I SEGRETI DELLE FAVE TRIESTINE DEI MORTI
di Giancarlo Pavat.
Una città avvolta nel manto di un autunno inoltrato. Alberi spogli, persone imbacuccate in giacconi e cappotti, giornate che si accorciano sempre più, spesso una pioggia insistente e fastidiosa, e, soprattutto, refoli di un vento freddo ed impetuoso; la Bora.
Siamo a Trieste attorno al giorno dei morti, il 2 novembre. I Triestini entrano ed escono da panetterie e pasticcerie (alcune figurano tra i locali storici d’Italia) con sacchetti di carta in mano. Dai quali, camminando, estraggono alcuni piccoli dolcetti di colore marrone, rosa e bianco. Che poi assaporano con soddisfazione.
Una dolce tradizione locale le cui radici si perdono nell’humus culturale e rituale di epoche e luoghi così lontani dalla città adriatica, di cui è rimasta traccia soltanto nei libri di storia.
Il dolcetto rotondo che nessun triestino mancherebbe mai di assaggiare in quel periodo dell’anno, sono le cosiddette “Fave dei morti” o “Fave Triestine”.
Accostamento, quello tra i cibi e cerimonie religiose, funebri o no, presente in tutto il mondo ed antico come l’Uomo stesso. Riti che si trasferirono poi alle divinità Olimpiche.
Con l’affermazione del Cristianesimo, i convivi a memoria dell’Ultima Cena e dell’istituzione dell’Eucarestia, primi tenuti nelle Catacombe, si prese a svolgerli dentro le stesse chiese o i cimiteri.
Più comunione con i defunti di così !!
Attorno all’Anno Mille, la Chiesa iniziò a proibire simili eventi (così come vietò qualsiasi altra manifestazione laica, come processi, assemblee comunali ecc.) nei luoghi sacri,
Ma non sempre vennero rispettate le proibizioni. Si ha notizia, nel 1270 in Piemonte, di una disposizione del Vescovo di Torino Goffredo di Montanaro, volta a far cessare la “vergognosa pratica” di tenere nelle chiese balli, giochi o conviti disonesti. Eufemismo per indicare vere e proprie orge alimentari e non solo.
Eppure, ancora nel XVI secolo, a Novara, in occasione della Pentecoste si allestivano lauti banchetti in ambitu ecclesiarum.
Sia per la Pentecoste che per il giorno dei defunti, sempre in Piemonte, è attestata (almeno sin dal XV secolo) l’uso di distribuire legumi (minestre e pani) ai poveri per poi consumarli tutti assieme fraternamente.
In molte località delle Alpi, si usa ancora oggi per feste nuziali, spezzare il “pane dell’amicizia”. In molti casi accompagnato da contorni di verdure e legumi freschi.
Ci sarebbero tantissimi altri esempi da citare, in relazione alla preparazione e distribuzione di alimenti a base di cereali e legumi in occasione di ricorrenze sacre o devozionali.
Ma si rischierebbe di esulare dallo scopo principale di questa trattazione. Che è quello di lanciare alcuni spunti per ulteriori, eventuali, ricerche.
Tornando ai legumi e, soprattutto, alle fave triestine. Oggi, sebbene un vecchio adagio della città con l’Alabarda, recita “Chi magna solo, mori solo”, è difficile che il consumo dei dolcetti avvenga in ambito conviviale.
Al massimo come dessert dopo un pranzo. Ma regalarne un sacchetto ad una persona cara o portarle come “presente” quando si è invitati a casa di qualcuno, è sempre particolarmente gradito ed apprezzato.
Un ultimo appunto. Alcuni ricercatori hanno messo in relazione i colori delle fave: marrone, rosa e bianco, con i colori alchemici della “Grande Opera”; il nero, il Rosso ed il Bianco. Solo una suggestione?
(Giancarlo Pavat )