(nella foto: il Wolfe Creek Crater in Australia)
PIETRE DAL CIELO, PIETRE DEGLI DEI.
QUANDO I METEORITI HANNO INFLUITO SULLA STORIA DELL’UMANITA’.
2^ parte.
di Giancarlo Pavat.
A quanto pare, stando alle notizie che oggi (15 febbraio 2013) ci stanno giungendo dalla Russia, i meteoriti stanno tornando prepotentemente agli onori delle cronache.
A ennesima conferma, che volenti o nolenti, con questi “visitatori” dallo Spazio la nostra Civiltà deve fare necessariamente i conti. Daltronde è sempre stato così sin dalla Notte dei Tempi.
Nella prima parte di questo lungo articolo, dedicato, appunto all’influsso che i meteoriti hanno avuto nella Storia dell’Uomo, abbiamo visto come, da alcuni di questi oggetti dalla natura ferrosa, possano essere state forgiate alcune armi (di difesa o di offesa) poi entrate nella Leggenda e nel Mito come “armi degli dei” oppure magiche.
Ma molti meteoriti non ferrosi divennero anch’essi oggetto di particolare attenzione da parte dei nostri antenati.
E’ ovvio che qualunque oggetto caduto dal cielo veniva interpretato come un “signum” delle divinità.
Pertanto i bolidi (soprattutto quelli di forma, anche vagamente, fallica) vennero venerati e adorati da diverse culture e civiltà.
E’ stato ipotizzato che lo stesso culto dei “betili”, delle pietrefisse, dei menhir, sia nato proprio dalla venerazione per i meteoriti.
Ricordiamo che il termine “betile”, che indica le “pietre sacre”, deriva dal latino “Baetulus”, che attraverso il greco “Baitylos”, nasce dall’ebraico “Beith El”, ovvero “Casa di Dio”.
Nel Bibbia (Genesi; 28, 17) si narra che il patriarca Giacobbe, mentre viaggiava verso la località di Haran, si fermò per la notte in una località deserta.
Giacobbe prese una pietra e la utilizzò per poggiarvi la testa a guisa di cuscino.
Addormentatosi sognò una scala che congiungeva la Terra con il Cielo, sulla quale salivano e scendevano degli Angeli. Si tratta del biblico e celebre “Sogno di Giacobbe”.
In cima alla scala c’era Dio che disse a Giacobbe che quello era un luogo a Lui sacro e che sarebbe stato dato alla sua discendenza.
Risvegliatosi, il figlio di Isacco pronunciò la famosa frase che troviamo in tantissimi luoghi Sacri avvolti nel mistero. Dalla Basilica della Santa Casa di Loreto a Rennes Le Chateau:
“Terribilis est locus iste. Hic Domus Dei est et Porta Coeli”.
“Questo è un luogo terribile! Questa è la casa di Dio e la Porta del Cielo”.
(nell’immagine: moneta bronzea di Eliogabalo con il meteorite sacro all’interno di un tempio)
Fervente adoratore di una di queste “pietre sacre” fu pure un imperatore romano.
Si tratta Vario Avito Bassiano (nato nel 204 d.C.), la cui influentissima nonna, Giulia Mesa era zia di un altro imperatore, Caracalla (211-217). Sesto Vario Avito Bassiano, salito al trono con il nome Marco Aurelio Antonino ma passato alla storia come Eliogabalo. Nome tratto da quello della divinità orientale El-Gabal, assimilabile al Sol Invictus, che si riteneva non solo raffigurata ma persino incarnata nel “betile” di forma fallica adorato nel santuario di Emesa in Siria. Le descrizioni pervenuteci del “betile”, lo descrivono come una “pietra nera” caduta dal cielo. Appunto un meteorite dalla tipica forma conoidale.
Eliogabalo salì al trono imperiale nel 218, grazie alle manovre e congiure della madre Giulia Somnia (che aveva sposato Vario Marcello, un “equites” romano-siriaco poi elevato al rango senatorio) e della nonna. Quest’ultima, considerata, all’epoca la più potente matrona dell’Impero, aveva fatto assassinare l’Imperatore in carica, Macrino (a sua volta usurpatore e mandante dell’omicidio di Caracalla), facendo credere ai soldati che lo stesso Avito Bassiano fosse figlio di Caracalla.
(L’imperatore romano Eliogabalo)
Appena diventato imperatore, Eliogabalo decise di trasformare la religione di El-Gabal nel culto principale della Romanità. Addirittura ponendolo al di sopra del tradizionale Pantheon olimpico.
Trasferì il meteorite sacro da Emesa a Roma e fece costruire un sontuoso tempio sul Colle Palatino, dove poterlo venerare.
L’autore di lingua greca Erodiano (nato in Siria attorno al 180 d.C.., autore di una “Storia di Roma” che va dalla morte di Marco Aurelio nel 180 d.C., sino all’ascesa al trono imperiale di Gordiano III nel 238 d.C.), ci ha lasciato la descrizione dello sfavillante corteo che ogni anno, nel giorno di Mezz’estate, percorreva le strade di Roma portando in processione la “Pietra nera”.
“Il carro era trainato da sei grandi cavalli, bianchi immacolati, con costose guarnizioni d’oro e ricchi ornamenti. Nessuno teneva le redini e nessuno stava sul carro: il veicolo veniva scortato come se lo stesso dio fosse il cocchiere”. Eliogabalo procedeva davanti al carro, a piedi e camminando a ritroso, “con lo sguardo fisso in alto, verso la faccia del suo dio” (scrive Erodiano citato da Michael Grant nel suo libro “Gli Imperatori Romani”, edizione italiana Newton Compton, 1996).
Sono giunte sino a noi diverse monete fatte coniare da Eliogabalo, in cui si vede il cocchio con sopra il “sacro meteorite” conico oppure questo all’interno di un tempio.
Ma le stravaganze cultuali e le perversioni sessuali attirarono contro Eliogabalo l’ostilità della Classe Senatoria e dei Pretoriani.
Vista la situazione, Giulia Mesa, lo abbandonò, puntando su un altro nipote; Alessiano (il futuro imperatore Alessandro Severo), figlio della secondogenita Giulia Avita Mamea. L’11 marzo del 222 d.C., Eliogabalo e la madre Giulia Somnia venivano trucidati dai Pretoriani. I loro corpi gettati nel Tevere assieme a quelli di numerosi seguaci.
Quanto al meteorite, i Romani, superstiziosi com’erano, ritennero opportuno non infastidire la divinità che vi si celava. E lo rimandarono con tutti gli onori e precauzioni nella città di origine, Emesa. Dove continuò ad esser tranquillamente venerato sino alla proclamazione del Cristianesimo come “Religione di Stato” dell’Impero Romano nel 380 d.C..
Il destino finale del “meteorite sacro” è sconosciuto, forse andò distrutto dagli zelanti Cristiani oppure, come ipotizzato da alcuni ricercatori, è ancora conservato segretamente da qualche parte.
Fine 2^ parte.
continua..
by Giancarlo Pavat.
giancarlo.pavat@gmail.com