IL LABIRINTO IN ETÀ ANTICA: IL FASCINO DI UN SIMBOLO ANCORA PIENO DI MISTERI
di Ignazio Burgio
Parte prima: i labirinti più antichi.
Sin dall’età antica il simbolo del labirinto ha suscitato la curiosità e l’interesse di studiosi, appassionati, o semplici amanti dell’arte e dell’architettura. Le sue origini non sono ancora del tutto chiare, al pari del significato che aveva presso gli antichi, e nel secolo scorso molti studiosi e ricercatori ne hanno dato interpretazioni anche contrastanti. Gli stessi sviluppi artistici e simbolici della figura, in primo luogo da circolare a quadrata e viceversa, nel mondo greco, etrusco e romano, costituiscono un vero rompicapo, che tuttavia non manca di affascinare.
Simbolo di rinascita. Fino a non molto tempo fa si riteneva che il labirinto più antico esistente al mondo fosse quello inciso all’interno di una tomba a Luzzanas in Sardegna, inizialmente datato al 2500 a. C. Analisi più recenti lo hanno tuttavia attribuito all’epoca romana, e lo fanno risalire a dopo il 500 a. C. Identica sorte hanno recentemente subito anche i labirinti incisi sulle rocce nella regione inglese della Cornovaglia, e quello della località di Hollywood, in Irlanda, inizialmente datati all’Età del Bronzo, ma poi dopo più attente osservazioni, attribuiti dagli studiosi ad epoche molto più recenti.
Allo stato attuale delle conoscenze, le immagini più antiche di labirinti si dimostrano quelle incise sulle rocce di Pontevedra, una località galiziana nel nord della Spagna. Circolari, a sette corridoi, con una sola entrata/uscita e un unico percorso, come tutti i veri labirinti fino alla prima metà del ‘500 (della nostra era), risalgono alla media Età del Bronzo, ovvero attorno al 1800 – 1500 a. C. Questi labirinti rupestri si trovano inoltre vicino ad antiche miniere di stagno e dunque probabilmente erano usati per finalità magico-religiose allo scopo di proteggere i minatori nel loro rischioso lavoro.
Furono probabilmente i Greci Micenei che nel II millennio a. C. raggiungevano via mare la Penisola Iberica per procurarsi soprattutto il prezioso stagno, a fondere i culti e i miti relativi al Minotauro di origine cretese (ma non solo) con la figura dei labirinti della Galizia. Con l’avanzare delle ricerche nel corso del XX secolo, sempre meno studiosi hanno infatti dato credito alla teoria di Evans, lo scopritore della civiltà minoica, che identificava il leggendario labirinto con il palazzo di Cnosso a Creta. Dietro il mito di Arianna, Teseo e l’uomo-toro si nascondono in realtà gli arcaici culti religiosi di morte e rinascita dove la dea madre minoica Arianna – discendente del dio sole e patrona della natura – dona al defunto, rappresentato da Teseo, il raggio di sole ai solstizi, convertito nel mito in un filo di lana, come legame tra il sotterraneo mondo dei morti e quello luminoso dei viventi. È tramite questo raggio-filo che ogni defunto, come Teseo, potrà uscire dall’Ade-labirinto reincarnandosi, dopo aver ucciso l’antropofago Minotauro, come se fosse proprio il sacrificio funebre di un toro.
Sono molti gli indizi storico-archeologici che confermano tale ricostruzione. Ad es. una variante antica del famoso mito afferma che al posto del filo di lana, Arianna stessa avrebbe guidato Teseo illuminando il labirinto con la sua corona splendente; e si può anche considerare lo spettacolare fenomeno che accade ancora oggi ogni solstizio d’inverno all’interno del nuraghe sardo di Santa Barbara a Villanova Truschedu (Oristano) dove un raggio di sole penetra da una fessura a forma di testa bovina e riproduce sul pavimento la testa luminosa di un toro; e via dicendo. Secondo molti studiosi, già gli stessi Greci Micenei avrebbero dato al simbolo il nome di Dapyrinto – poi trasformatosi rapidamente secondo il Palmer in labirinto – con cui i cretesi identificavano molto probabilmente le grotte poste sotto la protezione di un’importante divinità femminile (o Potnia, probabilmente la dea Arianna) adibite a necropoli. Dapirinto, termine in scrittura lineare B ritrovato in una delle tavolette di Cnosso, potrebbe significare “il luogo dove la terra sembra fuoco” (Da = terra; pyr = fuoco; into = luogo), e potrebbe riferirsi alle caverne cretesi adibite a necropoli orientate verso l’alba o il tramonto dei solstizi.
Come dimostrato da una tavoletta ritrovata nel cosiddetto “Palazzo di Nestore”, tra le rovine di di Pilo nel Peloponneso (1200 a. C.) i medesimi Micenei preferirono rendere quadrata anziché circolare la figura del labirinto, non soltanto per la loro predilezione per le linee rette, ma secondo diversi studiosi, anche per riprodurre simbolicamente la pianta dei loro palazzi e delle loro acropoli. Paradossalmente però, un labirinto inciso su di un masso di granito scoperto nella prima metà del secolo scorso nel Caucaso a Machcesk, in Ossezia, e datato dall’archeologo Krupnov alla fine del II millennio a. C., è di forma circolare. Secondo il medesimo archeologo russo, l’idea del labirinto sarebbe stato portata fin lì proprio dai naviganti Micenei attraverso il Mar Nero, anche se non si capisce come mai avesse conservato la forma circolare tipica delle sue origini iberiche.
Cessata la civiltà dei Greci Micenei negli ultimi secoli del II millennio a. C., la figura del labirinto ricompare dopo un lungo periodo di vuoto – sempre che siano corrette le datazioni degli archeologi – nell’VIII secolo a. C. nella città di Gordio, in Asia Minore (750 a. C.) e nella zona alpina della Val Camonica (700 a. C.) dove sono presenti alcuni esempi di labirinti circolari graffiti sulle rocce, in uno stile grezzo ed impreciso. Simile a questi è il labirinto anch’esso circolare presente su di una brocca funeraria, o oinochoe, risalente all’inizio del VII sec. a. C. ritrovata nel 1878 all’interno di una tomba etrusca in località Tragliatella, nei pressi dell’antica città di Cere, oggi Cerveteri.
Accompagnato da diverse altre figure che, secondo l’interpretazione più comune, riprendono il mito di Teseo ed Arianna, il simbolo rappresentato sul vaso funerario sottintende l’arcaico significato del labirinto come immagine dell’Ade e del mondo sotterraneo dei defunti, come confermato poi nella successiva tradizione letteraria latina anche da Virgilio nel libro VI dell’Eneide. La brocca – attualmente conservata nei Musei Capitolini a Roma – appare in realtà piuttosto spoglia, poiché sulla superficie chiara s’intravvedono appena le tracce delle immagini. Ma rimangono qua e là i resti del colore di fondo rosso cupo originario, su cui spiccavano chiaramente i contorni bianchi delle figure.
Due elementi del vaso di Tragliatella hanno fatto discutere molto gli studiosi specie nel secolo scorso. Il primo è costituito dal gruppo di sette fanti e due cavalieri (cioè nove, come i mesi di gravidanza) che escono dal labirinto come da una caverna. Uno dei due cavalieri porta dietro di sé un’altra figura che secondo molti studiosi rappresenterebbe una scimmia, ma che in realtà è l’embrione in cui il defunto si è reincarnato. Poichè i fanti sembrano danzare, gli studiosi ritengono che essi stiano eseguendo un Ludo Troiano (Troiae lusus), una danza rituale che presso Etruschi e Romani veniva eseguita soprattutto in occasione dei funerali e della fondazione di nuove città. L’altro elemento controverso è costituito dalla parola Truia, scritta all’interno del labirinto da destra verso sinistra (AIURT) la cui interpretazione non è univoca. Alcuni come ad es. H. Kern ritengono possa significare “arena” cioè il luogo dove si svolgeva la danza, rappresentato proprio dai corridoi del labirinto. Ma altri (ad es. P. Santarcangeli) tuttavia sono convinti che indicasse proprio il nome più famoso della celebre città di Priamo in qualche maniera diventata anticamente sinonimo di labirinto.
Le scoperte di Francavilla. L’ipotesi che all’epoca in cui fu prodotta la brocca di Tragliatella (VII sec. a. C.), o anche prima, si venisse a creare nella nostra penisola uno stretto collegamento mitologico tra il simbolo del labirinto e la città di Troia appare in realtà tutt’altro che fantasiosa. E’ opportuno infatti tener presente che in quel periodo storico furono molto frequenti i contatti tra i Greci ed i popoli italici in seguito alla continua fondazione di nuove colonie. A Francavilla Marittima, in provincia di Cosenza scavi archeologici condotti sin dall’inizio degli anni sessanta del secolo scorso nelle adiacenti località di Timpone della Motta e Macchiabate riportarono alla luce un antico santuario greco, ed una necropoli di italici pre-greci, cioè Enotri, risalente al IX secolo a. C. Nel santuario, facente parte di un’acropoli di una città sconosciuta, tutti gli edifici rettangolari si rivelano orientati, secondo il lato corto, o verso il tramonto del solstizio d’estate (l’edificio 1, azimut 302,5°), oppure verso l’alba del solstizio invernale (tutti gli altri, azimut 120°).
In base ai reperti ritrovati – tutti conservati nel vicino Museo di Sibari – il medesimo santuario, risalente perlomeno all’VIII sec. a. C. venne attribuito alla dea Atena, ma risultò anche che venne edificato su di un precedente luogo di culto degli Enotri dedicato ad un’arcaica ed ignota divinità femminile locale. Quest’ultima, proprio come l’Atena greca che ne prese il posto, doveva ricoprire il ruolo di patrona dell’arte tessile, poiché fra le rovine vennero ritrovati reperti che concernevano la tessitura, in particolare dei pesi da telaio, quadrangolari di terracotta su cui vi era inciso un fitto disegno labirintico. Gli archeologi ritengono che la divinità femminile indigena preesistente presiedesse alla fecondità della natura e dei campi, alla fertilità femminile ed a tutti i lavori svolti dalle donne. Le sue sacerdotesse, perlomeno a partire dal 700 a. C., dovevano tessere, su di un telaio con i pesi raffiguranti forme labirintiche, gli indumenti da offrire alla dea, proprio come in epoca successiva avrebbero poi fatto i Greci nei confronti di Atena. Nonostante i disegni sui pesi non siano dei veri labirinti (possiedono più di un’entrata/uscita e più corridoi), colpisce tuttavia il fatto che si trovino associati ai lavori tessili, proprio come il ben noto “filo d’Arianna”, ed in un arcaico santuario dedicato ad una divinità femminile, i cui edifici risultano orientati ai solstizi.
Sulla base di successivi scavi e di altri ritrovamenti anche recenti, l’archeologa olandese Marianne Maaskant ritiene che la misteriosa città di cui facevano parte sia l’acropoli che il santuario sul Timpone della Motta sia Lagaria, una località menzionata da molti autori antichi. Secondo la leggenda – elemento molto interessante – essa venne fondata da Epeo, il carpentiere greco che costruì il cavallo di Troia, che di ritorno dalla città omerica si fermò sulla costa calabra, consacrando alla dea Atena i suoi strumenti da falegname e fondando la città alla quale diede il nome della propria madre, Lagaria appunto. Sorprendentemente la stessa immagine della dea Atena ritrovata durante gli scavi tra le figurine di terracotta è identica a quella venerata proprio a Troia, la Atena Ilias alla quale secondo Omero la regina Ecuba, moglie di Priamo, offrì il suo prezioso peplo.
Secondo la medesima Maaskant la devozione locale per l’eroe Epeo potrebbe risalire ad epoche anche precedenti la fondazione della greca Lagaria, cioè durante i primi contatti commerciali tra i Greci e gli Enotri di Calabria. Proprio a quell’età risalirebbe allora anche l’arrivo del simbolo del labirinto quadrato, come quello di Pilo, riprodotto in maniera errata sui pesi del telaio sacro utilizzato dalle sacerdotesse del santuario arcaico pre-greco. Ma in ogni caso appare evidente che furono senz’altro i naviganti a diffondere i miti e i culti relativi all’eroe omerico, e forse anche a fondere in qualche maniera il simbolo del labirinto con l’epica troiana: i rischiosi tragitti via mare in un’epoca senza strumenti di navigazione e senza previsioni meteo, dovevano certamente apparire agli antichi marinai simili alle avventurose traversìe, le tempeste e le perdite in mare vissute dagli eroi achei – Menelao, Agamennone, Ulisse, e quindi anche Epeo – per tornare alle proprie case dopo la distruzione di Troia. Era poi inevitabile che anche la città omerica fosse da essi equiparata ad un malefico labirinto che aveva tenuto i Greci per tanto tempo lontani dalla loro patria, e che il suo nome diventasse sinonimo di Ade e mondo degli Inferi. Comunque sembra di capire che già durante i primi secoli della colonizzazione greca – VIII e VII a. C., un’epoca priva di tante testimonianze storiche e archeologiche andate perdute – lungo tutta la penisola italiana si diffondessero i miti relativi a Troia insieme a quelli di Teseo, Arianna ed il labirinto, come sembra dimostrato proprio dal vaso funerario di Tragliatella.
Labirintomania. Un centinaio di anni dopo la sepoltura di questa brocca nella tomba etrusca di Tragliatella, nell’attuale località marocchina di Taouz venne inciso sulla roccia un labirinto, frutto certamente dei contatti tra le popolazioni locali ed i naviganti fenici e punici, che sicuramente dovevano conoscere il simbolo.
Contemporaneamente nel medesimo periodo anche nel mondo greco esplode in maniera pressocchè improvvisa una vera e propria “Labirintomania”: il cosiddetto Vaso Francois, un cratere di terracotta rossa a figure nere, prodotto ad Atene nel 570-560 a. C. da un certo Ergotimo e dipinto dal pittore Clizia, presenta sotto il bordo superiore la danza di ringraziamento dei quattordici ostaggi ateniesi, ed è solo il primo di una lunga serie di prodotti artistici che riprendono il mito di Teseo. A partire dal V sec. a. C. (tra il 500 ed il 431 a. C.) a Cnosso, nell’isola cretese ormai grecizzata, cominciano a venire coniate monete d’argento che al dritto riproducono il Minotauro, e sul rovescio motivi artistici a doppia spirale (ad angoli retti), o a meandri con tanto di sole e stelle. Finalmente, a partire dal 431 a. C., vengono impressi sulle monete anche i veri e propri labirinti (gli unici ritrovati fino ad ora a Creta), mentre sull’altra faccia, al dritto, presentano la testa di divinità femminili (Demetra, Era, Atena). Si era evidentemente in un periodo in cui le singole polis del mondo greco andavano alla ricerca di una propria identità culturale, attingendo soprattutto dai miti più famosi, come nel caso dello sconfitto Minotauro.
Non mancano naturalmente gli interrogativi ed i misteri. Gli autori antichi, dal greco Erodoto al latino Plinio parlano di quattro grandi labirinti, come se fossero meraviglie del mondo antico, a Cnosso, in Egitto, a Lemno e nell’etrusca Chiusi. Dato che secondo quasi tutti gli studiosi il Palazzo di Cnosso non poteva essere un labirinto, al momento non c’è alcuna traccia di nessuno dei quattro. Un altro enigma di questa fase storica è rappresentato dai resti del tempio circolare di Asclepio ad Epidauro. Le sue fondamenta ancora visibili presentano dei corridoi comunicanti tra loro fino al centro che lo rendono equiparabile alla forma di un labirinto. Secondo Kerenyi che li studiò nella prima metà del secolo scorso, i corridoi erano troppo stretti per venire percorsi in maniera agevole, e avanzò l’ipotesi che i sacerdoti del dio della medicina vi allevassero dei serpenti per finalità di culto.
In età ellenistica il simbolo del labirinto appare anche in India: un esemplare circolare, di colore rosso, risalente al 250 a. C. si trova dipinto in una roccia presso un tempio dedicato alla dea Kalì a Tikla (Madhia Pradesh, India centrale). Molto probabilmente venne recato in quella lontana regione dai naviganti greci e poi romani (o “Yonas” come venivano chiamati dalle popolazioni indiane) che cominciarono ad attraversare regolarmente l’Oceano Indiano approfittando dei Monsoni, o “venti di Ippalo”, come erano anticamente denominati. La figura del labirinto, nella forma esclusivamente circolare, ebbe poi una discreta diffusione anche in altre parti dell’India, e da lì anche in Indonesia, grazie all’influenza politica dei sovrani indiani su Giava e Sumatra.
Se si confrontano i labirinti nel mondo greco e romano, quello che soprattutto colpisce e che genera interrogativi è la preferenza per le forme quadrate. Rari esempi di labirinti circolari, come in una moneta sempre di Cnosso del II sec. a. C. (fra il 190 ed il 100) sono anch’essi presenti, ma sono una minoranza rispetto ai tanti simboli di forma quadrata, anche sotto forma di graffiti ed incisioni come i labirinti sempre a sette corridoi visibili nell’Acropoli di Atene (IV sec. a. C.) e nell’isola di Delo (fine I millennio a. C.).
Questa medesima tendenza estetica viene conservata anche in età romana, allorché in tutto l’impero, dall’Oriente alla Penisola Iberica, dalla Britannia al Nord-Africa esplode una vera e propria mania per i mosaici a forma di labirinti. Tutti i ricchi proprietari di ville vogliono anche un labirinto, di solito quadrato, tra i pavimenti a mosaico delle proprie dimore.
Fine prima parte
Bibliografia ed osservazioni.
Come affermato nel testo, è ormai certo che i più antichi esempi di labirinti si trovino incisi sulle rocce nella regione della Galizia in Spagna (risalenti ad un periodo tra il 1800 ed il 1500 a. C.). Gli studi più recenti hanno infatti postdatato di parecchio il famoso labirinto inciso nella Tomba di Luzzanas in Sardegna, che secondo gli archeologi risalirebbe non più al 2500 a. C. bensì al 500 a. C. Per maggiori informazioni si veda l’articolo di Jeff Saward, The first labyrinths, in: www.labyrinthos.net .
Le differenze tipologiche riguardanti forma e percorso dei labirinti nel corso della storia vengono trattate sia nel saggio di Paolo Santarcangeli, Il libro dei labirinti, Vallecchi, da p. 45 in poi, come anche nell’articolo di Jeff Saward, Mazes or Labyrinths?, in: www.labyrinthos.net .
Una panoramica pressocché esauriente delle differenti interpretazioni sulla genesi del labirinto nell’antichità e sul significato del termine si trova in un articolo di P. E. Pecorella inserito alla voce “Labirinto” nell’Enciclopedia dell’Arte Antica dell’Enciclopedia Treccani – www.treccani.it . L’interpretazione archeoastronomica del significato del labirinto viene esposta nel mio articolo Il “labirinto” più antico del mondo ad Erice svela i suoi misteri al solstizio d’estate, in questo stesso sito ,e nei primi capitoli del mio saggio (ebook): Labirinti. Enigmi svelati, misteri irrisolti,StreetLib, 2018. Il volume di Isabella Dalla Vecchia, Sergio Succu, Luoghi di Forza, Sperling & Kupfer, a p. 81-82 riporta il fenomeno del Toro solare nel nuraghe di Santa Barbara, in Sardegna.
Su Creta, le sue divinità e il vocabolo Dapyrinto: Francis Vian, Le religioni della Creta minoica,in: Storia delle religioni, Laterza. Anche in Hermann Kern, Labirinti. Forme e interpretazioni, Feltrinelli, si affronta la questione del labirinto cretese, delle caverne e dell’origine del nome (da p. 40).
Sui Greci Micenei: Lucia Vagnetti, I Micenei in Occidente. Dati acquisiti e prospettive future, in: www.persee.fr . Giovanna Fundoni, Le relazioni tra la Sardegna e la Penisola Iberica tra il Bronzo Finale e la prima età del Ferro…, ed. Università di Cordova (Spagna) 2013 (reperibile in rete): in particolare sia sulla presenza di Micenei e Ciprioti prima in Sardegna e successivamente nella Penisola Iberica, come anche sulle testimonianze archeologiche della loro presenza sui litorali atlantici ed in Galizia.In Hermann Kern, Labirinti… cit., a p. 80 vengono date notizie sul labirinto del Caucaso. Nell’interessante articolo di Federica Cordano, Il labirinto come simbolo grafico della città, in: Mélanges de l’Ecole française de Rome. Antiquité, tome 92, n°1. 1980. pp. 7-15 (www.persee.fr/doc/mefr_0223-5102_1980_num_92_1_1226), sono contenute le tesi di G. Pugliese Carratelli e di altri studiosi per l’interpretazione del labirinto di Pilo come rappresentazione grafica e simbolo del palazzo reale e poi per estensione anche dell’intera polis.Sulla brocca di Tragliatella: Maria Rita Albanesi, Il fregio dell’Oinochoe di Tragliatella, in: www.atopon.it . Hermann Kern, Labirinti… cit.: da p. 85 inizia una dettagliata dissertazione sul Ludo Troiano e la brocca di Tragliatella. Lo studioso traduce la parola etrusca “Truia” con “arena”, cioè luogo di danza, ma tanti altri, tra cui il Santarcangeli (Il libro dei Labirinti, cit. p. 232) non sono d’accordo ed invece riconoscono nella parola il nome della città omerica. Altro interessante articolo è quello di Pierluigi Romeo di Colloredo, Dagli Etruschi al Palio. Lusus Troiae, Equorum Probatio e Palio di Siena, in: www.academia.edu. Anche questi traduce la parola Truia con Troia, sottolineando l’equivalenza per gli antichi fra la città omerica ed il labirinto.Per quanto riguarda gli enigmi di Francavilla, in Hermann Kern, Labirinti… cit., a p. 33 vengono illustrati i pesi da telaio labirintici di Francavilla, anche se l’autore li definisce tavolette di terracotta. Altri interessanti articoli: Kasia Burney Gargiulo, A Francavilla Marittima le pietre di Lagaria parlano di Epeo, costruttore del cavallo di Troia, in: www.famedisud.it; Franco Liguori, Forse svelato il mistero di Lagaria, la mitica città fondata da Epeo, in: www.comune.francavillamarittima.cs.it; anche nel già citato articolo di Federica Cordano, Il labirinto come simbolo grafico della città, cit. si discute dei pesi da telaio con gli pseudolabirinti. Gli scavi nei dintorni di Francavilla iniziarono nel 1963 sotto la direzione dell’archeologa Paola Zancani Montuoro. Sue collaboratrici erano le archeologhe olandesi Maria W. Stoop e la giovane Marianne Maaskant, all’epoca ancora borsista. Altro articolo sull’argomento è quello di M. Gentile, M. T. Granese, S. Luppino, P. Munzi, L. Tomay, Il santuario sul Timpone Motta di Francavilla Marittima (CS): nuove prospettive di ricerca dall’analisi dei vecchi scavi, in: www.academia.edu .
Il labirinto nell’ultimo millennio a. C.: Hermann Kern, Labirinti… cit.: a p. 79 vengono riportati i labirinti della Val Camonica; da p. 58 in poi vengono riportate le monete di Cnosso con Minotauro e labirinti. Per quanto riguarda il labirinto di Gordio, menzione e datazione sono riportate nel già citato articolo di Jeff Saward, The First labyrinths. Nel medesimo articolo viene corretta anche la datazione del labirinto circolare su di un frammento di ceramica trovato a Tell Rifa’at, in Siria, datato inizialmente al 1200 a. C. ma molto probabilmente di epoca romana. Anche il petroglifo che riproduce un labirinto circolare trovato insieme ad altri esempi di arte rupestre a Taouz in Marocco è stato datato al 500 a. C. circa (giunto lì probabilmente in seguito a contatti commerciali fenicio-punici).
Sui labirinti misteriosi dell’antichità: Hermann Kern, Labirinti… cit.: da p. 61 sul “labirinto” egiziano; da p. 69 su quelli di Lemno/Samo, e su quello etrusco di Porsenna; a p. 76 si parla del “labirinto” di Nauplia.
Il tempio-labirinto di Epidauro. Hermann Kern, Labirinti… cit., da p. 72. L’interessante saggio di Karoly Kerenyi, Serpenti e topi nel culto di Apollo e di Asclepio, si trova nel volume del medesimo autore, Nel Labirinto, Boringhieri, 1983, da p. 97.
Informazioni dettagliate sui labirinti in India si possono trovare in Hermann Kern, Labirinti… cit., da p. 371 in poi.
La foto dei labirinti rupestri di Pontevedra è stata gentilmente concessa da Jeff Saward, come specificato nella didascalia (Jeff Saward / Labyrinthos.net Photo Library). Sia l’utilizzo di questa, così come delle due immagini dei pesi da telaio di Francavilla (per gentile concessione personale di altri) sono riservati. L’immagine della moneta di Cnosso è tratta da W. H. Matthews, Mazes and labyrinths, 1922. La foto del vaso di Tragliatella è stata scattata da me. Le altre immagini sono tratte da Wikipedia.org
Maggiori dettagli sui labirinti ed i loro misteri ancora irrisolti, dall’antichità fino all’età contemporanea, si possono trovare nel mio ebook: LABIRINTI. ENIGMI SVELATI, MISTERI IRRISOLTI (Nuova edizione, 2018).