Immagine di apertura; l’Aquila Leporaria sveva di Castel Ursino a Catania.
“Quel signor dell’altissimo canto, / che sovra gli altri com’aquila vola”
(Dante Alighieri, Divina Commedia, Inferno, IV, vv. 95-96)
Si è già affrontata in diversi articoli e pubblicazioni la complessa tematica della presenza di un profondo simbolismo nell’arte dell’età svevo-normanna. Un simbolismo esoterico nel senso etimologico del termine.
Ricordiamo che “Esoterico” vuol dire “nascosto”, nel senso di NON per tutti, ma solo per coloro che (citando la frase evangelica pronunciata da Cristo) “hanno orecchie per intendere”. Ovvero hanno la preparazione culturale e spirituale necessaria. Al contrario di “Essoterico” (o “Exoterico”) che invece “è per tutti”.
Non va scordato che tutta l’arte antica e in particolare quella medievale cristiana (presentata essotericamente come tale), poteva essere letta su più piani della Conoscenza. Affreschi, sculture, vetrate istoriate, potevano essere la Biblia pauperum (ovvero la “Bibbia dei poveri” o meglio dei “non letterati”) ma al contempo potevano recare precisi e profondi messaggi sapienziali a coloro che erano in grado di comprenderli.
Non sfuggono a tutto ciò le opere d’arte legate in particolar modo al grande Imperatore Federico II di Svevia, lo “Stupor Mundi “.
2. Immagine sopra; la testina coronata in cui si è riconosciuto Federico II di Svevia, scolpita su un capitello del Chiostro dell’Abbazia cistercense di Casamari in Ciociaria (Foto G. Pavat).
In questa sede ci si occuperà del Simbolo principale dell’Impero e della Maestà cesarea, ovvero della stessa legittimità come erede degli antichi imperatori romani; l’Aquila. Ma di un’ Aquila particolare. Quella “Leporaria”.
3. Immagine sopra; L’Aquila Imperiale sveva (Fonte Wikipedia)
L’Aquila, come animale totemico, è presente in quasi tutte le culture che si sono affacciata sul palcoscenico della Storia dell’Uomo.
4. Immagine sopra; un’aquila in volo sopra i Monti Lepini nel Lazio meridionale, fotografata da Giancarlo Pavat il 20 giugno del 2021.
Le peculiarità del grande volatile, come la vista acutissima, il volo lento e maestoso, la capacità di raggiungere altezze impensabili per altri uccelli, e la singolarità di poter piombare in maniera rapidissima e impressionante sulle prede, ha da sempre scatenato la fantasia umana. Dando vita a diversi miti e leggende, ma pure credenze religiose, che hanno trasformato un animale reale in qualcosa che va aldilà del mondo materiale. Rendendolo Simbolo del Trascendente e di tutto ciò che è legato al Divino.
Nel mondo dello sciamanesimo, il grande rapace era il simbolo del Dio Creatore. Infatti per i nativi americani è la rappresentazione di Wakan Tanka, l’”Uccello del Tuono”, che elargisce i Raggi del Sole, generatrici di Vita. È la teofania tra gli “Uomini di Manito”, il “Grande Spirito”.
Quindi l’Aquila è un simbolo Solare, positivo. I grandi capi dei nativi americani si cingevano la testa con un copricapo realizzato con penne d’aquila.
5. Immagine sopra; Un “Sakem” pellerossa con il sacro copricapo di penne d’aquila (Elaborazione di G. Pavat)
Presso gli Jakuti siberiani il nome dell’aquila è il medesimo della loro divinità genitrice. Tanto che gli sciamani, intermediari fra il popolo e la divinità, tra il mondo materiale e quello spirituale, erano chiamati “Figli dell’aquila”.
Secondo le loro credenze è proprio un’aquila a trasportare l’anima dello sciamano durante la sua fase d’iniziazione.
Parimenti, nella mitologia norrena, la dea Freja si trasformava nel rapace per poter passare da un piano esistenziale all’altro, per accedere ai Mondi superni, a quelli inferi, attraverso “Midgard”, la “Terra di Mezzo”.
Un’aquila è appollaiata tra i rami del Sacro Frassino Yggdrasill, l’ “Albero Cosmico”, l’“Axis mundi“. In perenne contrapposizione con il serpente Níðhöggr che ne rosicchia le radici.
6. Immagine sopra; Yggdrassil, il Sacro Frassino della tradizione norrena (disegno di G. Pavat)
E sempre il maestoso rapace sorvola il Valhalla, dimora di Odino, dei Luminosi Asi e degli Eroi norreni.
Lo stesso Odino, padre dei Luminosi Asi, si può trasformare in Aquila. Lo fa per l’idromele, che rende poeta chi lo beve.
Infine sarà ancora una volta l’Aquila a volare, primo essere vivente, sulla Terra desolata dopo il Ragnarok e dare il via ad un nuovo Ciclo ove non ci saranno più né morte, né malattie.
Nel Mito sumerico di Etana, è sempre un’aquila che porta l’Eroe in Cielo.
Secondo la mitologia greca, Zeus si trasformò in aquila per rapire Ganimede. Ma l’animale era visto anche come messaggero degli dei olimpici. Non per nulla, nell’Iliade, Priamo, prima di recarsi presso Achille per ottenerne la restituzione del corpo straziato del figlio Ettore, offre al padre degli dei una libagione pregandolo di inviargli “l’uccello che ti è caro fra tutti e che ha la forza suprema […] Zeus ascolta la sua supplica e subito fa librare in volo l’aquila, il più sicuro degli uccelli …”.
Per i Romani (forse la Civiltà meno spirituale della Storia ma sicuramente molto superstiziosa), essendo l’Aquila la portatrice delle folgori di Zeus/Giove (ecco perché veniva rappresentata con i fulmini stretti negli artigli), serviva anche come simbolo apotropaico per difendersi dalle stesse.
Dal punto di vista militare, sarà il console arpinate Caio Mario, nel 104 a.C., a trasformare l’Aquila di Giove nel simbolo delle Legioni e quindi, della Potestas della Romanità.
Nel far questo, toglierà il primato di animale totemico e simbolico dell’Esercito repubblicano romano, ad altre creature, come il lupo, il cavallo selvaggio, il verro e il mitologico Minotauro.
In epoca imperiale, l’Aquila della Legione era custodita dalla prima Centuria della prima Coorte.
8. Immagine sopra; l’Aquila araldica della Dinastia prussiana degli Hohenzollern, poi diventata emblema del II Reich tedesco (1871-1918). (Archivio ilpuntosulmistero).
Da Roma in poi, l’Aquila sarà per sempre l’emblema di tutti grandi iimperi. Che, esplicitamente o meno, si rifaranno a quello romano o che se ne proclameranno addirittura eredi. Da quello bizantino (o Impero Romano d’Oriente) a quello carolingio (Sacro Romano Impero). Da quello ottoniano della “restauratio imperi” (Sacro Romano Impero della nazione tedesca), a quello russo (il termine “zar” deriva da “Caesar” e Mosca si ammanto’ del mito della “Terza Roma”), da quello asburgico, a quello prussiano degli Hohenzollern, a quello del “Petit caporal“, ovvero Napoleone Bonaparte. Per arrivare sino agli Stati Uniti d’America che, pur essendo una repubblica, adotteranno istituzioni e simboli mutuati dal’Antica Roma, come, appunto, quello dell’Aquila. Sebbene si tratti, ovviamente, di una specie di rapace esclusiva dell’America settentrionale; l’Aquila dalla testa bianca (o “Aquila pescatrice”) detta “Aquila americana”.
9. Immagine sopra; L’Aquila dalla testa bianca che campeggia nello stemma degli Stati Uniti d’America. In inglese “Great Seal of the United States”. (Fonte Wikipedia).
Michel Pastoureau spiega che fu Carlo Magno, primo Sacro Romano Imperatore, facendo “porre in cima al suo palazzo di Aix-la-Chapelle” (la romana Aquisgrana, oggi Aachen in Germania) un’aquila, a concretizzare (ovviamente deliberatamente) la “traslatio” dell’aquila Imperiale Romana (con tutti i significati simbolici, allegorici ed esoterici sottesi) come simbolo del “Nuovo Impero”.
10. Immagine sopra; Ritratto immaginario di Carlo Magno (1512-1513) di Albrecht Durer. Si notano due blasoni. A destra quello con i gigli di Francia e, a sinistra, l’Aquila nera del Sacro Romano Impero (Archivio ilpuntosulmistero).
11. Immagine in basso; ancora oggi la città di Aachen reca nel proprio stemma l’Aquila Imperiale. (Archivio ilpuntosulmistero).
La tradizione germanica, all’aquila aveva preferito, “come la cultura celtica, un altro uccello da preda: il falco. Questo fa sì che verso l’Anno Mille, alla fine dell’epoca Ottoniana, si possa operare uno slittamento formale e simbolico tra il falco germanico e l’aquila romana. L’uccello simbolico degli imperatori Staufen (si tratta della “Casa di Svevia” o Hohenstaufen NDA) e dei loro successori (Federico Barbarossa è il primo a portare l’aquila sul gonfalone e sullo scudo) è il prodotto di una fusione tra i due volatili”.
12. Immagine sopra; l’Aquila, simbolo dell’Impero degli Svevi, nella decorazione del parapetto della scala che porta all’ambone della Concattedrale di Bitonto – BA (Foto P. Lecce)
L’aquila degli Hohenstaufen era nera. Così la portò su vessilli e blasoni Enrico VI e, soprattutto, suo figlio, appunto, Federico II, il “Puer apuliae”. Che la trasformò nel Simbolo più importante e sacro dell’Impero.
13. Immagine sopra; l’Aquila normanna e sveva della Fontana della Zisa a Palermo (Foto G. Pavat).
E sempre un’Aquila nera sventolo’ nell’ultima battaglia degli Svevi, al fianco dell’ultimo epigone della gloriosa stirpe, il giovanissimo Corradino nipote dello “Stupor Mundi”, il 23 agosto 1268, ai Piani Palentini, vicino a Tagliacozzo e a Scurcola Marsicana, in Abruzzo.
Ma se da un lato l’Aquila è indubbiamente un simbolo politico dall’altro non si può scordarne il profondo valore esoterico. È il più eccelso tra i volatili, poiché, unico tra gli esseri viventi, può volare vicino al sole senza bruciarsi. Così come Cristo è l’unico a vedere Dio Padre.
«Come un’aquila che desta la sua nidiata, volteggia sopra i suoi nati, spiega le sue ali, li prende e li porta sulle penne….»
(Deuteronomio 32: 11)
Pertanto Simbolo Cristico e simbolo della percezione diretta della Luce Divina e della Conoscenza ad essa afferente e da essa promanente.
Ed è proprio questo aspetto, che più ci interessa in relazione a Federico II, e che andremo ora ad affrontare.
L’Imperatore costello’ i suoi domini, i suoi Palazzi, i suoi Castelli, con bassorilievi, sculture a tutto tondo e altre forme figurative (persino le monete; gli “Augustali”), rappresentanti l’Aquila Imperiale.
Basti pensare a ciò che rimane del suo Palazzo Reale di Foggia. Ovvero un archivolto con motivi vegetali, sostenuto, appunto, da Aquile Imperiali. Oggi il pregevole pezzo è incastonato sulla facciata di Palazzo Arpi, sede del Museo Civico.
14. Immagine sopra; l’esemplare meglio conservato delle due Aquile Imperiali dell’archinvolto del Palazzo Reale di Federico II a Foggia.
Ma oltre alla tradizionale Aquila araldica a volo spiegato, Federico II marco,’ soprattutto il suo sfavillante Regno di Sicilia, con un rapace iconograficamente leggermente diverso ma con valenze e peculiarità ancora più profonde ed esoteriche. L’Aquila Leporaria, appunto.
15. Immagine sopra; l’Aquila Leporaria scolpita su un capitello della navata della Cattedrale di Taranto in Puglia.
L’Aquila Leporaria è un soggetto iconografico piuttosto antico. Nell’Italia meridionale è attestato sin dall’XI secolo (come dimostra il bassorilievo di un capitello della navata della Cattedrale di Taranto). Di evidente derivazione bizantina, raggiunse la sua massima diffusione proprio in epoca federiciana. Il significato “politico” del Simbolo, ovvero la sua valenza essoterica è decisamente evidente. L’Aquila imperiale, cioè l’imperatore, sottomette i propri nemici soprattutto i ribelli alla sua Autoritas.
16. Immagine sopra; A Maenza, oggi in provincia di Latina, sopra la Porta urbica presso la medievale “Loggia dei mercanti”, è visibile un’Aquila leporaria. Probabilmente ricordo degli Svevi e di Federico II. Nell’attuale stemma comunale l’Aquila leporaria è stata sostituita da una più semplice Aquila nera. Forse è anch’essa un ultima reminescenza di quell’epoca irripetibile. Non è certamente l’Aquila dei de’ Ceccano (che furono signori di Maenza) visto che il loro blasone ostentava un Aquila bianca in campo rosso (Foto G. Pavat)
È questo il significato più immediato, verrebbe da dire “quello più in superficie”, dell’esemplare di Aquila Leporaria scolpita a tutto tondo e visibile in un nicchia posta sopra un ingresso di Castel Ursino a Catania.
Innalzato tra il 1230 e il 1240, a sud del porto della città, il maniero fu voluto da Federico II come monito verso i catanesi che si erano ribellati, sobillati dal vescovo e dal pontefice Gregorio IX. Quindi l’Aquila Leporaria di Castel Ursino rappresenterebbe proprio l’Imperatore che sottomette la città ribelle. Chiave di lettura che pare trovare un”ulteriore addentellato. Secondo alcuni studiosi a questa scultura andrebbe contrapposta quella presente in vico degli Angeli. Si tratta di una piccola icona popolare di incerta datazione ma comunque non coeva dell’Aquila Leporaria di CastelUrsino. Vi è raffigurata Sant’Agata, patrona di Catania, che schiaccia un uomo, in cui si è voluto riconoscere proprio l’Imperatore. Quindi al Simbolo dell’Imperatore che sottomette i Catanesi ribelli, ecco che questi ultimi (probabilmente qualche tempo dopo ma fine degli Svevi) risposero con l’immagine della loro Patrona che sconfigge Federico II.
L’icona riprenderebbe oltre a raffigurazioni similari oggi scomparse, anche una antica leggenda legata proprio alla riconquista di Catania da parte dello “Stupor Mundi”.
Si narra che, dopo la vittoria sui Catanesi ribelli, l’Imperatore avesse preso la decisione di mettere a morte tutti gli abitanti, donne e bambini compresi, e di radere al suolo la città. I Catanesi, appresa la decisione imperiale, chiesero come ultimo desiderio di poter assistere ancora una volta alla Messa nella loro Cattedrale dedicata a Sant’Agata. Federico II acconsentì ma volle assistere anche lui alla funzione. Appena l’Imperatore prese il suo libro di preghiere e lo aprì, su tutte le pagine apparve l’acrostico N.O.P.A.Q.U.I.E..
Turbato, Federico II chiamò un saggio monaco benedettino chiedendo di interpretare il sibillino messaggio. Il monaco sciolse l’acrostico leggendo la frase latina “Noli offendere Patriam Agathae quia ultrix iniurarum est”. Ovvero “Non offendere il paese di Agata, perché è vendicatrice di ogni ingiustizia”.
L’Imperatore, evidentemente impressionato ancora più, decise quindi di obbedire alla volontà della Patrona della città etnea, e diede l’ordine di risparmiare tutti gli abitanti e di non distruggere Catania. L’acrostico N.O.P.A.Q.U.I.E. è ancora oggi visibile sulla facciata della Cattedrale settecentesca di Catania.
17. Immagine sopra; La valenza politica del Simbolo la ritroviamo anche nell’esemplare di Aquila Leporaria del soffitto musivo della Sala di Ruggero II del Palazzo dei Normanni a Palermo. Rappresenta il potere dei nuovi sovrani della Sicilia sulle diverse genti che vivevano sull’isola; latini, greci, ebrei e arabi (Foto G Pavat).
Ma sotto il significato “politico”, “storico” dell’Aquila Leporaria, sotto la valenza essoterica, si cela quella “esoterica”. Un “messaggio metastorico” molto più profondo.
Per prima cosa va rammentato che l’Aquila con una preda tra gli artigli fa parte di quella categoria di rappresentazioni plastiche, soprattutto romaniche, eternate in cattedrali, chiese, abbazie, pievi, chiostri, in cui si vede una fiera (leone, pantera ecc) o uccello da preda (falco o aquila, appunto) o mostro mitologico (drago, viverna, grifone ecc) che stringe tra le zampe artigliate, o tra le fauci, un essere vivente, come un capretto, un cerbiatto o, addirittura, un essere umano. Come si vede, ad esempio, sull’ambone della Cattedrale canosina di San Sabino. Oppure come nel caso dei Leoni che reggono il sarcofago di Federico II nel Duomo di Palermo.
18. Immagine sopra; uno dei leoni che decorato e reggono il sarcofago di porfido di Federico II di Svevia. Tra le zampe si nota un essere umano (Foto G Pavat).
19. Immagine in basso; l’Aquila con una testa umana tra gli artigli dell’ambone della Cattedrale di San Sabino a Canosa di Puglia (Foto G. Pavat)
Il Leone (o altro predatore) che ghermisce (o tiene tra le zampe o tra le fauci) un essere vivente, rappresenta Cristo che protegge il fedele. Iconografia, quindi, assimilabile a quella del “Buon Pastore”, a sua volta derivata dall’Hermes crioforo.
Chi era “in grado di comprendere”, doveva abbandonarsi con fiducia e Fede al Magister. Che in questo caso era l’Imperatore in persona. Infatti, è storicamente provato che volesse unire nella propria persona la funzione sia regale che sacerdotale. Quindi Federico II come Magister, come Melkisedek, come Cristo stesso.
Ma una ulteriore lettura esoterica di queste opere vede il fedele, l’adepto, l’allievo (l’animale o l’uomo afferrato dagli artigli) che si abbandona fiducioso all’insegnamento sapienziale del Magister, del Sapiente, che gli consentirà di elevarsi su altri piani della Conoscenza, sino alla Comunione con il Trascedente.
20. Immagine sopra: Leone con figura umana tra le zampe. Chiesa di Sant’Antonio Abate a Priverno – LT (Foto G Pavat).
21-22. Immagini sopra e sotto; i due leoni dell’ambone trecentesco della chiesa di Santa Maria del Fiume a Ceccano in Ciociaria. Entrambi stringono un essere umano tra le zampe (Foto G. Pavat).
Ma l’Aquila Leporaria ha ulteriori particolari peculiarità rispetto agli altri rapaci o fiere sopra citati, proprio nel fatto che tra i suoi artigli stringe una lepre.
La Lepre, avendo tane sotterranee, era considerato un animale notturno, lunare (si tenga presente che i piccoli vengono svezzati in circa 28, 29 giorni, esattamente la durata del mese lunare), che si muove nei mondi ctoni.
E proprio per quest’ultima peculiarità è pure vista come una creatura portatrice di fecondità, generatrice di nuova vita, addirittura di nuove esistenze e di nuovi periodi della vita dell’Uomo.
Il fatto che la lepre sia un animale molto prolifico, che con la propria fertilità vince la distruzione apportata dai predatori, ha reso questo essere simbolo di eternità.
24. Immagine sopra; il pulpito del Battistero di Pisa realizzato da Nicola Pisano (XIII secolo). Si nota l’Aquila Leporaria.
Inoltre, essendo in contatto con i mondi ctoni, quindi con la matrice della Vita stessa, la Lepre può essere considerata pure un tramite per la comprensione dei grandi misteri dell’esistenza stessa.
Può suggerire risposte alle grandi domande che l’uomo da sempre si pone.
Paradossalmente, essendo nella realtà biologica un animale velocissimo. Dal punto di vista simbolico, induce alla riflessione, alla calma, alla meditazione, attraverso le quali poter accedere ai grandi misteri del Cosmo.
D’altronde, si è già accennato come la lepre sia una sorta di messaggero che ci reca brani di sapienzialità dai mondi ctoni a quello di superficie dove vive l’Uomo. Visto che si sposta indifferentemente tra i vari piani esistenziali.
In sintesi ovunque si ritrovino raffigurazioni di lepri in corsa, in attesa oppure, come decorazione musiva normanna del pavimento del Duomo di Monreale (XII secolo) in Sicilia, che si rincorrono per l’eternità formando una Swastika (che, come spiega Guenon, è un simbolo solare, del “divenire”, della trasformazione), sono simboli di Conoscenza esoterica, di sapienzialità simbolica che consente all’Uomo di elevarsi ad altri piani esistenziali, trascendenti e al contempo, è metafora di immortalità proprio come l’Uroboro.
25. Immagine sopra; le quattro lepri che si rincorrono del Duomo normanno di Monreale in Sicilia (Elaborazione di G. Pavat).
26. Immagine in basso; l’Uroboro scolpito sul frontone del vecchio ingresso del Cimitero Cattolico di Trieste (Foto G. Pavat 2024)
Inoltre non va scordato che le quattro lepri si rincorrono all’interno di un Esagramma formato da due quadrati soprapposti e ruotati di 90°.
A proposito di lepri rese graficamente e artisticamente mentre sembrano rincorrersi in un eterno ciclo di morti e rinascite, va ricordata una singolarità studiata da Jurgis Baltrusaitis (1903-1988), il grande studioso lituano di arte medievale, (“Il Medioevo fantastico”, Adelphi 1973).
Trattasi di raffigurazioni in cui compaiono tre o quattro lepri “raggruppate in modo tale che certe loro parti sembrano appartenere sia all’una, sia all’altra”. E più precisamente le orecchie. “In un medaglione quadrilobato della cattedrale di Lione (basamento del portale destro, 1310-1320), quattro lepri girano come in una ruota, salendo, rovesciandosi e ricadendo all’indietro. Le loro orecchie si sovrappongono e formano al centro un quadrato, sono soltanto quattro, invece di otto, ma per effetto ottico ogni testa sembra averne due”.
Baltrusaitis cita come esempio (noto) più antico di una simile iconografia “quello rinvenuto nel Turkestan cinese, in una delle grotte del monastero buddista di Tun-Huang, scavate e decorate tra il VI e il XI secolo. Al centro del soffitto, tre lepri girano in cerchio sul triangolo isoscele formato dalle orecchie, all’interno di un cerchio”. E ancora “Il tema fu ripreso dall’Islam: un vaso d’argento del XII-XIII secolo, rivenuto nella regione di Perm (nel Circondario del Volga, Russia orientale europea, a occidente della catena degli Urali NDA), riproduce esattamente il medesimo disegno, accompagnato da una iscrizione cufica”.
Tale iconografia ebbe molto successo nell’Europa occidentale, tanto che la troviamo realizzata in opere d’arte del XV secolo in Saint Maurice di Vienne in Francia, nell’Abbazia di Muototal in Svizzera, a Paderborn in Germania, solo per fare qualche esempio.
27. Immagine sopra: particolare del Duomo di Paderborn in Germania con le tre lepri che si rincorrono per l’Eternità. Sono state scolpite solo 3 orecchie ma, per un effetto ottico, ogni testa sembra averne 2 (Fonte Wikipedia)
È giocoforza ovvio ipotizzare che le tre lepri creando con le proprie orecchie un triangolo, siano una rappresentazione dissimulata del Triscele o della Trinacria, con tutti i significati simboli afferenti.
28. Immagine sopra; Simbolo della Trinacria (collezione privata G. Pavat).
29. Immagine in basso; il Triscele, tra l’altro logo del.joatro sito www.ilpuntosulmistero.it