L’ultimo Alchimista d’Italia. Un nuovo articolo e una nuova ricerca di Roberto Volterri!

Foto 1- Le tre principali fasi del Magnum Opus illustrate nel manoscritto Pretiosissimum Donum Dei  del 1415, attribuito a Georges Aurach .

 

In terra di Emilia-Romagna vive e opera l’ultimo misterioso Alchimista del nostro Bel Paese.

di Roberto Volterri

Non desiderava far conoscere il suo nome e non voleva farsi fotografare in modo che qualcuno potesse riconoscerlo. Ma oggi sappiamo con esattezza chi è…

Molti, moltissimi, rigidi inverni – quasi novanta! – hanno raggelato le sue stanche ossa ma continua ancora a fare i suoi strani esperimenti con ancor più strani elementi chimici, armeggiando tra forni perennemente accesi e alambicchi fumanti.

Non consente facilmente di fotografare il suo laboratorio dove da decenni cerca la strada per il raggiungimento del Magnum Opus, l’itinerario alchemico di lavorazione e trasformazione della materia prima, finalizzato a realizzare la Pietra filosofale. 

O proprio la trasformazione del Piombo in Oro…

Non vuole che la sua immagine, il suo volto, compaia pubblicamente poiché teme che le sue ricerche vengano fraintese, ma sono certo che desideri che quanto ha scoperto non venga del tutto dimenticato ed è molto probabile che sulla sua lunga vita di studioso, sulle sue misteriose scoperte qualcuno – che ben lo conosce e che non abita molto lontano dal suo laboratorio… – scriva un libro che tramandi ai posteri qualche “segreto” in grado di aiutare altri studiosi verso il cammino della Grande Opera.

Su queste pagine non mi sarà possibile entrare in dettagli sulla sua attività, ma mi limiterò a mostrare qualche foto di ciò che egli ha ottenuto e “vaghi”, molto “vaghi”, dettagli sull’utilizzo di particolari risultati dei suoi esperimenti.

 

 Foto 2 – Se fosse vissuto in altri tempi ( e non escludo che ciò possa essere avvenuto…) forse avremmo visto così il nostro misterioso Alchimista.

 

Foto 3 – Uno dei più grandi e misteriosi Alchimisti vissuti a cavallo tra XIX e XX secolo fu Jean Julien Champagne, qui raffigurato nel suo laboratorio. Forse era il mitico Alchimista noto come Fulcanelli…

Volete proprio sapere come si chiama il nostro misterioso Alchimista?

Ebbene, il “Fulcanelli” dei nostri convulsi giorni risponde al nome di Ruggero Ongaro e abita a Misano Adriatico. È un personaggio preparatissimo nel suo non facile campo di studio e con me si è mostrato molto disponibile nel raccontarmi qualche particolare della sua infinita ricerca sulla “Grande Opera”.

Continuiamo con un altro curioso personaggio vissuto a Bologna nei primi anni del Seicento…

 

Vincenzo Casciarolo: l’Alchimia del Lapis illuminabilis bononiensis

Sono trascorsi i primissimi anni del XVII secolo – forse è l’Anno del Signore 1602, forse il 1604 – quando un umile e strano ciabattino della città di Bologna, dilettante di Alchimia (così si dice…) si avventura sul Monte Paderno, sui colli che circondano la sua città, più esattamente nei pressi del rio Strione che da Paderno scende verso la località di Rastignano e lì trova uno strano minerale.

Secondo Camillo Galvani, studioso vissuto quasi due secoli più tardi, il Casciarolo in realtà “… si dilettava di travagliare nelle cose chimiche…” e, passeggiando sui colli bolognesi “… per divertirsi da qualche sua naturale malinconia…”, raccoglie la strana pietra che lo ha incuriosito.

Quel ciabattino si chiama Vincenzo Casciarolo.

Porta nel suo laboratorio il minerale, laboratorio – ma sì, il Casciarolo ci è simpatico: chiamiamo bonariamente così il suo “antro”! – in cui tra un malandato stivale da riparare e qualche strano alambicco egli vive e lavora.

Si sa, gli alchimisti dilettanti – o meglio gli “spagirici” – mescolano un po’ a caso gli elementi chimici a loro disposizione, riscaldano per ore e ore in un improvvisato e poco affidabile Atanor i minerali più strani (almeno nell’aspetto) nella vana speranza che “qualcosa accada” o, più ottimisticamente, si veda affiorare qualcosa di splendente, magari di colore giallognolo: il tanto agognato Oro!

Ad onor del vero sembra che proprio agendo così, quasi a caso e in ossequio ad una ‘Serendipity’ di là da venire, il monaco Bertold Schwarz abbia scoperto la polvere da sparo!

 

Foto 4 (a sinistra) – Miscelando a caso (?) salnitro, polvere di carbone e zolfo il monaco Berthold Schwarz ( 1318 – 1384) avrebbe inventato la polvere da sparo. Che cambiò il mondo allora conosciuto…

 Il nostro Casciarolo non è da meno e ‘tortura’ a lungo la sua pietra, calcinandola nel carbone del suo olezzante forno.

Calcina oggi, calcina domani – è noto che i procedimenti della Grande Opera, le trasformazioni alchemiche mettono a dura prova anche la pazienza di un frate certosino! – ad un certo punto il nostro Vincenzo si accorge che esponendo la pietra alla luce solare – non lo dite in giro, ma Sole e Luna sono indispensabili nelle alchemiche trasmutazioni degli “spagirici”…– essa ‘trattiene’ la luminosità dell’astro e la restituisce poco a poco.

 

 

Foto 5 (a destra)  – Una fornace come questa è stata utilizzata dall’aspirante alchimista Vincenzo Casciarolo per calcinare la ‘sua’ pietra poi chiamata ‘Lapis bononiensis’. E in mille altri modi…

 Potrebbe essere la prima volta che qualche indagatore dei misteri di Madre Natura scopre il fenomeno della Fosforescenza! Ben prima del di Sangro…

Il Casciarolo è persona a modo, di animo modesto e lì per lì non dà eccessiva importanza alla sua scoperta anche perché tra i carboni del suo forno non ha visto luccicare piccole scaglie di metallo dorato, color del Sole…

Però il fenomeno interessa molto di più qualche ricercatore, diciamo così, “accademico” e il minerale vene ben presto battezzato con i nomi più strani ma strettamente legati al curioso fenomeno che sembra produrre.

Si passa dal banalissimo “Pietra di Bologna” – che fantasia! – al romantico “Pietra di Luna” – ma non era stato il Sole ad innescare la fosforescenza? – all’immaginifico “Spongia lucis”, passando per “Lapis illuminabilis”, “Lapis lucifer” per finire con un banalissimo “Pietra fosforica”.

In pratica, il ‘Lapis bononiensis’ è oggi conosciuto dai mineralologi come una varietà di di Barite (Solfato di Bario anidro, BaSO4), raggiata e nodulare, che una volta macinata, impastata con bianco d’uovo o altri leganti e calcinata su carbone, si trasforma in Solfuro di Bario… fosforescente..

 

 Foto 6 – A sinistra, la Barite, o Pietra di Bologna, su cui si imbatté l’alchimista dilettante Vincenzo Casciarolo dando – quasi a sua insaputa – l’avvio agli studi sulla Fosforescenza. A destra, un interessante libro sui fenomeni descritti.

 Pochi anni dopo la scoperta, nel 1612, la pietra viene accuratamente studiata e descritta da Giulio Cesare La Galla ma il processo fisico-chimico che conduce alla fosforescenza viene descritto solo nel 1622 da Pietro Poterio nella sua opera “Pharmacopea Spagyryca”.

Poterio, però, si dimentica del nostro curioso ciabattino e attribuisce la scoperta a Scipio Bagatello, bolognese, anch’egli alchimista alla ricerca di un “sicuro” metodo per ottenere abbastanza facilmente l’Oro.

A ridare a Cesare quel che è di Cesare – o meglio, a ridare il merito al buon Vincenzo Casciarolo – è compito di tali Maiolino Biscione e Ovidio Montalbani i quali, finalmente, propongono di dare al minerale il nome di “Lapis casciarolanus”.

Oltre trent’anni dopo l’escursione del Casciarolo sui colli bolognesi, lo studioso Fortunio Liceti pubblica il testo “Litheosphorus sive de Lapide Bononiensi” in cui ricostruisce tutta la vicenda della scoperta mettendo in evidenza come ad essa si fossero subito interessati vari scienziati di chiara fama, in primis il grande Galilei, senza che se ne comprendessero bene le peculiarità e soprattutto il metodo per riprodurla per sintesi di vari elementi chimici isolati.

Foto 7 – Il trattato del Liceto sulla Pietra di Bologna, qui definita Litheosphorus.

Al “Lapis bononiensis” – anche ai nostri giorni la pietra viene chiamata “Pietra di Bologna” con buona pace del Casciarolo! – si interessa pure l’ineffabile gesuita Athanasius Kircher il quale, forte dei suoi studi sui materiali magnetici, concretizzatisi ad esempio nel magnifico testo “Magnes, sive de Arte Magnetica” pubblicato a Wurzburg nel 1631, sostiene che la strana pietra sia una sorta di magnete che ‘attira’ e ‘trattiene’ la luce così come le normali calamite attirano e trattengono il ferro.

In accademici testi di chimica pubblicati più tardi, come il “Corso di Chimica” di Nicolò Lèmery, compaiono inoltre delle magnifiche tavole che illustrano le caratteristiche della ‘Pietra di Bologna’.

Nel 1669 Hennig Brand (1630 – 1692), armeggiando tra mille ingredienti, un po’ a cavallo tra un’Alchimia che sta scomparendo e una Chimica che sta nascendo, scopre un residuo luminoso distillando le urine e procedendo ad una successiva calcinazione sul carbone: in pratica scopre il Fosforo elementare.

Foto 8 (a sinistra) – Forse fu proprio questa l’espressione di meraviglia che nel 1669 si dipinse sul volto dell’alchimista Hennig Brand alla ricerca della “Pietra Filosofale” per produrre oro, quando – armeggiando con un’olezzante miscela di Allume, Salnitro, urina e chissà cosa altro – scoprì il Fosforo!

Ciò riapre i dibattiti sul fenomeno della Fosforescenza e, sempre a Bologna, un gruppo di studio composto dal Beccari, dal Galeazzi e dal Laurenti, compie innumerevoli esperimenti. Ne nasce un accurato resoconto in seguito redatto da Francesco Maria Zanotti dal titolo De Bononiensis scientiarum et Artium Instituto atque Accademiae. Commentarii

Alla fosforescenza e alla strana pietra si interessano anche studiosi d’Oltralpe e così, nel “Dictionnaire de Chimie” pubblicato nel 1769 a Parigi da Pierre-Joshep Macquer, il nostro minerale diventa naturalmente… ‘Pierre de Boulogne’, ma le sue caratteristiche fisico-chimiche vengono studiate ancora in un’ottica alchemica, invocando l’intervento dell’onnipresente “Flogisto” secondo le ipotesi degli studiosi Andreas Sigismund Margraaf e Gerog Ernst Sthal.

A Vincenzo Casciarolo, ovviamente a Bologna, è stata dedicata una via nei pressi di Viale della Repubblica.

Sic transit gloria Casciaroli bononiensis!

 Foto 9 (a destra) –  Frontespizio di un libro del 1666, pubblicato in un periodo in cui l’Alchimia si avviava verso la trasformazione in Chimica.

 

Nei primi anni del XVIII secolo alcuni fisici si accorgono che delle piccole ampolle di vetro contenenti la ‘Pietra di Bologna’, dopo un po’ vanno in frantumi.

Qualche decennio più tardi il Monte di Pietà della bella città emiliana commissiona ad un vetraio dei vasetti atti a contenere dei diamanti. Ma anche questi – che forse avevano prima contenuti frammenti del Lapis bononiensis… finiscono misteriosamente in mille pezzi. Perché?

Un caso? Banale incuria nel conservare le ampolle?

Naturalmente sia il Lapis bononiensis sia le curiose, fragilissime ampolle di vetro divengono ben presto una sorta di gadget per i viaggiatori che transitano per Bologna, tanto che in qualche guida della città – almeno fino alla metà dell’Ottocento – è possibile trovare l’indirizzo della fornace dove si possono comperare le “…bocce bolognesi ben note ai fisici…”.

Foto 10 – Il frontespizio e una pagina del libro di Marcantonio Cellio (del 1680) sulla ‘Pietra di Bologna’.

 

Il mistero delle ampolle, qualche citazione letteraria e dove cercare lo ‘strano’ minerale

Qualche ben architettata ‘burla’ da parte di un furbo vetraio in grado di far reagire, nel tempo, il Solfuro di Bario con qualche componente del vetro in modo da creare delle crepe nelle ampolle e alimentare così la strana ‘leggenda’? Metropolitana o meno…

Foto 11 – Alcune delle strane ampolle di vetro che andavano in frantumi dopo aver contenuto qualche frammento della ‘Pietra di Bologna’.

 Ultime note non scientifiche ma di carattere letterario: Wolfgang Goethe, durante il suo viaggio nel nostro Bel Paese, passa per Bologna, viene a conoscenza dell’esistenza del “Lapis illuminabilis bononiensis”, riesce ad averne qualche esemplare, la studia un po’ e ne fa menzione nel suo “I dolori del giovane Werther”.

Anche lo scrittore bolognese Giancarlo Martelli, in tempi a noi molto vicini, si è ricordato del curioso minerale e nell’antologia intitolata “Il pendant di Lapislazzuli” (Pendragon, 2005) ne ha narrato le vicende nel racconto “La Luna nel bicchiere”.

Per i più volenterosi: alcuni frammenti di Barite, della ‘Pietra di Bologna’ è possibile trovarli, oltre che a Paderno, a Monte San Michele, a Monte San Pietro e nella Valle del Sillaro. Altre varietà di Barite si potrebbero rinvenire anche a Monteveglio.

Per i più pigri: alcuni esemplari del Lapis bononiensis sono conservati presso il Museo di Mineralogia del capoluogo emiliano, in Piazza di Porta San Donato 1.

(Roberto Volterri)

Foto 12 – Gli Stregoni dell’Alchimia, l’imperdibile libro di Roberto Volterri..

 Questo libro coniuga la ricerca scientifica rigorosa, la storia, l’analisi su alcuni dei più affascinanti misteri del nostro passato e soprattutto la possibilità di riprodurre direttamente alcuni esperimenti alchemici tra cui la trasmutazione dell’Oro! Un invito alla ricerca e allo studio e alla scoperta del nostro passato.

In tutte le librerie o presso l’Editore: cell. 347- 8004716       enigmaedizioni@gmail.com      www.enigmaedizioni.com

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