IL TEVERE ‘RACCONTA’…
(E QUALCHE SUO MISTERO)
di Roberto Volterri
“Il fiume è dentro di noi, il mare tutto intorno”
(Thomas Stearns Eliot, poeta e drammaturgo statunitense naturalizzato britannico, 1888 – 1965)
Questo breve articolo è nato tempo fa come la prima parte di un documentario televisivo e anche di un libro in cui il fiume Tevere avrebbe ‘personalmente’ narrata la sua nascita, il suo lungo percorso di oltre 400 chilometri, qualche località non troppo lontana e in cui fosse possibile recarsi per osservare i piccoli o grandi “misteri” lì conservati.
Percorrere il tragitto dal Monte Fumaiolo al mare avrebbe comportato anche la necessità di sostare a lungo in alcune località per documentare adeguatamente e filmare ciò che man mano veniva scoperto.
Così, l’idea del documentario svanì per le insuperabili difficoltà “tecniche” – diciamo così… – e il tutto rimase a livello di molti appunti e di alcune pagine che qui vorrei proporre ai lettori de “Il Punto sul Mistero” lasciando la ‘parola’ proprio al fiume Tiberis, come preferiva appellarlo Plinio il Vecchio…
“Dalle mie parti, tanto ma tanto tempo fa, non c’era quasi nessuno…
O meglio, vedevo pascolare intorno a me strani animali che oggi non esistono più, oppure sono bene illustrati solo sui libri di scuola dei vostri bambini. E non c’era neppure nessun essere umano, e se c’era era un po’ diverso da voi: coperto di peli, con uno strano ghigno, non parlava come parlate voi oggi ma emetteva degli strani mugugni e brandiva minacciosamente un lungo bastone e, a volte, un osso residuo del suo frugale pasto serale. Ma questi erano altri tempi e questa è un’altra storia…
Dicevo che sono nato molto tempo fa in quella terra che voi chiamate Romagna, più esattamente presso quel simpatico paese che si chiama Verghereto, nella provincia di Forlì. In realtà – ma non ditelo a nessuno, mi raccomando! – quando sono nato ero… in Toscana, nella provincia della bella città di Arezzo, ma nel 1934 Benito Mussolini, nato a Predappio e quindi romagnolo DOC, allora capo dello Stato, decise di operare un piccolissimo ‘ritocco’ alla carta geografica e così ora sono diventato anch’io romagnolo. Ma non mi lamento affatto!
Sorgenti del fiume Tevere sul Monte Fumaiolo
Il fiume Tevere raffigurato allegoricamente nel marmo.
Nasco molto in alto, su una vetta dell’Appennino che raggiunge i 1407 metri sul livello del mare e che anche un vostro sommo poeta – mi pare si chiamasse Dante Alighieri… – definì nella sua “Commedia”, direi nel XXVII canto dell’Inferno, “… giogo di che Tever si diserra…”. Quando, però, ancora non mi chiamavo Tevere, ma sulla vicenda del nome tornerò più avanti…
La montagna dove sono nato l’’hanno denominata Fiumaiolo proprio per le numerose sorgenti che sgorgano dalla sue pendici. Poi si sa come vanno certe cose e i nomi, col passar del tempo, vengono un po’ storpiati. Così ora mi chiamo semplicemente Fumaiolo. Un gran bel nome, non vi pare?!
Le mie madri – ebbene sì, ne ho ben due! – si trovano a soli dieci metri una dall’altra e vengono chiamate ‘Le Vene’, sono situate un po’ più in basso della vetta, a 1268 metri e continuano… a farmi crescere al ritmo di 10 litri al minuto.
Qui accanto, proprio per facilitarvi la strada nel caso vi venisse l’idea di farmi una visitina di cortesia, c’è una stele ornata da tre teste di lupo e un’aquila. Sono molto orgoglioso del fatto che qualcuno dotato di vis poetica vi abbia inciso la frase…
“Qui nasce il fiume sacro ai destini di Roma”
“Qui nasce il fiume sacro ai destini di Roma”. La stele ornata da tre teste di lupo e un’aquila.
E sì, perché piano piano, come si conviene ad un fiume di nobili origini come le mie, vi condurrò nell’Urbs Aeterna, a Roma – e anche un po’ oltre – narrandovi man mano qualche interessante o divertente episodio che ha per scenario proprio il sottoscritto.
Appena nato, appena lasciata la località Le Vene, a volte mi nascondo per un po’ sotto terra, a volte riemergo e – non badando a spese – dò pure origine ad una bella, suggestiva piccola cascata, a quota 1167 metri, in località Le Balze regalando ai simpatici abitanti del luogo un po’ di benessere poiché, data la mia ‘augusta presenza’, esso è diventato fiorente località di villeggiatura.
La piccola cascata alle sorgenti del Tevere, a quota 1167 metri, in località Le Balze
Se volete venire farmi quella visita di cortesia di cui facevo cenno, in questa località non dimenticate di ammirare la chiesetta dedicata alla ‘Madonna dell’Apparizione’, che ricorda un miracolo avvenuto nel XV secolo, ora segnalato da tre croci in località ‘Sasso del Miracolo’.
Non dovrei parlare della ‘concorrenza’ — si fa per dire! – ma vi suggerirei di fare anche una breve escursione alle sorgenti del Senatello, parente alla lontana che nasce dalle pendici del monte Aquilone. Se vi rimane un po’ di tempo fate un salto anche all’Eremo di Sant’Alberigo, a quota 1297 metri, e al Poggio dei Tre Vescovi, un po’ più in basso, da cui avrete una visione panoramica su quasi tutta la Romagna.
Torniamo a noi…
Man mano che scendo a valle, a quota 1030 metri, mi avvio verso il paese di Falera e, più avanti, nei pressi di Colorio – dove giro un po’ verso Ovest – passo proprio sotto il locale castello per poi dirigermi verso l’Autostrada del Sole, non prima di aver offerto un po’ di spazio al mio primo affluente, il torrente Teveriola.
Poi, velocemente e senza indugi, corro verso Sud…
Il torrente Teveriola, primo affluente dell’appena nato Tevere.
Un primo incontro con un “mistero”
Siete ancora dalle parti di Predappio?
Sì? Allora non proseguite subito il viaggio verso Sud, poiché vi suggerisco di fare un salto nella vicina Forlì e dare un’occhiata ad un disco “magico”, tuttora conservato nel locale Museo Archeologico Comunale, in Corso della Repubblica 72.
No, mi dispiace! Non è il disco “magico” che dovrebbe ancora essere conservato nel Museo Archeologico di Forlì, ma è qualcosa di simile, rinvenuto nell’isola di Cipro.
Qualche anno fa, lo studioso dottor Paolo Cortesi si occupò di un curioso disco di terracotta, spesso circa cinque centimetri e con il diametro di ventidue centimetri. Su una delle facce sono incise sei circonferenze concentriche, equidistanti, all’interno delle quali una mano misteriosa ha impresso segni e parole dall’oscuro significato. Nel cerchio più esterno appaiono sei simboli molto simili al “Sigillo di Salomone” — la “Stella di David” – che, per la filosofia ermetica medievale ricordavano i quattro elementi originari, ovvero l’Acqua, l’Aria, la Terra e il Fuoco, in una perfetta simbiosi con l’Unità Divina, con il Creatore.
Raffigurazione di un amuleto ebraico con la “Stella di salomone”
Chi incise quei segni padroneggiava di sicuro qualcuno dei segreti della Magia, dell’esoterismo…
In un anello centrale pare di poter leggere la parola “zetma”, mentre in un anello un po’ più esterno la mano del “mago” d’altri tempi ha inciso l’arcana parola “bremeb”.
La dottoressa Luciana Prati, già Direttrice del Museo, datò il reperto al XVII secolo o alla metà del secolo precedente.
Quasi certamente si tratta dell’opera di un “mago” che – per oscuri motivi – realizzò questo “talismano apotropaico”, in grado cioè di allontanare le influenze negative o, più semplicemente, il… “malocchio”.
Però, per chi si occupa di queste cose, l’oggetto appare frutto del lavoro di un “mago” di campagna, quasi un rozzo praticone, messosi all’opera per realizzare una specie di “talismano” su richiesta di qualche antico abitante di Forlì che desiderava una “protezione magica” per la sua casa o per la sua bottega. In definitiva un reperto su cui gli appassionati di “misteri” potrebbero svolgere ulteriori indagini, non considerandolo sic et simpliciter, una sorta di… ferro di cavallo ante litteram!
Un ben più famoso “disco misterioso” è quello di Festo, trovato nel 1908 sull’isola di Creta, da una missione archeologica italiana. Al giorno d’oggi si conoscono decine di “traduzioni”, nessuna, ovviamente, esaustiva!
“Dove eravamo rimasti?
A, sì, ricordo: mi stavo dirigendo a gran velocità verso sud perché prima di tuffarmi nel blu del Mar Tirreno debbo ancora percorrere quasi quattrocento chilometri, attraversando la Toscana, l’Umbria e il Lazio!
Che bel paesaggio! Sto entrando proprio in terra Tosca e la valle intorno a me, in mio onore, l’avete chiamata Alta Valle Tiberina, ricca di boschi di querce e rigogliosi filari di viti.
Ecco in lontananza il paese di Fratelle e poco più a sud, in collina, Valsavignone dove vi suggerirei di soffermarvi per una mezz’ora – voi che lo potete fare! – per ammirare l’opera “Madonna con Bambino e i Santi Pietro e Agostino” raffigurati su stupende terrecotte ‘robbiane’. Questo termine vi giunge nuovo? Poco male! In due parole ve ne spiego l’origine…
Una bella opera dei Della Robbia, ‘Madonna col Bambino e i santi Domenico, Tommaso d’Aquino, Alberto Magno e Pietro martire’
Dovete sapere che la Robbia e’ una pianta ben diffusa nell’ Europa meridionale e nell’Asia e molto tempo dopo la mia nascita sul monte Fumaiolo, fu utilizzata per ricavarne un particolare colorante naturale oramai soppiantato da prodotti chimici artificiali.
La Robbia, pianta erbacea assai diffusa nei boschi sempreverdi, nella macchia mediterranea
Io credo che dal nome di questa pianta, dapprima utilizzata solo nell’arte tintoria, ebbe origine il cognome della famiglia Della Robbia, verosimilmente dedita inizialmente proprio a questo genere di artigianato, per poi diventare celebre con la tecnica della terracotta invetriata policroma messa a punto da Luca della Robbia (1400-1482) in una bottega Fiorentina.
Torniamo al nostro viaggio verso il mare…
Ecco in lontananza un altro mio piccolo affluente, il torrente Bulicano che sfiora l’omonimo paese su cui svetta un piccolo caratteristico castello che sembra sfidare il monte Castelsavino ‘alto’ 1242 metri sul livello di quel mare che fra non molto raggiungerò.
Qua e là, benevolmente, ospito altri torrenti che insieme a me vogliono gettarsi tra i flutti del mare, a pochi chilometri da Roma. Così sfioro i borghi di Cercatole – date un’occhiata al locale Santuario a quota 995 metri s.l.m. – e Moggiano, con una caratteristica seicentesca chiesetta.
Più in là saluto velocemente Pozzale e Sintigliano per arrivare subito a Pieve Santo Stefano, dove il torrente Ancione viene a farmi compagnia, aumentando ancor più la mia già non trascurabile portata d’acqua. Un paio di millenni prima che voi nasceste – ma io, da qualche secolo, viaggiavo di già verso sud – qui sorgeva l’antica cittadina romana di Suppetia, conosciuta anche, in epoca più tarda, come Oppidum Verone, luogo di aspre contese tra i baldi cittadini delle città di Arezzo e Perugia. La spuntò quest’ultima città, distruggendola nell’Anno del Signore 1269. Poi, grazie anche all’opera di ricostruzione dei Conti di Galbino, divenne un potente feudo che, col passar di quegli avventurosi anni, passò ai Montedogli, agli Umbertini, ai Tarlati e infine al Duca di Atene, Gualtiero VI di Brienne. Era la metà del XIV secolo.
Un altro incontro con il “mistero”
La formula quasi “alchemica” della terracotta invetriata rimase per secoli un vero e proprio mistero.
La famiglia Della Robbia la nascose gelosamente per moltissimi decenni non rivelando alcuna indicazione sui metodi e sui procedimenti tecnici. Tutto ciò creò un alone di “mistero” presso i contemporanei, convinti che si trattasse di un’eccezionale invenzione della famiglia toscana. Antiche cronache narrano inoltre che la “magica” ricetta poi passò nelle mani della bottega di Benedetto Buglioni, un… concorrente, attraverso un’infedele fantesca di casa. Così si seppe che la tecnica dell’invetriatura non era un’invenzione “locale” ma era la rinascita di un’arte ben nota alle civiltà orientali ed ereditata dal mondo romano e bizantino. La tecnica fu quindi diffusa dagli arabi regioni nelle regioni europee di cultura moresca, nell’isola spagnola di Maiorca, centro di smercio di stoviglie, vasellame e smalti pregiati. A Luca Della Robbia rimane il merito di aver abilmente riscoperto la tecnica, di averla migliorata ed abbinata ad una capacità creativa difficilmente eguagliabile, unita anche al “mistero” del segreto mantenuto per secoli.
Splendida “Crocifissione con la Maddalena”, in ceramica, realizzata presso la scuola di Benedetto Buglioni (1459 – 1521)
Tutto ciò, nonostante il celebre biografo Vasari sostenesse che Luca Della Robbia aveva
“[…] una meravigliosa pratica della terra, la quale diligentissimamente lavorava, trovò il modo di invetriare essa terra co’l fuoco, in una maniera che non la potesse offendere né acqua né vento […]”.
La “robbia” – come vi ho già raccontato – e’ una pianta originaria dell’Europa meridionale e dell’Asia, molto diffusa in epoche passate anche nelle zone incolte della Toscana, poiché veniva utilizzata per ricavarne un particolare colorante naturale oggi non più in uso. Dalle sue radici si ricava un pigmento rosso da sempre impiegato nella colorazione di tessuti e di pellami, nonché per la produzione di lacca per i pittori. Poiché la famiglia Della Robbia era affermatissima nell’all’arte dei tintori e, si narra, possedesse in Toscana estese piantagioni di tale pianta, è verosimile pensare che dalle stoffe, per caso o volutamente, il pigmento venisse impiegato anche nell’arte della ceramica, dando vita agli splendidi manufatti che non avrete di certo mancato di ammirare a Valsavignone, a non molti chilometri dal mio… luogo di nascita, sul Monte Fumaiolo.
Una splendida ceramica “robbiana” raffigurante la Madonna con il Divin Fanciullo.
Andiamo verso il mare…
“L’anima segue nella notte il fiume
Che dal grembo di Roma già silente,
siccome enorme, placido serpente,
svolgesi della luna al freddo lume.
……………………………………
Chiama da lungi il mare tenebroso,
va il fiume senza tregua,
e al mare, ove non spera aver riposo,
si mesce, e vi si dilegua…”
… così, con le struggenti strofe della poesia ‘Il fiume’, dovuta alla sapiente penna di Luigi Pirandello, sta per concludersi il mio, il vostro breve viaggio tra alcuni paesi e città che nei secoli sono state edificate lungo le mie sponde.
Abbiamo appena lasciata la zona della Magliana Vecchia e mi sto dirigendo verso la foce, dove le mie acque – come sottolineano i versi che avete appena ascoltati – si mescoleranno a quelle del Mar Tirreno.
La sensazione che il mio viaggio sia veramente giunto al termine l’’ho avuta appena ho superato la Magliana e l’avveniristico quartiere dell’EUR, quando ho lasciato alle mie spalle il Ponte di Spinaceto e ho intravisto, alla mia destra, l’area di Ponte Galeria con il suo ‘Fosso’ che non vedeva l’ora di unirsi a me nel nostro avventuroso viaggio verso il mare…
La zona di Ponte Galeria è sorta nell’VIII secolo come domusculta, fondata da Adriano I e poi ridimensionata un secolo più tardi da Gregorio IV a cui si deve la costruzione di un castello ormai del tutto scomparso. Poiché ci attende l’esplorazione di aree archeologiche estremamente interessanti, a due passi, dalle spiagge di Ostia e di Fiumicino, sarò costretto a descrivervi a volo d’uccello – ora direi proprio… di gabbiano! – i luoghi di maggior interesse che vi suggerirei di visitare.
Diamo appena un’occhiata, sulla riva sinistra, alle zone di Trafusa e di Mezzocammino, facciamo finta che il fosso di Malafede, uno degli ultimi miei affluenti, stia ancora lì, per un bel po’, ad attendere un nostro secondo viaggio esplorativo, superiamo Acilia – con un bel Museo della Cultura Popolare – e Dragona e arriviamo di gran passo al chilometro 23 della Via del Mare, al bivio che conduce al centro urbano di Ostia, sorto a poca distanza dagli scavi di Ostia Antica.
Uno scorcio di ciò che potrete vedere visitando gli scavi archeologici di Ostia Antica.
Il primitivo nucleo di quest’area risale al IV secolo d.C. quando divenne sede vescovile e vide la costruzione di una basilica dedicata a Sant’Aurea. Nel V secolo arrivarono quei ‘ragazzacci’ dei Visigoti e nell’VIII secolo – proprio per non farmi mancare nulla! – vidi intorno a me orde di Saraceni.
Poi, per mia fortuna, salì al soglio pontificio papa Gregorio IV che edificò la cittadella fortificata di Gregoriopoli, adibita anche a dogana e a scalo commerciale. Qui potrei raccontarvi un’infinità di aneddoti e di vicende storiche, ma preferisco fermarvi (io non posso!) un attimo presso gli scavi di Ostia Antica. Pare che la cittadina che stiamo esplorando sia stata fondata dal terzo Re di Roma, Anco Marzio, proprio alla foce del Tevere che i latini chiamavo… ‘ostium’ da cui, ovviamente, l’attuale nome. Oggi la zona non corrisponde affatto all’effettivo mio ingresso nel Mar Tirreno poiché durante quasi tre millenni il territorio si è ampiamente modificato e adesso mi tuffo in mare a circa cinque chilometri da dove ora state sostando un attimo.
In questa zona, ancor prima che Ostia fosse costruita, sembra sia arrivato Enea, proveniente dalla zona del Circeo, a poco più di cento chilometri verso sud. Il buon Virgilio non perse tempo e nella sua Eneide, mi pare nel VII Libro, direi ai versi 29-36, ricordò l’evento…
“… A questo punto Enea vede levarsi
Dal mare un grande bosco. In mezzo scorre,
nel suo fluire sorridente, il Tevere,
biondo di molta sabbia, coi suoi forti
gorghi, per poi prorompere nel mare.
Sopra e d’intorno, uccelli d’ogni specie,
abituati al fiume e alle sue rive,
allietano col canto l’atmosfera
ed intrecciano voli dentro il bosco…”
Vi piacerebbe fermarvi un po’ più a lungo in questa splendida area archeologica, vero?
Se trovate il tempo visitate ad esempio la Fullonica, l’antica lavanderia pubblica che si apre sull’omonima via ed è rimasta quasi come ai mie bei tempi, alla Roma di molti secoli or sono…
La Fullonica, l’antica lavanderia pubblica di Ostia Anticaca
Poi recatevi a passo svelto verso gli Horrea che si estendono sulla destra della Via dei Molini e che erano una sorta di grande Centro Commerciale dell’epoca, costruiti soprattutto ai tempi dell’imperatore Claudio e poi ampliati da Settimio Severo. Visitate il misterioso Mitreo delle Sette Sfere, del II secolo d.C. e non lasciatevi sfuggire il Campo della Magna Mater, sempre del II secolo con il suo tempio di Cibele che vide compiersi il Taurobolium, cruento rito in cui uno sventurato toro veniva usato per annullare tutti i peccati commessi dagli uomini…
Scorcio degli Horrea, sulla destra della Via dei Molini: erano una sorta di grande Centro Commerciale dell’epoca.
No, non mi è possibile darvi tutti gli infiniti suggerimenti per una razionale visita agli scavi! Un consiglio? Munitevi di una adeguata ‘Guida’ archeologica cartacea e… buona esplorazione!
Ora, lasciati gli scavi di Ostia Antica, rechiamoci a Fiumicino, piccolo, incantevole porto peschereccio, sorto al termine della Via Portuense, lungo la riva destra del canale che mi sta conducendo finalmente nelle acque del Tirreno. Il nome del paese deriva – c’era da aspettarselo! – dal latino ‘flumen micinum’ che significa proprio… piccolo fiume’.
Quasi un affronto al mio Ego… ipertrofico!
Scherzi a parte, il paese – il cui nucleo originario risale al 1823 – si può visitare a piedi.
Infine, una rapida visita alle mie amiche: le navi romane…
Ora che siamo giunti alla fine del mio e del vostro viaggio verso il mare, vi suggerirei di fare un’interessantissima visita al Museo delle Navi Romane di Fiumicino, in via Alessandro Guidoni 35.
Scorcio del Museo delle Navi Romane di Fiumicino
Molti anni fa, durante i lavori per la costruzione dell’Aeroporto Intercontinentale “Leonardo da Vinci”, vennero alla luce alcune grandi imbarcazioni di epoca romana, da secoli arenatesi vicino al molo di destra del porto di Claudio. Forse all’epoca la zona rappresentava proprio una sorta di “cimitero delle navi” troppo vecchie per solcare ancora le onde del Mediterraneo o troppo malridotte per essere restaurate… Nella maggior parte dei casi, delle navi si sono conservate abbastanza bene le strutture del fondo che, impregnate d’acqua, sono rimaste preservate dall’attacco di organismi esterni, quali la “Teredine navale” che invece ha aggredito le parti lignee non coperte dalla sabbia e dal limo. Vale proprio, la pena, di ammirare a quali livelli giunse, almeno venti secoli fa, l’abilità degli ingeneri navali che vivevano all’”ombra del Colosseo”!
Non ne siete convinti? Allora, lasciandovi alle spalle il mare, dirigetevi a Sud, verso i cosiddetti “Castelli romani”, a Nemi, in via Diana, e date un’occhiata alle “Navi di Caligola”, o almeno a ciò che ne resta dopo (si dice…) un vandalico gesto compiuto da soldati tedeschi al termine del secondo conflitto mondiale…
Il lago di Nemi è il più piccolo dei laghi “vulcanici” che si trovano sui colli Albani, nei pressi di Roma. In tempi ormai lontanissimi la località intorno al lago era sacra a Diana, e a lei era stato edificato un tempio dedicato appunto a Diana Nemorensis, alla dea dei boschi. In epoca imperiale, Caligola, per trascorrere sul lago i suoi “otia” o per celebrarvi riti in onore della dea, fece costruire due (o tre?) gigantesche e splendide navi impreziosite di bronzi, marmi ed altri materiali pregiati.
In alto, una delle due (o tre…) navi di Caligola dopo il recupero effettuato tra il 1928 e il 1932. In basso una delle navi esposte nell’apposito Museo di Nemi, a pochi chilometri da Roma.
Le navi, a chiglia piatta, interamente conservate, erano lunghe oltre settanta metri ed erano larghe poco più di venti metri, realizzate in solido fasciame di pino e rivestite esternamente con lana catramata e lamiere di piombo fissate allo scafo con chiodi rame. Quando gli archeologi scoprirono, tra i vari reperti recuperati, le cosiddette “fistulae aquarie” con il nome di Caligola fu subito chiaro a chi si dovesse la realizzazione dei due “transatlantici” lacustri.
Le “fistulae” erano in pratica le tubazioni in piombo che portavano l’acqua all’interno dei palazzi patrizi ed erano realizzate partendo da lastre saldate, sulle quali si incideva il nome del “liberto idraulico” che le aveva realizzate o, come nel nostro caso, del proprietario. Caligola – ma sì, quello che fece eleggere senatore… il suo cavallo! – non badò a spese e sulle navi fece costruire templi coperti da tegole in rame dorato, colonne, pavimenti in mosaico, statue bronzee e ogni altra “follia” che un imperatore dell’epoca poteva permettersi!
E qui, almeno per adesso, poiché non posso di certo fermarmi, termino la descrizione del mio percorso e dei possibili “Punti sul Mistero” delle moltissime località che sono sorte intorno al mio percorso…”
Ricostruzione di una delle due splendide Navi di Caligola sulle quali il “folle” (ma non troppo…) imperatore romano soleva trascorrere lunghi periodi di “relax”, in onore della dea Diana Nemorensis.
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In questo Volume 1 sulle ‘Porte Alchemiche, Magiche, Mistiche’ inizieremo con l’Urbs aeterna, recandoci a Piazza Vittorio Emanuele II, di fronte alla misteriosa “Porta” e indagheremo anche sull’avventurosa vita, e sugli esoterici interessi del Marchese Massimiliano Palombara, personaggio del quale non sarebbe assolutamente facile poter ricostruire nei minimi dettagli la vita e le complesse vicende che hanno costellato il suo percorso terreno, personaggio il quale ha l’indiscusso merito di avere preservato l’esistenza del monumento, della testimonianza di un sapere forse andato perduto.
Ricerche di carattere storico nell’immenso archivio storico di Palazzo Massimo alle Colonne sono state effettuate per ricostruire non solo vita ed opere dell’alchimista Massimiliano e dei suoi molti figli – avuti da due diversi matrimoni – ma anche per ricavare inedite informazioni sulle non confortanti vicende che portarono alla eliminazione, da parte del Comune di Roma, della Villa Palombara sul Colle Esquilino e, di conseguenza, alla scomparsa di quasi tutte le testimonianze storiche riguardanti gli strani interessi “esoterici” del Marchese. Unica superstite, come abbiamo evidenziato, è proprio la misteriosa “Porta Alchemica” o “Porta Magica” che da decenni fa scorrere i classici fiumi d’inchiostro da parte di chi si interessa agli aspetti meno accessibili, meno noti e più “misteriosi” della Conoscenza. È in quasi simultanea uscita anche il Volume 2 su altre misteriose Porte Magiche in Italia…