Immagine di apertura; Arcinazzo Romano (RM) il professor Domenico Rotundo riceve il Premio Nazionale Cronache del Mistero edizione 2014 ( foto archivio ilpuntosulmistero)
Oggi, 13 dicembre, giorno di Santa Lucia, giorno della Luce, è tornato alla Luce senza fine del Padre, il professor Domenico Rotundo. Calabrese di origine ma ciociaro d’adozione, lavorava e viveva a Veroli (FR). Insigne studioso e scrittore, ha dedicato tutta la vita non solo all’insegnamento ma anche allo studio e all’indagine degli enigmi della Storia, dell’Arte e del Sacro.
Vogliamo ricordarlo con un breve scritto di Giancarlo Pavat.
2. Immagine sopra; il professor Domenico Rotundo viene premiato anche al Castello di Ceccano nell’edizione 2017 del Premio Nazionale Cronache del Mistero (foto Tommaso Pellegrini)
IN RICORDO DEL PROFESSOR DOMENICO ROTUNDO
Conobbi per la prima volta il professor Domenico Rotundo diversi anni fa, non di persona ma tramite i suoi lavori. All’epoca, coltivando la mia datata passione per gli enigmi della Storia ed in particolare di quella medievale ed avendo avuto un felice incontro, per motivi affettivi, con le terre del Basso Lazio, decisi di approfondire la tematica della presenza in quell’area del famoso (o famigerato) Ordine dei Cavalieri Templari.
Ebbene, nel mare magnum della pubblicistica e saggistica dedicata alla Storia del Tempio, costituito per la stragrande maggioranza o da testi accademici di indubitabile valore ma che continuavano (e continuano) a riproporre sempre i medesimi cliché, oppure da libri che non è azzardato definire (con un eufemismo) pura spazzatura, ebbi la piacevole sorpresa di scoprire alcune opere del professor Rotundo.
Le notai in quanto si discostavano da tutto il resto non solo per l’incredibile erudizione dell’autore ma soprattutto per l’approccio completamente innovativo alla tematica.
Il professor Rotundo non si limitava ad enumerare date e dati storici, certamente importanti per la conoscenza della vera storia dell’Ordine forse più misterioso di quelli che si sono affacciati alla ribalta del palcoscenico dell’Umanità, ma andava oltre.
Approfondiva dicerie, tradizioni locali, raffigurazioni artistiche, simboli, leggende, miti. Cercava i Templari anche dove nessuno si sarebbe mai sognato di fare. E non perché, come ha scritto qualcuno, “i Templari c’entrano sempre”, o come ha detto qualcun altro “I Templari sono dappertutto”. Rotundo era profondamente convinto che la mappa, la geografia “templare”, non fosse quella presentata (e spesso inculcata) da scritti ormai datati o da una certa “cultura ufficiale”.
Inoltre, Rotundo sfoggiava la granitica convinzione che, non solo c’era ancora moltissimo da riportare alla luce in merito alla storia dell’Ordine, ma che molto di ciò che veniva dato per assodato, per certo, per indubitabile, non era altro che la sedimentazione di versioni “addomesticate” di avvenimenti storici. Una vera e propria disinformazione che aveva radici lontane, addirittura sin dall’inizio della persecuzione dell’Ordine da parte del re di Francia Filippo il Bello, il re falsario, e dal suo complice Clemente V, il “Pastor sanza legge”, come ebbe modo di definirlo un suo contemporaneo, il sommo poeta Dante Alighieri.
Ed è stato anche questo convincimento, ovvero che ci fosse tanto altro da scoprire, che mi ha spinto ad indagare (e poi a scrivere libri) per lunghi anni in giro il Basso Lazio, in quella che un tempo era la provincia di Campagna e Marittima ed oltre i confini con il “Regno del Sud”. Una ricerca sul campo, tra chiese, castelli, borghi medievali, rovine abbandonate dall’Uomo e ricoperte di vegetazione, e pure all’interno di archivi, biblioteche pubbliche e private, ovunque ci potesse essere una traccia, un indizio. E molte volte a mettermi sulla pista giusta è stato proprio qualche particolare, qualche notizia, scovata e proposta da Rotundo nei suoi libri.
Ecco perché, ogni volta che Domenico Rotundo consegnava alle stampe un suo nuovo lavoro, non vedevo l’ora di leggerlo. Convinto che non solo vi avrei trovato una messe di notizie inedite e di clamorose intuizioni e scoperte ma pure stimolanti spunti per nuove ricerche e indagini.
Poi, anni dopo, ebbi modo di conoscere di persona il professor Rotundo, di apprezzarne non solo l’immensa cultura ma pure la gentilezza e generosità.
Generosità anche nei confronti della sua terra d’adozione; la Ciociaria. Rotundo (come il sottoscritto, d’altronde) non era ciociaro. Calabrese di Reggio, pur continuando ad amare la propria terra di nascita (e lo dimostrano i diversi libri dedicati ai misteri della Calabria) era riuscito a privare il medesimo sentimento anche per il Basso Lazio, coniugandolo con una incessante opera di ricerca della Verità, e di rivalutazione culturale di un territorio (la Ciociaria, appunto), troppo spesso sottovalutato, oltraggiato, denigrato e, purtroppo, molto spesso proprio dai suoi abitanti.
E questo amore sconfinato e profondo per la Conoscenza di queste due sue patrie, la Calabria e la Ciociaria, Rotundo è riuscito a trasmetterlo nei e con i suoi scritti.
Anche per questo gli avevamo tributato dei riconoscimenti durante eventi organizzati anche dal nostro sito www.ilpuntosulmistero.it e l’avevamo invitato a convegni sui misteri del territorio ciociaro.
La sua presenza e I suoi interventi alle conferenze sono sempre stati qualcosa di raro e prezioso.
Personalmente mi rimangono due grandi rammarichi. Non aver potuto, lo scorso autunno, per motivi di carattere famigliare, partecipare come relatore alla presentazione del suo ultimo libro e non essere riuscito a svolgere con lui una programmata ricerca per mettere una volta per tutte (in un senso o nell’altro) la parola fine alla diceria (o leggenda) sulla tomba di un certo, importantissimo personaggio storico che si troverebbe nell’abbazia di Casamari.
Ora che è nella Luce senza fine, al cospetto della Verità Superna e, con tutta probabilità, conosce la soluzione ai tanti misteri, lo vogliamo immaginare, con il suo sorriso pacato, osservarci mentre ci affanniamo nelle ricerche. Seguendo il suo esempio e la sua lezione più grande. Ovvero che lo scopo della “cerca” non è il raggiungimento dell’obiettivo ma la “cerca” stessa. Come forma di maturazione sapienzale e spirituale. Che serve a ricordarci che a nonp fummo fatti “per viver come bruti, ma per cercar virtute e canoscenza”.
E anche per questo dobbiamo esserne tutti grati al professor Domenico Rotundo.
(Giancarlo Pavat)