TORINO OCCULTA; IL PORTONE DEL DIAVOLO; di Pippo Anastasi.

 

Immagine di apertura; particolare del Portone del diavolo di Palazzo  “Trucchi di Levaldigi” di Torino. 

TORINO OCCULTA;

IL PORTONE DEL DIAVOLO

di Pippo Anastasi

Torino, secondo il mio modesto parere, da un punto di vista spirituale, dopo Roma, è certamente la città più ricca, spiritualmente parlando, in Italia (forse anche in Europa e nel mondo, considerando anche Gerusalemme).
Di questa città, molte volte, si parla anche a sproposito ma, come si suol dire, quando se ne parla troppo vuol significare che un fondo di verità ci può essere.

Torino, secondo le mappe spiritualistiche ed esoteriche, forma un triangolo ideale con le città di Londra e di San Francisco (anche se sembra difficile tracciare un triangolo) per una forte presenza della “magia nera”, cioè di quella forza che si basa sugli interventi più divisivi della natura, con l’intervento del soprannaturale, finalizzandoli “alla volontà di ottenere conoscenze e poteri superiori a quelli permessi dal proprio modello di sviluppo (intellettuale e spirituale) prevari-cando le leggi dell’Armonia Universale”.

Sempre secondo le stesse mappe spiritualistiche o esoteriche, la città di Torino è apparentata ad un altro triangolo, questa volta con le città di Praga e di Lione, nella magica esternazione di quella “bianca”, ovvero di quella forza mossa da intenzioni benefiche, finalità positive, operazioni altruistiche, praticate per “il raggiungimento della Verità e della luce spirituale, quindi della realizzazione interiore”.

Per motivi di lavoro, ho vissuto per cinque anni a Torino e, posso dire che, anche se non nella pienezza della mia conoscenza, l’atmosfera della città l’avvertivo “pregna” di condizioni particolari, in ogni angolo o stradina del centro storico avevo la sensazione di qualche presenza, di essere osservato (soprattutto dopo il tramonto), di un motivo o di un interesse per qualche particolare come un odore, una musica, un vocio, un bisbiglio o una statua o una fontana o un palazzo o un portone, ecco, di una città magica come Torino, centinaia sono i racconti (veri o fantasiosi) che la distinguono e, molto spesso, l’arcano espresso e raccontato ha i contorni del nero magico di cui parlavo prima.

Voglio raccontare (tra le decine e decine di fatti che potrei) di un palazzo che è diventato famoso per un particolare più che per gli avvenimenti che, si racconta, in esso sono successi o magari perché quegli avvenimenti sono accaduti a causa di quel particolare: voglio parlare del palazzo “Trucchi di Levaldigi” e del suo portone che, a causa del suo sinistro battente, è stato appellato come “il portone del diavolo”.

2. Immagine sopra; Palazzo “Trucchi di Levaldigi”, con il suo Portone del diavolo.

Il palazzo (ora sede della Banca Nazionale del Lavoro) fu progettato dall’architetto Amedeo di Castellamonte (su un precedente edificio) e, nel 1673, fu abitato dal Ministro delle Finanze del duca Carlo Emanuele II di Savoia, che era il conte Giovanni Battista Trucchi di Levaldigi e di San Michele di Mondovì.

Sembra che il conte avesse una particolare predilezione per l’occulto che, unitamente alla fama sinistra del palazzo e al ministero vessatorio da lui praticato, in un certo senso terrorizzava i torinesi.

Ma, andiamo con ordine e vediamo di inquadrare il personaggio che ha voluto la costruzione del palazzo e, in particolare, quel tipo di portone.

Il conte Trucchi, volle vivere in quel palazzo e in esso vi svolse il suo servizio ministeriale con una forte rigidità da apparire, almeno per alcuni, molto perversa e, per consolidare questo stato di timore popolare, volle dare un tocco truculento all’edificio ordinando, a dei mastri intagliatori di Parigi e facendolo installare, un portone che definire inquietante è poca cosa:

“…ricco di figure intagliate nel legno, nella colonna centrale vi è uno strano mostri che arpiona il mondo con gli artigli e nel giocoso susseguirsi di amorini, fiori e frutti, improvvisamente appare un topo” ma, il pezzo più importante (diabolicamente parlando) lo si trova nella parte centrale del portone, là dove, chi voleva entrare (visto che allora i campanelli, i citofoni e i videocitofoni non erano stati ancora inventati) doveva toccare con mano un sinistro battente in cui sono raffigurati “due serpenti che fuoriescono dalla bocca di una testa raffigurante il diavolo”.

 

La testa di Satana è fatta di un bronzo lucente che, soprattutto di notte, alla luce dei lampioni rifulge di un bagliore piuttosto sinistro.

3. Immagine sopra; l’ingresso di Palazzo “Trucchi di Levaldigi”.

Il portone, con il suo “infernale” battente, si trova di sbieco tra le vie Vittorio Alfieri e XX Settembre e l’attuale scritta, evidenziata sul frontone, “Banca Nazionale del Lavoro”, in un primo impatto da suggestionati, sembra di leggere “Lasciate ogni speranza o voi che entrate” (come Dante Alighieri ha voluto leggere sulla porta dell’inferno).

Un’ultima considerazione sul portone (prima di passare alla cronaca noir degli avvenimenti misteriosi che si sono succeduti nel palazzo) ce la racconta una popolare leggenda che ben si adatta all’atmosfera magica di Torino.

Visto che la città risulta essere uno degli angoli (o spigoli) di un “triangolo di magia nera”, un apprendista satanista (tipo qualche personaggio del film “La nona porta” di Roman Polanski) aveva ripetutamente deciso di:

invocare le forze del male e Satana (in persona) infastidito (da questa sua insistenza) sarebbe intervenuto facendo comparire il portone dal nulla e rinchiudendo per sempre, quel novello mago, dentro il palazzo”

e, come facilmente si può immaginare, potrebbe essere il fantasma dello stregone, imprigionato da Satana in persona, l’autore dei misteriosi e cruenti fatti accaduti nel palazzo Trucchi.

Alla morte di Giovanni Battista Trucchi di Levaldigi, il palazzo passa ai suoi eredi e, dopo qualche decennio (e, forse, qualche altro passaggio) la proprietà passa alla casa Savoia, e più precisamente alla decima figlia del re Vittorio Amedeo III, cioè a Marianna Carolina, la quale, come si usava spesso in quei tempi, era solita dare delle feste alle quali partecipava, ovviamente, la nobiltà piemontese e la borghesia.

La caratteristica di queste feste era quella di organizzarle a tema e, nel 1790 (qualcuno dice 1788), il tema della festa era squisitamente satanico e la scenografia ricalcava lo svolgimento di “sabba” o di un girone dell’inferno con ballerine che danzavano in atte-sa dell’incontro con il diavolo, come fossero delle anime dannate.

 

4. Immagine sopra; il particolare del “Portone del diavolo” di Palazzo “Trucchi di Levaldigi”.

 

Fu in quell’occasione che si ebbe un terribile e inaspettato delitto: una delle ballerine cadde a terra morta con evidenti ferite prodotte da pugnale. L’assassino, l’arma del delitto non furono mai trovati e il movente non lo si è mai compreso ma, da sottolineare che, in concomitanza del delitto, su Torino, si scatenò un terribile e inaspettato temporale che, ancor più che il delitto, spaventò gli invitati che, nonostante le intemperie, scapparono terrorizzati dalla festa e dal palazzo.

In campo esoterico, in genere, gli elementi atmosferici si scatenano in forma scomposta quando un rito o un sacrificio non è stato fatto con i dovuti crismi da parte di colui al quale era destinato (Satana non era stato soddisfatto?) per errore nel rito, formule sbagliate, intenzioni non opportune e via discorrendo, comunque vista la situazione esoterica di Torino, tutto si prestava a valutazioni sinistre.

A questo proposito facciamoci una risatina, ricordo che negli anni ’70 partecipai ad una gita aziendale che prevedeva una sosta e il pranzo all’isola Comacina, sul lago di Como.

 

5. Immagine sopra; panorama del Ramo occidentale del Lago di Como (foto.G. Pavat)

Il gestore del ristorante era un tipo che si atteggiava a sacerdote druido e, verso la fine del pranzo, si apprestò a farci assistere ad un rito propiziatorio (non ho ancora oggi capito a chi era rivolto) e per far sì che alcune divinità si esprimessero benevolmente, bisognava far assaggiare del vino novello ad “una giovane vergine”. Al centro della sala era stata sistemata una sedia e vi doveva prendere posto ed assaggiare il vino la giovane vergine.

Tutti gli uomini presenti guardarono le donne, tutte le donne si guardarono tra loro ed escludendo tutte le donne sposate o fidanzate o vedove, la scelta cadde su di una giovane operaia di 18 anni che, rossa in volto e fortemente impacciata, si prestò a partecipare al rito. Il nostro ristoratore, cominciò a recitare delle formule, a gesticolare con fare ieratico e, rivolto alla fanciulla, le porse una coppa di quel vino novello.

La fanciulla lo bevve con un po’ di ritrosia (forse era astemia) e, non appena ridiede la coppa al sedicente sacerdote, cominciò ad alzarsi un forte vento, cominciarono a sbattere porte e finestre, grossi nuvoloni erano venuti sopra l’isola ed un fortissimo temporale (con tuoni e fulmini) era arrivato un buio da far paura e soltanto dopo una mezz’oretta, quando era giunta un poco di calma, cominciammo a raggiungere il battello per tornare a Tremezzina e sul battello, commentando la festa interrotta e il rito con la ragazza e la coincidenza col sopravvenuto temporale.

Considerazioni? Probabilmente è stata soltanto una semplice coincidenza o il ristoratore non aveva eseguito le formule dovute o le “divinità” non avevano gradito o, più semplicemente e col sorriso sulle labbra, la ragazza non era più vergine.

6. Immagine sopra; Torino, città di Luce e di Tenebra, di Bianco e di Nero. (Archivio Ilpuntosulmistero.it)

 

Tornando al “Portone del diavolo” di Torino, i fatti misteriosi (almeno quelli che fecero più scalpore) non erano finiti, infatti, nel 1802, la città (così come tutto il regno piemontese) venne annessa alla Francia e, in città, ovviamente, operava l’esercito di Napoleone Bonaparte ed uno dei suoi ufficiali, il maggiore Melchiorre Du Perril, si trovò a disbrigare qualcosa inerente il suo servizio nel Palazzo Trucchi ed entratovi, nonostante l’attesa del vetturale in strada, non ne uscì più.

Era scomparso e nessuno sapeva il come e il perché. Vane furono le ricerche fatte dalla polizia francese: Melchiorre Du Perril era svanito nel nulla. Un paio di decenni più tardi, per lavori di ristrutturazione interne al palazzo, nell’abbattimento di muro, furono trovati i resti scheletriti di un uomo sepolto in posizione eretta dentro quel muro.

Erano i resti del maggiore Du Perril?

Comunque, la leggenda vuole che il fantasma del maggiore e quello della ballerina, oltre a quello dell’occultista imprigionato personalmen-te da Satana, continuino a vagare nel palazzo con qualche fugace apparizione notturna.

In qualche altra parte ho anche letto che per qualche tempo il “Palazzo del diavolo”, prima di diventare “Palazzo Trucchi” (come progettato dal Castellamonti) abbia ospitato

una fabbrica di tarocchi e questo, secondo gli esoteristi, è un’ulteriore prova che la magia nera è legata all’edificio. Oltre tutto, la carta dei tarocchi associata a Satana è la 15, che all’epoca era il numero civico. Coincidenze”?

Comunque sia, nel giungere al termine di questa narrazione, vi posso assicurare che ogni volta, dopo il tramonto, che mi è capitato di passare per via XX Settembre, mi sembrava di essere osservato e, non lo nascondo, qualche leggero brivido alla schiena l’ho sentito.

(Pippo Anastasi)
Brano tratto dal libro
“Questa notte è nata Pomona”.

7. L’autore dell’articolo; Pippo Anastasi.

se non altrimenti specificato, le immagini sono state fornite dall’autore.

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