ALLA SCOPERTA DEI COCCODRILLI D’ITALIA! di Giancarlo Pavat

Immagine di apertura; a dx il Santuario di San Michele Extra, frazione di Verona (posta nella parte orientale della città scaligera) e, a sx, il coccodrillo impagliato conservato in una stanza della sacrestia. (foto Giancarlo Pavat).

 

Campania, Lazio, Lombardia, Veneto, Marche, Liguria, Sicilia.

ALLA SCOPERTA DEI COCCODRILLI D’ITALIA

di Giancarlo Pavat

 

 

Dopo aver sconfitto e ucciso il re Manfredi di Svevia (figlio del grande imperatore Federico II, lo “Stupor mundi”) nella battaglia di Benevento (26 febbraio 1266) ed usurpato il Trono di Sicilia, Carlo d’Angiò spostò la capitale da Palermo a Napoli. Per meglio controllare la città e ribadire chi fosse il nuovo padrone, fece costruire un nuovo castello che doveva andare ad affiancarsi ai più antichi Castel dell’Ovo e a Castel Capuano e che non doveva essere una mera fortezza ma pure la reggia della dinastia d’Oltralpe. Prese il nome di Castel Nuovo e oggi tutto il Mondo lo conosce come “Maschio Angioino”.

2. Immagine sopra; il “Castel Nuovo” o “Maschio Angioino” raffigurato nella celebre “Tavola Strozzi”. “Si tratta di una tempera su tela (82×245) raffigurante una delle più antiche (probabilmente la prima in assoluto) vedute di Napoli e del suo porto. Si notano, tra l’altro, Castel Capuano, Castel Nuovo, San Domenico Maggiore, la Certosa di San Martino e Santa Chiara. Oggi conservata nel Museo della Certosa di San Martino, venne scoperta nel 1904 a Palazzo Strozzi (da cui il nome del quadro) a Firenze. Ne parlò pure Benedetto Croce (1866-1952) che vi vide la rappresentazione del corteo trionfale navale con cui venne accolto nel 1479 Lorenzo il Magnifico, recatosi a Napoli per stipulare il trattato di pace con il sovrano Ferrante d’Aragona. Capolavoro diplomatico concretizzatosi anche per merito di Filippo Strozzi (1428-1491). In realtà, studi successivi (ad esempio di Vittorio Spinazzola e Wilhelm Rolfs) hanno dimostrato (ed è l’interpretazione ormai accettata da tutti gli storici dell’arte) che si tratta del ritorno in porto della flotta aragonese reduce dalla vittoria navale presso l’Isola d’Ischia contro il pretendente al trono di Napoli Giovanni d’Angiò, avvenuta il 7 luglio del 1465. È ormai certo che si tratta comunque di un dono proprio di Filippo Strozzi al Re Ferrante. Sia la data di esecuzione che l’autore sono ignoti. Sui manuali la si fa risalire al 1472 oppure al 1473 (a maggior ragione, quindi, non può rappresentare l’arrivo del “Magnifico”). Ma certe particolarità stilistiche e soprattutto la forma caratteristica del “Molo Grande” di Napoli, che sembra rappresentare una ”L” fusa assieme ad una “V”, identificate come una sigla di Leonardo, hanno spinto alcuni studiosi ad attribuirgliela. […] È’ davvero la “firma” di Leonardo? Se accertata costituirebbe la prova di un viaggio a Napoli, sconosciuto ai biografi. Perché è acclarato che l’autore (forse più di uno) hanno ritratto dal vero la città ed il porto. […] Un interessante ed innovativo studio di Roberto Taito (pubblicato sul sitowww.tavolastrozzi.it), pur non arrivando a confermare la paternità leonardesca (ma non è questo il suo intento), ha dimostrato che la celebre veduta è stata ripresa dalla Lanterna che svetta sul gomito del “Molo Grande”. Costruita nel 1481, la Lanterna non compare nella Tavola in quanto, come spiega lo stesso Taito, l’artista “stava realizzando una ricostruzione storica di un fatto avvenuto alcuni anni prima quando la lanterna non era ancora stata costruita”. Inoltre, l’autore dello studio ha sottolineato come (cito testualmente) “il disegno preparatorio era tecnicamente perfetto, curato come una fotografia, cosa che potrebbe lasciar ipotizzare che il disegno sia stato realizzato utilizzando un qualche strumento tecnico forse simile al prospettografo di Leonardo da Vinci”(da Giancarlo Pavat “Nel Segno di Valcento”, edizioni Belvedere 2010).

 

Tra le tante leggende a tinte fosche, sorte attorno a questo castello e ai nuovi feroci padroni, c’è quella che riguarda da vicino la tematica di questo articolo.

Si racconta  che esisteva una segreta in cui venivano imprigionati personaggi ritenuti troppo pericolosi per il Potere angioino. Sventurati che ad un certo momento “semplicemente” sparivano nel nulla per sempre.

Infatti, sempre secondo la leggenda, questa prigione aveva una apertura che la collegava al mare, da cui entrava un coccodrillo che ghermiva i prigionieri trascinandoli via con se.

In pratica il rettile veniva usato per eliminare senza troppo chiasso oppositori scomodi. Usanza decisamente poco simpatica, praticata, a quanto pare, anche a Itri (LT), all’interno di una torre del castello chiamata, non a caso, “Torre del Coccodrillo”.

3. Immagine sopra; La “Torre del Coccodrillo” del Castello di Itri – LT (foto G. Pavat).

 

Tornando a Castel Nuovo a Napoli, fino alla metà del XIX secolo, sopra l’ingresso, era possibile vedere un grande coccodrillo impagliato.

Si trattava forse proprio del “mostro” usato per “far sparire” gli infelici rinchiusi nelle tenebrose segrete del maniero?

 

La consuetudine di appendere enormi rettili impagliati agli ingressi o all’interno di edifici, soprattutto religiosi, non deve stupire. Era una prassi più che consolidata, tanto che ancora oggi se ne possono ammirare alcuni esemplari in diversi siti sparsi in giro per l’Italia. Ovviamente si sta parlando di animali che non sono esposti in Musei o in altri luoghi deputati alla Cultura e alla Didattica.

Pertanto, lo scopo di questo articolo è proprio quello di proporre un insolito, inconsueto e breve tour, soprattutto tra chiese e santuari italiani, ma non solo, alla scoperta dei grandi rettili che vi sono conservati.

In molti casi non è affatto chiaro come questi enormi esemplari di coccodrilli, imbalsamati o impagliati, siano finiti nelle chiese e nei santuari.

4. Immagine sopra; un Coccodrillo del Nilo.

Secondo tradizioni locali, i giganteschi rettili avrebbero infestato fiumi, laghi e acquitrini posti nelle vicinanze. Soltanto interventi miracolosi o il coraggio di cavalieri “senza macchia e senza paura” sarebbero riusciti a renderli inoffensivi. I fedeli, grati per la liberazione da simili “mostri”, li avrebbero successivamente posti nelle chiese ed in altri edifici sacri come sorta di “ex voto”.

È probabile che nella stragrande maggioranza dei casi si tratti di pelli portate dall’Africa (soprattutto dal Nilo) o dall’Asia, a seguito delle Crociate medievali o durante l’epoca delle esplorazioni.

Comunque siano andate le cose, ecco di seguito un breve elenco (con le informazioni disponibili) di questi “mostri” sparsi nelle varie Regioni italiane…

Cominciamo con la…

LOMBARDIA

 

IL COCCODRILLO DEL SANTUARIO DI CAMPOLONGO A PONTE NOSSA (Bergamo)

 

Ponte Nossa è un piccolo.comune di circa 1600 abitanti, posto sulla riva destra del fiume Serio, in Val Seriana.

Il paese nacque a seguito di un evento prodigioso mariano avvenuto il 2 giugno 1511.

Quel giorno una venerata immagine della Vergine posta nella chiesa di Santa Maria di Campolongo, avrebbe lacrimato sangue dall’occhio sinistro, avrebbe mosso gli stessi occhi e addirittura mutato l’espressione del viso. Come riportato da un Atto notarile del 10 giugno 1511 redatto dal notaio Pietro dei Guerinoni di Gorno.

 

Le poche case che formavano la frazione Campolongo, iniziarono a moltiplicarsi e, inoltre, qualche anno dopo gli eventi prodigiosi del 2 giugno 1511, si decise di ampliare la chiesetta che custodiva l’immagine della Madonna delle lacrime, che divenne il Santuario (che è pure sede della parrocchia di Santa Maria Annunziata) così come lo possiamo vedere oggi. 

5. Immagine sopra; il Santuario di Campolongo a Ponte Nossa (Fonte Wikipedia).
 

L’edificio sacro, che sorge, appunto, all’inizio di Ponte Nossa, nella frazione di Campolongo, si presenta con una facciata a capanna con rosone centrale posto sopra il portale di ingresso e con due monofore ai lati. L’interno ha una unica navata e conserva diverse opere d’arte.

Ma era per vedere anche qualcos’altro che, nel lontano 28 febbraio 1999, praticamente in un altro secolo, io e mia moglie Sonia raggiungemmo il Santuario di Campolongo.

 

Infatti, appeso al soffitto della navata c’è un grande coccodrillo di oltre 3 metri di lunghezza!

A dire il vero, per quanto possa sembrare incredibile, vista la mole del rettile, appena entrati, non riusciamo a vederlo subito. L’interno del Santuario era immerso nella penombra. Tanto che la prima foto che scattai (macchina fotografica tradizionale! All’epoca non c’e n’erano di digitali, figuriamoci poi se esistevano telefonini cellulari che scattavano fotografie!) venne scura a causa del mancato funzionamento del flash.

Comunque ci accorgemmo del coccodrillo soltanto quando ci trovammo esattamente sotto la sua pancia.

Ma come c’era finito quel gigantesco sauro nel Santuario bergamasco?

6. Immagine sopra; la pubblicazione di don Angelo Bena in cui sono riportate diverse notizie storiche suo coccodrillo appeso nella navata del Santuario di Campolongo.
 

Una vera cornucopia di informazioni sulla storia di quel luogo sacro  e del suo ingombrante ospite, si è rivelata essere una piccola pubblicazione dal titolo “Racconto della nascita di Ponte Nossa” di don Angelo Bena, che reperimmo nello stesso Santuario al prezzo di 2.000 lire.

Ed ecco cosa ci racconta don Angelo Bena a proposito del coccodrillo appeso al soffitto della navata.

IL COCCODRILLO

OPINIONE DEL DONADONI

Il Donadini, parroco di Ponte Nossa, nel 1794 così scriveva in un suo manoscritto:

«Tra tanti prodigi allora da Maria Vergine operati, conservasi ancora la memoria, ed è noto a chiunque forestiere, il strepitoso miracolo dell’uccisione del coccodrillo seguito per intercessione di M. V. da un suo devoto di questa felice terra di Campolongo. E sebbene per ora non mi sia riuscito di trovare scrittura alcuna autentica che parli di tal fatto, ma si ha il solo voto medesimo della pelle dello stesso feroce animale appesa a perpetua memoria nella predetta chiesa di S. M. fino dal detto 1530 incirca, questo basta per evidentemente comprovare essere stato vero miracolo… ».

Dunque il Donadini, come dice anche in altre sue carte, ha cercato assiduamente uno scritto che giustificasse la presenza della pelle del coccodrillo nella chiesa e provasse la veridicità della leggenda secondo la quale un certo Bonello dei Ferrari dl Campo longo avrebbe ucciso, con una archibugiata, presso Rimini, il povero coccodrillo

Anche altri storici di Ponte Nossa; fecero assidue ricerche, ma senza esito.

Io sono stato più fortunato, infatti, nel 1980 con documenti inediti smistati dal compianto archivista della Curia don Angelo Rota, venne alla luce anche il documento che fa piena luce sulla vicenda del coccodrillo.

Il documento trovato nel 1980 porta la data del 24 gennaio 1594.

TRASCRIZIONE DEL DOCUMENTO DEL 24 GENNAIO 1594.

Mandato Ill. et Multum Rev. D. Vicarii Curiae episcopalis Bergomi et istante D. presabitero Andrea de Belcassis curato parecialis ecclesie S. Mariae de Campolongo et Pontis Noxiae tenore presentium precipiatur D. Vincentio Varischino D. Ioanino Melono et D. Io. Augustino Varischino sindacis ecclesiae dicti loci quatenus in termino dierum trium post intimationem  auferre debeant ab ecclesia predicta pellem  cocodrili ipsi ecclesiae oblati, nec non  consignasse predicto D. Rectori alteram ex clavibus positis super capsa in qua reponuntur elemosinae quae in dies afferuntur per fideles ipsi ecclesiae et hoc sub pena interdicti ab ingressu ecclesiae quam incurrent nisi paruerint, trina tamen trium dierum  canonica admonitione premissa  Bergomi, ex episcopali palatio, die 24 Januario 1594.

 

SIGNIFICATO DEL DOCUMENTO

Il Vicario generale della diocesi di Bergamo, il 24 Gennaio dell’anno 1594, dà incarico a don Andrea Belcassis, parroco di Ponte Nossa, di comandare a Vincenzo Varischino, a Giovannino MeIono e a Giovanni Agostino Varischino, sindaci della Chiesa di Santa Maria di portare via dalla Chiesa, entro tre giorni; la pelle del coccodrillo che essi stessi hanno portato dentro la chiesa, nonché di consegnare al parroco la seconda chiave della cassa dove vengono messe le elemosine che i fedeli fanno alla chiesa. Se i tre non ubbidiranno all’ordine incorreranno nella pena della interdizione ad en  trare nella chiesa, premessa la canonica procedura delle ammonizioni.

Dunque la pelle del coccodrillo fu portata nella chiesa della Madonna dai tre sindaci al principio del 1594, senza alcun motivo religioso di voto o di attestazione di grazie, ma evidentemente con lo scopo di attirare curiosi. Perciò, la leggenda dell’uccisione del coccodrillo è senza fondamento.

LE ULTERIORI VICENDE DEL COCCODRILLO

Certamente la pelle del coccodrillo venne tolta dalla chiesa come ordinava l’ingiunzione del Vicario nel 1594.

  I verbali del processo per la prima festa solenne dell’Apparizione del 1 677, contengono una minuta descrizione di tutto ciò che c’era in chiesa in quel 2 giugno 1677: il numero delle candele, delle fiaccole, la descrizione degli arredi, del velo che copriva l’immagine prodigiosa; il numero degli ex voto, di cosa erano fatti, ma non si fa il benché minimo accenno alla pelle del coccodrillo: segno evidente che non c’era.

7. Immagine sopra; Il Coccodrillo conservato appeso al soffitto della navata del Santuario della Madonna di Campolongo a Ponte Nossa (BG). (foto G. Pavat).

 

Durante tutto il 1600 non c’è cenno alcuno dell’esistenza del coccodrillo nella chiesa di Ponte Nossa, mentre sono frequentissimi i documenti che attestano la sua presenza durante il 1700: i Vescovi ordinano di toglierla e quelli di Ponte Nossa sostengono che, se c’è, è segno di un miracolo. Il Donadini è uno dei più focosi sostenitori della tradizione de] prodigio.

Da dove è saltata fuori questa pelle?

Le cose probabilmente sono andate così:

I sindaci del 1594 ripongono la pelle nel ripostiglio che c’era sopra gli altari; più che solai erano nascondigli non praticabili in quanto il pavimento era formato dalle coppolette degli altari. E venne dimenticata, lì.

Al principio del 1700 i tetti della chiesa erano tanto in disordine che crollarono due archi,

Il Parroco Carrara (1693-1704) fa rimettere a nuovo i tetti, fa riparare gli archi e restaurare le pitture. Probabilmente in quella occasione si riscopre la pelle, che trovandosi in quel luogo, poteva legittimamente far pensare a qualche misterioso co]legamento con la devozione alla Madonna.

Occorre tenere presente che tutte le leggende relative al coccodrillo sono databili dal 1720 in poi”.

(don Angelo Bena “Racconto della nascita di Ponte Nossa” )

 

8. Immagine sopra; Il Coccodrillo conservato appeso al soffitto della navata del Santuario della Madonna di Campolongo a Ponte Nossa (BG). (foto Marisa Uberti –www.duepassinelmistero.com).

 

I RESTI DEL SACRO MONTE DI VARESE

 

Anche presso il santuario del “Sacro Monte” di Varese, era esposto un grande coccodrillo imbalsamato. Purtroppo l’esemplare non si è conservato bene come quelli presenti nelle altre chiese che stiamo visitando

I resti sono attualmente visibili in una teca conservata nel Museo del “Sacro Monte”.

Secondo la tradizione, il coccodrillo aveva la brutta abitudine di azzannare il bestiame dei pastori di Breno, un paesino appena oltre il vicino confine con la Svizzera, che si recavano ogni anno in pellegrinaggio al “Sacro Monte”. Dopo essere riusciti, finalmente, ad avere ragione del “mostro”, decisero di portarne le spoglie, come ex-voto, al loro amato santuario.

9. Immagine sopra; La pelle arrotolata ed il cranio del coccodrillo del santuario del “Sacro Monte” di Varese (foto di B. Croci Maspoli).

 

IL COCCODRILLO DEL NILO DEL SANTUARIO DELLA BEATA VERGINE DELLE GRAZIE A CURTATONE (Mantova)

 

10-11. immagini sopra e sotto; IL “Crocodylus niloticus” del Santuario della Beata Vergine delle Grazie situato a Curtatone, a circa sette chilometri da Mantova, sulle rive del Mincio.

 

Nel Santuario della Beata Vergine delle Grazie (costruito tra il 1399 e il 1406 per ordine di Francesco Gonzaga come ringraziamento alla Madonna per l’intercessione che risparmiò la città da una epidemia di peste e situato a Curtatone, a circa sette chilometri da Mantova, sulle rive del Mincio), al soffitto al centro della navata è appeso un coccodrillo (Crocodylus niloticus) imbalsamato. Recentemente restaurato, sembra che l’esemplare sia stato portato nella chiesa tra il XV o XVI secolo, ma non si hanno notizie precise in proposito.

 

VENETO

 

IL COCCODRILLO NILOTICO DEL SANTUARIO DI SAN MICHELE EXTRA A VERONA

 

12. Immagine sopra; il Santuario di San Michele Extra a Verona (foto G. Pavat)

 

Ma la Lombardia non è l’unica regione italiana in cui si possono visitare chiesa e santuari con coccodrilli al loro interno.

Ad esempio un gigantesco esemplare di Coccodrillo del Nilo (“Crocodylus niloticus”), lungo circa 5 metri, è conservato appeso al soffitto in una stanza attigua alla sacrestia del Santuario di San Michele Extra, vicino a Verona in Veneto.

Si ha notizia sin dal 1600 della presenza dell’animale impagliato nella chiesa. Secondo la tradizione locale sarebbe arrivato direttamente dal Delta del Nilo. Dopo aver nuotato attraverso il Mediterraneo e l’Adriatico, avrebbe risalito il fiume Adige. Roba da “Guinness dei Primati”!

Il Coccodrillo nilotico, arrivato nel circondario della città scaligera, avrebbe iniziato a fare strage di uomini e bestiame. Alla fine gli abitanti, dopo aver pregato a lungo, riuscirono ad attirarlo in una trappola in una zona paludosa e lo lasciarono morire di fame. Il rettile fu poi impagliato e conservato nella chiesa di Santa Maria della Pace, dove rimase appeso per secoli all’archivolto del presbiterio. L’animale venne restaurato nel 1926 e spostato più volte. Nel 1983 è stato nuovamente restaurato dall’artista Edoardo Ferrante sotto la direzione di Attilio Montolli, imbalsamatore del Museo di Storia Naturale di Verona. La testa è stata sostituita con una copia e l’originale si trova attualmente in tale museo.

 

MARCHE

 

IL COCCODRILLO DELLA CAPPELLA DELLA VERGINE MARIA NEL SANTUARIO DELLA MADONNA DELLE VERGINI A MACERATA

 

 

13. Immagine sopra; il Coccodrillo appeso nella cappella della Vergine Maria, nel Santuario della Madonna delle Vergini a Macerata.

 

Un coccodrillo è appeso, in alto a sinistra di chi guarda la Cappella della Vergine Maria, nel Santuario della Madonna delle Vergini a Macerata, nelle Marche. Secondo studiosi locali potrebbe essere stato portato dai Crociati di ritorno dall’Oriente.

C’è, invece, chi l’associa a un fatto prodigioso che sarebbe avvenuto verso il 1590:

Un coccodrillo comparve sulle rive del fiume Chienti facendo strage nell’intorno di animali e terrorizzando gli abitanti. Gli fu tesa la caccia, ma sempre in vano per le squame troppo dure. Non contento di afferrare gli animali un giorno rapì un piccolo bambino ad un contadino, il quale, agli strilli del figlio, corse con la forca che aveva in mano. Il coccodrillo, allora, lasciato il bambino, si rizzò per assaltare l’uomo. Ma, questi, invocando con grande fede l’aiuto di Maria SS. delle Vergini, gli conficcò la forca nel ventre e l’uccise. Sventratolo e riempitolo di paglia, lo portò in dono alla Chiesa”.

 

LIGURIA

 

IL COCCODRILLO DEL SANTUARIO-BASILICA DI “NOSTRA SIGNORA DI MONTALLEGRO” A RAPALLO (Genova)

 

14. Immagine sopra; il Coccodrillo appeso nel Santuario-basilica di “Nostra Signora di Montallegro” a Rapallo (GE).

 

 

Il Santuario-basilica di “Nostra Signora di Montallegro” è uno dei principali santuari mariani della provincia di Genova, situato su un colle dell’entroterra di Rapallo, risale al 1558. Al piano terra della foresteria è appeso al soffitto mediante robuste catene un singolare ex voto. Ovvero un coccodrillo di notevoli dimensioni, che venne portato al Santuario da due fratelli, i capitani Andrea e Rolando Merello nel 1694, dall’Africa.

La tradizione orale tramanda che i due uomini furono attaccati dal grosso rettile lungo un fiume tropicale ma ad avere la peggio fu proprio l’animale che ancora oggi si può osservare fra le migliaia di altri ex-voto che ornano le pareti del santuario.

 

SICILIA

 

IL COCCODRILLO DI PALERMO

 

15. Immagine sopra; Veduta di Palermo dal tetto della Cattedrale (foto G. Pavat)

 

Infine, ecco l’unico (per quanto se ne sa) coccodrillo impagliato appeso in un luogo aperto al pubblico ma decisamente non religioso…

Nel mercato della Vucciria, all’interno di quello che una volta era un negozio di generi alimentari presso la via Argenteria, vi è tutt’ora appeso, nel soffitto, un grosso coccodrillo imbalsamato. L’animale, lungo oltre tre metri, con le enormi fauci spalancate, incuteva timore a chiunque si trovasse di passaggio nei suoi pressi. Era per i bambini una visione che dava gioia e timore allo stesso tempo… Leggenda popolare vuole che il coccodrillo abitasse la fontana che si trova nella piazza Caracciolo, alla Vucciria. Fontana che un tempo si credeva alimentata dal flusso delle acque del sottostante fiume Papireto. Quell’enorme bestione, si narra, era nativo del lontano Nilo ma non si sa bene come, in qualche modo, riuscì ad arrivare via mare fin dalle nostre parti, e risalito il fiume Papireto trovò in quella fontana comodo rifugio per la sua esistenza. Il grosso coccodrillo, però, non si nutriva solo d’acqua ma aveva bisogno pure di “sostanza”… Fu così che prese l’abitudine di divorare tutti quei bambini che si attardavano a giocare oltre le ore del tramonto nei dintorni. Nel quartiere, ben presto, si diffuse la paura che la bestia potesse divorare tutti i “picciriddi” e così alcuni tra i più coraggiosi giovani della Vucciria un giorno decisero di tendergli una trappola.

16. Immagine sopra; Il coccodrillo della “Vucciria” a Palermo, in Sicilia. (Foto A. Trapani)

 

Alle ore del tramonto, appena il coccodrillo si affacciò dal bordo della fontana in cerca della  sua vittima, in cinque lo agguantarono per la coda. Il possente animale si dimenava, e mentre in quattro tentavano di tenerlo fermo, il più lesto tra i giovani cosaggiosi fece in tempo ad infliggergli un fendente con un grosso coltello. Il giovane spinse con tutta la sua forza trafiggendo le dure carni dell’animale.

E dopo che la lama penetrò sotto la gola, con tutta la sua forza continuò a spingere fino ad arrivare all’altezza dello stomaco. Il feroce animale, squartato, cadde esanime in una pozza di sangue e mentre tutti osservavano la scena, il pianto di una bambina si udì provenire dall’interno del suo stomaco.

Il coccodrillo era ormai immobile per terra e fu allora che il giovane infilò le sue forti braccia dentro le carni insanguinate dell’animale, afferrando con le sue mani il corpicino di una bimba, ancora viva, che subito venne estratta fuori.

La bambina miracolosamente si salvò e alla Vucciria fu festa… “Musica, balli e ciumi ri vinu” scorrevano per tutta la via dell’Argenteria, dalla fontana fino al mare !

La lungimiranza dell’amico Vincenzo Amodeo, odierno proprietario dell’immobile, che ringrazio, ha permesso che dopo 40 anni il coccodrillo della Vucciria,  restaurato, tornasse finalmente a far parlare di se da quel soffitto di via Argenteria 45, pronto a intimorire ogni malintenzionato”. Magari le cose non saranno andate proprio così… Chissà. Sta di fatto che il coccodrillo è divenuto, pnegli ultimi 50 anni, una vera e propria mascotte del quartiere, o meglio, di ciò che “era” la Vucciria (purtroppo), attirando curiosi e turisti, nonchè famiglie con bambini, dentro quella piccola bottega”.

(Testo di Angelo Trapani da “La leggenda del coccodrillo”; www.Palermo nascosta,it).

17. Immagine sopra; la splendida facciata del Duomo di Ragusa dedicato al patrono San Giorgio (Fonte Wikipedia).

Visto che siamo in Sicilia, un ultima curiosità. Nel Duomo di San Giorgio a Ragusa, realizzata in stile barocco tra il 1738 e il 1775, si trovano non esemplari interi e impagliati  ma diverse ossa di questi rettili anfibi.

Collocazione più che pertinente visto a quale santo è dedicata la chiesa; il cavaliere Giorgio ucciso di draghi.

18.  Immagine sopra; la statua di San Giorgio sulla cancellata del Duomo di Ragusa (Fonte Wikipedia).

 

Alcune “cronache” riportano che, proprio nel XVIII secolo, nel ragusano, venne ucciso un grande coccodrillo nilotico.

Sembra che siano stati gli Arabi, dopo la conquista dell’isola  nel IX secolo d.C. a portare coccodrilli africani in Sicilia. Il motivo? Impiantarono veri e propri allevamenti (soprattutto nelle celebri gole del fiume Alcantara) per il commercio delle pelli. Nulla di più probabile che vari esemplari siano fuggiti e abbiano infestato i territori circostanti. Ciò spiegherebbe le leggende siciliane di mostri e draghi che assalivano malcapitati viandanti o inermi pastorelli.

19.  Immagine sopra;  il libro di Umberto Cordier Guida ai draghi e mostri in Italia” (Sugarco 1986).

 

Umberto Cordier, nel suo libro “Guida ai draghi e mostri in Italia” (Sugarco 1986) riporta che

“…a Chiaromonte Gulfi, a nord di Ragusa, si narrava che un tempo i bambini del paese sparissero misteriosamente, senza fare ritorno. Un giorno accadde che una bimba di nome Margherita si accostò ad un ruscello che scorreva ai margini di un bosco e si accinse a bere, quando si accorse con terrore di un mostro ripugnante che uscito dall’acqua si avvicinava con le fauci spalancate. La piccola disperata invoco’ aiuto a Santa Margherita, che prodigiosamente fulmino’ l’animale. Le ossa dei bambini scomparsi furono trovate nella grotta da cui originava il ruscello, dove la bestia spaventosa aveva riparo; in questo luogo fu poi costruita una chiesa in onore della Santa“.

20. Immagine sopra; “Santa Margherita di Antiochia sconfigge il drago” del Tiziano XVI secolo (Escorial, Spagna).

Non a caso anche Santa Margherita è nota per aver vinto un mostruoso drago, simbolo ovviamente del Demonio. Ma questa, come si suol dire, è tutta un’altra storia.

(Giancarlo Pavat)

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