MOLISE SEGRETO.
LE MERAVIGLIE DI CASTELLO PANDONE A VENAFRO (IS)
di Giancarlo Pavat
Approfittando della splendida giornata di sole e aria tiepida, noi del Mistery Team ci siamo recati a visitare il CASTELLO PANDONE di VENAFRO (IS) in Molise. Ad attenderci l’amico professor Mario Ziccardi e Remo e Roberto.
Se Venafro è la “Porta del Molise”, trovandosi nel punto di incontro con Lazio, Campania e Abruzzo, il CASTELLO PANDONE è l’elemento che maggiormente caratterizza la cittadina costituendone pure il fulcro.
(Immagine di apertura: castello Pandone a Venafro. Sopra: il ponte a doppia arcata che, in epoca rinascimentale, ha sostituito il ponte levatoio)
Il maniero, autentico gioiello artistico che merita davvero di essere conosciuto e visitato, nasce in epoca longobarda su strutture su megalitiche sannite (alcuni tratti sono visibili alla base del mastio longobardo).
Federico II di Svevia lo lasciò andare in disuso e poco mancò che lo smantellasse non ritenendolo importante per la difesa del territorio. Ebbe nuova vita nel periodo angioino, quando vennero realizzato il fossato, le tre grandi torri circolari a base troncoconica e la “braga” merlata a difesa dell’ingresso dotato d’un ponte levatoio.
(Immagine in basso: ingresso al Cortile interno di Castello Pandone)
(Immagine sopra: i camminamenti merlati di Castello Pandone – foto Marisa D’Annibale)
Ma la trasformazione che ha reso il castello così come lo vediamo oggi la si deve alla Famiglia Pandone (Signori di Venafro) che subentrò nella proprietà nel XV secolo, grazie alla Casa d’Aragona.
(Immagine sopra: Castello Pandone e panorama di Venafro. Immagini in basso: alcuni scorci di Castello Pandone)
Personaggi di spicco della Famiglia furono Francesco Pandone che, nel 1443, ricevette da Alfonso I° re d’Aragona, la cittadina di Venafro con il titolo comitale, e soprattutto il nipote Enrico Pandone (1494-1528) che nel secolo successivo trasformò il maniero in una residenza signorile rinascimentale. A lui si devono, tra l’altro, il giardino all’italiana, la loggetta e, soprattutto, i grandiosi affreschi che in diverse stanze e sale del piano nobile, ritraggono a grandezza naturale i cavalli del suo allevamento.
(Immagini sopra e sotto: alcuni degli affreschi dei Cavalli di Enrico Pandone)
Durante la cosiddetta “Guerra della Lega di Cognac” (1526-1530), Enrico Pandone, nonostante i rapporti di familiarità con l’Imperatore Carlo V d’Asburgo, si schierò con i Francesi invasori guidati da Odet de Foix conte di Lautrec.
In realtà lo scontro non era altro che una delle fasi del lungo e sanguinoso conflitto che sin dal 1521 contrapponeva il Sacro Romano Imperatore (nonché re di Spagna e re di Napoli, sul cui Impero “non tramontava mai il sole“) Carlo V e il re di Francia Francesco I° di Valois. Oggetto della contesa era l’egemonia in Europa e, soprattutto, il controllo del territorio più ricco e florido dell’epoca: l’Italia.
(Immagine sopra: Marco Di Donato in azione nel Castello Pandone)
Il Re di Francia Francesco I° era stato travolto da Carlo V nella battaglia di Pavia del 24 febbraio del 1525. “Tutto è perduto fuorché l’Onore e la Vita, che è salva”, è la frase storica attribuita al Valois dopo la sconfitta e la cattura. Dopo una lunga prigionia era stato costretto a sottoscrivere umilianti clausole del trattato di pace detto “di Madrid” del 14 gennaio 1526.
La vittoria poneva, di fatto, l’intera Europa sotto il controllo di Carlo V d’Asburgo (che come accennato poc’anzi, era contemporaneamente Sacro Romano Imperatore della nazione germanica, re di Spagna, di Napoli e dei sconfinati domini americani). Preoccupato per questa asfissiante egemonia, nel maggio dello stesso anno, papa Clemente VII (al secolo Giulio Zanobi di Giuliano de’ Medici 1478-1534) convinse i maggiori Stati italiani (Repubblica di Venezia, Ducato di Milano, Repubblica di Genova e la Firenze retta dalla famiglia dei Medici) ad allearsi con la Francia aderendo alla cosiddetta “Lega di Cognac”. In questo modo sperava di liberare l’Italia dal predominio Imperiale-spagnolo.
(Immagine sopra: Venafro vista dagli spalti di Castello Pandone)
Le ostilità iniziarono immediatamente in quello stesso fatale 1526. Ma la Lega condusse le operazioni belliche in maniera disastrosa. Inoltre, determinante in senso negativo fu pure la morte (il 30 novembre 1526, a seguito delle ferite riportate nello scontro di Governolo presso Mantova) del condottiero italiano Giovanni dalle Bande Nere (al secolo Giovanni figlio di Giovanni de’ Medici e Caterina Sforza, cugina di Clemente VII). L’unico che, secondo il Machiavelli, poteva tener testa alle formidabili armate Imperiali-spagnole (all’epoca le più potenti d’Europa).
Gli Imperiali inizialmente erano comandati dall’abile ma brutale generale Georg von Frundsberg. Così lo descrive Pietro Verri nella sua “Storia di Milano” del 1783:
“Era costui oltre di tempo, ma forzoso di corpo e ardito d’animo a meraviglia, e con tal confidenza di sé stesso e con tanta bravura se ne veniva, ch’egli un capestro d’oro a ciascun passo di seno cavandosi, si vantava barbaramente di voler con ello appiccare per la gola il Papa, e con altri, che di seta cremisi portava sempre all’arcione, i cardinali”.
(Immagine sopra: l’ingresso principale di Castello Pandone – foto Marisa D’Annibale)
Ma ad un certo punto, costui, colpito da infarto, venne sostituito da Carlo III di Borbone-Montpensier; un abile capitano di ventura francese che odiava Francesco I°. con il nuovo anno, fuori gioco Giovanni dalle Bande Nere, gli Imperiali attraversarono la pianura Padana e dilagarono, in un delirio di sangue e violenze nell’Italia centrale e nel Lazio. Stava per verificarsi uno degli episodi bellici più noti e famigerati della nostra Storia.
Il 6 maggio del 1527, Carlo III di Borbone-Montpensier diede l’ordine di attaccare la “Capitale della Cristianità“ che, in quel contesto storico-politico, era pure la capitale di uno stato nemico, ovvero quello della Chiesa e di papa Clemente VII. La “Città Eterna” era difesa da poderose mura e da diversi pezzi di artiglieria. Ma il Destino giocò con carte truccate. Il Comandante delle truppe Imperiali-spagnole venne ucciso da un colpo di archibugio sparato (stando a quanto raccontò lui stesso) dal grande scultore e orafo Benvenuto Cellini (1500-1571). Senza più alcun controllo, paga e privi di disciplina, i lanzichenecchi svizzeri e tedeschi (in gran parte luterani che ritenevano di essere impegnati in una “crociata” contro l’odiata Chiesa di Roma e il suo rappresentante; il Pontefice) e i “cattolicissimi” soldati napoletani (che molto più prosaicamente erano semplicemente a caccia di bottino) dell’esercito Imperiale-spagnolo di Carlo V, si lanciarono in un disperato attacco e riuscirono ad entrare nell’Urbe dando inizio al tragico “Sacco di Roma”. Furono due lunghe settimane di terrore, con violenze d’ogni genere: incendi, saccheggi, stupri e ad una pesante occupazione durata quasi un anno.
(Immagine sopra: Mario Ziccardi nel cortile di Castello Pandone spiega la storia del maniero)
Clemente VII si salvò a stento, grazie al sacrificio delle sue 189 Guardie Svizzere che resistettero eroicamente, facendosi massacrare tutte quante, per dargli il tempo di fuggire attraverso il “Passetto di Borgo” e rifugiarsi nell’inespugnabile Castel Sant’Angelo.
Oltre alle perdite umane (gli storici hanno calcolato circa 45.000 morti tra la popolazione civile, e 500 soldati pontifici) ci furono incalcolabili devastazioni materiali (venne trafugato un numero spropositato di capolavori d’arte, preziose suppellettili e arredi sacri; e le oreficerie del Tesoro di San Pietro. Persino i lavori nella fabbrica della nuova Basilica vaticana si interruppero, per riprendere soltanto nel 1534 con il pontificato di Paolo III Farnese). Il “Sacco di Roma” provocò pure effetti psicologici, sociali e culturali di portata epocale. Artisti, architetti, poeti, intellettuali scapparono da Roma disperdendosi per tutta Italia. Non per nulla, convenzionalmente si fa terminare il periodo di massimo splendore, la “stagione aurea” del Rinascimento, proprio con il “Sacco di Roma”.
L’anno dopo iniziò a muoversi l’esercito francese con a capo il generale Odet de Foix, conte di Lautrec. Nell’agosto del 1527 cadeva Genova, poi toccava ad Alessandria. Il 4 ottobre i Francesi saccheggiavano Pavia. Dalla città lombarda il Lautrec puntò su Bologna (possedimento papale, quindi città alleata) che utilizzò come base per organizzare l’invasione del Regno di Napoli. Agli inizi del 1528, lasciata Bologna, attraversò l’Italia appenninica, tenendosi prudentemente alla larga da Roma, occupata dagli Imperiali-spagnoli. Nell’estate del medesimo anno, i francesi erano davanti a Napoli che venne cinta d’assedio. A salvare la capitale partenopea fu lo scoppio di una epidemia di peste che annientò gli assediati, tra cui lo stesso Conte di Lautrec.
(Immagine sopra: Mario Ziccardi e Giancarlo Pavat all’interno di Castello Pandone – foto Marisa D’Annibale)
La riscossa degli eserciti Imperiali-spagnoli non si fece attendere e Carlo V costrinse i Francesi a firmare la Pace di Cambrai, detta anche “Pace delle due Dame”. In quanto le trattative furono condotte dalla zia di Carlo V, Margherita d’Asburgo, e da Luisa di Savoia madre del sovrano francese Francesco I° di Valois.
Ma per Enrico Pandone, la disfatta francese fu una sciagura. Catturato dagli Imperiali proprio nel suo Castello di Venafro, fu condotto a Napoli. Giudicato colpevole d’alto tradimento, venne decapitato nel dicembre del 1528 in Largo Castelnuovo. Inutili furono gli appelli di clemenza inviati all’Imperatore. È probabile che Carlo V, in genere molto cavalleresco e generoso, sia stato così spietato nei confronti di Enrico Pandone, perché abbiamo visto nel voltafaccia del Signore di Venafro non soltanto un tradimento politico ma soprattutto personale.
Queste lontane vicende sono state rievocare, sabato 15 febbraio, durante la visita a CASTELLO PANDONE. Guida d’eccezione l’amico Mario Ziccardi (Premio Nazionale Cronache del Mistero 2015), che conosce il maniero come le proprie tasche.
(Immagine sopra: Uno dei Cavalli di Enrico Pandone)
Grazie a lui ci si sono dischiusi gli scrigni colmi di tesori artistici del Castello. In particolare il ciclo di ritratti, con la tecnica dell’intonaco a rilievo affrescato, dei CAVALLI DI ENRICO PANDONE. Un’opera quasi unica nel suo genere (qualcosa di simile si ammira a Palazzo Te a Mantova) che consta di circa 22 affreschi (alcuni giunti sino a noi in eccellente stato, altri sopravvissuti solo in silhouette) raffiguranti i magnifici stalloni delle sue scuderie. Ogni ritratto, come già accennato, a grandezza naturale, è accompagnato dal Monogramna del Conte (una H inscritta in un cerchio), il morso dei finemente appeso a un chiodo, il nome, la razza e l’età del cavallo e, in alcuni casi, anche il nominativo del nobile personaggio a cui era stato venduto. O donato. Come nel caso dell’esemplare destinato a sua “Maestà Cesarea”, ovvero a Carlo V d’Asburgo. Ovviamente prima del tradimento di Enrico Pandone.
(Immagini sopra e sotto: la Loggetta rinascimentale di Castello Pandone – foto Marisa D’Annibale)
Anche chi non è appassionato di cavalli non potrà non rimanere colpito dalla finezza dei dettagli (come quelli delle selle, delle staffe, dei finimenti) e il naturalismo del manto dei superbi animali.
(Immagine sopra: Venafro vista dalla Loggetta di Castello Pandone)
Con la decapitazione di Enrico, i beni dei Pandone vennero confiscati e venduti dalla Regia Corte a Giovanni Colonna e poi a Francesca Mombel vedova del viceré di Napoli Carlo Lannoy. Ultimi feudatari di Venafro furono i Peretti (la famiglia della quale faceva parte papa Sisto V), i Savelli di Roma (a cui apparteneva un latro pontefice, Onorio III) e, infine, i Caracciolo dei duchi di Miranda che lo possedettero il maniero dal 1744 e sino all’abolizione dei feudi agli inizi del XIX secolo.
(Immagine sopra: il Salone di rappresentanza di Castello Pandone con gli affreschi settecenteschi)
Quando il Castello passò alla Famiglia vicereale dei Lannoy, che apportò ulteriori modifiche sia interne che esterne alla struttura, accentuando il carattere di palazzo residenziale, gli affreschi di Enrico Pandone vennero in parte distrutti e in parte ricoperti dalle nuove decorazioni. Se oggi possiamo ammirare il ciclo dei CAVALLI DI ENRICO PANDONE, dobbiamo ringraziare gli attenti e puntuali lavori di restauro e recupero degli ambienti del castello.
(Immagine sopra: Il Teatro settecentesco di Castello Pandone)
All’interno del Castello è allocato il MUSEO NAZIONALE DEL MOLISE, in cui si possono ammirare opere d’arte provenienti da chiese, palazzi e collezioni del Molise.
(Immagine sopra: una delle Sale del Museo Nazionale del Molise)
Ma non solo. Impreziosiscono ulteriormente la pinacoteca capolavori provenienti dai depositi della Reggia di Caserta, dal Museo di Capodimonte a Napoli e da Palazzo Barberini a Roma. Si incontrano lavori di Francesco Solimena, Luca Giordano, della Scuola del Caravaggio, solo per fare qualche nome di rilievo!!
(Immagine sopra: un’altra delle Sale del Museo Nazionale del Molise)
“IN UNA QUALSIASI ALTRA NAZIONE, UNA SIMILE COLLEZIONE SI TROVEREBBE NEL MUSEO NAZIONALE DELLA CAPITALE DI QUELLO STATO. DA NOI SI TROVA IN UNA CITTADINA CHE NON È NEMMENO CAPOLUOGO DI PROVINCIA. È L’ENNESIMA DIMOSTRAZIONE DELL’IMMENSITA’ DEL PATRIMONIO STORICO, ARTISTICO, ARCHITETTONICO E ARCHEOLOGICO DI NOI ITALIANI. QUINDI, TESTA ALTA E SCHIENA DRITTA. NON SIAMO SECONDI A NESSUNO”
Il percorso espositivo “è concepito come una linea del tempo, che partendo dalle testimonianze pittoriche provenienti da Santa Maria delle monache di Isernia, risalenti al VII secolo, giunge all’inizio del XX secolo con. Le xilografie, le fotografie e gli acquerelli raffiguranti il territorio molisano della Collezione Musa, donata dagli eredi“.
(Immagine sopra: lo stupefacente Polittico della Passione in alabastro dipinto)
Un capolavoro davvero unico al mondo, che ha particolarmente colpito tutti noi del gruppo del Mistery Team, è il POLITTICO DELLA PASSIONE. realizzato in alabastro dipinto da una bottega di Nottingham e proveniente dalla Chiesa dell’Annunziata di Venafro.
Aldilà del valore materiale, visto che è realizzata nel preziosissimo alabastro, e dell’eccellente rilevanza artistica, l ‘opera ha una innegabile e profonda valenza simbolica che certamente sarà oggetto di un prossimo approfondimento su questo sito.
(Immagine sopra: il gruppo del Mistery Team nella Loggetta di Castello Pandone)
In conclusione, vi consigliamo di visitare, alla prima occasione, il CASTELLO PANDONE.
Ma non solo. Merita pure una visita il MUSEO ARCHEOLOGICO di Venafro e WINTERLINE,
(Immagine sopra: l’accesso al cortile interno di Castello Pandone – foto Marco Di Donato)
Se volete scoprire le bellezze e gli aspetti più curiosi e sconosciuti di Venafro e del suo territorio assieme a noi del Mistery Team, possiamo anticiparvi che stiamo organizzando, assieme agli amici di ITINARRANDO, un ITINERARIO DEL MISTERO “speciale”.
Oltre al CASTELLO PANDONE, al Museo Nazionale del Molise, al Museo Archeologico, al Winterline, vi faremo scoprire il rarissimo Labirinto di Colli a Volturno. Continuate a seguirci per essere aggiornati.
- Si ringrazia il personale del MUSEO NAZIONALE DI CASTELLO PANDONE, in particolare la guida Anna Maria e la signora Alberta e la Direzione per l’autorizzazione a pubblicare le immagini degli interni del maniero.
- Se non altrimenti specificato, le foto sono di Giancarlo Pavat.
(Immagine sopra: Giancarlo Pavat e Mario Ziccardi in un delle sale con i Cavalli di Enrico Pandone)
PER VISITARE IL CASTELLO PANDONE DI VENAFRO
Museo Nazionale del Molise
Via Tre Cappelle snc. 86079 Venafro (IS)
0039 0865 904698
pm-mol@beniculturali.it
Www.castellopandone.beniculturali.it
Www.musei.molise.beniculturali.it
(Immagine sopra: Giancarlo Pavat davanti a Castello Pandone. Sotto: Marisa D’Annibale, Beppe Donvito, Giancarlo Pavat e Marco Di Donato davanti a Castello Pandone – foto M. Di Donato)