatica di Speleologia – Sezione Speleologia Urbana, hanno sfatato molte delle relative leggende metropolitane. Consentendo di affermare con una certezza vicina al 100%. Che non vi è mai stato alcun Tribunale dell’Inquisizione sotto Santa Maria Maggiore.

Inoltre è necessario ricordare che i processi erano tutti verbalizzati  (si trascrivevano addirittura i lamenti degli infelici sottoposti a interrogatori) ed infatti gli archivi non solo ecclesiastici ma di diverse istituzioni laiche,  sono ricchi di simili documentazione. Molti atti processuali sono stati tradotti e pubblicati e sono a disposizione di ricercatori e appassionati. Inoltre le esecuzioni erano sempre pubbliche, al fine di fungere da esempio e monito.

Eppure, relativamente a Trieste (almeno per quanto e’  dato da sapere) non si ha traccia di documenti relativi a processi dell’Inquisizione.

Ovviamente la mancanza dei documenti non significa che questi non siano mai esistiti. Molti archivi sono andati distrutti per volontà umana o per cause naturali.

Piu’ interessante (per non dire probante) è  il fatto che non vi è alcun cenno nelle cronache cittadine di esecuzioni capitali di eretici o presunti tali. 

Tutto ciò in linea generale. Per quanto riguarda i Gesuiti e la chiesa di Santa Maria Maggiore ci sono anche dati storicamente oggettivi che portano nella direzione opposta alla possibilità che il terribile Tribunale fosse presente a Trieste.

Trigramma Cristico Gesuita sulla lunetta della Chiesa di Santa Maria Maggiore – Foto G. Pavat 2018

 

 I Gesuiti arrivarono nella città in cima all’Adriatico  nel 1619 cacciati dalla Boemia (dove l’anno prima, con la “Defenestrazione di Praga”, era cominciata la “Guerra dei Trent’anni”). Inoltre, la chiesa di Santa Maria Maggiore venne completata solo nel 1682. Cioè quando era ormai  passata da un pezzo la virulenza della lotta contro l’eresia che in quel frangente storico non era altro che la guerra contro il Luteranesimo.

Evidenziato l’enigmatico martelletto, per alcuni massonico, sulla lunetta di Santa Maria Maggiore – Foto G. Pavat 2018

 

Quindi, esclusa  (quasi) del tutto Santa Maggiore e i suoi sotterranei (ed altri luoghi con ancor meno probabilità, proposti da alcuni ricetcatori, di cui magari parleremo in altra occasione) torniamo all’antica via delle acque,  oggi via Timeus. 

Secondo alcuni ricercatori  triestini il bassorilievo starebbe ad indicare che proprio in quel luogo, ovviamente in un edificio precedente,  si sarebbero davvero svolti processi dell’Inquisizione con tanto di sentenze capitali.

Ipotesi però non suffragate dal benché minimo indizio. Non va scordato che quella zona, nel Medio Evo e fino all’espansione urbanistica successiva all’istituzione del “Porto Franco” e alle riforme dell’Imperatrice Maria Teresa d’Asburgo, si trovava fuori delle mura cittadine e non era altro che campi coltivati. 

Quindi l’enigma relativo al bassorilievo aembra sussistere inviolato.

Forse la spiegazione è più semplice di quel che si creda. Forse il committente (con tutta probabilità il proprietario del Palazzo di via Timeus) era un libero pensatore, forse un appartenente alla Massoneria.

In questo caso il bassorilievo diverrebbe un coraggioso  Atto di accusa contro l’intolleranza e la crudeltà della Chiesa Cattolica e di tutti j regimi autoritari. Un inno alla Libertà di Pensiero e di Parola paragonabile (per significato) al Monumento  (tanto avversato dalla Chiesa di Roma) a Giordano Bruno a Campo dei Fiori nell’Urbs Aeterna.

(Giancarlo Pavat)

Statua Giordano Bruno in Campo dei Fiori a Roma – elaborazione grafica G. Pavat 2018

Il Monumento a Giordano Bruno eretto nel punto in cui fu fatto ardere sul rogo dalla Chiesa cattolica, ha avuto una gestazione travagliata. Nato su iniziativa degli studenti universitari romani nel 1876, venne avversato dalla giunta comunale filopapalina. Al comitato promotore aderirono personalità del mondo della cultura e della scienza sia italiane che internazionali; come Giosuè Carducci, Victor Hugo, Mikail Bakunin, Henrik Ibsen, Armand Levy, Giovanni Bovio, Ernest Renan, Roberto Ardigò, Pasquale Villari, Ernest Haeckel, Algernon Swinburne. Il bozzetto della statua bronzea e quelli delle formelle e dei medaglioni venne realizzato nel 1887 dallo scultore Ettore Ferrari. Papa Leone XIII, sconvolto dall’idea che nella Capitale del Cattolicesimo si innalzasse una statua ad un eretico impenitente, minacciò di lasciare Roma per Vienna, ma l’allora Presidente del Consiglio Francesco Crispi gli mandò a dire che se l’avesse fatto non avrebbe mai più rimesso piede in Italia. Il Monumento venne inaugurato il 9 giugno 1889. Ma alla Chiesa e alla stragrande maggioranza degli ecclesiastici non è mai andato giù. Tanto che, dopo la firma dei Patti lateranensi l’11 febbraio 1929, papa Pio XI chiese a Mussolini di rimuoverlo. Ma il Duce, anche su consiglio del filosofo Giovanni Gentile, rifiutò. E il Monumento è ancora lì, con buona pace del Vaticano e di tutti i cultori del ”pensiero unico”. Infatti, il Monumento a Giordano Bruno non è solo il simbolo dell’opposizione all’oscurantismo e alla violenta repressione della Chiesa di Roma ma ha un valore di lotta per la Libertà universale e contro ogni forma di oppressione. E questo perché negli otto medaglioni bronzei non sono effigiati solo perseguitati da parte dell’Inquisizione Cattolica (Paolo Sarpi, Tommaso Campanella, Pietro Ramo, Giulio Cesare Vanini, Aonio Paleario, Johan Wyclif , Jan Hus) ma pure Miguel Serveto, l’eretico spagnolo bruciato sul rogo dai Calvinisti di Ginevra, città in cui aveva cercato rifugio per sfuggire all’Inquisizione Spagnola.

(Giancarlo Pavat)

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