Per prima cosa desideriamo avvertire le persone impressionabili di non proseguire nella lettura di questo articolo e ci scusiamo con quanti potrebbero sentirsi offesi nella propria Fede Cristiana (non è assolutamente nostra intenzione farlo).
Ma quello di cui parla il ricercatore e studioso Domenico Pelino è un manufatto che francamente noi riteniamo non abbia nulla a che fare con al Fede e la religione.
Pelino, infatti, ci guida a conoscere un’icona sacra poco nota (e si comprende il motivo!) e a dir poco sconvolgente.
Dire che è di pessimo gusto è decisamente riduttivo. La “Pietas”, che dovrebbe esistere a prescindere dal Credo di ciascuna persona, vorrebbe che venisse data ben altra collocazione, anzi decorosa sepoltura al manufatto. E non certamente l’esposizione in un luogo sacro.
Pelino, nello scrivere il proprio articolo, tra l’altro molto interessante, si è mantenuto molto cauto, senza cadere nel sensazionalismo (sarebbe stato facilissimo) e senza stigmatizzare giudizi o condanne.
Ha voluto fare informazione. Portare a conoscenza di un pubblico più vasto l’esistenza di questo manufatto, lasciando ad ogniuno di noi la facoltà e la libertà di trarre le proprie conclusioni.
(La Redazione)
IL CROCIFISSO IN PELLE UMANA DI FARA IN SABINA (RI)
di Domenico Pelino.
Nel reatino, arroccato su di un colle troviamo Fara in Sabina, La prima parte del nome si riferisce ad un termine longobardo “fara” che si lega al germanico “faran” (andare, “fahren” in tedesco moderno).
Questo termine con il tempo assunse il significato di “spedizione militare” poi di “insediamento militare” quindi di “insediamento demografico”. La specifica si riferisce ad un nome di popolo: i Sabini. Infatti Tra il IX e il VI secolo a.C. nella località di Santa Maria in Arci si era stabilito un insediamento sabino, identificato con la città di Cures, che continuò a vivere in età romana (resti di terme e di un piccolo teatro e necropoli).
Il territorio era sfruttato dal punto di vista agricolo con una fitta rete di ville, costruite su terrazzamenti in opera poligonale nel II secolo a.C. e in opera quasi reticolata nel I secolo a.C.
Le origini dell’attuale abitato sembrano risalire ad epoca longobarda, alla fine del VI secolo d.C.. Visitando questa cittadina e percorrendo di sera gli stretti vicoli fatti di odori, di profumi, di vita, di morte, di silenzi, si viene sbalzati nel medioevo: un vero tuffo nel passato.
Fara in Sabina è suddivisa in 10 Frazioni: Borgo Quinzio, Canneto, Coltodino, Corese Terra, Farfa, Montegrottone, Passo Corese, Pomonte, Prime Case, Talocci e sommando i loro abitanti si arriva a circa 13.000 anime.
In località Canneto si trova quello che è ritenuto essere il più grande ulivo d’Europa che una leggenda vuole piantato dal re di Roma Numa Pompilio!
Ma la particolarità di questo paese è all’interno della Collegiata di Sant’Antonino Martire, chiesa conosciuta anche come Duomo di Fara in Sabina.
Luogo di culto edificato nel duecento sui resti della piccolissima Chiesa di Santa Maria in Castello. L’esterno della chiesa è caratterizzato da un portale in stile classico sovrastato da una maestosa torre campanaria. All’interno, oltre ai dipinti del Manenti, nel primo altare a destra c’è un crocefisso del XVI secolo, forse di provenienza orientale, ricoperto di…. pelle umana consunta…. !!!!!!
Esami scientifici hanno confermato che il Crocifisso è effettivamente rivestito di pelle umana. Le dimensioni sono naturali, la struttura è in legno e stoppa. Qualcosa di analogo sembra si trovi anche in una chiesa di Praga.
Tornando al Crocifisso di Fara in Sabina, anche i capelli, o meglio lo scalpo, sono veri e le gambe, di fatto , sono impagliate.
La pelle utilizzata per lo sconcertante pezzo d’artigianato si pensa provenga da un condannato (o da più condannati) alla pena capitale.
Comunque le origini del Crocefisso rimangono oscure, forse dopo il 1600 e, credendo di far cosa buona e giusta, per evitare il deterioramento della pelle umana usata o per nascondere le visibili nudita’ del Cristo, … si vernicio’ di bianco quella pelle (!!!).
E’ di circa un lustro fà la curiosa notizia di un libro risalente al XVII secolo rilegato in pelle umana. La vittima è padre Henry Garnet, un gesuita impiccato il 16 maggio del 1606 a Doncaster in Inghilterra con l’accusa di aver partecipato al “complotto delle polveri”. Una congiura (oggi si direbbe “golpe”) ordita dal cattolico Guy Fawkes, che il 5 novembre del 1605 aveva cercato di far saltare in aria il Parlamento inglese e uccidere il protestante King James I.
Dopo morte il gesuita pare sia stato scuoiato e la sua pelle utilizzata dagli artigiani locali. Sulla copertina sembra apparire un volto barbuto che non pochi sostengono sia l’immagine dello stesso Garnet. Il libro tratta la vicenda della cospirazione ed il tradimento attuato dai congiurati e fu battuto all’asta a Doncaster, nel sud Yorkshire per 5.400 sterline (circa 7.600 euro).
In frazione Farfa si trova la bellissima Abbazia di Farfa, uno dei maggiori centri del potere religioso in epoca medievale, appartenente all’ordine dei Benedettini. Il monastero, che nel Medioevo fu tra i più potenti del Centro Italia, è un complesso di edifici di varie epoche, con una chiesa del Quattrocento sorta sulle fondamenta di altre più antiche e di resti romani. Nel nono secolo, dopo anni di attacchi, era caduta nelle mani dei saraceni che ne fecero base di scorrerie. Conobbe successivamente un periodo di eccezionale opulenza diventando l’avamposto ghibellino a breve distanza da Roma.
ià prima del Mille nei mesi di aprile e di settembre vi si svolgeva la più antica fiera italiana che richiamava mercanti di mezza Italia ed è, in qualche modo, tuttora in funzione.
Degli edifici abbaziali destano particolare interesse, la facciata della chiesa nella quale sono incastonate precedenti raffigurazioni marmoree, il grande affresco fiammingo del giudizio universale sul lato interno della facciata, la scultura longobarda-carolingia con i simboli degli evangelisti usata per leggio, il bel sarcofago romano del secondo secolo e l’icona della Madonna con il Bambino attribuita a san Luca, che sarebbe stata portata in Italia da San Tommaso di Morienna (o di Morienne) nel VII secolo.