Nell’articolo “Rex Artorius a Bari”, Giancarlo Pavat ci ha parlato delle raffigurazioni iconografiche del leggendario sovrano e dei suoi cavalieri, presenti in Puglia (e più in generale in Italia) antecedenti alla diffusione nel nostro paese dei romanzi della cosiddetta “Materia di Bretagna”. Avanzando così l’ipotesi che parte di questo “ciclo” abbia avuto origine nel nostro Mezzogiorno e che poi si sia fuso con il resto del materiale già presente Oltralpe. Ebbene, ora Osvaldo Carigi torna ad occuparsi, questa volta per il nostro sito, della vexata quaestio su quale personaggio storico sia alla base della nascita della figura letteraria di Re Artù o Rex Artorius se vogliamo chiamarlo con la dizione latina come scritto nel mosaico pavimentale della cattedrale di Otranto.
“La leggendaria Spada nella Roccia che avrebbe dato ad Artù il trono d’Inghilterra””
UN DUX BELLORUM DI NOME ARTU’
di Osvaldo Carigi
Se è vero, come è vero, che dietro ad ogni leggenda c’è quasi sempre una verità storica, dietro a quella di Re Artù sembra proprio esserci la figura di un ufficiale romano vissuto nel II sec. d.C., da alcuni studiosi considerato il candidato più probabile al ruolo di ispiratore delle gesta del mitico sovrano britannico. Tra i predetti figurano Scott Littleton, Linda Mlcor e in Italia il Prof. Mario de Matteis e il Dott. Antonio Trinchese, autori del libro “King Arthur: tra storia e leggenda. Da Cimitile a Camelot”
Non bisogna però dimenticare che già nel lontano 1924 lo studioso inglese Keith Malone avanzò l’ipotesi che identificava Re Artù con Lucius Artorius Castus, comandante di 5500 Sarmati, cavalieri “corazzati” ausiliari dell’esercito romano trasferiti, dalle lontane originarie terre iraniane, in Britannia a difendere le frontiere dell’Impero.
“Probabile raffigurazione di Lucius Artorius Castus”
Così scriveva Malone:
“Il nome è romano (Artorius) e suggerisce una famiglia romana stanziata in Britannia. Noi conosciamo un militare romano che ebbe un alto comando nell’isola nel III secolo e che potrebbe aver lasciato numerosi discendenti, in una professione che era tradizionale nelle famiglie romane”.
Malone, analizzando inizialmente la forma latina del nome Artorius, affermò che
“era esistito anche uno ‘pseudo-storico Arthur’ basato su di un generale romano, noto per aver condotto campagne militari sia in Britannia che in Armorica (Bretagna) nella metà del II sec. d.C.”.
A conclusione di successivi accurati studi, Malone suggerì che Artorius Castus “fu la fonte originaria per l’Arthur di Goffredo di Monmouth,o almeno di quelle attività di Arthur che Goffredo non trasse dalle sue fonti gallesi”.
“Cartina della Britannia romana con indicata l’invasione dei Caledoni”
STIRPE D’EROI
Ma chi era Castus? Come già detto, era un ufficiale, un alto ufficiale di rango equestre. Lo troviamo in Britannia e in Gallia dove ha esercitato un ampio comando e nella provincia della Liburnia (*) come governatore (“procurator centenarius iure gladi”).
Gli Artorii erano originari della Campania e possiamo quindi desumere che lo stesso Castus fosse nato in questa regione. Però un aspetto davvero interessante riguardante proprio gli Artorii è sicuramente la loro probabile provenienza dalla Grecia dove troviamo un mito che ricorda singolarmente quello arturiano, ce ne parla il dott. Antonio Trinchese: “Lo studioso Anderson ricorda come il mito di Arkas (Arcade), re dell’Arcadia, presenti sorprendenti somiglianze con quello arturiano. Arkas, figlio della ninfa Callisto e di Zeus (anche in questo caso il concepimento avviene con una trasformazione del padre, come per Ercole e Artù: Zeus prende le sembianze di Artemide, a cui era devota Callisto), dopo aver rischiato di uccidere la madre, trasformata in orsa (“Arktos”), che viene posta nei cieli come la costellazione dell’Orsa maggiore, viene anche lui trasformato in un astro, la stella Arktouros (Arturo), ovvero “guardiano dell’orsa”. Arkas regnava su di una città nota come la “Tavola”, cosi’ come Artù presiedeva la Tavola Rotonda, e aveva un’arma magica chiamata “Calabrops” (assonante con Caliburn). Arkas era considerato il progenitore dei Messapi, popolo illirico ma fortemente influenzato dai Greci, che vivevano nel Salento. Per i Messapi “Artas” era un nome di re, forse un titolo, mentre un nome di famiglia messapico era “Artaias”, linguisticamente equivalente al latino “Artorius”. “Arktouros” in latino diventa “Arcturus”. La caduta della “c” fra due consonanti e il passaggio dalla “o” alla “u” sono fenomeni presenti nel latino a partire dal III sec. d. C., mentre “ius” è il suffisso tipico per i nomi gentilizi: “Artorius” ha, quindi, la sua etimologia più plausibile in una derivazione da “Arcturus”: Castus portava già nel nome un forte significato mitico e simbolico.”
Ma come possiamo identificare Castus con l’Artù della leggenda?
Detto dell’ipotesi–madre avanzata da Kemp Malone, abbiamo altri ‘indizi’ a conforto dell’accostamento Artù-Artorius.
“Frammenti dell’iscrizione dell’arca tombale di Castus” .
L’EPITAFFIO DALMATO
Innanzi tutto un epitaffio conservato sull’arca sicuramente tombale trovata a Podstrana in Dalmazia, e pubblicata da Mommsen nel C.I.L. III 1919.
Cosa abbiamo in questo caso? Una precisa descrizione biografica, non riportata dagli storici romani, di un eccellente ufficiale, prefetto della famosa VI Legione che, stazionata a Eburacum (York) dall’imperatore Adriano, era stata impiegata per la costruzione del limes e poi, sotto Antonino Pilo, per la costruzione del muro cespiticio in Scozia.
C’è da precisare che Castus non viene nominato in nessuno dei frammenti epigrafici trovati nelle vicinanze del vallo ma da quanto possiamo leggere nella predetta arca dalmata diventa plausibile il riferimento alla campagna militare condotta contro gli Armoricanos con truppe elitarie britanniche.
Agli indizi di un possibile collegamento Artù-Artorius sembra appartenere anche la figura di un certo Lucio di Britannia e qui lascio ancora la parola ad Antonio Trinchese:
“Il Venerabile Beda, prominente figura di scrittore e storico anglosassone del VII secolo, ricorda la figura di Re Lucio di Britannia, primo re cristiano dell’isola. Beda trasse probabilmente questa figura dal “Liber Pontificalis”, il libro dei Papi, compilato nel V secolo, dove si parla di una corrispondenza fra tale re ed Eleuterio, Papa dal 174 al 189. In tale periodo “Lucius” Artorius Castus ebbe un ruolo di comando in Britannia e in Gallia. Dal 187 al 191 non risulta ricoperto il ruolo di governatore della Britannia, sicché si può presumere che il”dux” Artorius fosse il detentore del reale potere militare e civile nell’isola, venendo visto dalla popolazione locale come un re. Beda, pur prendendo la notizia dal “Liber Pontificalis”, aveva contatti con le tradizioni locali e non trovò difficoltà a considerare storica tale figura. Non menzionò, invece, Artù, rafforzando così l’ipotesi che la collocazione del mitico re nel periodo delle invasioni sassoni sia stata un successivo equivoco (o meglio, un’operazione di propaganda politica gallese contro la storia filo-anglosassone di Beda) del cosiddetto Nennio, ripreso poi da Goffredo di Monmouth.
E’ interessante notare, infine, che le Genealogie gallesi riportano, per lo stesso periodo in cui visse Artorius Castus e in cui Beda colloca re Lucius, un sovrano dal nome “Ritigern”, che significa in cimrico “Capo dei re”. Ritigern è considerato un antenato di Coel Hen, e quest’ultimo è considerato un antenato dell’Arthwys vissuto fra V e VI secolo, secondo le genealogie gallesi.”
“Statua equestre di marco Aurelio in Campidoglio a Roma – foto G Pavat 2015”
ARRIVANO I SARMATI
Altra fonte di ispirazione della leggenda arturiana sembrano essere stati i sarmati; possenti cavalieri provenienti dall’est europeo, al comando dei quali, in Britannia, vi era proprio il nostro Castus. I loro miti, le loro tradizioni sono straordinariamente simili a quelli del ciclo arturiano, in particolare la saga dei Nart e dell’eroe Batraz. Troviamo, ad esempio, il tema della spada magica che l’eroe morente fa gettare nell’acqua, i Sarmati adoravano un dio della guerra simboleggiato da una spada conficcata in un altare di legno (**), l’animale totemico dei Sarmati era il”Draco” divenuto poi il simbolo della cavalleria romana.
Possiamo collegare questo simbolo ai racconti su Artù, figlio di Uther Pendragon, dall’elmo ricoperto da una cresta di drago.
5500 Sarmati furono inviati dai Romani in Britannia al tempo di Marco Aurelio. Artorius Castus ebbe certamente un ruolo di comando sulla cavalleria britannica in un periodo immediatamente successivo allo stanziamento dei Sarmati in Britannia, e quindi fu effettivamente il primo, o uno dei primi, comandanti della “Ala Sarmatarum”, che ancora nel tardo IV secolo sussisteva con il nome di “Cuneus Sarmatarum”.
Potevano mancare un riferimento al Graal e alla Tavola Rotonda? Una magica coppa (Nartamongae) e una tavola di forma circolare compaiono anche nella saga degli eroici Nart.
Nel mito delle origini degli Sciti (predecessori ed affini di Sarmati e Alani) troviamo una coppa divina che, caduta dal cielo, aveva attribuito a Colaxais (uno dei tre capostipiti degli Sciti, il diritto ad essere re. La coppa, chiamata Nartamongae, si riempie da sola una volta svuotata e può avvicinarsi solo alle labbra del più coraggioso degli eroi e ha il potere di identificare chi dice la verità.
Solo Batraz la meriterà. Troviamo poi, sempre nella saga dei Nart, una sorta di castello del Graal con all’interno una tavola, un piatto d’oro e una scritta sulla porta:”Qui è dove regna la bontà, ma non è possibile entrare”.
Si racconta che i Nart dopo attività marziali e cavallerizze, alle quali si dedicavano con assiduità, amassero danzare sul bordo di una tavola rotonda facendo attenzione a non far cadere una coppa, riempita con una bevanda, posta al centro della tavola stessa.
“Re Artù e i cavalieri della Tavola Rotonda in un miniatura del XIV secolo”
Goffredo di Monmouth potrebbe essere stato al corrente delle imprese mitizzate, atemporali di Castus? E chi le trasmise? I popoli che vivevano a ridosso del Vallo di Adriano. Cito i Novantae, i Selgovae, i Damnoni e i Votadini si fusero sicuramente con i Sarmati Una delle prime menzioni di Artù, riferito all’ormai mitico personaggio, lo ritroviamo in un poema che cantava le lodi di un popolo guerriero, il “Gododdin”. “Affrontava trecento guerrieri scelti, colpiva nel centro e sui confini, era il migliore nell’avanguardia dei capi,donava cavalli dai branchi dell’inverno. Nutriva i corvi dai bastioni della rocca, anche se non era Arthur.”
I Votadini, o almeno una parte di essi, si spostarono nel Gallese sotto la guida di Cunedda, dando origine alla casa reale di Gwynedd. E’ quindi facilmente ipotizzabile che le gesta di Artorius ‘tradotte’ in lingua cimrica divennero la base dell’epopea di Artù magari con ‘l’aggiunta’ di racconti riguardanti capi locali che portavano lo stesso nome ‘storpiato’ parzialmente nella trascrizione e nella pronuncia, vedasi ad esempio Arthwys ap Mor, re di Elmet nei monti Pennini, che visse, guarda caso, proprio nel periodo in cui tradizionalmente si collocano le imprese di Artù.
Quindi rivediamo gli “indizi” che ci portano a considerare seriamente Castus come la “fonte” del mito Arturiano:
1) Artorius ebbe un ruolo di comando in Britannia, forse sull’intera provincia romana in assenza del governatore, e condusse una spedizione vittoriosa in Gallia, così come attribuito ad Artù;
2) Pur non avendo riscontri circa la conoscenza o meno da parte di Goffredo della epigrafe dalmata, sorprende, come suggeritomi da Antonio Trinchese, che le lettere PROVIN]CIAE LIBURNIE IURE GLADII, presenti nell’iscrizione, coincidano in buona parte con “CALIBURNO GLADIO OPTIMO” ovvero con l’espressione utilizzata da Goffredo per descrivere la spada di Artù. Da sottolineare che Goffredo era un benedettino, e i benedettini erano ben presenti in Dalmazia, a buon intenditor…
3) Truppe ausiliarie nella Britannia romana venivano anche dalla Dalmazia, dove Castus aveva concluso la sua carriera come governatore della Liburnia. Possiamo anche qui ipotizzare seriamente che Sarmati e Dalmati potrebbero aver perpetuato il ricordo delle imprese di Artorius.
4) Le imprese di Artorius in terra britannica raggiungono il loro apice nelle famose dodici battaglie combattute dal mitico sovrano britannico, comparate dalla studiosa Linda Malcor con altrettante battaglie che videro impegnati Castus e suoi Sarmati contro gli invasori Caledoni. L’ultima avvenne a Dumbarton Rock, nello Strathclyde, che coinciderebbe con la vittoria dell’Artù leggendario a Monte Badon.
5) Artorius, sempre secondo la Malcor, sarebbe stato ferito a morte nella sua ultima battaglia combattuta, a fianco di Settimio Severo contro Clodio Albino (***) in terra francese e più precisamente a Lugdunum (Lione). Trasportato in barca sul fiume Rodano, Castus venne successivamente, in nave, portato in Dalmaza verso il luogo del suo sepolcro.
“Il “Chalice well” ovvero il “Pozzo del Calice” a Glastonbury in Inghilterra , località che secondo diversi studiosi sarebbe da identificare con la mitica Avalon di Re artù”
Ancora un piccolo particolare ricordato da Antonio Trinchese:
”Riguardo all’ultimo viaggio di Artù e a quello di Artorius, per arrivare in nave alla costa dalmata dove si trovano i resti della tomba di Artorius è necessario passare nei pressi di una piccola isola fatta di rocce magnetiche, il cui nome, Jabuka in croato o Pomo in italiano, ha la stessa radice di “Avalon” o “Insula Pomorum”, ultima destinazione di Artù”.
E il mago dei maghi, ovvero Merlino come entra nella ricostruzione storica Artorius/Sarmati? Chiesi in proposito ad Antonio Trinchese se la sua figura potrebbe essere stata ispirata a quella di uno sciamano sarmata.
“Penso di sì, anche se sicuramente atre influenze hanno determinato il delinearsi di questa figura spesso vista come un “uomo dei boschi”; penso al druidismo e ai miti greco-romani, come quello del dio Pan”.
Per alcuni popoli di Britannia Artorius fu visto probabilmente come il “restitutor”, un difensore e unificatore del paese. Castus, seppur considerato dagli scrittori romani un personaggio minore, rivestì un ruolo importante per i Sarmati e per alcuni popoli britannici che disponevano di una solida tradizione orale in mancanza di storici che potessero mettere “nero su bianco” le reali gesta di questo “dux bellorum”. Sconfisse gli invasori e per primo condusse vittoriosamente gli eserciti dell’isola sul continente, passando cosi’ dalla storia alla leggenda.
(Osvaldo Carigi)
Se non altrimenti specificato, i contributi iconografici sono di Osvaldo Carigi.
“Fortificazione romana a Maiden Castle in Gran Bretagna”