Non-morti a Venezia…
UNA VAMPIRA SUL CANAL GRANDE?
di Roberto Volterri
Chissà? Forse sì, forse no…
Ma che così fosse stato identificato nel XVII secolo uno strano cadavere ne è fermamente convinto l’antropologo forense dottor Matteo Borrini.
E ai suoi studi, ai risultati delle sue indagini in situ dobbiamo rivolgerci per far cenno a un possibile caso di sospetto ‘vampirismo’ ai tempi della peste che imperversava nella bella città lagunare sia nel 1575-1577 sia tra il 1630 e il 1631.
Tra il 2006 e il 2008 il dottor Borrini ha condotto interessanti scavi archeologici nel cimitero dell’isola del Lazzaretto Nuovo, a Venezia, riportando alla luce lo scheletro di una donna che mostrava la inequivocabile presenza di un mattone posto nella bocca al tempo in cui ella passò a miglior vita.
Così, dal dottor Matteo Borrini, è stato rinvenuto il cranio di una donna morta di peste a Venezia a metà del XVII secolo. Il mattone le avrebbe impedito di continuare la sua esistenza di non-morta, di ‘vampira’.
All’epoca, spinsero il mattone con forza, spaccandogli denti e mascelle, in modo che non potesse più cibarsi dei cadaveri degli altri sfortunati mortali ai quali avrebbe trasmesso il morbo della peste.
In definitiva la povera sventurata sarebbe stata indicata come un Nachzehrer (da nacht, notte e zehrer, divoratore), ovvero come un ‘Divoratore della Notte’, un non-morto, un ‘vampiro’, soprattutto secondo un’accezione diffusa in Bavaria.
La peste e le tragedie ad essa connesse è stata raffigurata anche in splendide opere d’arte. Questo è Antonio Zanchi, “Peste del 1630 a Venezia”.
Ma è in Polonia che il Nachzehrer viene visto come un vero e proprio non-morto incompleto, un essere non più umano e ancora non del tutto ‘vampiro’.
Egli ‘vivrebbe’ in una sorta di perenne torpore, all’interno della sua tomba, continuando a masticare incessantemente il proprio sudario, ma anche parti del suo corpo, le mani, le labbra.
Poiché anche nell’inesistente regno dei non-morti ‘necessità fa virtù’, il nostro affamato vampiro cercherebbe di variare il vitto succhiando il sangue, il fluido vitale, l’energia dagli esseri umani che si trovino disgraziatamente vicini alla sua tomba.
‘Rifocillatosi’ abbastanza emetterebbe un grido per forza di cose… inumano che dovrebbe servire da monito per chi osi minacciare la sua non-esistenza.
In tempi di peste dilagante come quella che colpì la città lagunare intorno al 1630, il Nachzehrer veniva incolpato di diffondere ad arte il terribile morbo, mentre il suo sudario veniva considerato come una sorta di ‘amuleto’ in grado di guarire dalle malattie più varie.
Come fermarlo? Come evitare che continui incessantemente a diffondere la peste in modo da avere sempre a disposizione dei cadaveri ‘freschi’ di cui nutrirsi?
I ‘sacri testi’ di allora suggeriscono di bloccare per sempre le sue mascelle con un mattone – come verosimilmente sarebbe avvenuto con il corpo rinvenuto dal dottor Borrini – oppure di tagliargli con decisione la testa e bollirla nell’aceto.
Ma come riconoscere un Nachzehrer da un qualsiasi cadavere rapito alla vita dal terribile batterio Yersinia pestis?
“ Secondo le testimonianze dell’epoca, e che si riferiscono anche alle conoscenze dei secoli precedenti – ha spiegato il dottor Borrini – una prova di aver intercettato la sepoltura di un vampiro era il cadavere intatto e il sudario masticato e consunto a livello della sua bocca”.
Yersinia pestis vista al microscopio ottico, in falsi colori
“Altra fondamentale caratteristica – continua il dottor Borrini – che è alla base del termine vampiro era la presenza nel ventre rigonfio del cadavere di sangue liquido che fuoriusciva quando si trafiggeva il non-morto con una spada o con il più classico paletto, prova delle scorrerie ematofaghe del vampiro…”
Naturalmente apparvero subito ponderosi tomi – alcuni già citati nelle pagine precedenti – tra i quali spiccava il dottissimo studio di Philip Rohr, intitolato ‘Dissertatio historico-philosophica de masticatione mortuorum’, in cui egli afferma senza alcuna perplessità che il ‘vampiro’, il Nachzehrer, masticando il suo sudario provoca terrificanti rumori, del tutto simili a grugniti.
‘Dissertatio historico-philosophica de masticatione mortuorum’, ovviamente un perfetto “”livre de chevet” dei cacciatori di Vampiri!
Gli fa subito eco Michael Ranfitus, qualche decennio più tardi, il quale avanza una teoria un po’ più ‘razionale’, affermando che eventuali rumori provenienti dalle tombe possano ascriversi a ratti in cerca di cibo e, successivamente, causa di ulteriore diffusione delle epidemie.
Ma come spiegare alcuni casi in cui sembra proprio che il cosiddetto non-morto non abbia subito i naturali processi putrefattivi?
Il dottor Borrini e vari testi di tanatologia ci aiutano precisando che i corpi descritti come ‘non decomposti’ si trovavano in realtà in una fase intermedia del processo, definito ‘stadio enfisematoso’, che inizia pochissimi giorni dopo la morte in ambiente caldo, un po’ più tardi in ambiente freddo.
In pratica, l’idrogeno solforato generato da batteri anaerobi gasogeni si diffonde nell’intestino, sotto la cute, nelle cavità interne e nei visceri, gonfiando il cadavere che assume così un aspetto quasi gigantesco.
Inoltre, se forato – durante un rito che farebbe invidia al dottor Van Helsing di stokeriana memoria! – il ventre del cadavere lascia uscire dei liquami che possono essere interpretati come il ‘pasto del non-morto’.
Attrezzatura completa del perfetto ‘cacciatore di vampiri’ alla Van Helsing! Martello, paletto, crocifisso, ostie consacrate…
La pressione esercitata dai gas provoca anche lo spostamento del sangue – un fenomeno definito circolazione post mortem passiva – con conseguente… sanguinamento delle ferite e altri fenomeni che possono far pensare alla presenza di un individuo ‘vivo’, ad un ‘vampiro’. Per inciso, sono proprio tali gas – l’idrogeno solforato, molto infiammabile – a dare origine ai cosiddetti fuochi fatui che tanto terrore hanno causato in chi si è trovato di notte nelle vicinanze di un cimitero…
I fuochi fatui a volte visibili in prossimità di un cimitero o di una zona paludosa sono imputabili all’infiammabile idrogeno solforato generato da fenomeni putrefattivi.
Nello stadio enfisematoso, il fenomeno dell’epidermolisi causa anche una sorta di ‘scollamento’ della cute delle mani e dei piedi, facendo credere che sotto si sia generata una pelle ‘nuova’ e che siano ricresciute le unghie.
Borrini demolisce anche le teorie di Rohr in base alle quali il non-morto potrebbe sul serio mangiare il proprio sudario
“… Anche l’idea che il Nachzehrer stesse masticando il proprio sudario nasce da reali constatazioni, interpretate però senza le necessarie conoscenze medico-legali: i gas che fuoriescono dal cadavere possono infatti inumidire il tessuto, che sprofonda così nella bocca e qui deteriorarsi e bucarsi per l’azione dei liquidi corporei…”.
Insomma, nonostante la scoperta dello scheletro di donna…‘vampiro’ sia particolarmente affascinante, il dottor Borrini fa piazza pulita di tutte le medievali e rinascimentali credenze sui ‘vampiri’ sostenendo a spada tratta che
“… Verosimilmente fu questo che accadde al Lazzaretto Nuovo: durante lo scavo per la deposizione di una nuova vittima della pestilenza, i necrofori intercettarono un corpo integro, almeno a loro modo di vedere, con il sudario consumato a livello della bocca. Così, individuato il Nachzehrer forse responsabile dell’epidemia, lo neutralizzarono sostituendo il sudario con un mattone.”.
Che la nostra ignota ‘vampira’ requiescat in pace!
In Umbria, a Lugnano in Teverina, una villa del V secolo è stato trovato il cranio di un bambino con la solita pietra posta tra i denti. Forse un rito apotropaico contro la malaria…
QUANTO PESA QUESTA LAPIDE!
Trani (Puglia), anno 2001.
L’archeologa dottoressa Ada Riccardi riporta alla luce alcune strane sepolture nell’area degli scavi di Capo Colonna.
Sotto delle pesantissime pietre giacciono tre individui, in posizione prona, quasi schiacciati proprio dal pesante lastrone di pietra grezza posto sulle loro spalle.
Nulla di strano, a prima vista…
Ma qualcosa è invece emerso dalle indagini di carattere medico-antropologico sui reperti ossei svolte da Vito Scattarella, Professore Associato di Antropologia presso il Dipartimento di Zoologia dell’Università di Bari e dal dottor Sandro Sublimi Saponetti, docente di Paleontologia umana presso lo stesso Ateneo. Le analisi hanno permesso di appurare che si tratta di due individui adulti, di età compresa tra i venti e i quaranta anni inumati, con una sorta di strano rituale, insieme ad un ragazzo in età puberale. Ne è nata la loro pubblicazione scientifica dal titolo:
“Probabili pratiche necrofobiche in tombe della prima età del Ferro (IX-VIII sec. a.C.) a Capo Colonna (Trani, Bari). XV Congresso degli Antropologi Italiani, 171, Chieti 28-30 settembre 2003. In collaborazione con Scattarella V. “
Quel che ai due specialisti è apparso strano è inoltre la totale assenza di lesioni traumatiche…
Forse i tre individui sono stati posti sotto lastroni di pietra particolarmente pesanti affinché non potessero tornare mai più ‘in vita’? Forse tale inconsueto rituale appartiene veramente ad una diffusa pratica ‘necrofobica’ originata da qualche sinistra peculiarità dei tre defunti?
Non è solo un’ipotesi avanzata dal Dr. Roberto Volterri, poiché gli esami svolti sui corpi rinvenuti hanno permesso ai due studiosi pugliesi di accertare che si trattava di soggetti considerati come una sorta di paria, di reietti che non hanno meritato una più degna sepoltura ma che non sono neppure stati gettati in mare o lasciati insepolti.
I loro corpi sono stati prima coperti dalla terra e poi sigillati sotto massicce pietre, per l’eternità (o quasi…).
Forse erano individui affetti da qualche patologia – Porfirìa, ad esempio… – che poteva ingenerare ‘orrore’ nella comunità in cui vivevano e che quindi dovevano essere cancellati per sempre dal ricordo della comunità stessa, impedendo loro di tornare dall’Oltretomba?
D’altra parte, in passato, anche l’archeologa greca Anastasia Tsaliki aveva messo in luce l’esistenza di analoghi rituali funebri in epoca neolitica ma anche in epoche più recenti.
Accanto alle tradizionali espressioni del pensiero religioso, non possiamo non considerare che esistono anche forme più ancestrali in cui – fin dal più lontano passato – si è manifestata una sorta di ‘necrofobia’ volta ad impedire al cadavere di tornare tra i vivi per arrecare nuovi danni e ulteriore terrore.
Decapitare il cadavere, seppellirlo sotto pesantissime pietre o infiggere dei grossi chiodi di ferro nel loro cranio fa parte di queste pratiche, come evidenziato, ad esempio, da scavi archeologici effettuati a Baggiovara di Modena.
HO IN TESTA UN CHIODO FISSO!
Mentre alcuni studiosi interpretano l’infissione di grossi chiodi nel cranio come una sorta di (improbabile) colpo di grazia, altri pensano ad una ritualità legata al tentativo di ‘inchiodare’ letteralmente il morto alla terra, di rendere impossibile al suo ‘spirito’ il tornare tra i suoi simili. Ma potrebbe essere interpretato anche come un tentativo ‘magico’ di ‘inchiodare’ alla sepoltura l’eventuale malattia che ha portato il defunto alla sua ultima dimora…
Chiodo di ferro infisso nel cranio..
La professoressa Maria Giovanna Belcastro, docente di Antropologia fisica presso l’Università di Bologna, commenta così alcune delle strane sepolture rinvenute soprattutto nei pressi della Stazione ferroviaria della città emiliana…
“Hanno caratteristiche sconosciute nel mondo romano. C’è un cadavere col chiodo infisso all’apice del cranio, altri che hanno cavicchi piantati nell’occhio, in testa e nell’orecchio destro. Altri ancora che sono stati mutilati col taglio dei piedi. L’idea più probabile è che si volesse impedire i ritorno di questi individui. È però del tutto fuori luogo parlare di vampiri visto che di essi ci sono testimonianze solo a partire dal Cinquecento… Sembra che queste persone avessero da scontare una colpa… Certamente, chi ha sepolto queste persone era animato dalla volontà di isolarle, separarle per sempre dalla comunità.”
In alcuni casi l’estremità dei chiodi appare come ritorta, forse simbolo del fatto che esso non dovrà mai più essere utilizzato oppure effetto dell’infissione del chiodo stesso su una tavola di legno – poi dissoltasi nel tempo – in cui poteva essere stato scritto l’Anatema, la formula della defixio che avrebbe impedito per sempre al cadavere di diventare un ‘revenant’, ovvero una sorta di ‘vampiro’.
In terra di Cornovaglia – per concludere questo breve excursus tra le ‘sepolture anomale’ – i suicidi venivano inumati agli incroci delle strade in modo tale da confondere loro le idee nel caso si fossero ‘risvegliati’. E – in certi casi non si sa mai! – spesso i loro corpi venivano inchiodati al terreno tramite una lancia.
Saxo Gramaticus – cronista medievale – nella sua opera Historia Danorum attesta che per evitare la vendetta di un uomo defunto a causa della peste
“…riesumarono il cadavere, lo decapitarono e gli trafissero il petto con un bastone acuminato; così la gente risolse il problema…”
(Roberto Volterri- docente universitario, archeologo sperimentale, scrittore)
Roberto Volterri, durante una sua ricognizione in Romania per esplorare la terra dei “Vampiri”, accanto al ritratto del terribile Vlad Tepeş, lo storico Voivoda di Valacchia che ispirò il vampiro letterario “Dracula”.
Scheletro acefalo – a scopo rituale – rinvenuto nella necropoli di Baggiovara di Modena. E anche stato privato dei piedi – affinché non potesse più ‘camminare’ – e del braccio destro, con cui forse aveva fatto del male.
– Le immagini sono state fornite dall’autore.
P.S. Nell’immagine di apertura non è stato immortalato un vampiro veneziano ma un adorabile gatto.