Immagine di apertura; Dove osano i piccioni……
DOVE OSANO I PICCIONI….
OVVERO COME UMILIARE UN MILLENARIO E NOBILE SIMBOLO
di Giancarlo Pavat
- Immagine sopra. Il “Piccione di Ceccano” in piazza XXV Luglio (foto Roberto Adinolfi 2021)
I bambini di Ceccano li chiamano i “piccioni spiaccicati sull’asfalto”. E si riferiscono ai tre volatili che compaiono (in parte o interi) in altrettanti scudi realizzati la scorsa estate (se non ricordiamo male a cura dell’assessorato alla Cultura) sul piano di calpestio (anzi ad essere precisi, sul manto stradale, visto che ci passano sopra autovetture e automezzi) di piazza XXV Luglio, a poca distanza dal castello comitale ceccanese.
Un vecchio adagio indiano recita che, se un animale ha le zanne di un elefante, la proboscide di un elefante e le zampe di un elefante, con tutta probabilità si tratta di un elefante. Quindi, se un volatile immortalato al centro di un blasone ha la testa di un piccione, il becco di un piccione, il colore grigio di un piccione, abbiamo ragione di ritenere con scarso margine di errore, di trovarci davanti ad un piccione. Peccato che l’animale che dovrebbe campeggiare al centro dello scudo dovrebbe essere di ben altra razza e natura.
Ma procediamo con ordine.
Spesso la Storia ci parla non attraverso documenti scritti ma tramite immagini, simboli, segni. Che, laddove vengono codificati e assurgono a emblema stesso di un territorio, di una città, di una stirpe, diventano il mezzo tramite il quale, coloro che l’hanno adottato voglio tramandare l’immagine di sé. L’emblema, lo stemma, il blasone diventano i segni di riconoscimento e soprattutto rappresentano (spesso in maniera esoterica) il carattere, la personalità, il modus vivendi di coloro che ne menano vanto.
Non sfugge a questo ragionamento il blasone della stirpe comitale dei de Ceccano. Fiera famiglia ghibellina, che innalzava sui vessilli e sugli scudi l’Aquila, simbolo dell’Impero.
Michel Pastoureau (grande storico, antropologo es crittore francese, classe 1947) spiega che fu Carlo Magno, primo Sacro Romano Imperatore, facendo “porre in cima al suo palazzo di Aix-la-Chapelle” (la romana Aquisgrana, oggi Aachen in Germania) un’aquila, a concretizzare (ovviamente deliberatamente) la “traslatio” dell’aquila Imperiale Romana (con tutti i significati simbolici, allegorici ed esoterici sottesi) come simbolo del “Nuovo Impero”. La tradizione germanica, all’aquila aveva preferito, “come la cultura celtica, un altro uccello da preda: il falco. Questo fa sì che verso l’Anno Mille, alla fine dell’epoca Ottoniana, si possa operare uno slittamento formale e simbolico tra il falco germanico e l’aquila romana. L’uccello simbolico degli imperatori Staufen (si tratta della “Casa di Svevia” o Hohenstaufen NDA) e dei loro successori (Federico Barbarossa è il primo a portare l’aquila sul gonfalone e sullo scudo) è il prodotto di una fusione tra i due volatili”.
3-4 . A sx; ritratto di Carlo Magno di Albrecht Durer (1512-1513), a dx: ancora oggi la città di Aachen, la romana Aquisgrana, reca nel proprio stemma l’Aquila Imperiale.
5. Immagine in basso: l’Aquila del Regno di Prussia e del II Reich degli Hohenzollern (1871-1918).
Pertanto appare ovvio, quasi scontato, che i Conti di Ceccano, aldilà della loro vera origine (Longobardi o germanici scesi a seguito degli Imperatori ottoniani, o cos’altro?) abbiano scelto come proprio emblema un’aquila.
Come quella (nera) di Enrico VI di Svevia, che, nel 1190, probabilmente tramite i suoi rappresentanti nel Basso Lazio (Forse Enrico Testa o, più probabilmente, come scrive anche Papetti nel suo libro “I Conti di Ceccano nei secoli XII e XIII. Lo schiaffo di Anagni, 7 settembre 1303”, Nuova Stampa Frosinone 2003, potrebbe essersi stato Enrico di Kalden. Secondo alcuni storici, Enrico Testa ed Enrico di Kalden non sarebbero altri che la stessa persona. Oggi, invece, la stragrande maggioranza dei medievisti ritiene che si trattino, in realtà, di padre e figlio) nominò cavaliere Giovanni de Ceccano. “Gladio militia accinctus est” leggiamo negli Annales ceccanenses.
“Questa è la più antica testimonianza di una investitura cavalleresca nel Lazio Meridionale e denota l’alto rango cui era pervenuta in questo scorcio di secolo la famiglia dei conti dei Ceccano” scrive E.A. Papetti, citando il Toubert, in “I Conti di Ceccano tra Re, Imperatori e Papi” (Cassino, 2006).
Ma l’Aquila (sempre nera) era pure il simbolo del figlio di Enrico IV. Il grande Federico II (lo “Stupor Mundi”) o ancora dell’ultimo eroico, romantico epigone; quel Corradino al cui fianco i Ceccanesi combatterono l’ultima battaglia contro l’usurpatore Carlo d’Angiò e il suo degno compare di nefandezze Clemente IV. Il 23 agosto 1268, ai Piani Palentini (vicino a Tagliacozzo e a Scurcola Marsicana, in Abruzzo) l’Aquila nera degli Hohenstaufen sventolò fianco a fianco con quella argentea (o bianca) di Annibaldo da Ceccano.
6. L’Aquila Imperiale Sveva
“Di rosso all’aquila spiegata d’argento”.
L’Aquila argentea (o bianca) era, assieme ai merli a coda di rondine del Mastio comitale (la “Torre vetula”), il “biglietto da visita” dei Conti di Ceccano. Fedeli all’Impero sino all’ultimo.
Volendo si potrebbe pure tentare un’analisi dei colori del blasone. Il rosso rimanda al sangue che nel Medio Evo rappresentava la Vita e il Coraggio. Rosso come il sangue di Cristo versato per tutta l’Umanità. Quindi fedeltà agli ideali Cristiani e a quelli della propria Stirpe. Il bianco, o meglio, l’argento che in Araldica, a cagione della lucentezza e bellezza ha sostituito il primo, significa allegoricamente amicizia, rispetto della parola data, equità, giustizia, innocenza e purezza.
Storicamente i Conti di Ceccano non sempre si sono attenuti a questi valori ma (dal punto di vista simbolico) ciò che importa era che LORO volevano dare di sé questa immagine. Il blasone parlava per loro. Ecco perché è importante, in un contesto di rivalutazione dell’illustre passato della città, che vengano rispettati i simboli. Così come li avevano concepiti e voluti i legittimi proprietari.
In una città come Ceccano, in cui la toponomastica non rende ancora onore agli illustri membri della stirpe comitale, non può che trovarci favorevoli all’iniziativa (dello scorso agosto, come accennato all’inizio) di realizzare sul piano di calpestio di piazza XXV luglio, ai piedi dell’avito castello, alcuni blasoni che richiamano la storia della località e del lignaggio dei Conti.
- Locandina della mostra del pittore ceccanese Marco Gizzi che si è tenuta ad Orvieto nel 2016. Si noti che l’artista ha immortalato un cavaliere con un blasone filologicamente corretto della stirpe dei de Ceccano.
E ci avrebbe trovati ancora più entusiasti se si fosse proceduto con queste installazioni tenendo nel dovuto conto e rispetto un approccio filologicamente corretto proprio per quanto riguarda la storia e l’iconografia dei blasoni.
Abbiamo già parlato in questo sito degli errori presenti nel blasone del cardinale Annibaldo de Ceccano (1280-1350). Nel caso dello stemma dell’intera stirpe invece, più che uno sbaglio storico, si tratta di quella che, con un eufemismo, potremmo definire una “libertà artistica”, decisamente fuori luogo. Sempre che (ma non vogliamo nemmeno pensarlo) dietro non ci sia altro, magari una strizzata d’occhio a certo deleteri movimenti pseudoculturali che si rifanno all’ancora più pericoloso dogma del “politicamente corretto”.
Proprio rifacendoci a ciò che si è scritto all’inizio, osservando il blasone che dovrebbe raffigurare l’aquila ceccanese, si ha la sensazione di trovarsi davanti a qualcosa che non ha assolutamente nulla a che fare con la storia di Ceccano e della nobile famiglia Comitale. Perché? Beh……osservate bene il volatile che campeggia al centro dello scudo…… vi sembra un’aquila araldica?
8. Particolare della testa del “Piccione” sul blasone della stirpe ceccanese….
È come se a Catania, invece del celeberrimo elefante (animale ricchissimo di significati simbolici ed esoterici, ma ce ne occuperemo un ‘altra volta), nello stemma qualcuno avesse messo un tapiro. Magari simpatico a molti ma che non ha nulla a che fare con la splendida città etnea. O, giusto per fare qualche altro esempio, a Torino, avessero sostituito il possente toro rampante (simbolo di virilità) con qualche altro animaletto, più mite ed effemminato. Sarebbe scoppiata una rivolta. Come la levata di scudi che, qualche anno fa, avvenne a Trieste nei confronti di un giornalista sportivo della Rai che aveva definito “Gigliati” i giocatori della locale squadra di calcio. In pratica aveva confuso il simbolo di Trieste, l’Alabarda, con un Giglio. E nella città giuliana, guai a toccare l’antichissimo stemma che ha significati sia religiosi che di virtus civica.
Nell’articolo dedicato all’”Enigma del blasone” del cardinale Annibaldo, si è parlato del suo splendido palazzo trecentesco che ancora oggi è vanto della città di Avignone in Francia. Oggi è la sede della “Mediateque Ceccano”, ovvero la seconda Biblioteca d’Oltralpe. Vale la pena di rammentare che il Cardinale fece eseguire sulle pareti delle sfarzose sale oltre al blasone dello dello zio materno, il potente cardinale Jacopo Stefaneschi, il proprio e quello della stirpe dei de Ceccano. Quest’ultimo si presenta (ovviamente) “di rosso all’aquila argento (o bianca)”.
- Il blasone dei Conti di Ceccano affrescato all’interno del palazzo del cardinale Annibaldo ad Avignone.
Questa precisa e, soprattutto, coeva e indiscutibile testimonianza di com’era realmente il blasone comitale (visto che, non ci stancheremo mai di ripeterlo, si trova nella casa di uno dei membri di tale stirpe!), ci aiuta a comprendere come, l’ultimo dei tre stemmi realizzati in piazza XXV luglio sia quantomeno “equivoco”.
E si comprende perché i più piccoli cittadini di Ceccano (ma non solo i più piccoli!) l’abbiano scambiato per un-… piccione!
10. Il “Piccione di Ceccano” visibile sull’asfalto di piazza XXV Luglio (foto Roberto Adinolfi 2021).
“Uno sfregio” ha commentato, dopo averlo visto in fotografia, il ricercatore e scrittore Sergio Succu (che conosce bene Ceccano per esserci stato nel 2016 in occasione del “Premio Nazionale Cronache del Mistero” e a cui ha dedicato diverso spazio sul sito www.luoghimisteriosi.it” che cura assieme alla moglie Isabella dalla Vecchia).
“Agghiacciante” ha detto il professor Giuseppe Fort, archeologo medievista e docente universitario.
Ma la stragrande maggioranza dei commenti si è soffermata sul fatto che, qualunque cosa voglia rappresentare lo scudo dipinto sulla strada, di certo non può essere il blasone dei Conti di Ceccano.
Nei decenni passati, sullo stemma dei Conti di Ceccano si sono fatti scorrere i soliti e proverbiali fiumi di inchiostro. La “damnatio memoriae” che si è abbattuta sulla Famiglia ghibellina (probabilmente voluta dalla Chiesa di Roma) ha provveduto ad eliminare dal contesto sociale, topografico e architettonico della città qualsiasi riferimento al blasone.
Persino lo stemma comunale non corrisponde a quello comitale. La presenza, in altri contesti, di versioni più tarde ed elaborate del blasone non hanno fatto altro che creare ulteriore confusione.
Ad esempio quello “Trinciato di rosso e d’argento all’aquila dell’uno nell’altro” (esiste anche la versione “Trinciato di nero e d’argento all’aquila dell’uno nell’altro”), che compare anche su alcuni siti web e che trova giustificazione in alcune raffigurazioni presenti su documenti e testi in cui parla dei Conti ceccanesi però successivi anche di secoli alla conclusione della loro vicenda storica.
11-12 Un altro “piccione” di piazza XXV luglio. Questo decora il blasone del cardinale Annibaldo. In basso; il particolare del “piccione”.
“I Conti di Ceccano e Segni sono antichi Signori della Casa de’ Conti, che poi furono anche detti Conti d’Anagni: un ramo de’ quali per la Signoria di Ceccano, castello posto nella Sabina, come tante altre Case illustri, dalla Signoria prese il cognome; continuando però gli uni e gli altri l’insegna dell’Aquila ma сon qualche diversità… E non hà dubbio alcuno che ambe furono sempre delle più grandi e potenti Case che habbiano sotto la Chiesa in Campagna di Roma signoreggiato. Furono le armi di questa Casa un Aquila partita à traverso, la parte superiore d’argento e l’inferiore non sò se negra o rossa: il campo similmente à traverso partito, di colori contraposti à quelli dell’Aquila“.
(Ferrante della Marra in “Discorsi delle famiglie estinte, forastiere, o non, comprese ne’ Seggi di Napoli imparentate colla casa della Marra”)
13 -14. Immagine sopra: lo stemma “Trinciato di rosso e d’argento all’aquila dell’uno nell’altro” dei Conti di Ceccano secondo Ferrante della Marra. In basso: lo stemma visibile ad Anagni in cui Gelasio Caetani ha riconosciuto il blasone dei ceccanesi.
Interessante è la sottolineatura di Gelasio Caetani:
“Senonché faccio osservare che nello stemma del cardinale da Ceccano (sta parlando di Annibaldo NDA), di cui vi sono vari esempi a S. Maria a Fiume presso Ceccano ed a Carpineto, l’aquila è partita (ossia divisa verticalmente). Così è pure lo stemma che si vede, unitamente a quello dei Caetani, sulla facciata del duomo di Anagni sopra la statua di Bonifacio VIII, e che opino debba attribuirsi ai Da Ceccano; esso è d’argento all’aquila partita d’azzurro e di rosso“. (Gelasio Caetani in “Caietanorum Genealogia”)
Quindi preso atto che nel corso dei Secoli si è fatto un bel pasticcio (eufemismo) sullo stemma comitale, se si vuole seguire una corretta metodologia di ricerca storica (e in questo caso anche araldica) occorre risalire alle fonti e testimonianze coeve. E ancora una volta dobbiamo chiedere aiuto agli affreschi avignonesi.
Come è impossibile (a rigor di logica e per i motivi sopraesposti) anche solo ipotizzare che sia errato quello del cardinale, parimenti non può essere sbagliato quello della sua Famiglia di origine.
15. Frame di un documentario su Avignone. Si vedono i tre blasoni ceccanesi. Da sx quello dei Conti di Ceccano, al centro quello degli Stefaneschi e a dx quello del cardinale Annibaldo.
L’affresco avignonese fissa un paletto. Nel XIV secolo, uno dei più autorevoli membri della Famiglia dei Conti si faceva dipingere il proprio stemma e quello della propria “gens” recante un’aquila argento (o bianca) ad ali spiegate in campo rosso.
Un’aquila e non una specie di piccione grigio.
16-17. Immagine sopra: L’aquila dei da Ceccano dal sito www.angolohermes.it dell’ing. Giulio Coluzzi. In basso: una fantasiosa versione dello stemma dei ceccanesi tratto da un manoscritto del 1715 conservato nella Biblioteca Estense Universitaria.
18-19. Alcuni famosi stemmi che recano aquile mutuate da quelle medievali imperiali. A sx: lo stemma della Polonia (molto simile a quello ceccanese), a dx; quello del Friuli.
20. Immagine in basso: lo stemma della città di Trento.
21. Immagine sopra: lo stemma della città de L’Aquila
22-23. Immagine sopra: lo stemma del Brandeburgo, Land della Germania. In basso; quello della Repubblica Austriaca.
Come si può facilmente vedere, non ci sono “piccioni”.
24. Immagine sopra: Bandiera del Tirolo austriaco con al centro lo stemma araldico del Land.
Quindi, se da un lato bisogna riconoscere che l’artefice dello stemma ha seguito la lezione avignonese (e di tutti coloro, soprattutto storici locali, che nel corso degli anni hanno descritto in questo modo il blasone comitale), dall’altro non si comprendere perché non si sia riusciti a “disegnare” un’aquila e non un volatile che (lo ripetiamo) nulla, ma proprio nulla, a che fare con la storia dei Conti.
Lungi da noi voler ipotizzare di trovarsi davanti ad un atto di obbedienza al politicamente corretto (come si accennava poc’anzi), al buonismo imperante. Per qualcuno, un’aquila medievale, mutuata da quelle imperiali, era forse troppo “aggressiva”, troppo “bellicosa”? Molto meglio un innocuo piccione?
In ogni caso la conclusione è una sola. Trattasi dell’ennesima occasione sprecata per ricordare, valorizzare, far conoscere (soprattutto a coloro che vengono da fuori a visitare la città) la Storia e il passato di Ceccano e di suoi protagonisti.
Ma è sempre possibile rimediare. tanto i pneumatici delle automobili dei cittadini di Ceccano stanno rendendo giustizia dello sfregio al nobile blasone degli antichi Conti.
(Giancarlo Pavat)
25. Immagine sopra: AQUILA, Monumento al Simplon Pass -Passo Sempione, in Svizzera (foto Giancarlo Pavat 1999).
26. Immagini sotto: “PICCIONI”.
Immagine sopra:
MA NONOSTANTE TUTTO LE AQUILE CONTINUANO A VOLARE LIBERE SUI MONTI LEPINI CHE FACEVANO PARTE DELL’ANTICA CONTEA DI CECCANO (foto Giancarlo Pavat – 20 giugno 2021)
Quando ho visto quegli scudi sulla strada con quei bruttissimi disegni pensavo che li vessero fatti i bimbi dell’asilo. Il Comune dovrebbe toglierli e farli rifare.
Paola (Sora)