E’ con grande piacere e soddisfazione che presentiamo sul nostro sito il seguente articolo scritto dal prof. Roberto VOLTERRI. Che ringraziamo per il grande onore riservatoci.
Roberto VOLTERRI, romano di nascita, è laureato in archeologia e da decenni porta avanti innovative, e spesso controcorrenti, ricerche in diversi campi dello scibile ma sempre legati al “Mistero” tout court. La sua bibliografia è sterminata ( ha certamente pubblicato più di venti libri) per parlare degli articoli e le partecipazioni a note trasmissioni televisive nazionali.
Nel 2014, assieme a Bruno FERRANTE, ha vinto il PREMIO NAZIONALE CRONACHE DEL MISTERO, per il libro “I Libri dell’Abisso” (Eremon edizioni 2014). E tra l’altro sarà con noi anche nell’edizione 2016 del PREMIO NAZIONALE CRONACHE DEL MISTERO al Teatro Comunale di Ceccano (FR), sabato 10 dicembre 2016, ore 09.00.
ARCHEOLOGIA PSICHICA A GLASTONBURY
di ROBERTO VOLTERRI
Il 7 novembre 1907 inizia un irrazionale viaggio nel « Regno delle Ombre » oppure in qualcuno dei misteriosi aspetti di una realtà legata ai cosiddetti « canali occulti della mente”. Il risultato di questo invisibile “viaggio” fu la scoperta strutture sconosciute dell’Abbazia di Glastonbury…
Ynis Witrin. Anno del Signore 63. Siamo in una località del sud-ovest della Britannia e narrano antiche cronache che da queste parti sarebbe giunto dalla Terra Santa Giuseppe d’Arimatea, il membro del Sinedrio che, circa trent’anni prima, aveva messo a disposizione una tomba in cui era stato sepolto il Cristo. Le stesse antiche cronache narrano che egli abbia portato con sé anche il ‘calice’ – forse il ‘Santo Graal’? – utilizzato durante l’Ultima cena e in cui sarebbe stato raccolto il sangue sgorgato dalle ferite inferte a Gesù durante la crocifissione sul Golgota
Ynis Witrin. Anno del Signore 166. Qui viene edificata una umile cappella dedicata a S.Maria. Durante i secoli successivi – anche in seguito alle persecuzioni religiose – l’esigua comunità cristiana raccoltasi intorno ad essa si estingue e la zona cade lentamente nell’oblìo.
Ynis Witrin. Anno del Signore 720. Sullo stesso luogo, nella celtica Isola di Vetro – così chiamata poiché caratterizzata da una collina che emergeva dai ‘vitrei’ acquitrini circostanti – alcuni monaci sassoni, su ordine del re Ine del Wessex, ampliano il primitivo nucleo della chiesa.
Glastonbury, ormai non più chiamata Ynis Witrin. Anno del Signore 940.
Gli edifici edificati dai pii monaci vengono ampliati e viene costruito un monastero benedettino dedicato a San Dunstano, già Abate di Glastonbury e successivamente Arcivescovo di Canterbury. Il monastero, negli anni che seguono, viene trasformato in una magnifica abbazia in stile gotico che però sarà distrutta da un incendio nel 1184. Durante i lavori di ricostruzione, nel 1190, i monaci – così narra la ‘Chronica sive Antiquitates Glastoniensis Ecclesiae’ – rinvengono le tombe di un uomo e di una donna e una lapide su cui, in una croce, è incisa la frase ‘ Hic iacet sepultus inclitus Rex Arturius in Insula Avalonia’.
Glastonbury. Anno del Signore 1539. Anche a seguito del decreto di scioglimento emanato dal re Enrico VIII e all’avvento del nuovo regime Protestante, tutti gli edifici dell’Abbazia – di quello che era il più più imponente edificio religioso mai edificato in terra d’Anglia – verranno distrutti, ad eccezione della ‘cucina’ dell’Abate. L’Abbazia non verrà più ricostruita e le sue pietre saranno addirittura utilizzate per pavimentare stalle e strade, per una consapevole dissacrazione di quel che era stato il più importante centro religioso ed economico d’Inghilterra.
Glastonbury. Anno del Signore 1907 . Le rovine dell’Abbazia vengono acquistate dalla Chiesa Anglicana, mentre la ‘Somerset Archaeological and Natural History Society’’ sovrintende alla ricognizione e agli scavi da intraprendere in ciò che rimane degli edifici.
Il “lato notturno della Natura”.
É, inanzitutto, l’avventura di un rispettabile architetto particolarmente interessato agli edifici religiosi in stile gotico, ma anche alle esperienze psichiche derivanti dal ‘lato notturno della Natura’, per citare il titolo di un libro della scrittrice Crowe che Frederick Bligh Bond – il primo dei ‘nostri’ due strani personaggi – conosceva praticamente a memoria. É anche l’avventura del capitano John Allen Bartlett – conosciuto anche con lo pseudonimo di John Alleyne – il quale si diletta da tempo di ricerche ‘spiritiche’ e di ‘scrittura automatica’, mezzo molto in voga in quell’epoca vittoriana – ma non disdegnato ancor oggi – per cercare di entrare in ‘contatto’… con chi ha già lasciato questa ‘valle di lacrime’.
La scena che sarebbe apparsa agli occhi di un ipotetico terzo partecipante alla ‘seduta’ avrebbe suscitato senza dubbio qualche perplessità nel vedere un serio e occhialuto architetto poggiare le dita sul dorso della mano sinistra di un altrettanto serio e altero capitano dell’Esercito, il quale stringe nella destra una matita appoggiata su un foglio di carta. Ancor più strano sarebbe però stato il sentire l’occhialuto architetto chiedere notizie sulle vicende dell’Abbazia di Glastonbury, ma soprattutto sulla posizione di parti dell’Abbazia stessa ormai sepolte… ai monaci che l’abitarono molti secoli prima!
Alle prime domande di Bond sulla distrutta abbazia, la mano di Bartlett traccia alcune linee indistinte e poi scrive «…Tutte le conoscenze sono eterne e divengono utilizzabili per legge di affinità mentale. Io non avevo affinità mentale con i monaci e mi riesce difficile entrare in rapporto con un monaco…».
Strane parole alle quali seguono frasi altrettanto strane. Almeno ad una prima analisi ma che poi assumono un significato ben preciso poiché da qualsiasi fonte giungano le informazioni – da un recondito “Altrove” nel quale sopravvivrebbe una sorta di « energia » che viene usualmente definita anima, oppure dalle latenti facoltà psichiche che albergano in ciascuno di noi, insomma dai « canali occulti della mente » – qualche interessante, inspiegabile risultato non tarda ad arrivare poiché la malferma mano del capitano Bartlett traccia due planimetrie dell’Abbazia addirittura « firmate » dal un certo Gulielmus monachus il quale afferma di essere vissuto nell’edificio religioso e di conoscere quindi l’ubicazione di ogni struttura ormai non più visibile.
In realtà, già il primo, confuso disegno ottenuto per scrittura automatica avrebbe indotto qualsiasi serio ricercatore ad abbandonare la folle impresa poiché esso mostra una cappella ubicata ad est dell’abbazia e ciò appare subito in totale disaccordo con le consuetudini architettoniche dell’epoca in cui si supponeva fosse stata edificata l’Abbazia stessa. Ma Bond prosegue imperterrito con le sue domande chiedendo al ‘monachus Gulielmus’ notizie sull’Abate che ne aveva curata l’edificazione.
Anche in tale circostanza – da qualche “Altrove”, dalle latenti ‘facoltà psichiche’ dei due partecipanti alla ‘seduta’ oppure dalla…loro fantasia – perviene una precisa risposta, in lingua latina, in cui si afferma che la cappella esiste effettivamente nell’estremità orientale dell’Abbazia, che prende il nome dal re Edgardo, che è stata edificata dall’Abate Beere ed è poi stata unita al nucleo principale dell’edificio religioso dall’Abate Whiting, per venire, successivamente, distrutta.
Quattro giorni più tardi, durante una seconda seduta, un’entità avrebbe fatta l’acuta osservazione che i monaci si ostinavano a comunicare in latino mentre avrebbero potuto farlo in lingua inglese. Un monaco che successivamente si presenterà come appartenente ad una misteriosa Compagnia di Avalon mette inoltre in evidenza la difficoltà di esporre in lingua latina i precisi nomi degli edifici che in antico costituivano l’abbazia e aggiunge che nelle successive sedute i monaci… defunti comunicheranno nella loro lingua d’origine che si rivelerà un inglese arcaico e alquanto rozzo. Quello che, forse, parlavano realmente i monaci di un’epoca tardo-medievale, anche se lo stesso Bond nota come l’arcaico idioma assuma a volte l’ortografia corrente. Lo studioso Stefano Beverini, a tale proposito, fece notare che un grande ricercatore italiano di fenomenologia paranormale, Ernesto Bozzano (1862 – 1943), in alcuni numeri della rivista Luce e Ombra della fine degli Anni Venti aveva ipotizzato che le entità comunicanti avrebbero influenzato la mente del capitano Bartlett con discontinuità e in tal modo la struttura linguistica risultante sarebbe apparsa come il risultato di espressioni lessicali lontane alcuni secoli. Tutto ciò ovviamente per chi crede all’esistenza del recondito « Altrove » cui prima facevamo cenno…
Nessuno di queste informazioni trova però immediata conferma tra i dati che sono in possesso degli archeologi e degli storici contemporanei dei due improvvisati « archeologi psichici » e così i nostri due strani personaggi tornano, delusi, alle loro ben più razionali occupazioni quotidiane. Ma il destino ha riservato loro un diverso futuro, ricco di imprevisti e di stranissime avventure archeologiche ai limiti dell’incredibile. Nel 1908 – quasi un anno dopo quegli strani esperimenti – l’architetto Frederick Bligh Bond viene infatti nominato direttore degli scavi dell’Abbazia di Glastonbury e solo allora egli si accorge che esiste effettivamente una sepolta cappella nell’estremità orientale dell’edificio e che le misure ottenute per mezzo della « scrittura automatica » coincidono con quelle effettivamente rilevate sul terreno.
In una seduta del giugno 1908, ad esempio, a proposito della Cappella Edgardo un monaco comunica che «… Colui che ci seguì nelle costruzioni aggiunse nella volta stucchi di colore rosso, alternati con dorature… » e – una volta eseguiti gli scavi nel luogo indicato – si rinvengono effettivamente vari frammenti di tali stucchi colorati di rosso. Di cui, ovviamente, nessuno conosceva prima l’esistenza…
Ma poiché l’Abbazia appartiene alla Chiesa Anglicana, Bond non può certamente riferire al Vescovo che le sue ‘fortunate’ ricerche – nel tempo protrattesi con altri importanti e imprevedibili ritrovamenti – traggono spunto da informazioni fornitegli da monaci… defunti secoli prima! Il cauto – fino a questo momento, però… – architetto si limita pertanto ad annotare in un suo primo rapporto alle autorità ecclesiastiche che è sua opinione “… che bisognava cercare qualche edificio di natura più estesa e importante e nell’inverno del 1907 questa semplice supposizione [con tale parola allude velatamente ai suoi ‘esperimenti’. N.d.A.] era divenuta una convinzione ben radicata…”.
La “Compagnia di Avalon”.
Per circa dieci anni Bond e Bartlett proseguono sia le loro esperienze di «scrittura automatica » – certi di essere in contatto con i Sorveglianti dell’Altra Sponda, con i monaci che avevano abitata l’Abbazia qualche secolo prima e che si erano dati il nome di Compagnia di Avalon – sia gli scavi nell’abbazia stessa, effettuati sotto le inconsuete direttive di chi sosteneva di esservi vissuto e di aver visto il maestoso edificio religioso durante il suo periodo più aureo. O almeno così crede lo strano Diocesan Architect, come ufficialmente è stato nominato Bond, il direttore degli scavi. Scavi che, comunque, conducono al rinvenimento di strutture non rientranti affatto nelle planimetrie che, razionalmente e in base a ciò che si conosce della storia dell’abbazia, qualsiasi architetto e qualsiasi archeologo si sarebbero aspettati.
Ad esempio, il 20 Aprile del 1908 un monaco presentatosi con il nome di Johannes Bryant lascia a Bartlett un messaggio in cui afferma “… Voi troverete prove delle belle torri nell’estremità occidentale…” e, puntualmente, le torri compaiono dopo alcuni colpi di piccone di Bond e del suo gruppo di scavo!
Tra l’altro, ricorrendo a queste inconsuete metodologie archeologiche del nostro architetto, vengono successivamente rinvenute la Cappella del Santo Sepolcro, la Cappella di San Dunstano, quella di San Michele, quella di Edgardo e infine la Cappella di Loreto, tutte in precedenza ignote. Sono inoltre rinvenuti alcuni passaggi segreti e addirittura la torre campanaria, con l’orologio costruito a da un certo Peter Lightfoot!
Sepolto a ridosso di un muro è infine rinvenuto lo scheletro di un uomo alto circa un metro e sessanta centimetri. Le povere ossa sono poste in un sarcofago e il cranio è deposto in una sorta di culla di pietra decorata. Tra le sue gambe viene rinvenuto anche il cranio e alcune ossa di un altro individuo. Un’indecifrabile altro mistero tra gli innumerevoli misteri che aleggiavano intorno all’Abbazia di Glastonbury?
Niente affatto! Bond ricorre subito all’aiuto dei monaci della ‘Compagnia di Avalon’ che gli raccontano come “…Radulphus Cansollarius, che uccise Eawulf in leale combattimento, fu tuttavia colpito dall’ascia del suo nemico, che gli spezzò le ossa. Egli, morendo dopo molti anni, volle che coloro che lo amavano lo seppellissero fuori dalla chiesa, dove, da vivo, era abituato a dar da mangiare agli uccelli…. Mentre sotterravano il suo corpo non si accorsero che la testa di Eawulf era caduta fra i suoi piedi e così l’avete trovata…”.
Fantasie, solo fantasie di Bartlett o dello stesso Bond?
Non sembra, poiché ulteriori ricerche su testimonianze scritte dell’epoca in cui sarebbero vissuti i duellanti, fanno appurare che il normanno Radulphus era realmente esistito ed era stato al servizio di tale Turston, primo Abate normanno, il quale odiava visceralmente i Sassoni, in quella tragica circostanza rappresentati dallo sventurato Eawulf, la cui sepoltura nell’Abbazia di Glastonbury è effettivamente riportata nelle ‘Cronache Anglosassoni’ risalenti al IX secolo!
La Porta della rimembranza.
Ma giunge un tragico anno 1918. Anno in cui Bond decide di pubblicare il libro che decreta poi la sua rovina, libro che intitola La Porta della rimembranza, libro in cui descrive senza alcuna remora i loro esperimenti che, se non proprio ai limiti della follia, appaiono estremamente disdicevoli a tutta la comunità scientifica del posto, inducono alla nomina di un condirettore degli scavi, gli procurano guai legali e – ma solo nel 1922 – spingono il Decano di Welles, Joseph Armatage Robinson, a destituire l’eclettico Diocesan Architect e porre fine ad ogni ricerca nell’area dell’abbazia.
Insorge anche l’archeologo e teologo H.J. Wilkins che pubblica un lavoro per confutare tutte le scoperte dello strano personaggio, mentre il gesuita H. Thurston – un esperto di « fenomenologia paranormale » – scrive una catastrofica recensione del libro in cui Bond svela i retroscena delle sue scoperte archeologiche.
Sembra quasi che Glastonbury, l’imponente Abbazia in cui si erano concentrate le leggende più suggestive – da quella del Santo Graal alle vicende di Re Artù e della Regina Ginevra, del Mago Merlino e di Viviana – non sia mai esistita. Frederick Bligh Bond, l’apparentemente mite architetto, non appare però tipo da abbandonare il campo alle prime difficoltà. Egli cerca quindi di interessare alle sue ricerche la Società degli Antiquari, il Reale Istituto Archeologico e la Società per la Ricerca Psichica.
Tutto inutilmente, perché chi amministra i destini dell’abbazia lo scaccia letteralmente dal sito archeologico che proprio grazie a Bond e alla sua sedicente ultraterrena Compagnia di Avalon ha pian piano cominciato a risorgere.
Soltanto alcuni anni più tardi – nel 1937 – alcuni ricercatori americani interessati alla leggenda del Santo Graal, che si diceva fosse occultato nel fondo del cosiddetto Pozzo del Calice, si offrono di finanziare Bond e le sue strane ricerche a cavallo tra l’archeologia di stretta osservanza e le esperienze psichiche di frontiera.
Accortamente, però, non menzionano l’eclettico architetto nei loro contatti con le autorità ecclesiastiche e, in tal modo, ottengono il permesso di condurre altri scavi.
Ma non hanno tenuto conto delle intemperanze di quello che a loro era apparso soltanto uno strambo ma fortunato archeologo non accademico. Bond, infatti, parla troppo, comincia a far correre voce che presto riprenderà i contatti con i defunti monaci e che, così facendo, porterà alla luce altre strutture note soltanto a “chi”… le aveva viste costruire. È questo il colpo di grazia ad ogni ulteriore atipica ricerca nella suggestiva abbazia di Glastonbury.
Il permesso di scavo viene immediatamente ritirato e pochi anni più tardi, l’8 Marzo del 1945 anche Frederick Bligh Bond raggiunge per sempre i monaci della Compagnia di Avalon che tanto avevano contribuito sia al suo successo sia alla sua definitiva sconfitta.
Di Bond,oltre alle sue scoperte, ai suoi scavi che ho personalmente visitato, rimangono il già citato libro a cui seguì La Compagnia di Avalon, pubblicato nel 1924, Il Vangelo del Diacono Filippo, del 1932, Il segreto dell’immortalità, del 1934, Il mistero di Glastonbury pubblicato nel 1938, insieme a moltissimi articoli, stampati privatamente, intitolati Gli scritti di Glastonbury e comunicazioni al Journal of the American Society for Psychical Research.
Forse Bond aveva ragione, ma……..
Ma la strana vicenda che fin qui abbiamo seguito passo passo – dal I secolo dell’Era cristiana ai primi decenni del secolo appena trascorso – ha un breve ma significativo seguito.
Sette anni dopo la morte di Bond gli stessi ricercatori americani che lo avevano coinvolto nella ripresa degli scavi ottengono un altro accordo con la Chiesa Anglicana e incaricano l’archeologo Radleigh Radford di dirigere i nuovi lavori. Egli rintraccia altre strutture non previste ma le ricerche subiscono un nuovo arresto fino agli anni Settanta del XX secolo, quando l’illustre architetto Keith Critchtlow conferma sia le scoperte già effettuate dall’inconsueto Diocesan Architect sia ciò che lo stesso aveva previsto di scoprire grazie ad ulteriori aiuti dei « suoi » monaci.
Agosto dell’anno del Signore 2003. Chi scrive si aggira in una calda mattinata estiva non solo tra le splendide rovine dell’abbazia, emergenti da un verdissimo tappeto erboso, ma soprattutto tra le parti dell’immenso complesso che corrispondono alle aree messe in luce dallo strano architetto Frederick Bligh Bond.
In effetti sembrerebbe – il condizionale è d’obbligo… – che alcune delle strutture scoperte da Bond con l’aiuto della eterea Compagnia di Avalon avrebbero comportato notevoli difficoltà di individuazione in base alle sole planimetrie già esistenti all’epoca degli scavi, poiché appaiono poste in aree dove non ci si aspetterebbe di trovare altri edifici del pur immenso edificio religioso. Ovviamente l’esame effettuato da chi scrive è stato effettuato molto superficialmente e in tempi necessariamente brevi. Esso è stato però sufficiente per rendere abbastanza plausibile – e percorribile, ad esempio, con alcune delle « eretiche » tecniche descritte nel mio libro “Archeologia dell’Invisibile” (Sugarco 2006) – un approccio meno ortodosso alla ricerca archeologica, forse non ricorrendo necessariamente alle opinabili metodologie impiegate da Bond, implicanti una difficilmente dimostrabile realtà trascendente, ma che facciano invece ricorso a quella non ancora ben conosciuta facoltà psichica, oggi definita Psicometria, che possa mettere in contatto la mente del ricercatore con …l’anima delle cose.
L’autore di questo articolo ha infatti iniziato da tempo una ricerca in tal senso, ricerca che tenta di trovare un suo punto di forza anche negli inconsueti studi sulle « catene lineari del corpo e dello spirito » sperimentate negli anni Trenta dal Professor Giuseppe Calligaris, docente di Neuropatologia presso l’Università di Roma.
Alcuni capitoli dell’appena citato libro sono appunto dedicati ad un tentativo di applicazione di alcune inconsuete tecniche alla prospezione archeologica di aree in cui, appunto, ogni traccia, ogni indizio, ogni antropica presenza si nasconde abilmente nel regno dell’Invisibile.
Con la morte di Bond ebbe comunque termine una delle tante, strane avventure di quella che viene definita Archeologia psichica e che vide protagonisti in altri luoghi, in altre circostanze, con altre modalità, l’ingegner Stefan Ossowiecki, con i suoi esperimenti psicometrici mediante reperti archeologici di origine preistorica, effettuati insieme al Professor Stanislaw Poniatowsky, docente di Etnologia all’Università di Varsavia.
Non dimenticando il più noto Edgar Cayce e le sue « letture psichiche » che lo avrebbero condotto fino alla mitica civiltà di Atlantide e ricordando infine quelle di Jeffrey Goodman, insieme al sensitivo Aron Abrahmson, nel ricostruire le vicende che avrebbero consentito a popolazioni primitive di raggiungere l’America del Nord. Alcuni di questi strani personaggi – compreso l’amico Umberto Di Grazia, autore di interessanti scoperte archeologiche soprattutto in area etrusca – e le loro avventure sono descritte proprio in “Archeologia dell’Invisibile”.
In definitiva, utilizzata cum grano salis, l’Archeologia psichica – probabilmente una delle latenti facoltà psichiche della complessa entità biologica Uomo – può forse costituire un nuovo, inconsueto ma stimolante appoggio, per ricercatori non di stretta osservanza, nell’affascinante scoperta del nostro passato.
Le foto, se non altrimenti specificato, sono del prof. Roberto VOLTERRI.