“Nel XVI secolo” ha spiegato Pacetti “l’affresco ha fatto modificare il nome della chiesetta. Infatti, è attestato che dal 1595 prese ad essere denominata “di San Rocco e della Madonna della Valle””.
Il ricercatore è convinto che sulla stessa parete, coperto dall’intonaco, ci sia anche una effige di San Marco, visto che la chiesa era nota per la devozione nei confronti del santo martirizzato ad Alessandria d’Egitto.
Ma nella navata, oltre che dalla statua di San Rocco (oggi posta dietro l’altare ma un tempo allocata sotto la conchiglia di San Giacomo presente nella cappella di destra utilizzata anche come ricovero degli appestati) la nostra attenzione è stata catalizzata da una croce patente rossa inscritta di un circonferenza dipinta sulla parete sinistra.
Qualcuno, ha puntualizzato Pacetti, ha tentato di metterla in relazione con i celebri cavalieri Templari. I quali utilizzarono anche questa tipologia di croce. Ma il ricercatore ha fatto notare che “sebbene rinvenuta sotto l’intonaco più recente, la croce patente si trova su una parete della chiesa eretta nel XVI secolo”. Quindi oltre due secoli dopo la fine del potente Ordine monastico-cavalleresco. Quasi in corrispondenza con questa croce, sulla parete di destra, si nota, dipinto sempre con colore rosso, una sorta di volatile. Per Pacetti rappresenterebbe un aquila, tra l’altro simbolo di Piglio.
Personalmente, osservando attentamente la figura, credo di avervi riconosciuto, invece, un pellicano che si squarcia il petto con il becco per nutrire i suoi piccoli.
Rappresentazione allegorica di Gesù Cristo che si sacrifica sulla Croce per la salvezza di tutta l’Umanità.
Questa simbologia, come spiegato da Giancarlo Pavat nel suo libro “Nel segno di Valcento” (2010, Edizioni Belvedere), si ispira anche al “Adoro te devote”, un canto eucaristico, attribuito a San Tommaso d’Aquino, che intona “Pie pellicane, Jesu Domine, me immundum munda tuo sanguine; cuius una stilla salvum facere totum mundum quit ab omni scelere”.
Il simbolo Cristico del Pellicano è stato ripreso anche da Dante Alighieri nel Canto XXV, vv. 112-114, della Cantica del Paradiso.
Dove, descrivendo nel suo immortale Poema l’incontro con San Giovanni Evangelista, rievoca la scena dell’Ultima Cena, quando l’Apostolo chinò il capo sul petto di Gesù. “Questi è colui che giacque sopra il petto/ del nostro pellicano, e questi fue/ di su la croce al grande officio eletto”.
Interessante è pure l’acquasantiera della chiesa. Un vero e proprio “pezzo” archeologico”. Si tratta infatti di una colonna romana il cui capitello è stato scavato trasformandolo, appunto, in fonte battesimale.
Dalla navata varchiamo finalmente la soglia della cappella posta a sinistra dell’altare e ci troviamo di fronte al gioiello della chiesa di San Rocco.
Un affresco trecentesco che gli storici dell’arte hanno definito di “scuola giottesca” napoletana.
L’opera d’arte ha rivisto la luce nel 1984 e raffigura la Madonna in trono con in braccio il Bambino, attorniata da quattro santi.
Davanti all’affresco è stata costruita, probabilmente agli inizi del XVII secolo, una cortina in muratura con decorazioni a stucco che l’hanno trasformato in un tabernacolo. Nascondendolo quasi del tutto alla vista dei fedeli e dei visitatori.
Solo infilandocisi quasi dentro, con le dovute precauzioni e rispetto, è possibile ammirare questo straordinario dipinto.
Sia la Vergine che Gesù stringono in mano un rametto (appena riconoscibile) di “rosa canina”. Da cui l’attribuzione del nome di “Madonna delle Rose”.
Non è questa la sede per dilungarsi sui particolari significati allegorici ed apotropaici e sulle proprietà curative al limite tra medicina popolare e superstizione, che per lunghi secoli vennero attribuiti alla “rosa canina”. Ma è interessante notare come nella cappelletta rurale tale frutto sia stato messo in relazione con Cristo e la Madonna.