I SEGRETI DI SAN MENNA a Lucoli in Abruzzo; di Giancarlo Pavat.

 

Immagine di apertura, a sx, l’affresco con l’angelo che raccoglie in un Calice il Sangue di Cristo sulla Croce, visibile nella chiesa di San Menna a Lucoli.  A dx l’ingresso della chiesa stessa.

 

In una estate torrida come quella appena trascorsa, uno dei pochi modi per trovare temperature più basse di qualche grado, è stato sicuramente quello di recarsi in località di montagna. Quindi perché non decidere di raggiungere qualche paesino dell’Abruzzo che potesse offrire frescura, buona cucina e nutrimento anche per la Mente e lo Spirito, sottoforma di Arte forse poco nota ma non per questo meno affascinante.
Cosi si è scelto San Menna, frazione di Lucoli, posto a sud-ovest del capoluogo abruzzese), che è un comune sparso costituito da almeno 23 piccoli centri abitati. 

 

MISTERI D’ABRUZZO.

I SEGRETI DI SAN MENNA A LUCOLI (L’AQUILA)

di Giancarlo Pavat

E’ possibile raggiungere Lucoli o da Roma (che dista circa 120 chilometri) tramite l’uscita autostradale “Tornimparte – Campo Felice” dell’A24 Roma-Teramo, e poi prendendo la SS 584 “di Lucoli”.

Oppure direttamente da L’Aquila, distante soltanto 15 chilometri.

Nella frazione di San Menna sorge l’omonima chiesa risalente al IX secolo d.C..

2. Immagine sopra; il sagrato e l’ingresso della chiesa di San Menna, nell’omonima frazione di Lucoli (AQ).

Il Santo titolare della chiesa ed eponimo del centro abitato,  è Menna d’Egitto, ovvero un soldato romano originario dell’Egitto, che venne martirizzato a cagione della sua conversione al Cristianesimo. 

3. Immagine sopra; la statua di San Menna, realizzata da un artista locale tra il XVII e il XVIII secolo ed esposta all’interno della chiesa.

 

La datazione della chiesa al IX secolo deriva da un antico documento, collocabile all’interno di un arco temporale che va dal  789 al 822 d.C, nel quale è citata una zona chiamata San Mennato in Silva Plana.

Gli studiosi ritengono che il territorio dell’attuale Lucoli corrisponda ad un antico insediamento romano.

 

4. Immagine sopra; la semplice facciata della chiesa di San Menna, nell’omonima frazione di Lucoli (AQ).

Una data più certa, nella storia di San Menna,  è quella di 1215. 

La chiesa che stiamo per visitare viene infatti citata, (assieme a quella di San Giorgio), in una bolla di papa Innocenzo III, risalente proprio al 1215, e in cui sono elencati i beni dipendenti dall’Abbazia di San Giovanni Battista a Collimento.

E’ stato ipotizzato che la chiesa sia stata costruita sui resti di un luogo di culto pagano. Di certo c’è il fatto che sono stati utilizzati materiali di reimpiego come dimostrato la presenza di numerosi frammenti lapidei anche con epigrafi visibili sia lungo i muri esterni ma pure all’interno della chiesa.

La chiesa più antica era costituita dall’attuale navata di destra. Successivamente è stata aggiunta quella di sinistra.

La chiesa è stata riaperta al culto nel 2001, dopo i lunghi lavori di restauro diretti dalla Soprintendenza  delle Belle Arti e resi possibili anche grazie al contributo dei parrocchiani

5. Immagine sopra; Giancarlo Pavat davanti all’ingresso della chiesa di San Menna a Lucoli (AQ).

Sebbene si presenta oggi con una facciata piuttosto semplice, già a lato dell’attuale portale d’ingresso si nota un’assaggio dei tesori artistici  che custodisce all’interno.

6-7. Immagini sopra e sotto; ciò che rimane dell’affresco che decorava la grande nicchia posta a destra dell’ingresso della chiesa di San Menna a Lucoli (AQ).

Infatti in una nicchia aperta a dx dell’ingresso si vedono i resti di un affresco. È sopravvissuto un angelo (assieme ad un trono di cui rimane solo la nuvoletta su cui volteggiava) che sta ponendo una corona sul capo probabilmente della Vergine. Il condizionale è d’obbligo in quanto la  figura è andata purtroppo perduta per sempre.

8. Immagine sopra; il “Segno del Golgota” sopra l’ingresso della chiesa di San Menna a Lucoli (AQ).

Sopra il portale troneggia un grande “Segno del Golgota” scolpito a rilievo.  Il simbolo sacro è costituito da 3 colline, che in araldica si chiamano “monti all’italiana“, sormontate da una croce trilobata. 

I tre lobi posti alle due estremità del braccio orizzontale (il patibulum portato da Cristo  sulle spalle) e alla sommità di quello verticale (lo stipes, che si trovava sul luogo dell’esecuzione mediante crocifissione e su cui veniva fisso il patibulum), rimandano al Mistero della Santissima Trinità.

9. Immagine sopra; l’interno  affrescato della chiesa di San Menna a Lucoli (AQ).

Una volta entrati nella chiesa non si può non rimanere colpiti e affascinati dalla serie di affreschi che decorano parte  della controfacciata, le pareti laterali, e quella di fondo con gli altari.

10. Immagine sopra; la “Crocifissione” di Saturnino Gatti, visibile all’interno della chiesa di San Menna a Lucoli (AQ).

Tra i vari dipinti, afferenti ad epoche, committenti e artisti diversi, spicca, sulla parete sinistra, una notevole “Crocifissione”, di Saturnino Gatti.

Nato a San Vittorino nel 1463 e morto a L’Aquila nel 1518, Gatti è considerato uno dei maggiori artisti rinascimentali abruzzesi. Il suo capolavoro è certamente la cosiddetta “Pala del Rosario” dipinta nel 1511 e oggi conservata presso il Museo Nazionale d’Abruzzo a L’Aquila. 

11. Immagine sopra; la Pala della “Madonna del Rosario” di Saturnino Gatti, oggi conservata al Museo Nazionale d’Abruzzo a L’Aquila (Fonte Wikipedia).

 

12. Immagine sopra; la Crocifissione di Saturnino Gatti all’interno della chiesa di San Menna a Lucoli (AQ).

Aldilà della indubbia valenza artistica dell’opera del Gatti, desidero focalizzare l’attenzione su un particolare iconografico della “Crocifissione “.

13. Immagine sopra; particolare della Crocifissione di Saturnino Gatti all’interno della chiesa di San Menna a Lucoli (AQ). Si nota uno degli angeli intento a raccogliere il Sangue di Cristo in un Calice .

Ovvero due angeli in volo, ai lati della Croce, che, in altrettanti calici, raccolgono il sangue di Gesù che stillante dalle ferite sulle mani. La presenza di “calici” e del “Sangue di Cristo” ha fatto venire alla mente di alcuni ricercatori il Santo Graal, arrivando ad ipotizzare collegamenti tra la celebre reliquia e la chiesa di San Menna a Lucoli.

Qualcosa del genere è successo anche per una analoga raffigurazione presente nel Santuario del Crocifisso a Bassiano, sui Monti Lepini, nel Basso Lazio.

A questo punto è necessario fare un po’ di chiarezza e mettere qualche puntino sulle “I”. Molti degli appassionati a questa tematica ignorano che il termine “Graal” è una invenzione letteraria del poeta francese Chrétien de Troyes vissuto nel XII secolo. Nella sua opera, rimasta incompiuta a causa della morte, “Le Roman de Perceval ou le conte du Graal”, parla di “un graal” (con l’iniziale minuscola) e non de “il Graal”, inoltre non usa l’aggettivo “Sacro” o “Santo”. Infine, Chrétien de Troyes non mette in alcun modo questo “graal” in relazione con il Calice dell’ultima Cena, ovvero quello usato a Gesù per istituire l’Eucarestia.

L’iconografia che compare nell’affresco di Saturnino Gatti non ha nulla a che fare con i miti, le leggende, le pseudorivelazioni e le scoperte comprese nel Mare magnum afferente l’argomento “Graal/Calice dell’ultima Cena“. Inoltre non è affatto strana, misteriosa o addirittura eterodossa. Anzi, è piuttosto diffusa nell’arte sacra medievale occidentale. L’esempio probabilmente più celebre è la bellissima “Crocifissione” dipinta da Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova.

L’opera, databile tra il 1303 e il 1305, fa parte del ciclo delle “Storie della Passione di Gesù” del registro centrale inferiore, nella parete sinistra guardando verso l’altare.

Nel capolavoro giottesco, gli angeli in volo attorno alla Croce sono addirittura dieci; alcuni si stracciano le vesti per la disperazione per il sacrifico di Cristo e tre reggono, appunto, altrettante coppe, in cui raccolgono il sangue che sgorga dalle ferite alle mani e al costato.

14-15. Immagini sopra e sotto: in alto la “Crocifissione” del Santuario del Crocifisso a Bassiano (LT) con i quattro angeli che raccolgono il sangue di Gesù che stillante dalle ferite (foto G Pavat 2018); in basso: la celebre “Crocifissione” di Giotto nella Cappella degli Scrovegni a Padova (Fonte Wikipedia).

 

Ma oltre alla “Crocifissione” di Saturnino Gatti, sono da evidenziare anche altre opere che vanno dal XVI al XVIII secolo, alcune delle quali contengono altri particolari che, a prima vista, possono sembrare incongrui se non addirittura enigmatici.

16. Immagine sopra; gli affreschi risalenti al XVI secolo, a sinistra della ” Crocifissione” di Saturnino Gatti. Da dx verso sx, si riconoscono San Francesco d’Assisi (in alto), San Sebastiano e la Madonna Lauretana.

A sinistra della “Crocifissione” del Gatti, si possono ammirare  affreschi del XVI secolo raffiguranti San Francesco d’Assisi, San Sebastiano e la Madonna di Loreto con tanto di “Santa Casa” portata in volo da due angeli!

17. Immagine sopra; la “Crocifissione” di Saturnino Gatti con gli affreschi a sinistra e quelli  posti a destra.
18. Immagine in basso; il gruppo di santi affrescati a destra della “Crocifissione”. Si riconoscono, nella parte alta dell’arcata, la Madonna del Soccorso, all’interno della nicchia, il Padreterno, Sant’Antonio da Padova e (probabilmente) Santa Apollonia.

 

A sinistra della “Crocifissione” è stata realizzata una nicchia completamente affrescata. Oltre a Sant’Antonio da Padova ed una Santa identificata con la martire Apollonia, spicca il Padreterno che da sopra alcune nuvolette, con la mano sinistra regge un Globo terracqueo tripartito, mentre con la destra sta benedicendo i Santi e il paesaggio montuoso (forse lo stesso Abruzzo) sotto di sé. L’aspetto curioso è che la raffigurazione del Padreterno e incredibilmente e curiosamente simile con quella presente nella chiesa dei Ss Sebastiano e Rocco ad Acuto in provincia di Frosinone, a cui ho dedicato un libro, “I segreti della chiesa dei SS Sebastiano e Rocco ad Acuto in Ciociaria” (2015), scaricabile gratuitamente da questo sito.

19. Immagine sopra; l’affresco con il Padreterno nella chiesa dei Ss. Sebastiano e Rocco ad Acuto in Ciociaria (foto G.Pavat 2022).

Relativamente al confronto tra i due affreschi, quello abruzzese e quello ciociaro, per farsi un’idea delle opere pittoriche, sarà comunque utile riportare una sintesi delle informazioni contenute nel libro.

L’affresco della chiesa dei SS Sebastiano e Rocco occupa una superficie di circa 29 metri quadrati. Vi è rappresentata una struttura architettonica costituita ai lati da due basamenti simmetrici. Su ciascuno di essi poggiano una colonna e una lesena, sormontate da due elementi architettonici all’interno dei quali è racchiuso un timpano. Ai lati, due angeli impugnano una tromba ciascuno e volgono lo sguardo verso il basso. All’interno del piccolo catino absidale è raffigurato l’Onnipotente.

20. Immagine sopra; il confronto tra i due affreschi con il Padreterno della chiesa di San Menna a Lucoli (AQ) e della chiesa dei Ss. Sebastiano e Rocco ad Acuto in Ciociaria (elaborazione G.Pavat 2024).

Proprio come a San Menna, il Padreterno indossa una veste azzurra e un mantello rosso e ha il volto incorniciato da una folta barba grigia. Regge con la mano sinistra il Globo Terracqueo secondo la concezione trinitaria medievale del mondo e benedice con la mano destra.

L’affresco acutino può essere datato alla fine del XVII secolo o agli inizi di quello successivo. È stato eseguito da un pittore di nome Agostino Ludovisi, come recita la firma perfettamente leggibile sul festone di sinistra “AUGUSTINUS LUDOUISIUS PINGEBAT”, ma di costui non si sa assolutamente nulla. Né le ricerche della Soprintendenza, né le nostre sono riuscite a trovare ulteriori informazioni su questo pittore, certamente locale.

21. Immagine sopra; la cosiddetta Cappella di San Giacomo, all’interno della chiesa di San Menna a Lucoli (AQ).

La parete di fondo, divisa in due dall’estate a tutto sesto che sembrano le navate, è caratterizzata, sul lato sinistro, da un altare detta Cappella di San Giacomo, in quanto sembra che ci fosse un affresco, oggi scomparso, del Santo di Compostella.

L’attuale ciclo iconografico comprende diversi soggetti sacri.

22. Immagine sopra; il “Velo della Veronica” affrescato nella cosiddetta Cappella di San Giacomo, all’interno della chiesa di San Menna a Lucoli.

Come il “Velo della  Veronica“, ovvero l’immagine del volto di Gesù rimasta impressa sul panno con cui esso fu asciugato lungo la salita del Calvario.

Per inciso va ricordato che proprio in Abruzzo, nel Santuario di Manoppello (PE), è conservato ed esposto alla venerazione dei fedeli uno straordinario velo in bisso (la cosiddetta “Seta marina”) in cui è impresso il “Volto Santo” di Cristo.

23. Immagine sopra; il “Velo di Manoppello” conservato in un prezioso reliquiario nella Basilica/Santuario del Volto Santo (Foto G. Pavat 2007)

L’Immagine sarebbe “acheropita”, ovvero “non fatta da mano umana” e ha la peculiare caratteristica di essere visibile da entrambi i lati. Studi svolti dall’Università di Bari nel ’97, hanno accertato che sul “Velo di Manoppello” non ci sono tracce di colore o pigmenti.

24. Immagine sopra; il “Volto di Cristo” impresso sul “Velo di Manoppello” conservato in un prezioso reliquiario nella Basilica/Santuario del Volto Santo (Foto G. Pavat 2007)

Secondo alcuni ricercatori quellovdi Manoppello sarebbe proprio del “Velo della Veronica”.

25. Immagine sopra; San Pietro, riconoscibile dall’attributo iconografico delle Chiavi, affrescato nell’intradosso dell’arco della Cappella di San Giacomo in San Menna.

Oltre al “Velo della Veronica“, nella Cappella di San Giacomo sono stati affrescati San Pietro e San Giovanni Battista, mentre, sulla piccola volta, e frontalmente, si ammirano la Madonna con il Bambino e San Bernardino da Siena.

26-27. Immagine sopra; San Giovanni Battista affrescato nell’intradosso dell’arco della Cappella di San Giacomo in San Menna. Immagine in basso; San Bernardino da Siena.

28-29. Immagini sopra e sotto; il quadro ‘Circoncisione di Gesù” del XVII secolo. A dx dell’altare si nota la statua di San Rocco (in basso).

Sempre sulla parete di fondo, sull’altare posto a sinistra di quello principale, c’è il quadro ‘Circoncisione di Gesù” del XVII secolo e, a destra dell’altare, la statua di San Rocco.

30. Immagine sopra; il quadro ‘Circoncisione di Gesù”, visibile all’interno della chiesa di San Menna a Lucoli (AQ).

Sopra l’altare maggiore si trova un’altro quadro, “Cristo che impartisce la comunione agli Apostoli“, sempre del XVII secolo e attribuito a Francesco Bedeschini.

31. Immagine sopra; il quadro ‘Cristo che impartisce la comunione agli Apostoli”, sempre del XVII secolo.

Sulla parete di destra, procedendo dalla parete di fondo verso l’uscita, si possono ammirare altre opere d’arte. Ecco di seguito le immagini degli affreschi…..

32-33. Immagini sopra e sotto; l’angolo destro della parete di fondo della navata principale. Si vede il quadro “Cristo che impartisce la comunione agli Apostoli” e l’affresco di San Giovanni Battista, datato al XVIII secolo.

34. Immagine sopra; gli affreschi della parete destra della navata principale della chiesa di San Menna.
35. Immagine sopra; affresco del “Compianto del Cristo morto” sull’altare della Famiglia Cirella, posto a destra del Pulpito. 

Nell’affresco del “Compianto del Cristo morto” sono raffigurati Gesù esamine tra le braccia della Madre, San Giovanni Evangelista e Maria Maddalena.

Decisamente interessante è la decorazione che orna l’altare in cui si trova il “Compianto”. Si tratta di quella che viene definita “decorazione a grottesche”. Termine che deriva dalle cosiddette “Grotte” ovvero gli ambienti interrati della Domus Aurea di Nerone a Roma. Le prime decorazioni “a grottesca” compaiono verso la fine del XV secolo (ad esempio nelle opere di Filippino Lippi o del Signorelli) ma è dalla metà del secolo successivo che avranno la massima diffusione.

36. Immagine sopra; una mostruosa Arpia. Particolare delle decorazioni “a grottesca” dell’altare della Famiglia Cirella

A destra dell’altare della Famiglia Cirella, ecco l’affresco di Sant’Antonio Abate con il bastone a forma di TAU e la campanella.

 

37. Immagine sopra; affresco di Sant’Antonio Abate a San Menna.

Sant’Antonio nacque nel 250 d.C. in Egitto nella località di Coma. Padre del monachesimo orientale, e primo degli Abati (termine che deriva da “Abbà”, “padre spirituale”) fu uno dei più illustri eremiti da quando, a circa 20 anni, seguendo letteralmente il passo evangelico “Se vuoi essere perfetto và, vendi quello che hai, e dallo ai poveri”, lasciò tutto per ritirarsi nel deserto egiziano a condurre una lunga vita da anacoreta. Non è un caso che ciò si avvenuto proprio nella Terra bagnata dal Nilo. Da secoli, in Egitto, l’ “anacoresi” (in greco significa “abbandono della società”) era praticata da quanti cercavano scampo dal Mondo, alla ricerca di una propria via spirituale, da percorrere in completa solitudine (il termine “monachos” deriva sempre dal greco e significa “solo”). Vivevano in totale povertà ed al limite della sussistenza ad imitazione del Profeta Elia e di San Giovanni Battista; “la Voce di Colui che grida nel deserto”. Alla fine del III secolo d.C., Ilarione, introdurrà l’ “anacoresi” anche nel remoto deserto di Gaza in Palestina. Ben presto, la fama di Sant’Antonio fece accorrere numerosi discepoli. Pur abbandonando la vita da eremita mantenne sempre una condotta ascetica, praticando il “cenobitismo”, ovvero la vita monastica in gruppo. I cui semi erano stati già gettati, proprio in quegli anni da San Pacomio (287-346). L’Abate per due volte rientrerà ad Alessandria d’Egitto. Nel 311 per confortare ed aiutare i Cristiani perseguitati dall’Imperatore Massimino Daia e nel 355 per combattere l’eresia di Ario. Morirà ultracentenario nel 356, in odore di Santità, tanto che persino l’Imperatore Costantino si rivolse spesso a lui in cerca di consigli. Gran parte delle notizie sulla sua vita le dobbiamo alla biografia scritta da Sant’Atanasio, Vescovo di Alessandria d’Egitto dal 326 al 372 d.C..

Attributi iconografici di Sant’Antonio Abate generalmente sono il porcellino (non presente nell’affresco di San Menna) , la campanella e il bastone a forma di TAU. Che non solo ricorda la “Vera Croce” ma anche la stampella dell’ammalato o del viandante sofferente.

Inoltre il TAU allude al termine greco “thauma” ovvero “prodigio”, “guarigione miracolosa”.

A destra di Sant’Antonio si innalza l’Altare in pietra con timpano e cherubini fatto realizzate nel XVI secolo dalla Famiglia Marinanza.

38. Immagine sopra; l’affresco non raffigura Maria Maddalena con il Graal, cone ha pensato qualcuno, evidentemente suggestionato sai romanzi di Dan Brown e dei suoi epigoni. In realtà sull’interno di San Menna è stato rappresentato San Giovanni Evangelista prendendo spunto da alcune fonti apocrife.

Ma cosa c’entra l’autore del Quarto Vangelo e de L’Apocalisse con una coppa e un Serpente?

È arcinoto che i suoi attributi iconografici sono il Vangelo che è intento a scrivere e un’Aquila

39. Immagine sopra; Giancarlo Pavat all’interno della chiesa di San Menna a Lucoli (AQ).

Secondo alcune fonti apocrife, soprattutto i cosiddetti “Atti di Giovanni” (redatti da un certo Lucio Carino nel II secolo d.C., infarciti di episodi prodigiosi e straordinari ed impregnati di una buona dose di gnosticismo), a San Giovanni posero davanti una coppa colma di veleno, intimandogli di berlo. L’Evangelista lo benedisse facendone uscire un serpente”

(da G. Pavat “Nel Segno di Valcento“, edizioni Belvedere 2010). 

40. Immagine sopra; Giancarlo Pavat e l’affresco di  San Giovanni Evangelista con la Coppa (o calice) da cui fuoriesce un serpente.

 

41-42-43. Immagini sopra e sotto; l’affresco del XVII secolo, rappresentante San Martino, San Bartolomeo e, in alto,  lo Spirito Santo sotto.le sembianze di una candida colomba.

 

44. Immagine sopra; Affresco dell’Annunciazione, posto a destra di quello con i santi Martino e Bartolomeo

Quindi nessun oscuro mistero o prova di teorie complottiste, ma più semplicemente un’opera d’arte basata su racconti certamente apocrifi ma di sicuro non eretici. Dopotutto l’ignoto artefice di San Menna è in buona compagnia. Basti pensare ai capolavori del Giampietrino (1480-1553) o di  Piero di Cosimo (1461-1522), solo per citarne un paio, in cui è stato appunto eternato l’Evangelista mentre benedice la coppa da cui fuoriesce il Serpente. Per quanto riguarda l’aspetto femminile che tanto ha scatenato la fantasia di appassionati di teorie eterodosse, soprattutto nelle raffigurazioni di “Ultime Cene“, non vi è alcuna Maria Maddalena assieme a Cristo e agli Apostoli.

45-46. Immagini sopra e sotto; (in alto) il San Giovanni Evangelista del Giampietrino visibile nella Basilica di San Magno a Legnano (MI); (in basso) sempre San Giovani ma questa volta dipinto da Piero di Cosimo e attualmente esposto presso l’Academy of Arts di Honolulu, Hawaii (Usa) – (Archivio ilpuntosulmistero).

Gli artisti hanno rappresentato San Giovanni con sembianze effeminate (o quasi) per il semplice motivo che volevano sottolineare il fatto che era il più giovane degli Apostoli. Eccolo quindi imberbe, al contrario degli altri 11, tutti con belle barbe da uomini adulti, e con j capelli lunghi, simbolo di giovinezza. L’Arte, non solo quella Sacra, è interessante e affascinante anche senza voler trovare misteri ad ogni costo.

 

Concludiamo questa breve visita alla chiesa di San Menna, tenendo ben presente che ci sono ancora altre opere d’arte da scoprire. Quindi, l’invito è quello di recarsi a Lucoli, godersi le montagne, l’ottima cucina e, come si diceva inizialmente, pure le opere d’arte che, cone uno scrigno segreto, custodisce quel piccolo borgo, siano di artisti famosi che di anonimi artefici. 

quando si riprenderà il cammino, portiamo nei luoghi da cui proveniamo o ai quali siamo diretti, il ricordo di San Menna a Lucoli. Se mai un giorno dovesse capitare la sventura che tutto ciò dovesse sparire materialmente dalla storia, forse, sopravvivrà, almeno, nella memoria e nei sogni.

Si ringrazia il signor Roberto Bernabeo di Lucoli, la cui  squisita cortesia ci ha permesso di visitare la chiesa di San Menna.

 

(Giancarlo Pavat)

Se non altrimenti specificato, le immagini sono dell’autore.

 

 

IN RICORDO DI MAURO BIANCHINI

 

Assieme al quale (e agli altri amici di Lucoli) passammo una splendida giornata d’agosto tra le montagne d’Abruzzo e che, soprattutto, contattando Roberto Bernabeo, fece in modo che potessimo visitare la chiesa di San Menna.  Lo ricorderemo sempre con affetto.

Immagine sopra; da sx Giancarlo Pavat, Mauro Bianchini, Roberto Bernabeo e Luigi Marinanza all’interno della chiesa di San Menna a Lucoli l’8 agosto 2024.
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Un commento:

  1. Gaetano Barbella

    Gentile Giancarlo Pavat
    ho letto con interesse il suo articolo e la ringrazio per il meticoloso lavoro di ricerca sui segreti di San Menna a Lucoli.
    Ho dato molto spazio alla mia attenzione quando Lei si è soffermato su San Giovanni, in particolare il dipinto di Piero di Cosimo in sembianze effeminate (o quasi) che lei risolve «senza senza voler trovare misteri ad ogni costo». Lei ravvisa nel santo la giovinezza in rapporto all’aspetto adulto del resto degli apostoli con barba e capelli lunghi e ha ragione ma è la ragione del normale uomo svincolato dal mistero che l’artista ha riposto nella rappresentazione del quadro di San Giovanni.
    Ma tenga a mente il detto del suo sito “Il Punto del Mistero” che le ricorda: “Non troverai mai la verità, se non sei disposto ad accettare anche ciò che non ti aspettavi” (Eraclito)
    Per capire il Mistero su San Giovanni occorre soffermarsi sui simboli, il primo dei quali è il Calice, e lei stesso chiarisce che non è la coppa del Graal del particolare della Crocifissione di Saturnino Gatti all’interno della chiesa di San Menna a Lucoli (AQ). Ma ancor più con i 10 Calici della “Crocifissione” del Santuario del Crocifisso a Bassiano (LT).
    Al posto del vino, nel calice di San Giovanni vi è il serpente che l’Apocalisse dello stesso Giovanni definisce «bestia», in particolare quella di terra che è rappresentata da un agnello cornuto che parla come un drago. San Giovanni dal canto suo é con la mano alzata che segna il due (e non il tre), questo vuol dire che si tratta del Cristo. Meglio del gran sacrificio di Gesù sul Golgota. Di qui si dipana parte del Mistero riposto in questa rappresentazione in cui è la potenza del Cristo che, con il Suo sacrificio, si “sveste”, da “maschio” che era, in “donna”. Questa rinuncia permette alla «bestia» di rivalutarsi e disporsi a rinunciare alla sua follia bestiale. Questa rappresentazione di Piero di Cosimo trova paragone con un altro dipinto, quello del famoso Alessandro Bonvicini detto il Moretto (1498-1554), “L’Incoronazione della Vergine coi Santi Giuseppe, Francesco, Nicola e l’Arcangelo Michele” (1469). Dipinto olio su tavola del 1534 esposto nella Chiesa dei Santi Nazaro e Celso di Brescia. Lo si può vedere a questo link: https://it.wikipedia.org/wiki/File:Incoronazione_della_Vergine_con_i_santi_Michele_Arcangelo,_Giuseppe,_Francesco_e_Nicola_di_Bari.jpg.
    Questo dipinto entra nei particolari per far capire e vedere come avviene il sacrificio del Cristo, che è rappresentato da San Michele è l’Arcangelo definito “come Dio”.
    Quando vidi il quadro per la prima volta ne fui fortemente impressionato (la mia prima abitazione bresciana era poco distante dalle Chiesa del Santo). L’Arcangelo Michele mi colpì particolarmente sembrandomi diverso dalle solite iconografie in cui compare con i paramenti da guerriero, con corazza, elmo, spada e munito della bilancia di giustizia. Perciò non mi aspettavo di vedere un San Michele vestito invece come se fosse una donna, tanto da mostrarsi tale persino nelle fattezze corporee in modo inequivocabile.
    Nel caso del Moretto si potrebbe intuire che nell’Arcangelo Michele, paragonato a Dio stesso, operi la Sua misericordia al punto di rivelarsi nelle vesti femminili e persino nelle membra. Notare il dettaglio della veste annodata sulla coscia, un vezzo perfettamente femminile fino ai giorni nostri.
    Tuttavia rende comunque perplessi il rapporto che si stabilisce fra Michele e la bestia, questa non più come l’essere demoniaco in veste umana rappresentato da altri pittori, per esempio Guido Reni.
    La bestia, forse nell’intento del Moretto, potrebbe rientrare nella visione del terzo segno dell’Apocalisse di Giovanni, la «bestia di terra»:
    «Vidi poi salire dalla terra un’altra bestia, che aveva due corna, simili a quelle di un agnello, che però parlava come un drago.» (C.E.I. 2008. Ap 13,11).
    Ma nella fase di transizione a questo quarto segno si passa di seguito al quinto segno, quello dell’Agnello e i vergini, come a metterli in relazione con un preciso intento che ora non si capisce:
    « E vidi: ecco l’Agnello in piedi sul monte Sion, e insieme a lui centoquarantaquattromila persone, che recavano scritto sulla fronte il suo nome e il nome del Padre suo. » (C.E.I. 2008 – Ap 14.1)
    Già da qui Giovanni sembra voglia legare l’Agnello con la bestia, che non sembra aggressiva e che l’arcangelo Michele sfiora col piede quasi delicatamente, ed è sul punto di consegnare la sua forza.
    Resta ora il fatto saliente che riguarda da vicino l’Arcangelo Michele in sembianze femminili, col volto adornato con ghirlanda di fiori di campo. La domanda è ora, grazie a quale sortilegio la bestia è adagiata ai piedi di Michele, tutt’altro che incline a qualsiasi ostilità? Infatti sembra gradire lo sfiorare di quel piede di Michele sul suo petto, ma c’è ben di più con quel puntale dorato della presunta lancia che avrebbe dovuto trafiggerla. Invece è come se si fosse stabilito un singolare gradevole rapporto fra la strana punta quadristellare con una sorta di grossa coda eretta della Bestia ad essa attorcigliata.
    Dal punto di vista alchemico questa rappresentazione rientra nel termine re-bis o rebis alchemico (dal latino res bis,o res bina,«cosa doppia») usato in alchimia per indicare il risultato di un matrimonio chimico, designando anche la pietra filosofale, intesa come unione degli opposti, o compositum de compositis.
    Resta da chiarire il lato della “femmina” che prende il posto del “maschio” nel San Giovanni e l’Arcangelo Michele dei due quadri suddetti.
    In “Noli me tangere” di Albrecht Dürer il Salvatore è chiaramente intento a fare un “segno” sulla fronte di Maria Maddalena, un gesto in cui si ravvisa un’azione iniziatica. Maria Maddalena, simboleggia la Conoscenza (gnosi), e rappresenta dunque l’incarnazione umana di Sophia e come tale, la Sposa e la Sacerdotessa di Cristo.
    Il Vangelo di Tommaso prevede questa iniziazione con la trasformazione di Maria Maddalena in uomo:
    “Simon Pietro disse loro: Maria deve andare via da noi, perché le femmine non sono degne della vita!
    Gesù disse: Ecco, io la guiderò in modo da farne un maschio, affinché lei diventi uno spirito vivo uguale a voi maschi. Poiché ogni femmina che si fa maschio entrerà nel Regno dei Cieli” con un evidente significato esoterico, intendendo con il farsi maschio, la condizione di Androgino ovvero la ricongiunzione degli opposti e il ritorno all’Adam primordiale”.
    La Camera Nuziale, riportata nel vangelo di Filippo, può essere quindi quel luogo archetipico della suprema congiunzione degli opposti, il luogo della ierogamia, dell’accoppiamento sacro.
    Maria Maddalena è dunque l’eros, il Netzach (vittoria) della cabala, la Venere della spiritualità pagana, l’Iside dell’Antico Egitto, la vita che sconfigge la morte.
    Buon Natale
    Gaetano Barbella

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