Immagine di apertura: Scorcio di Pirano d’Istria – foto G Pavat
Pirano, non è solo la città del grande Giuseppe Tartini…..
di Roberto Volterri
con Giancarlo Pavat
La caratteristica cittadina di Pirano d’Istria (di cui ci siamo già occupati su questo sito a proposito del suo figlio più illustre, il grande musicista Giuseppe Tartini) sorge su un promontorio che si protende nel quadrante sudorientale del Golfo di Trieste, tra la Valle di Strugnano e il Vallone (appunto) di Pirano. Profonda e caratteristica insenatura istriana che dopo il 1991 e la dissoluzione della Yugoslavia, segna il confine tra Slovenia e Croazia .
Il centro storico, nonostante l’esodo dei suoi cittadini nel 1954 che (come altre centinaia di migliaia di Giuliani, Istriani e Dalmati) scelsero di rimanere italiani e abbandonarono per sempre le proprie case, i propri morti, le proprie radici, ha mantenuto intatto l’impianto veneto. Un labirinto di calli, scalinate, campielli, costruzioni gotiche dai tetti rossi, dalla cerchia di mura digradano verso l’Adriatico, non prima di aver fatto da corona alla piazza più importante dedicata al proprio a Giuseppe Tartini.
Sebbene quel la zona dell’Istria occidentale fosse nota già agli antichi greci, è probabile che il centro abitato sia sorto durante il tardo Impero Romano.
Piranon è il nome con cui viene citata per la prima volta nel VII d.C. dall'”Anonimo Ravennate”.
Secondo Dario Alberi (“Istria. Storia, arte, cultura” edizioni Lint, Trieste 2001) il nome sarebbe di origine celtica. “Pyrn” significherebbe “Monte alto” in riferimento al promontorio e a un probabile Castelliere eretto sulla cima Mentre il suffisso “anum” sarebbe indubbiamente d’origine latina. Forse con riferimento ad un inserimento militare romano. Lo testimonierebbe il nome di uno dei rioni della cittadina; “Marciana”. Aggettivo legato ad una presenza di coloni legati alla Gens Marcia del I secolo a.C.
Ma è stata pure avanzata un’altra ipotesi. Il nome di Pirano deriverebbe dal greco “pirem” (πῦρ) ovvero “fuoco”. Chissà, forse esisteva un sistema di segnalazione luminoso notturno, un faro ante litteram, che segnalava ai naviganti il promontorio.
Forse la nascita vera e propria di Pirano la si deve ai fuggiaschi aquileiesi dopo la distruzione della grande città ad opera degli Unni fine Attila (estate del 452 d.C.).
- Immagine sopra: Il campanile della chiesa madre di San Giorgio a Pirano. Realizzato nel 1606, è praticamente identico a quello di San Marco a Venezia. La chiesa piranese di San Giorgio risale al XII secolo, quando Pirano divenne un libero Comune. Ma nel 1637 venne rifatta in forme barocche.
Come molte isole e isolotti costieri dell’Istria (dove poi sorsero Capodistria, Isola d’Istria, Umago, Parenzo, Rovigno) anche il promontorio piranese accolse i profughi. I quali, con ancora negli occhi gli orrori del Sacco aquileiese, fondarono un villaggio e lo fortificarono.
Dopo il crollo dell’Impero Romano d’Occidente, Pirano entrò a far parte di quello d’Oriente o Bizantino. Passò poi ai Carolingi e al loro sistema feudale. Nell’804 d.C., Pirano partecipò come “Castello” al celebre “Placito del Risano” in cui i rappresentanti delle cittadine e paesi istriani protestarono contro il duca Giovanni, davanti alle autorità carolinge, per l’insediamento di famiglie slave su terre comunali. È in quel momento storico che compaiono per la prima volta in Istria popolazioni di lingua e costumi slavi.
Disgregatosi l’Impero Carolingio,Pirano fu inglobato nel Regno d’Italia (dal 830 al 952).
Successivamente, nonostante Pirano diventasse parte integrante del Sacro Romano Impero della nazione germanica, la cittadina cominciò l’avvicinamento alla nascente potenza economica e navale della regina dell’Adriatico: Venezia.
Nel IX secolo Pirano pagava dei tributi alla Serenissima affinché la sua flotta la difendesse dalle scorrerie dei pirati.
Nel 1186, sulla scia dei successi dei Comuni dell’Italia settentrionale, Pirano riuscì a liberarsi dai vincoli feudali con il Patriarcato d’Aquileia, a sua volta vassallo (de jure) del Sacro Romano Impero. e si proclamò libero comune.
Per inciso, c’è da dire che nel 1176 o 1177, Pirano potrebbe essere stata testimone della fantomatica (è proprio il caso di dirlo) Battaglia navale di Salvore che vide contrapposte, proprio nel Vallone di Pirano, le flotte Veneziana e Imperiale del Barbarossa. Ma di questo scontro “fantasma” ce ne occuperemo in altra occasione.
3. Immagine sopra: il vessillo della Serenissima con il leone di San Marco
L’Unione politica con Venezia fu suggellata definitivamente nel 1283. Da quel momento Pirano divenne a tutti gli effetti, soprattutto culturali, una città veneta che di lì a poco si immergerà nell’irripetibile stagione del Rinascimento Italiano.
Lo stretto e fecondo legame con Venezia durerà secoli (come per le altre città e cittadine istriane e dalmate) sino al tramonto della Serenissima nel 1797 ad opera del nuovo attila d’Europa, ovvero Napoleone Bonaparte.
Ceduta all’Austria con l’infame Trattato di Campoformido, Pirano seguirà i destini dell’Impero degli Asburgo sino alla Prima Guerra Mondiale. Durante l’immane conflitto, quasi tutta la popolazione venne deportata in diverse località austriache. Il fronte della guerra con l’Italia non era poi così lontano e le autorità del K.u.K. temevano insurrezioni da parte della popolazione locale di lingua, cultura e sentimenti italiani.
Ricongiuntasi all’Italia nel 1918, Pirano è rimasta italiana sino alla fine della Seconda Guerra Mondiale.
4. immagine sopra: In mezzo a piazza Tartini a Pirano, sorge il monumento bronzeo di Giuseppe Tartini (1692-1770). Venne realizzato nel 1892, anno del bicentenario della nascita del grande musicista, dallo scultore veneziano Antonio del Zotto. In piazza Tartini, verso il Mandracchio si trovano due monoliti calcarei di oltre 3 metri. Fungevano da pili su cui veniva innalzato il glorioso gonfalone con il Leone di San Marco. – foto G Pavat
Dopo l’8 settembre e l’occupazione nazista, nel 1945 Pirano, per volere delle Potenze vincitrici (in barba ai sentimenti dei suoi cittadini), non venne restituita all’Italia, ma fu inserita nella cosiddetta Zona B del Territorio Libero di Trieste sotto l’Amministrazione militare iugoslava. In seguito, come già accennato, in base al Memorandum di Londra del 1954, quasi tutti gli abitanti di Pirano abbandonarono la propria città e il proprio territorio, venendo sostituiti da popolazioni slovene, croate e bosniache. Dal giugno del 1991, Pirano fa parte della nuova repubblica indipendente della Slovenia.
…..ma pure della “Donna elettrica” e dei misteri della Bioluminescenza.
Nella tarda serata dell’8 marzo 1934, nell’ospedale di Pirano avvenne uno stranissimo episodio.
Tale Maria Gherardi, ricoverata nel nosocomio insieme ad altre sette donne, vede uscire dal torace di una di esse una strana luminosità azzurrognola che rischiara completamente la stanza.
Chiamata l’infermiera del turno di notte, il fenomeno non cessa ma si ripete anche nelle notti successive, fino al 10 dello stesso mese, anche davanti ad alcune suore addette al reparto, al medico dottor Domenico Sambo e ad altri medici o persone in grado di fornire una razionale spiegazione di quanto avvenuto, quali i dottori Parenzan e Contento, un preside di una scuola locale, dottor Mulino, il conte Bruno de Furgoni e addirittura un magistrato, il pretore Genovesi.</p>
Insomma, in quei pochi giorni, durante quelle strane notti, il fenomeno della luminosità spontanea – definibile forse come “Bioluminescenza” – fa acquisire il classico quarto d’ora di celebrità ad Anna Monaro – classe 1892, moglie di un pescatore, lì ricoverata per attacchi di asma bronchiale – tanto da farla poi definire ‘Donna elettrica’ e far nascere una sorta di brevissima filastrocca che forse ancor oggi a Pirano d’Istria e dintorni riporta alla mente quel lontano, strano, episodio…
“Se a Piran ghe manca el faro, metaremo la Monaro con la pansa per in su!”
5. Immagine sopra: Anna Monaro, la “Donna elettrica” di Pirano
Naturalmente il curioso fenomeno non poteva non coinvolgere altri studiosi, medici o fisici in particolare.
Così vengono convocati noti medici di Trieste, i dottori Vitali e De Sanctis e, a seguito di articoli comparsi sulla stampa nazionale ed estera, anche il Consiglio Nazionale delle Ricerche interviene per analizzare i fatti.
Anna Monaro è una semplice quarantaduenne donna del popolo, moglie di un pescatore, con uno stuolo di figli da accudire, molto religiosa, sofferente di asma da tempo. Asma che cerca di curare con un curioso metodo empirico: di notte accompagna il marito in barca, pensando così di respirare più facilmente…
Durante il manifestarsi dello strano fenomeno luminoso, non appena la Monaro si addormenta, sul suo torace si crea una luminescenza azzurrognola che riesce ad attraversare le coperte e sale verso il soffitto.
Apparentemente la donna non mostra segni di sofferenza anche se a volte geme per poi svegliarsi molto affaticata.
6. Immagine sopra: Copertina del settimanale “La Tribuna Illustrata” del 22 aprile 1934, dedicata alla “Donna elettrica di Pirano”
Intervengono anche noti neurologi, il dottor Saiza di Trieste e il dottor Bastognoni, di Milano, che collocano sensibili apparecchiature nella stanza dove è ricoverata la Monaro.
Il professor Giocondo Protti invia una sua relazione alla Società Medico-chirurgica dell’Università di Padova, descrive ciò che ha osservato la sera dell’11 Aprile e documentato mediante un’apparecchiatura fotografica: dal petto della Monaro, in cinquantaquattro fotogrammi, nell’arco di pochi secondi, si nota una luminosità di colore azzurro, inizialmente debole, poi intensificatasi, che alla fine scompare del tutto. Sensibili Galvanometri posti in vicinanza del torace della donna non rilevano alcuna attività elettrica, a dispetto del curioso epiteto attribuitole dai giornali dell’epoca.
Si pensa ai cosiddetti “Raggi mitogenetici” ipotizzati nel 1923 dal professor Gurwitsch e, tra il popolo, anche ad interventi di natura mistica, religiosa, correlati alla psicologia della donna, caratterizzata da frequenti digiuni soprattutto in corrispondenza del periodo di Quaresima.
Secondo i medici tutto ciò potrebbe alterare il metabolismo della Monaro, aumenterebbe a dismisura l’attività ormonale e il suo battito cardiaco, accelerandolo notevolmente mentre si produce un’abbondante sudorazione.
Il professor Protti – autore dell’interessante libro “La luce del sangue” – ne deduce che tutta questa messe di fenomeni crea condizioni favorevoli al formarsi di particolari Solfuri in grado di produrre luminosità se colpiti da radiazioni nel campo dell’ultravioletto, secondo lo stesso Protti generate dal liquido ematico della Monaro.
7 – 8. Immagini sopra e sotto: A sinistra, il quasi introvabile testo del professor Giocondo Protti, da cui l’autore di questo articolo ha attinto informazioni per alcuni libri, quali ad esempio “Archeologia dell’Impossibile “ e “Gli Stregoni della Scienza” (entrambi Eremon Edizioni)
Anna Monaro viene invitata dal Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR) per ulteriori indagini, articolatesi dal 20 Aprile al 2 Giugno del 1934, indagini eseguite dai professori Trabacchi, Vitali e De Santis e. pare, anche dal grande fisico Enrico Fermi…
9. Immagine sopra: diversi giornali in lingua inglese sostennero che anche Guglielmo Marconi si fosse interessato al fenomeno della “Bioluminescenza” di Anna Monaro, avallandone l’autenticità…
Nel mese di Settembre del 1934 sul Supplemento de “La Ricerca Scientifica”, anno V, Volume II, nn. 5-6) viene pubblicata una corposa relazione di cinquantadue pagine relative alle sperimentazioni effettuate sulla Monaro.
Non conosciamo gli esiti finali delle osservazioni effettuate da più parti sulla “Donna elettrica” di Pirano, né quale sia stata la sua vita dopo gli episodi descritti, ma sappiamo che quando aveva circa sette anni i suo genitori le dissero che “essa aveva fatto luce e che bisognava farla visitare da un medico” e che una notte in cui infuriava un violento temporale si era rifugiata, con la madre, sotto il portico della chiesetta di Capodistria e lì si era addormentata.
Poi – nel sogno? In stato di veglia? – avrebbe visto la figura di un sacerdote che, con paramenti neri, celebrava la Messa mentre tutte le candele erano accese. Quindi tutto sarebbe scomparso in una nuvola di fumo…
Infine, si seppe che alla quarta gravidanza, sarebbe nata molto prematuramente – e poi morta – una creatura con il cuore che avrebbe emesso “fiamma viva”, cuore conservato per anni sotto alcool…
Dicerie o meno, il fenomeno sembra avvenuto e ampiamente documentato, riportandoci alla mente qualche altro simile, strano, evento accaduto in passato.
10. Immagine sopra: la graziosa chiesa di Capodistria dove Anna Monaro avrebbe avuto una stranissima visione mistica.
11. Immagine sopra: uno scorcio della Marina di Pirano d’Istria, con il campanile seicentesco della chiesa di San Giorgio.
La “Donna elettrica” di Pirano e la Bioluminescenza nel Regno della Natura
In generale, il fenomeno della Bioluminescenza si verifica in seguito a reazioni chimiche catalizzate dalla presenza di particolari enzimi (Luciferasi) in cui troviamo una sostanza a basso peso molecolare (Luciferina) e ossigeno molecolare.
Dal punto di vista prettamente chimico-fisico, il prodotto della reazione di ossidazione è una molecola con struttura elettronica nello ‘stato eccitato’ che passa allo ‘stato fondamentale’ con emissione di energia luminosa.
Nel corso di tali processi si ha, ovviamente, un progressivo, lento consumarsi della ‘Luciferina’.
Esistono infatti microrganismi in grado di emettere luce, i cosiddetti ‘Fotobatteri’.
In generale, i ‘Fotobatteri’, sono batteri anaerobi facoltativi e uno dei più noti è proprio il Photobacterium, appartenente solitamente ai Coccobacilli (bastoncello corto).
Ha dimensioni comprese tra dell’ordine del micron (un micron è pari a 1/1000 di millimetro) e si sposta per mezzo di uno o più flagelli. Non produce né spore né capsula e appartiene agli ‘anaerobi facoltativi’ perché ha un metabolismo sia di tipo fermentativo (producendo gas) sia di tipo respiratorio.
La temperatura ottimale per farlo proliferare è compresa tra i 20 e i 30°C e in presenza di glucosio, mannosio, galattosio, fruttosio, glicerolo.
Fu osservato per la prima volta, nel 1874, dal biologo Luger in un pesce, ma fu isolato soltanto nel 1894, a seguito di una spedizione scientifica capeggiata dal biologo Maltke che effettuò un lungo itinerario di ricerche dal Mar Baltico alle Indie.
In realtà esistono varie specie di ‘Photobacterium’: il Photobacterium phosphoreum, il Photobacterium legnoiathi, il Photobacterium augustum, ecc. tutti riuniti nel 1899 – su proposta del biologo Beijerinck – nel genere Photobacterium anche se la bioluminescenza si presenta in modo completamente diverso nelle diverse specie.
Risaliamo di almeno sei secoli il “fiume del tempo”…
12. Immagine sopra: Scorcio delle Mura di Pirano – foto G. Pavat
Roma, Via Appia. 17 Aprile 1485 A.D.
Narrano ‘antiche cronache’ che lungo questa stupenda via consolare fu rinvenuta la tomba di una sconosciuta giovane donna.
Chi era? E in particolare perché tale ritrovamento apparve così ‘strano’?
A Bologna, presso la biblioteca dell’Università, è conservata una lettera (Codice 2382, fol. XXVIII) dell’umanista Bartolomeo Fonti inviata a Francesco Sassetti, mercante ma anche amico di Lorenzo dè Medici, in cui si può leggere…
“…Rinvennero colà un sarcofago di marmo. Apertolo vi trovarono un corpo deposto bocconi, coperto d’una sostanza alta due dita, grassa e profumata. Rimossa la crosta odorosa a cominciare dalla testa, apparve loro un volto di così limpido pallore da far sembrare che la fanciulla fosse stata sepolta quel giorno. I lunghi capelli neri aderivano ancora al cranio, erano spartiti e annodati come si conviene ad una giovane, e raccolti in una reticella di seta e oro…”.
Ma soprattutto si diffuse subito la mirabolante notizia che accanto al corpo della ragazza fosse stata rinvenuta una lampada… ancora accesa che la illuminava!
E tutto ciò quasi quindici secoli dopo la tumulazione…
L’umanista Pomponio Giulio Leto (1428 – 1497) sostenne che si trattava di Tullia (o Tulliola) figlia di Cicerone (106 – 43 a.C.) e sposa di Cornelio Dolabella, morta nel 47 a.C., anche se successivamente questa ipotesi venne confutata, alla fine dell’800, da Costantino Maes. Anche perché la cosiddetta ‘Tomba di Tulliola’ di certo trovasì lungo la via Appia, ma a Formia (Latina), sul pendio del monte Costamezza..
Ma questo ai nostri fini poco importa.
Ciò che, invece, sarebbe interessante sapere è cosa fosse in realtà la ‘sostanza alta due dita, grassa e profumata’ che aveva meravigliosamente conservato per secoli la salma e ancor più ci piacerebbe sapere qualcosa riguardo il ‘lume eterno’ che, in base alle testimonianze dell’epoca, sarebbe stato trovato accanto al sarcofago.
Sembra, inoltre, che nel 1753, a Monaco, in Germania, durante i lavori all’interno di una chiesa, fu rinvenuta in una nicchia una lucerna accesa, contenente uno strano liquido e uno stoppino di forma inconsueta. Si sa come andavano a finire questi maldestri ‘ritrovamenti archeologici’: lo stoppino venne disperso, insieme ad un po’ del liquido, ma la lampada con il liquido rimasto fu consegnata al Barone Warnsdorff, Elettore di Baviera, il quale, nel Settembre dell’anno successivo affidò i reperti all’alchimista (e non solo…) napoletano Raimondo De Sangro, Principe di San Severo.
Per concludere queste note – particolarmente incuriosito da quanto avevo potuto verificare in molti ipogei dell’antico Egitto, con stupende figure ben visibili sulle pareti non annerite da eventuali torce usate da quei lontani artisti – pur cautamente, non sottovaluterei affatto la possibilità che, anche venticinque secoli or sono, nella terra bagnata dal Nilo, qualcuno scoprisse casualmente la possibilità di produrre una bassa ma persistente luminosità utilizzando materiale biologico, materia organica in una ‘controllata’ fase – diciamo così – putrefattiva oppure cercando di imitare ciò che nel Gran Regno di Madre Natura fanno alcuni insetti, come la Lucciola, svariati pesci e alcuni molluschi.
Tra questi, ad esempio, vorrei ricordare la ‘Folade’, Pholas dactylos, conosciuta anche come dàttero di mare, dalla conchiglia lunga e stretta, bruna, in grado di scavarsi la propria tana nelle pietre delle scogliere.
13. Immagine sopra: Pholas dactylos, o Dàttero di mare
Plinio il Vecchio aveva già notato e riportato nella sua ‘Naturalis historia’ la capacità di rendere luminosi, quasi fosforescenti, gli oggetti che erano venuti a contatto della ‘Folade’. Essa quando è viva produce una luminosità più intensa di quando è in fase putrefattiva, diversamente da quanto può accadere per altri animali marini.
Ad esempio, una luminosità abbastanza accettabile si può ottenere immergendo a lungo una ‘Folade’ (il WWF ci perdoni!) in una soluzione di Cloridrato di Sodio o di Azotato di Potassio o, più semplicemente, in un recipiente contenente del latte.
La luminosità prodotta sarebbe sufficiente a leggere un giornale oppure… a dipingere con estrema precisione minuscoli geroglifici sulle pareti di un antico sepolcro egizio.
Una luminosità di ben più lunga durata – addirittura alcuni mesi! – si potrebbe ottenere anche immergendo totalmente una ‘Folade’ in un vasetto di vetro contenente del miele.
Per rimanere più o meno in tema, ricordo che ‘antiche cronache’ narrano che in quel di Padova, nel 1492, tre cittadini divennero ’luminosi’ per aver mangiato carne non proprio… freschissima mentre altre ‘antiche cronache’ più o meno attendibili riferiscono che la carne acquistata da un’anziana donna al mercato di Montpellier – nel 1641 – le rischiarasse talmente la camera da indurla a denunciare il fatto al Principe di Condè. Un ‘pretore d’assalto’ ante litteram evidentemente!
(Roberto Volterri, con Giancarlo Pavat)
- Se non altrimenti specificato, le immagini sono state fornite dal professor Roberto Volterri.
In questo libro – quasi una sorta di spin-off del fortunatissimo Archeologia dell’Impossibile– l’aspetto della Biologia che più è messo in luce, oltre ad alcuni strani temi legati alla dimensione del sacro, è la Teratologia, ovvero lo studio delle molteplici anomalie morfologiche che riguardano, in particolare, l’ostetricia, l’anatomia patologica e alcuni campi della zoologia e della botanica. Inoltre, l’insondabile mistero dell’evanescente confine tra la vita e la morte, insieme agli esperimenti ai quali si dedicarono Luigi Galvani e Giovanni Aldini nel tentativo di correlare le attività biologiche con i nascenti studi sull’elettricità, di certo vi coinvolgerà totalmente.