Immagine di apertura; la Villa di Campo Marzio a Trieste ove pose la propria sede l’ultimo Gran Maestro dei Cavalieri di Malta Ferdinand von Hompesch durante l’esilio triestino.
STORIA DIMENTICATA:
L’ESILIO TRIESTINO DELL’ULTIMO GRAN MAESTRO DEI CAVALIERI DI MALTA
I parte
di Giancarlo Pavat
Nei miei due libri “Valcento” (2007) e “Nel Segno di Valcento” (2010), entrambi usciti per i tipi dell’Edizioni Belvedere di Latina, mi sono già occupato della nascita nel Medio Evo dell“Ordine Ospitaliero di San Giovanni di Gerusalemme” (in latino Ordo Hospitalarius Sancti Ioannis Hierosolymitani), noto pure come “Ordine Giovannita”, poi diventato “Ordine dei Cavalieri di Rodi” e poi “di Malta”.
2. Immagine sopra: lo stemma giovannita con la Croce amalfitana o Croce Ottagona.
Esistono diverse similitudini tra l’’Ordine Giovannita e il più famoso (o famigerato) Ordine dei Cavalieri Templari (in latino Pauperes commilitones Christi templique Salomonici). Entrambi furono grandi Ordini sovrannazionali, formati da nobili cavalieri che avevano preso anche i voti monastici. Con una differenza sostanziale; gli Ospitalieri (altro nome per indicare i membri dell’Ordine Giovannita) inizialmente svolsero esclusivamente compiti caritatevoli ed assistenziali nei confronti dei pellegrini e degli ammalati. Solo successivamente impugnarono anche le armi. Invece i Templari, sin dall’inizio sorsero con fini militari. Entrambi combatterono per difendere e poi cercare di recuperare il Santo Sepolcro. Va ricordato che, spesso, i rapporti tra i due Ordini Cavallereschi furono piuttosto tesi.
L’Ordine Giovannita è più antico di quello Templare, essendo sorto in Terrasanta addirittura prima della cosiddetta “Prima Crociata” (1095-1099).
Una inveterata tradizione individua come fondatore l’amalfitano fra’ Gerardo da Sasso (poi beatificato). Costui era un monaco benedettino che, giunto da Amalfi sulle coste palestinesi, venne incaricato di gestire un ospizio (o Hospitales) per i pellegrini.
L’istituzione assistenziale era stata creato qualche tempo prima da alcuni mercanti provenienti dalla sua stessa città, che all’epoca era una fiorente e potente repubblica marinara.
3. Immagine sopra; Amalfi, statua del navigatore amalfitano Flavio Gioia ritenuto l’inventore della Bussola. A prescindere se la paternità dell’invenzione sia davvero da attribuire a Flavio Gioia, nel Medio Evo gli Amalfitani erano sicuramente all’avanguardia in fatto di tecniche per la navigazione (foto Archivio de IlPuntosulMistero)
Infatti, è storicamente provato che una confraternita laica assistenziale amalfitana fosse presente nella Città Santa (per le tre grandi religioni monoteiste) sin dal 1070.
Secondo diversi racconti agiografici, Gerardo si trovava dentro Gerusalemme quando venne cinta d’assedio dai “Crociati” nel 1099. E proprio in quei drammatici frangenti, si sarebbe reso protagonista di un evento prodigioso o miracoloso.
“Come ad altri abitanti, gli era stato comandato di partecipare alla difesa della città” racconta lo storico inglese Ernle Bradford nel suo libro “The Shield and the Sword” (edizione Italiana Gruppo Mursia Editore, 1975) “(Gerardo da Sasso NDA) sapeva che i Crociati, al di là delle mura, avevano fame, sicché ogni giorno portava dei piccoli pani sui bastioni e li gettava contro i Franchi, al posto dei sassi. Fu scoperto dalle sentinelle arabe, che lo arrestarono e lo condussero in presenza del Governatore. Ma quando i pani vennero presentati come prova della sua colpevolezza si trasmutarono in sassi ed egli fu liberato”.
Conquistata la Città Santa da parte degli Occidentali, gli Ospitalieri cominciarono a ingrandirsi e ad allestire altri ospizi nei vari Stati cristiani sorti dopo la conclusione dell’Impresa d’Outremer. Finché nel 1123 la “Regola” di quello che ormai era chiamato, appunto, “Ordine Ospitaliero di San Giovanni di Gerusalemme”, venne ufficialmente approvata da Papa Callisto II (al secolo Guy de Bourgogne, pontefice dal 1119 al 1124).
4. Immagine sopra: l’ingresso del porto di Rodi con le colonne sormontate dalle statue dei cervi che sono uno dei simboli dell’isola.
I Giovanniti sfuggirono al tragico destino del Tempio. Rendendosi conto della necessità di avere un proprio territorio, dopo la caduta di San Giovanni d’Acri (ultimo possedimento Cristiano in Terrasanta) nel 1291, l’Ordine riparò prima a Cipro e, successivamente, tra il 1307 e il 1309, occupò l’isola di Rodi nell’Egeo, costituendo uno Stato sovrano. L’Isola e il piccolo arcipelago circostante, per circa tre secoli costituirà l’estremo baluardo della Cristianità nel Mediterraneo orientale.
5. Immagine sopra: il Palazzo del Gran Maestro dei Cavalieri a Rodi. In realtà solo l’ingresso con le due torri ai lati è originale del Medio Evo. Il resto è stato ricostruito nel 1937 durante l’occupazione italiana (avvenuta nel 1912, a seguito della guerra Italo-turca, e durata sino alla fine della Seconda Guera Mondiale) in quanto nel 1856 era andato distrutto a causa dell’esplosione di una polveriera turca sita nella vicina chiesa di San Giovanni.
Nel 1480 i Giovanniti resistettero eroicamente al terribile assedio da parte dei Turchi. Ma, poco più di 40 anni dopo, nel 1522, lasciato solo dalle Potenze Europee (che impegnate nelle guerre tra di loro, si guardarono bene dall’accorrere in soccorso dei “Cavalieri di Rodi”), l’Ordine fu costretto a cedere di fronte all’immensa armata del Sultano Solimano il Magnifico.
6. Immagine sopra; Ritratto di Solimano il Magnifico, datato al 1530 e attribuito alla Bottega di Tiziano. Oggi è esposto al Kunsthistorisches Museum, Gemäldegalerie, di Vienna.
Una volta tanto i Turchi rispettarono i termini della resa e permisero ai Cavalieri di evacuare la loro isola con l’Onore delle armi. Persa per sempre Rodi, l’Ordine si rifugiò a Viterbo. Ma non riuscì a trovare pace, Infatti, dovette abbandonare la città dell’Alto Lazio per sfuggire all’invasione dei Lanzichenecchi del 1527. Ci pensò il Duca di Savoia Carlo III detto “Il Buono” (1486-1553) ad aiutare i “Cavalieri con le Croci Bianche” concedendo loro asilo a Nizza e l’utilizzo del porto di Villafranca.
7. Immagine sopra; Ritratto di Carlo III di Savoia, realizzato tra il 1500 e il 1510 da Defendente Ferrari e oggi esposto alla Galleria Sabauda a Torino.
Tre anni dopo, nel 1530, il re di Spagna, duca di Borgogna, Arciduca d’Austria e Sacro Romano Imperatore Carlo (V) d’Asburgo (1500-1558) donò ai Cavalieri l’arcipelago Maltese, formato dalle isole di Malta, Gozo e Comino, che sin dal tempo dei Normanni era appartenuto al Regno di Sicilia, (che però nel XVI secolo faceva ormai parte dei possedimenti della Corona spagnola). Giova ricordare che, nominalmente, l’Arcipelago rimarrà sempre parte integrante del Regno di Sicilia, fino all’occupazione britannica del XVIII secolo. Ma non voglio anticipare nulla ed è meglio proseguire nella narrazione.
8. Immagine sopra: veduta di La Valletta, capitale dell’isola di Malta
L’Arcipelago maltese si trovava (e si trova) in una posizione strategica al largo della Sicilia e di fronte all’Africa Islamica. Fu in occasione della concessione di Carlo V, e precisamente il 24 marzo del 1530, che i Giovanniti, guidati dal Gran Maestro fra’ Philippe de Villiers de l’Isle Adam, assunsero il nome di “Cavalieri di Malta”.
9. Immagine sopra; Ritratto del Gran Maestro Jean Parisot de la Valette eseguito da A. Favray e conservato nel Palazzo del Gran Maestro a Malta.
Dall’isola al centro del Mediterraneo, i Cavalieri condussero una guerra senza esclusione di colpi contro la montante marea islamica che stava per sommergere, come ottocento anni, prima l’intera Europa.
10. Immagine sopra; “Ritratto di Cavaliere di Malta” del Caravaggio. Dipinto a olio su tela realizzato tra 1608 e 1609, è conservato presso la Galleria Palatina di Palazzo Pitti a Firenze. Per molto tempo si è ipotizzato che si trattasse del Gran Maestro Alof de Wignacourt. Oggi la critica ritiene che possa essere il ritratto del Cavaliere Antonio Martelli.
Per questo motivo gli Ottomani decisero che bisognava distruggere una volta per tutte quello sparuto nugolo di Cavalieri che abbandonati i focosi destrieri usati dai loro predecessori nelle lande infuocate d’Outremer, cavalcavano ora le onde a bordo delle veloci e letali galee. L’operazione di conquista dell’arcipelago da parte dei Turchi e degli alleati “corsari barbareschi” è passata alla Storia, tingendosi di sfumature leggendarie, come “Assedio di Malta”, che durò oltre cinque mesi, raggiungendo punte di violenza e ferocia davvero indescrivibili.
“I Turchi, guidati dall’ammiraglio Piale Pascià e dal futuro boia di Nicosia e Famagosta, Lala Mustafà, schierarono oltre 60.000 uomini e 200 navi, contro i pochissimi Cavalieri Ospitalieri e civili maltesi (in tutto non più di 9000 armati). I Cavalieri, guidati dal Gran Maestro La Vallette (1557-1568), asserragliati in tre forti, Sant’Elmo, Sant’Angelo e San Michele, furono protagonisti di innumerevoli azioni di disperato valore, consci che stavolta non ci sarebbe stata via di scampo se gli Ottomani avessero vinto. Il 18 giugno 1565, ormai ridotto ad un cumulo di macerie, cadeva il forte Sant’Elmo. Ma a caro prezzo per i Turchi. Poco prima dell’assalto finale, il celebre “corsaro barbaresco” Dragut venne colpito ad un occhio da una scheggia di una cannonata sparata da un artigliere piemontese, tale Antonio Grugno. L’ottuagenario ma sempre temibile Dragut morirà pochi giorni dopo, riuscendo però ad apprendere la notizia della conquista del forte” (da G. Pavat “Nel Segno di Valcento”, edizioni Belvedere 2010).
Ma stavolta la Cristianità non era rimasta a guardare. La Chiesa di Roma mise in campo i suoi più abili predicatori con il compito di risvegliare le coscienze e ad “incitare i fedeli alla difesa di quei valori tradizionali che sarebbero stati distrutti qualora la mezzaluna avesse trionfato sulla croce“ (da Arrigo Petacco “La Croce e la Mezzaluna”, Mondadori, 2005).
I primi a salpare in aiuto dei Cavalieri furono alcune navi del piccolo Ducato di Savoia (si trattava di quello che passerà alla Storia come “Piccolo soccorso”), guidate da Andrea Provana di Leyni (che combatterà pure a Lepanto nel 1571). Il successo, sebbene non decisivo, dei rinforzi Sabaudi, dissipò i rimanenti dubbi, soprattutto degli Spagnoli.
11. Immagine sopra; “Ritratto del re di Spagna Filippo II d’Asburgo” realizzato da Tiziano nel 1550. Oggi è esposto al Museo del Prado di Madrid.
Il re Filippo II autorizzò il Viceré di Sicilia Don Garcia (il cui figlio Federico, accorso volontario, era caduto a Forte Sant’Elmo) ad organizzare una spedizione navale. Alle galee spagnole e siciliane si unirono quelle del Viceré di Napoli e quelle toscane del Granduca Cosimo de’ Medici (1519-1574). Si imbarcarono volontari da tutta Europa, compresi i rampolli delle casate più illustri della Penisola. Nomi come i Colonna, gli Orsini, i Doria, i Caracciolo, i Gonzaga ed i Carafa. Tutti fecero a gara per accorrere e combattere per Malta.
“Il 7 settembre del 1565, il “Gran soccorso” era finalmente in vista di Malta. La battaglia decisiva si combatté nella piana di Pietranera. Alla quale parteciparono anche i Cavalieri superstiti usciti in massa dai forti e guidati da La Vallette. Dopo cinque ore di sanguinosi combattimenti i Turchi erano in rotta” (da G. Pavat “Nel Segno di Valcento”, edizioni Belvedere 2010).
L’11 settembre (un’altro 11 settembre!) tutto era finito ed il giorno successivo le navi con la Mezzaluna lasciarono per sempre Malta. I Turchi avevano perso circa 31.000 uomini. Erano caduti 239 Cavalieri, 7.000 maltesi, comprese donne e bambini, e 2.500 soldati dei vari contingenti europei.
Filippo II, oltre a rifornire i Cavalieri di mezzi e truppe, inviò a Malta, in dono al Gran Maestro, una spada con l’elsa in oro ed inciso sulla lama un cavalleresco gioco di parole in Latino;
“Plus quam valor valet la Valette”.
12. Immagine dopra; Marcantonio Colonna (1535-1584), il valoroso Ammiraglio della flotta pontificia e comandante effettivo della Flotta Cristiana a Lepanto il 7 ottobre 1571, ritratto da Scipione Pulzone (XVI secolo), conservato a Palazzo Colonna (foto Archivio IlPuntosulMistero)
Ma i Cavalieri non rimasero a riposare sugli allori. Benché reduci dallo spaventoso assedio del 1565, inviarono 3 galee, compresa l’ammiraglia “Vittoria” del Priore Piero Giustiniani, alla battaglia di Lepanto del 7 ottobre 1571. Dove la Flotta Cristiana della “Lega Santa”, posta sotto il comando nominale di Don Giovanni d’Austria, fratellastro di Filippo II re di Spagna, ma guidata dal valoroso condottiero pontificio Marcantonio Colonna (1535-1584) e dal quasi ottuagenario ma esperto comandante veneziano, Sebastiano Venier (che l’anno dopo verrà eletto Doge), otterrà una grandiosa vittoria contro i Turchi Ottomani.
13. Immagine sopra; il doge veneziano Sebastiano Venier ritratto da Jacopo Tintoretto.
14. Immagine in basso; Allegoria della Battaglia di Lepanto di Paolo Vetonese del 1572 (Foto Archivio de IlPuntosulMistero)
È noto che la vittoria degli alleati della “Lega Santa” costituì un vero e proprio punto di svolta nella secolare lotta tra Occidente ed Oriente. Da quel giorno cominciò il lento ma inesorabile processo di decadenza e dissoluzione dell’Impero con la Mezzaluna.
“I contemporanei ne ebbero viva percezione e tirarono un sospiro di sollievo dopo aver temuto, non senza ragione, che le Armate Turche riuscissero davvero a conquistare tutto il Continente. A cominciare dall’Italia e dalla Capitale della Cristianità. Non era certo un segreto che il Sultano voleva cogliere la “Mela Rossa”, come era definita Roma, e far abbeverare i propri cavalli in piazza San Pietro. Cosa che, secoli dopo, si disse, avesse intenzione di fare, con i propri cosacchi, pure il dittatore sovietico Stalin. L’eco della vittoria di Lepanto fu vastissima in tutta Europa, soprattutto nelle terre affacciate ai mari Tirreno, Ionio e Adriatico, soggette sin dall’Alto Medio Evo alle scorrerie delle navi saracene o “barbaresche”. Si ammantò subito di un alone leggendario e miracolistico” (da G. Pavat “Nel Segno di Valcento”, edizioni Belvedere 2010).
15. Immagine sopra; papa Pio V, al secolo Michele Ghisleri, ritratto da Bartolomeo Passarotti. Si tratta di un olio su tela realizzato nel 1566 e oggi conservato al Walters Art Museum di Baltimora (USA)
“Verso mezzogiorno del 7 ottobre 1571 cominciò la furibonda mischia. Alle cinque di sera la battaglia era finita. San Pio V stava esaminando con diversi prelati il movimento del tesoro pontificio. Tutto d’un tratto, quasi mosso da un impulso irresistibile, si alzò, si accostò a una finestra fissando lo sguardo verso l’Oriente come estatico; poi ritornando verso i prelati, con gli occhi brillanti d’una gioia divina: “Non occupiamoci più d’affari – esclamò – ma andiamo a ringraziare Dio. La flotta cristiana ha ottenuto la vittoria”. Congedò i prelati e andò subito in cappella, ove un Cardinale accorso al lieto annunzio lo trovò immerso nel pianto della gioia” così scrive padre Arsenio d’Ascoli nel suo libro “I Papi e la Santa Casa” (Congregazione Universale Santa Casa, 1969). La notizia ufficiale della vittoria giunse a Roma soltanto alcuni giorni dopo.
16. Immagine sopra; Anche a Trieste è visibile un cimelio della Battaglia di Lepanto. Si tratta del fanale della galera capodistriana “Il Lion con la mazza” che combattè proprio a Lepanto inquadrata nella flotta veneziana, e che, oggi, è esposto al Castello di San Giusto a Trieste (foto G Pavat 2018).
Con il rifluire, lento ma inarrestabile della marea islamica, anche per i Cavalieri iniziarono i secoli di un ineluttabile tramonto. Che li condusse al XVIII secolo in cui si presentavano ormai come un anacronismo della Storia. Al massimo buoni per essere giocati come pedina sullo scacchiere Europeo dalle Grandi Potenze in conflitto tra loro. Come nel caso della zarina Caterina II la Grande (1729-1796), che cercava di proporsi come “protettrice” dell’Ordine (sebbene questo fosse cattolico e lei ortodossa) in quanto aveva mire sull’arcipelago maltese nella speranza di usarlo come base per l’espansione russa nel Mediterraneo. L’antico sogno (fortunatamente sempre fallito) che dagli zar, passò ai sovietici e ora, probabilmente, al criminale guerrafondaio Putin.
17. Immagine sopra: la zarina Caterina II la Grande ritratta da Virgilius Eriksen (seconda versione, 1778-79), conservato alla Galleria d’Arte Nazionale di Copenaghen in Danimarca.
È questo lo scenario storico in cui prende l’avvio la vicenda che si vuole raccontare in questa sede. Ovvero la fine della presenza dell’Ordine sull’Isola eponima e l’esilio dell’ultimo Gran Maestro, Ferdinand von Hompesch, nella città di Trieste.
Fine I parte
(Giancarlo Pavat )
– Se non altrimenti specificato, le immagini sono state tratte da Wikipedia, che si ringrazia per la disponibilità.
18. Immagine sopra; particolare del ritratto di Ferdinand von Hompesch, ultimo Gran Maestro dell’Ordine dell’Ospedale di San Giovanni di Gerusalemme.